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IMPEGNO STORICO DEL CRISTIANO


L'uomo è essere nel tempo. La sua vita è ritmata dalla successione: prima, ora, poi. In quanto homo viator egli non può maturare che camminando attraverso il tempo, lasciandosi plasmare dagli eventi e insieme contribuendo allo svolgersi della storia. Egli è caratterizzato dalla storicità. Anche il cristiano deve assumersi le proprie responsabilità di fronte alla storia. Cristo, «pienezza del tempo» (Gal 4,4), conferisce il significato definitivo alla storia trasformandola in storia della salvezza: una successione difatti divini e di risposte umane perché si realizzi il disegno di Dio. Gesù interpella i suoi discepoli ad una fede viva ed operante (Mt 7,21; Lc 6,46). Non li chiama a vivere in ghetto,57 ma ad essere sale della terra, luce del mondo, lievito che fermenta la massa (cf. Mt 5,13-14; 13,33). Li invia nel mondo (cf. Gv 17,15; Mt 28,19). Con il comandamento dell'amore fraterno (Gv 13,34) egli richiede il ripudio dell'egoismo e la vita nella comunione. Oggi si comprende che non si può vivere questo amore cristiano senza toccare le strutture della vita sociale. Queste, al pari dei rapporti interpersonali e delle professioni quotidiane, devono essere animate dello spirito delle beatitudini evangeliche (GS 72) dopo essere state, se è il caso, liberate dai «circoli diabolici». Tali circoli diabolici rappresentano una concentrazione della malizia umana e si declinano come sperequazione sociale tra ricchi e poveri (anche a livello di nazioni o emisferi), criminalità organizzata allo scopo di dominare il mercato e di reperire danaro per loschi traffici, cultura di morte che va dall'aborto alla diffusione internazionale della droga e al commercio di armi, inquinamento ecologico. Nel difficile compito del cristiano, che si interroga come possa vivere onestamente nel mondo o come influire positivamente sulla storia del suo tempo, la figura di Maria offre un paradigma e dei valori di perenne attualità.

1. Come Maria, responsabili della storia del mondo
Di fronte ai mali del mondo si fa strada una tentazione: eclissarsi nel privato attendendo che passi la tempesta. Tanto che possiamo farci?, si sussurra. Rassegnarsi ad una situazione creduta fatale è atteggiamento regressivo, che sa di stoicismo pagano e si oppone diametralmente al mistero dell'incarnazione. Dio non è indifferente alla storia degli uomini ma interviene con l'invio del suo Figlio per l'avvento di un mondo nuovo.
a) Maria icona di responsabilità
Il vangelo ci mostra che questo cambiamento di cose avviene proprio quando l'angelo Gabriele è inviato da Dio alla Vergine di Nazaret. In lei nasce la personalità cristiana, che è costituita dalla libera adesione umana alla proposta storico-salvifica di Dio. La risposta di Maria all'angelo è l'antropologia cristiana in compendio. Il tipo di uomo che essa presenta esclude tanto l'annullamento dell'individuo di fronte a Dio e alla comunità, quanto l'esaltazione dell'individuo senza relazione a Dio e alla comunità. Maria infatti è la persona inserita in una comunità che si trova dinanzi a Dio a servizio del suo piano di salvezza a favore degli uomini. Il saluto dell'angelo e la risposta finale di Maria avanzano nella stessa direzione. L'invito alla gioia, che ricalca gli annunci alla Figlia di Sion (Sof 3,14-17; Zac 2,14; 9,9), suppone in Maria la «rappresentante del popolo eletto». L'assicurazione di una speciale assistenza di Dio, contenuta nelle parole «il Signore è con te» (Lc 1,28), «mette Maria accanto ai grandi uomini della storia del popolo d'Israele». La risposta di Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38) è una formula di accordo e di consenso, meglio ancora di accettazione dell'alleanza. Come il popolo rispose in termini equivalenti al patto del monte Sinai (Es 19,8; 24,17), così «la risposta di fede che era tipica d'Israele nel quadro dell'alleanza con Dio, è ora trasposta sulle labbra di Maria». La Vergine si autodefinisce «serva del Signore» al seguito dei grandi personaggi dell'AT: Abramo (Gn 26,24), Mosè (Nm 12,7), Davide (2Sam 7,8)... Questa espressione significa avere una missione particolare da compiere; non deve quindi essere intesa con senso di umiltà o di sottomissione; è una forma di coraggio nell'assumere una responsabilità. Può essere paragonata alla risposta di Isaia: «Manda me» (Is 6,8). Mentre però i servi di Dio dell'AT hanno svolto un compito appariscente, il servizio che rende Maria non ha niente di vistoso: consiste nell'essere Madre di Gesù restando nelle condizioni ordinarie delle donne sue contemporanee. Proprio in condizioni povere e disprezzate scaturisce il sì d'amore che fa rifiorire nella storia degli uomini la speranza. Questa interpretazione storico-salvifica della figura di Maria percorre la tradizione cristiana: ella è la cooperatrice di Dio per la salvezza dell'uomo. In lei Dio rivela come in un'icona il suo modo di agire con gli uomini: salvarli rispettandone la libertà, in modo che essi rispondano per amore alla sua chiamata d'amore. Maria diviene così il tipo della personalità cristiana, che non agisce passivamente, ma riflette, decide, medita assiduamente per assumere senza deleghe la propria responsabilità davanti a Dio e alla comunità. Quando ci si confronta con questa icona di libertà e responsabilità, cadono le possibilità di ridurre il proprio atteggiamento devoto nei riguardi di Maria al settore cultuale. Maria sconfessa ogni alibi e disimpegno di fronte alle interpellanze e sfide della storia.
b) La questione morale oggi
Una delle sfide che lancia la società del nostro tempo è la «questione morale», balzata alla ribalta negli anni '80 come «la questione politica prima ed essenziale». Solo nel rinvigorimento delle radici morali e religiose si intravvede la possibilità di superare quel permissivismo della morale libertina «al di là del bene e del male», che «promette solo egoismo, sopraffazione, elogio della violenza». Nel secolo scorso il laico apologeta francese Auguste Nicolas sottolineava con vigore il «prodigio morale» operato dal culto di Maria, che ha condotto la società a prostrarsi non più dinanzi a Venere «terribile madre delle passioni» (Orazio), ma dinanzi alla Vergine ideale di santità. Anche oggi il riferimento a Maria, nel suo compito di «modello e materna educatrice dell"uomo nuovo" in Gesù Cristo (Col 3,910)», introduce nella sua pronta disponibilità ad attuare le proposte di Dio. Nella sua cooperazione creativa alla salvezza del mondo Maria si rivela un modello non scoraggiante ma coinvolgente. Se si presentasse come una superdonna dalle imprese eroiche, ella si allontanerebbe dalla condizione ordinaria della vita umana. Non sarebbe imitabile dalla-stragrande maggioranza di uomini e donne. Infatti una simile visione renderebbe inefficace e secondaria l'azione di migliaia e migliaia di esseri umani, limiterebbe anzi la responsabilità storica di tutti ad alcuni rari esemplari «maggiorenni» dell'umanità. A partire dal nostro tempo, porre l'accento su eroi ed eroine denota un arcaismo e un ritardo storico, un'incapacità di sintonizzarsi con i progressi della coscienza umana nei suoi vari livelli. L'eroismo di Maria è tutto interiore: consiste nel totale abbandono alla parola di Dio, per quanto imprevedibile e impegnativa, e nella limpida coerenza con cui ha portato a termine la sua missione storica.

2. Come Maria, impegnati per la liberazione
Al costante Sì di Maria a Dio e al suo piano si contrappone, come altra faccia della medaglia, il NO di Maria alle ingiustizie e allo stato di cose col quale non si può venire a patti.
a) Maria canta la liberazione
La paradigmaticità di Maria presenta questo aspetto poco recepito dal popolo cristiano, ma evidente nel cantico del Magnificat che Luca pone sulle labbra di lei (Lc 1,46-55): l'assenza di qualsiasi connivenza con le strutture del male nelle sue varie forme, anzi la loro denuncia come incompatibili con il piano del Dio dell'alleanza. Maria, profetessa del nuovo patto, «rivela il disegno trasformatore dell'economia cristiana» nella duplice valenza di mistero di salvezza e di processo di liberazione. Il Magnificat è un canto religioso che nasce da una visione di fede e da una profonda esperienza di Dio salvatore. In realtà, solo alla luce della fede si percepisce come la storia della salvezza sia la storia della liberazione dal male nella sua espressione più radicale e l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio. Infatti Maria sperimenta nella sua vita il vero volto di Dio potente, santo, misericordioso e fedele (Lc 1,49-50.54-55), che manifesta questi attributi guardando con amore a lei povera serva, salvandola, rendendola credente e madre del suo Figlio. Per questa opera di Dio in lei, Maria esulta e rende lode al Dio salvatore, che rivolge lo sguardo benevolo e promozionale verso ciò che è piccolo, umiliato e disprezzato in questo mondo. In Maria ammiriamo, dopo che in Cristo, «l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo». Ma confrontando l'agire di Dio in lei e nella storia, Maria scopre l'altro aspetto del volto di Dio: la sua lotta contro quanti seguendo falsi idoli opprimono il popolo. Le parole del Magnificat non ammettono addolcimenti: Dio «rovescia i potenti dai troni.., disperde i superbi... rimanda i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53). Egli non è neutrale e indifferente di fronte al bene e al male, ma al contrario combatte e neutralizza le forze del male che si oppongono al suo progetto di salvezza. Nel Cristo ormai presente nel mondo cambiano i rapporti tra gli uomini: non più prepotenza, orgoglio, arricchimenti, ma servizio, umile sentire di sé, povertà come radicale apertura al disegno di Dio. Guardare a Maria e identificarsi con lei «icona di liberazione» è un imperativo particolarmente sentito oggi da quanti hanno a cuore la trasformazione della società in vista del regno di Dio. Anzi l'elaborazione di «una teologia della, libertà e della liberazione, come eco fedele del Magnificat di Maria conservato nella memoria della chiesa, costituisce un'esigenza del nostro tempo».
b) La vera liberazione evangelica
Non è lecito però né stravolgere il cantico della Vergine «verso un progetto di liberazione puramente terrena» o verso la «violenza» o «la lotta di classe». Il Magnificat evita ogni sentimento di odio contro gli egoismi umani e si limita a costatare come Dio, con un'azione a livello profondo e trascendente che sfugge alla nostra osservazione, capovolge le ingiuste situazioni religiose, sociali ed etniche a favore dei pii, dei poveri e di Israele. Siamo ancora nella logica veterotestamentaria, che verrà perfezionata e superata dal vangelo. Dio amerà sempre i suoi servi, ma annuncerà la salvezza più per i peccatori che per i giusti (Mc 2,17; Mt 9,13; Lc 5,32). Dio manifesterà sempre amore preferenziale per i poveri, ma si rivolgerà anche ai ricchi perché si convertano e vivano (Lc 18,14-17; 19,210). Dio sarà fedele alla sua alleanza con Israele, ma la salvezza sarà destinata non solo agli ebrei ma a tutte le genti (Mt 28,19-20; Rm 3,29; Col 3,11). Il Magnificat, pur con questo allargamento d'orizzonti, sveglia i cristiani dalla loro tranquilla e cattiva coscienza nei riguardi degli oppressi, dei poveri e degli emarginati. Non li lascia languire nel perbenismo, né permette che «si trincerino in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell'ingiustizia». Al contrario ogni cristiano deve sintonizzare con la chiesa, che «guidata dal vangelo della misericordia e dall'amore dell'uomo, ascolta il grido che invoca giustizia e vuole rispondervi con tutte le sue forze». La Vergine del Magnificat ci sensibilizza sul progetto etico da attualizzare nel nostro tempo. Maria pone al vertice dei valori Dio nei suoi attributi di potenza, misericordia, santità e fedeltà, rivelati nel suo misterioso agire nella storia. Snida poi gli idoli nascosti, i volti nuovi del male: l'orgoglio che chiude a Dio e ai fratelli giungendo talvolta all'ateismo combattivo, la prepotenza che crea violenza, schiavitù e illegalità, la ricchezza ricercata per se stessa e concentrata in mano di pochi che provoca sfruttamenti, violazione della libertà personale e la tragedia della fame. Il Magnificat infine propone nella figura di Maria gli atteggiamenti da assumere: fiducia gioiosa in Dio salvatore, ascolto del grido dei poveri e degli oppressi, amore attivo e preferenziale per essi, servizio di Dio e comunione con il suo popolo.`

3. Con Maria, per una cultura di vita
Nella società attuale si affrontano ogni giorno non solo come sempre la vita e la morte, ma anche una «cultura di vita» e una «cultura di morte».
a) Bioetica e cultura di vita
Da varie parti si osserva il progresso compiuto dalla medicina, che nonostante la sua impotenza a debellare certe malattie del secolo, ha diminuito enormemente la mortalità infantile, ha evitato tante malformazioni mediante vaccini e cure preventive, ha operato sul cuore e ha trapiantato organi vitali... Per moralizzare le scoperte nel campo medico, impedendo il loro uso degenerante, è sorta una nuova disciplina: la bioetica, cioè «lo studio sistematico della condotta umana nell'area della scienza della vita e della cura della salute, in quanto questa condotta è esaminata alla luce dei valori e dei principi morali». Tale scienza si applica in modo particolare all'ingegneria genetica, che ha la capacità di «immettere nel circuito cellulare informazioni recate da geni, con l'intento di modificare il comportamento cellulare e la conseguente realtà personale». Si tratta di finalizzarla a «migliorare le condizioni di vita» (GS 34) e non ad un'arbitraria manipolazione del nucleo intimo e misterioso della struttura umana. Oggi, almeno nell'area della società industrializzata, non si tende più a vivere o a sopravvivere, ma ad una «qualità di vita» che garantisca lo sviluppo delle varie potenzialità dell'uomo fino a raggiungere il massimo livello possibile. Si assiste a gesti di generosità, da parte di religiosi e laici, per difendere la vita in zone del cosiddetto terzo mondo prive delle cure mediche essenziali. Nonostante tutti i progressi, rimangono ancora in una zona grigia l'inizio e il termine della vita umana: il momento dell'ominizzazione e quello della morte. Proprio in queste due fasi decisive si incuneano due comportamenti allarmanti: l'aborto e l'eutanasia. Entrambi sono da ritenersi disvalori, in quanto costituiscono un rifiuto della vita, dono del Signore. Essi appartengono ad una più vasta «cultura di morte», di cui sono gravissime espressioni «i gesti del terrorismo, della violenza, della delinquenza comune; le corse agli armamenti e il commercio spregiudicato delle armi; l'aggravata diffusione della droga; la persistente frequenza delle morti bianche; una sempre diffusa incoscienza nella circolazione stradale». Di fronte alla duplice cultura biofila e necrofila, i cristiani d'oggi non possono tergiversare come Ercole al bivio: essi sanno di dover percorrere il «sentiero della vita» proposto da Dio (Dt 30,15-16; Sal 16,11).
b) La Theotokos «immagine conduttrice» di vita
Per schierarsi a favore della vita, non giovano tanto le idee quanto i modelli che incarnano il valore della vita. La Theotokos rappresenta una viva «immagine conduttrice» verso la vita (P. Evdokimov). Nella figura di Maria gravida, soggetto di delicata interpretazione da parte di parecchi pittori, troviamo l'appello a considerare con sommo rispetto ogni donna incinta; [...] a favorire ogni iniziativa volta a tutelare la vita incipiente; ad essere vicini con comprensione e misericordia alle donne che per circostanze diverse.., sono tentate di adottare soluzioni di morte nei confronti del frutto che portano in grembo. Nella Vergine madre, che sorregge il Bambino in braccio, troviamo una donna che ha accettato responsabilmente la maternità, sebbene non rientrasse nel suo progetto personale (Lc 1,34). Il suo grembo è stato benedetto e reso fecondo per opera dello Spirito, a motivo della sua obbedienza alla Parola: «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio, [...] benedetto sarà il frutto del tuo seno» (Dt 28,2.4). Dopo aver dato alla luce Cristo, vita del mondo, Maria ne protegge la vita avvolgendolo teneramente in fasce a Betlem (Lc 2,7) e sottraendolo alla rabbia infanticida di Erode (Mt 2,13-15). Ella è giustamente salutata dai Padri «madre della vita» e «madre dei viventi» Non si può contemplare Maria e restare indifferenti di fronte ai diritti dei bambini. Infine nella Vergine presso la croce è personificato il tremendo dolore causato dall'ingiusta uccisione della vita umana: modello di identificazione per quanti piangono inconsolabili la morte violenta di un congiunto e monito supremo alla pietà degli uomini per il rispetto della vita. Nello stesso tempo la Mater dolorosa adempie alla funzione di «grande strumento pedagogico del nuovo ethos cristiano di fronte alla morte», e induce a superare il negativo integrandolo nel mistero della risurrezione del Signore, cioè in una morte che cancella la morte.
c) Icona della «Fonte viva»
Nel corso dei secoli si sono elaborati due simboli, tra gli altri, che manifestano il profondo legame di Maria con la vita. Innanzitutto l'icona dell'Odighitria (= guida indicante la via, cioè Cristo) che raffigura la Theotokos mentre mostra Cristo nelle vesti di legislatore e nell'atto di benedire. Maria orienta verso Cristo i fedeli che la contemplano. Cristo è il maestro che insegna richiamando al vangelo (egli tiene in mano un rotolo) e il sacerdote che benedice rendendo partecipi della sua vita. Il rapporto della Theotokos con la vita è esplicitato nell'icona della Zoodokos Peghé (= Fonte viva). Appartenente al tipo dell'Odighitria, l'icona è così descritta dal monaco athonita Dionisio da Furnà: Una piscina tutta d'oro e la Madre di Dio nel mezzo, con le mani tese in su e, dinanzi a lei, Cristo che benedice con ambo le mani e tiene sul petto l'evangelo che dice: «Io sono l'acqua viva», e due angeli che tengono con una mano una corona al di sopra della testa di lei e, con l'altra, cartigli che dicono, uno: «Salve, fonte immacolata e vivificante», e l'altro: «Salve, sorgente immacolata, che hai ricevuto Dio». E al di sotto del fonte battesimale una cisterna con acqua [ ... ] e patriarchi, prelati, sacerdoti, diaconi, re e regine, principi e gran dame, che si lavano e bevono con coppe e bicchieri.. Il ricco significato teologico di questa icona consiste nel richiamo esplicito a Cristo Vita, che effonde sui fedeli l'acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4,14) mediante il battesimo, nonché l'acqua salutare che guarisce le infermità umane. In Cristo, che tiene in mano il vangelo, troviamo l'atteggiamento da assumere dinanzi alla vita. Gesù ha dimostrato una sollecitudine senza riserve per le necessità della vita concreta di quanti incontrava e insieme una profonda e radicale relativizzazione dell'attaccamento umano alla vita stessa . Per Gesù «la vita vale più del cibo» (Mt 6,25), bisogna «salvare la vita» anche di sabato (Mc 3,4; Gv 5,17) ed osservare i comandamenti compreso quello di non uccidere (Lc 18,20). Ben più importanti però sono le realtà del regno di Dio e della vita eterna, che relativizzano anche i legami più protettivi della vita terrena, tra cui la famiglia (Mt 10,34-39). Gesù giunge all'affermazione paradossale: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Egli dà l'esempio di quanto insegna perdendo la propria vita per salvare quella degli altri.
d) L'albero della vita
Piantato nel paradiso terrestre (Gn 2,9), «l'albero della vita» è simbolo di immortalità. Ma perché l'uomo ne possa beneficiare deve obbedire a Dio. Dopo il peccato ciò diviene possibile accedendo alla Sapienza, che è albero di vita (Pr 3,18), e definitivamente restando fedeli a Cristo: «Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (Ap 2,7; cf. 22,2.14.19). Ben presto l'immagine è trasferita alla croce, salutata da Ippolito di Roma (III sec.) come pianta immortale. Più tardi anche Maria viene raffigurata nell'annunciazione accanto all'albero della vita (tavolette d'avorio protocristiane) ed è chiamata giardino in cui è piantato l'albero della vita. Oppure viene applicato a Maria il simbolo stesso dell'albero della vita: «La tua vocazione è di nutrirti con le parole divine e di saziartene, [ ... ] come un albero di vita che ha prodotto il suo frutto nel tempo assegnatogli, Dio incarnato, la vita eterna di tutti gli esseri». Questo simbolo trova le preferenze di s. Luigi Maria di Montfort, che lo applica oltre che alla croce` anche a Maria: «Chi vuole avere il frutto di vita, deve avere l'albero di vita che è Maria». Con vivo senso d'inculturazione il missionario trasferisce il simbolo dell'albero di vita alla forma di spiritualità mariana da lui vissuta e insegnata: «Se lo Spirito santo ha piantato nella tua anima il vero albero della vita, cioè la devozione che ho appena spiegato, devi adoperare ogni cura per coltivarlo perché possa dare frutto a suo tempo». Il Montfort sviluppa questo simbolismo presentando alcuni esercizi ascetici indispensabili perché l'albero della vita produca il suo frutto «l'amabile e adorabile Gesù, colui che è sempre stato e sempre sarà l'unico frutto di Maria». In Maria dunque si condensa il richiamo alla vita nelle sue principali dimensioni: fisica e spirituale, terrena ed eterna. Da lei, nelle sue iconi, parte l'appello ad accogliere la vita nascente e proteggerla amorevolmente, ad onorare in se stessi la vita di grazia, cioè la comunione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito santo, a far prevalere nettamente la prospettiva di vita eterna sulla cultura di morte.

Bibliografia
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- IMPEGNO SOCIALE E MARIA
- MARIOLOGIA SOCIALE

 






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