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  Musiche per Maria dal Rinascimento al Barocco 
Musica

Uno studio di Giovanni Arledler in Theotokos XXIII (2015), n. 1, pp. 97-102.



Questo breve percorso nella musica ispirata o dedicata alla figura della Vergine Maria cerca i primi contenuti più significativi nel periodo che va dal Rinascimento al Barocco, ma non può ignorare che grandi compositori come Palestrina, (da) Victoria, Monteverdi non sarebbero stati tali senza avere alle spalle secoli di tradizione musicale e di partiture liturgiche e sacre. Gettare un rapido sguardo a questa tradizione ci suggerisce spunti per leggere e ascoltare con maggiore attenzione questi compositori importanti a noi più vicini.

1. Dal Gregoriano alla Polifonia

Prima di tutto, occorre evidenziare l'importanza del canto gregoriano, che si mantiene vivo al tempo di Palestrina e Monteverdi, adattandosi opportunamente, come ci si potrebbe aspettare. Già in pieno periodo medioevale appaiono fenomeni di evoluzione, che oggi apprezziamo per la loro sorprendente attualità. È il caso delle circa 80 composizioni di Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), da poco inserita per molti meriti nel numero dei dottori della Chiesa. Il canto di Ildegarda parte evidentemente dal gregoriano per poi piegarsi alle esigenze espressive, un po' alla maniera dei trovatori dei secoli successivi. Tra i molti particolari che si possono approfondire nei suoi testi - e per citare i titoli mariani nella sequenza De Sancta Maria1, nel responsorio O carissima mater, nell'antifona per il Magnificat O splendidissima gemma, nell'inno Ave generosa ecc. - apprezziamo la cura di inserire la devozione mariana nel contesto del mistero più grande della salvezza operata dal Signore Gesù Cristo dove, come sappiamo, Maria è insieme Madre di Dio e Madre nostra, figura della sapienza divina e dell'Amore sublime, espresso simbolicamente nel Cantico dei Cantici, immagine della Chiesa come sposa di Cristo, prefigurazione della Gerusalemme celeste2. Pur non potendo ignorare il contributo di autori geniali, i momenti e i contenuti della liturgia sembrano arricchirsi grazie alla tradizione, particolarmente attenta ai tempi forti e alle festività più importanti. Così l'Ave Maria, la preghiera letteraria e musicale per eccellenza, appare nella sua prima parte, in forma antifonale per il momento dell'Offertorio3. Nell'ambito del solennizzare e drammatizzare i momenti della Settimana Santa, nasce il dramma Planctus Mariae e, nello stesso contesto, la sequenza Stabat Mater, attribuita a Jacopone da Todi (1232-1306), poi collocata in quella che è l'attuale memoria dell'Addolorata al 15 settembre. A proposito di Jacopone e di altri che offrirono testi destinati ad entrare nella liturgia, non possiamo dimenticare il contributo offerto dalla poesia d'arte, che oggi forse non ci fa più tanta meraviglia, quando la nostra riforma liturgica ha ammesso nel Breviario, tra gli inni mariani, Vergine Madre di Dante. Non troppo diversamente, tale onore è capitato a Vergine bella di Petrarca, che Palestrina musicò nella sua interezza. Tra il secolo XII e il XIII si vengono comprensibilmente formando della grandi raccolte di canti che in Italia prendono il titolo di Laudari - uno dei più famosi è quello di Cortona - e in Spagna l'appellativo di Cántigas. Tra queste Cántigas, celebre è quella di Sancta Maria, attribuita ad Alfonso X il Savio. Un'altra raccolta mariana molto famosa è contenuta nel celebre Llibre Vermell, denominato così per il colore della copertina, e completato nel 1399. In esso si trovano anche dieci composizioni musicali, in parte dovute ai monaci in parte elaborate probabilmente da musicisti di professione, dedicate alla Beata Vergine di Montserrat, il cui culto è precedente all'immagine lignea del 1200 che ancor oggi viene venerata. Particolare curioso, ma non troppo pensando ai Carmina Burana, i brani non sono tanto di carattere liturgico quanto piuttosto di tipo ricreativo. Almeno tre di questi canti, Cuncti simus concadente, Los set goyts, Ad mortem festinamus, venivano danzati, così come alcuni dei primi canti ecclesiastici derivano da canzoni a ballo di genere popolare: ne rimane un'eco nel termine inglese carols, che indica un tipico canto natalizio con ritornello. Nell'intento di riproporre un buon percorso, che ci conduca per mano, passo passo, dal Gregoriano alla polifonia del Cinquecento, suggeriamo il citato e informatissimo studio di Felice Rainoldi, Traditio canendi4, consapevoli che tralasciamo giganti della musica della statura di Dufay, Ockeghen, des Prez, e non avvicineremo un'infinità di opere mariane come il mottetto a sei voci di Heinric Isaac (1450-1517) Virgo prudentissima (1507) o tralasceremo le Litanie mariane di Tarquinio Merula (1595-1665) con altri Salmi, Mottetti, Sonate contenute in Pegaso, l'undicesima sua opera a stampa.

2. Giovanni di Pierluigi da Palestrina

Giovanni Pierluigi da Palestrina (Palestrina, 1525-26 - Roma, 1594), pur nascendo da umile famiglia venne per ben due volte aiutato dagli allora cardinali titolari di Palestrina, prima per iniziare i suoi studi a Roma e poi per avere un posto fisso come maestro di Cappella, in quella che in seguito sarebbe diventata la cappella Giulia in San Pietro. Tra il 1553 e il 1554 iniziò a pubblicare a stampa sia composizioni sacre che profane: nell'arco della sua vita, assieme a quelle pubblicate postume e a quelle rimaste allo stato di manoscritto, le sue opere raggiunsero un numero impressionante. Solo riguardo alle Messe, ne possiamo contare 104 e tra esse si trova la celeberrima Missa Papae Marcelli, tramite la quale si vuole che la musica colta sia rimasta a servizio della liturgia dopo le disposizioni del Concilio di Trento, e 17 Messe dal titolo mariano, come la Missa de Beata Virgine, in cui sono riconoscibili le ascendenze gregoriane e le affinità tra il Gloria e il Credo e tra il Sanctus e l'Agnus Dei. Non si può dimenticare la Missa "Nigra sum", pubblicata nel 1590, che prende il materiale musicale da un omonimo mottetto, e altre composizioni ispirate a Maria: circa 30 Magnificat sui vari modi gregoriani, 5 Litanie mariane, 2 Stabat Mater, un certo numero di madrigali spirituali, come quelli sui versi di Petrarca Vergine bella, e, soprattutto, molti mottetti, tra cui Hodie Beata Virgo. Proprio per rimanere nel genere dei mottetti, la loro quarta raccolta, pur proponendosi con un titolo generico di Mottetti a cinque voci (1584), contiene un tesoro di 29 brani sui testi latini del Cantico dei cantici. L'utilizzo ordinato dei modi gregoriani fa comprendere l'intelligenza e l'unitarietà con cui l'opera è concepita. Oltre al già ricordato Nigra sum, sed formosa, che è il n. 3 della raccolta, il testo biblico della celebre Cantica è visitato accuratamente con grande sapienza. I versetti sono musicati uno, due, tre per volta, con le comprensibili eccezioni, e la polifonia li rende con garbo, senza particolari abbellimenti, come in una sorta di tranquilla contemplazione. L'autore, pur consapevole della grande qualità della musica - e perciò destinata a interpreti particolarmente sensibili - ritiene che essa possa essere largamente accessibile e interpretata per diletto anche in ambito di pareti domestiche. I risultati gli diedero ragione. Cosa non rarissima a quel tempo, ma comunque degna di speciale menzione, la partitura, vivente l'autore, venne ristampata ben cinque volte, fino a raggiungere nel 1613 il numero totale di 11. Palestrina sapeva bene che qualcuno dei singoli brani, dal testo particolarmente ardito, non sarebbe stato spontaneamente utilizzato in sede liturgica, ma come ogni grande artista era profondamente consapevole di rendere un omaggio a Maria e insieme illustrare il valore simbolico del Cantico dei Cantici, una sorta di epitalamio delle mistiche nozze di Cristo con la sua Chiesa.

3. Tomás Luis de Victoria e i Canti Mariani

Tomás Luis de Victoria (Avila, 1548 - Madrid, 1611) venne presumibilmente a Roma attorno al 1565 e prese lezioni da Palestrina al tempo in cui frequentava il Collegio Germanico dei padri gesuiti. Nel 1571 subentrò a Palestrina presso il Seminario Romano come maestro di cappella. Divenne sacerdote nel 1575 nell'Ordine degli Oratoriani. Nel 1578 fu inviato dallo stesso San Filippo Neri a svolgere il suo compito di musico nella chiesa oratoriana di San Girolamo della Carità. Nel 1587, non ignorando le sue origini spagnole, fu la stessa imperatrice Maria, figlia di. Carlo V e vedova dell'imperatore Massimiliano d'Austria, a richiamarlo in patria come responsabile della musica presso il convento degli scalzi "reali" a Madrid. In Spagna compose l'Ufficio dei Defunti (1605), che con l'Ufficio della Settimana Santa (1585) rappresenta il suo capolavoro. Riguardo al nostro argomento, possiamo osservare che 5 su 20 Messe recano titoli mariani, e così 8 degli 88 mottetti, tra i quali Nigra sum, e 8 antifone su 25, senza contare 18 Magnificat. In modo più specifico, pur facendo parte di una grande opera a stampa con Messe, Mottetti e Salmi, possiamo individuare una raccolta dal titolo Cantatae Beatae Virginis, formata da undici composizione da 4 a 8 voci, a partire da un'Ave Maria a 4 voci fino a un superbo Magnificat a 8 voci sul Primo Tono. Conoscendo (da) Victoria come attento a non indulgere in elaborazioni troppo complesse e sofisticate, in questa bella raccolta troviamo composizioni a 5 o 6 voci come il n. 2, Gaude Maria Virgo, e il n. 10, Vidi speciosa sicut columba. Notiamo quasi un compiacimento negli effetti a doppio coro della Salve Regina (n. 4), mentre i risultati maggiori sono probabilmente raggiunti in Trae me post te (n. 3) e in O magnum Mysterium (n. 9) al quale - come abitudine - corrisponde una grande Messa omonima. Infine, tornando al Magnificat finale sul Primo Tono, che conosciamo anche in altra versione, è impostato sul modello delle analoghe composizioni palestriniane, con il cantus firmus che passa tra le voci e con le inconfondibili caratteristiche polifoniche che segnano l'alternarsi dei versetti di numero dispari con quelli di numero pari. Senza dimenticare un'impressione di grandiosità, che non solo deriva dai particolari stessi della composizione, ma è originata da una tipica esuberanza tutta spagnola, del nostro caro compositore.

4. Claudio Monteverdi e il Vespro della Beata Vergine

Claudio Monteverdi (Cremona, 1567 - Venezia, 1643) iniziò gli studi musicali nella sua città natale col grande Marco Antonio Ingegneri. Mise a stampa la sua prima partitura, le Sacrae Cantiunculae, quando era in età di 15 anni: si tratta di 23 mottetti a due voci che prendono spunto dalla Bibbia, in particolare dal Cantico dei Cantici, da inni e da preghiere liturgiche, anche medioevali. Nel 1590 prese servizio presso la corte del duca di Mantova e con Vincenzo Gonzaga viaggiò in lungo e in largo per l'Europa, ampliando di molto la sua cultura. Alla prima partitura a stampa ne seguirono a breve delle altre, tra le quali si contano ben otto libri di Madrigali e l'estrema Selva morale e spirituale. Nel Quinto libro dei Madrigali (1605) la parola, il ritmo e l'armonia raggiungono una consapevole e mirabile sintesi che è il contributo di Monteverdi alla Storia della Musica, favorendo, tra l'altro, anche l'inizio del melodramma tipico degli italiani con l'Orfeo, l'Incoronazione di Poppea, Il ritorno di Ulisse in patria. Il Quinto libro dei Madrigali si compone di 39 numeri, gli ultimi 8, prevalentemente dedicati a Maria, con un'Ave Maria, su testo latino, che mostra come Monteverdi fosse ben a conoscenza della scuola romana di Palestrina, ma nello stesso tempo fosse già orientato a porre in risalto la continuità melodica, una delle caratteristiche delle sue opere più mature come i Vespri mariani, che rappresentano un capolavoro assoluto. Composto probabilmente tra il 1607 e il 1610 e pubblicato a Venezia nel 1610 assieme a una Messa a 6 voci, il Vespro della Beata Vergine venne fatto udire nella Basilica di San Marco per la festività dell'Assunta del 1613 e replicato 4 giorni dopo. John Eliot Gardiner, che ne ha curato nella stessa San Marco a Venezia, il 10 e 11 maggio 1989, una memorabile interpretazione, audio e video per l'etichetta Archiv, è convinto non solo che questa monumentale partitura in 14 sezioni sopra canti fermi sia stata concepita per essere eseguita nella basilica veneziana, ma che offra la possibilità di dar vita a una specie di esecuzione esemplare, secondo il gusto del tempo e, insieme, una sorta di sacra rappresentazione nell'alternanza dei Salmi e dei successivi «Concerti sacri» (nel primo troviamo ancora Nigra sum) fino alla conclusione offerta dai tre straordinari pezzi finali come l'elaborata Sonata sopra Sancta Maria, il suggestivo inno Ave Maris Stella e il maestoso Magnificat a 7 voci, che anche nella versione alternativa a 6 voci ha sempre una durata attorno ai 18 minuti. Nella discussione che ha preso vita attraverso i secoli sulla destinazione e l'esecuzione di questo capolavoro ci si è divisi tra chi conviene che siano una sorta di paradigma di riferimento per celebrare i Vespri di una particolare solennità e chi propende invece per un concerto sacro, ma non in funzione strettamente liturgica. Gardiner, che era5 ed è convinto che il Vespro solenne mariano costituisse per Monteverdi il biglietto di presentazione per garantirgli, come in effetti accadde, il posto di maestro di cappella in San Marco a Venezia (a Venezia rimase per tutta la sua vita, arrivando anche al sacerdozio nel 1632, essendo in vedovanza) ha ricreato nell'esecuzione citata ogni accorgimento per sfruttare le più svariate risorse acustiche della suggestiva basilica veneziana, mettendo in risalto tutte le possibilità in cui si possono combinare le voci e gli strumenti, gli effetti in eco o quelli di un doppio coro ecc.

In conclusione, un esame, sia pur fugace, delle musiche mariane del periodo aureo della polifonia, non poteva non rivelare una ricchezza considerevole di titoli e di capolavori: avventurandosi nei secoli a noi più vicini la diminuzione quantitativa dei contributi è forse compensata dal moltiplicarsi degli approcci che portano a un omaggio a Maria. Basti pensare alla presenza di preghiere e inni mariani, nei contesti più disparati e fin nel teatro d'opera, nel musical, nella canzone.

NOTE
1 La redazione definitiva di tutti i testi di Ildegarda è in latino e i suoi scritti sono raccolti in PL (Migne) vol. 197.
2 Cfr G. ARLEDLER, Santa Ildegarda di Bingen, Gorle (BG),Velar, 2014, 30-31.
3 F. RAINOLDI, Traditio canendi, Edizioni liturgiche, Roma 2000, 216 s.
4 F. RAINOLDI, Tradizio canendi, cit., 251-305.
5 Ci riferiamo alle ampie note dell'incisione per l'Archiv.
 

Inserito Sabato 23 Gennaio 2016, alle ore 11:25:10 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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