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  Introduzione al Capitolo VIII della «Lumen Gentium» 
MagisteroDa. E. Toniolo, La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa, Marianum, Roma 1998.

Le varie fasi

1. FASE ANTIPREPARATORIA
Il documento mariano del Vaticano II è un fatto unico perché in questa forma organica e sistematica, non ne hanno parlato né i Papi e né gli altri Concili ecumenici ed è anche un fatto provvidenziale perché pone le basi di un’esigenza e di un metodo nel trattato mariologico. Oltre alle università cattoliche, circa 600 vescovi chiesero al papa che della Vergine nel Concilio si trattasse ex professo. Così il “De Beata” con tutte le fasi successive, fino alla promulgazione, rimase oggetto dell’interesse dei Padri Conciliari. Il Capitolo VIII è anche un atto di supremo valore in quanto emanato da un Concilio Ecumenico, cioè del Magistero straordinario della Chiesa e come tale, dottrinalmente impegnativo per tutta la Chiesa. Esso è il punto di riferimento obbligatorio per tutti: pastori, teologi, fedeli.

2. FASE PREPARATORIA
IL PRIMO SCHEMA "DE BEATA"
Fu approvato dalla commissione preparatoria il 20 giugno 1962, inserito nello schema “De Ecclesia” e distribuito ai padri il 23 novembre dello stesso anno, nella prima sessione del Concilio, con preghiera di mandare osservazioni entro il febbraio del 63.
Nei “Prenotanda” dello schema si parla delle fonti soprattutto del Magistero ecclesiale; della necessità di dire una parola sull’insegnamento della chiesa su Maria e fu usata già una forma “ecumenica” con l’esclusione di alcuni termini, causa di controversia, come “Corredentrice”. Il testo lo si ritiene inviato prima ai cattolici ma anche a non cattolici, perché tutti conoscano quale sia la retta dottrina della Chiesa su Maria.
Lo schema fu diviso in 6 punti:
1. Stretto rapporto tra Cristo e Maria
2. Funzione di Maria nell’Economia della Salvezza
3. Titoli con i quali si esprime l’associazione a Cristo
4. I privilegi di Maria
5. Il culto
6. Maria e l’unità cristiana.
La domanda che nel novembre 63 fu posta ai padri fu se il “De Beata” doveva essere una trattazione autonoma o doveva essere inserito nel “De Ecclesia.
1. I contrari indicavano questi motivi:
a) Nessuno dei capitoli del “De Ecclesia” può essere collegato con il “De Beata”:
- non quello sul “Mistero della Chiesa”, perché si equiparerebbe l’opera di Maria con quella della Trinità;
- non quello sul “Popolo di Dio” perché Maria oltre ad essere membro è anche madre di questo popolo;
- non quello sulla “Gerarchia” perché la sua è una funzione di altro tipo;
- non quello sui “Laici” con il quale ha solo qualche piccolo appiglio;
- non quello sulla “vocazione alla santità” perché Maria è unita, è vero, a tutti, ma tutti supera in santità.
b) L’insegnamento su Maria è collegato non soltanto con l’Ecclesiologia ma anche con la Cristologia e quindi un collegamento con de Ecclesia mortificherebbe l’altro aspetto.
2. I favorevoli, per bocca del cardinale Koenig di Vienna, affermavano invece che essendo la Chiesa il tema centrale del Concilio, conviene che in questo discorso Maria non sia assente. Delineando il rapporto della chiesa terrestre con quella celeste, può essere inserito, quale ultimo capitolo, il discorso su Maria che sia in questa come in quella ha un posto privilegiato. Il Padri votarono a favore di questa seconda soluzione, ma questo comportò un totale cambiamento dello schema “De Beata” e la sua introduzione nel “De Ecclesia” come suo coronamento.
UN RIFERIMENTO DA NON TRALASCIARE
La trattazione organica della mariologia non esime e non ha esimito i padri dal parlarne nei singoli trattati di teologia. In molti altri documenti il Concilio ha parlato brevemente di Maria, come ad es. trattando della Liturgia, dell’Apostolato dei laici, della formazione sacerdotale e religiosa.

3.PERIODO CONCILIARE
Il lavoro preparatorio del nuovo schema fu molto difficile. Ancora al 4 dicembre 1963, la seconda sessione si concludeva senza che il nuovo schema “De Beata Virgine Matre ecclesiae” potesse essere approvato. Lo stesso Paolo VI, il 4 dicembre 1963, parlava di “sforzo perché la questione relativa allo schema della B. Vergine avesse la migliore sistemazione conveniente al Concilio”.
Nel mese di luglio 64 ai Padri fu inviato il nuovo schema che, rielaborato secondo i suggerimenti, fu nuovamente presentato in aula il 16 settembre 64 con titolo “De beata Maria Virgine Deipara in mysterio Christi et Ecclesiae”. La discussione del capitolo VIII della Costituzione dogmatica “De Ecclesia” occupò buona parte della 81° congregazione generale, il 16 settembre 64, con 14 interventi; la 82° del 17, con 16 interventi; la 83° del 18, con altri 3 interventi.
Il testo del Capitolo VIII venne proposto alla votazione il 29 ottobre 1964 con i seguenti risultati:
- votanti: 2091
- favorevoli 1.559
- sfavorevoli 10
- favorevoli “iuxta modum” 521
- voti nulli 1

Schema generale

PERCHE' IL CAP. VIII?
A parte la questione di quale titolo darvi, il pensiero comune dei padri conciliari, fu quello di collocarlo al termine dell’esposizione dottrinale sulla Chiesa, come suo coronamento. Il capitolo è perciò l’ultimo dei capitoli, non perché avesse meno importanza, ma perché l’esperienza mariologia supera quella ecclesiologica, la compendia e la completa in quanto dipendente e intimamente congiunta con la cristologia. La vertenza dei padri cosiddetta “cristotipica” o “ecclesiotipica” che divise in due il Concilio, non verteva affatto sulla dignità della Madre di Dio, la sua funzione, il suo posto singolare nella Storia della Salvezza: tutti volevano darle il primo posto. Questa collocazione è perciò il coronamento dottrinale del discorso sulla Chiesa.

PERCHE' UN PROEMIO?

Fu il punto di raccordo di due testi autonomi, quello sulla Chiesa e quello sulla Vergine. Esso concilia anche le due posizioni: quella “cristotipica” che amava considerare la Vergine nei suoi privilegi e quella “ecclesiotipica” che la vedeva accanto alla Chiesa e a ciascuno di noi.Il proemio offre anche una chiave di lettura di tutto il testo.

PREGI E LIMITI DELL'ARTICOLAZIONE DEL CAP. VIII

- Lo schema generale è logico nell’impostazione della prima e della seconda parte:
o Maria nel mistero di Cristo
o Maria nel mistero della Chiesa
coronati poi dai due numeri sul culto dovuto e reso dalla Chiesa a Maria.
- Non così logicamente coordinate sono invece le prospettive escatologica ed ecumenica:
o L’aspetto escatologico si sarebbe meglio accordato con l’esposizione dottrinale su Maria e la Chiesa, prima del culto;
o L’aspetto ecumenico se è parte integrante dell’ecclesialità, come lo stesso Concilio più volte affermò ed è quindi elemento costitutivo e informante della dottrina ecclesiale, ha qui poco rilievo perché aggiunto come codicillo ed esortazione finale.
- L’importanza del documento, tuttavia, è straordinaria, perché mai un Concilio ecumenico aveva così ampiamente e volutamente trattato della Madre del Signore. Nessuna Chiesa può vantarsi di possedere una così organica e autorevole trattazione mariologia dal valore dogmatico immenso per la fede, la liturgia e la prassi cristiana.


Rilievi generali

Nuova metodologia
Il Capitolo VIII è una miniera di metodologia alla quale bisogna fare riferimento come a punto obbligato per nuovi approfondimenti o nuove piste di ricerca, una metodologia che richiede, come lo fu per i padri, lo sforzo di sintesi e la capacità di comprensione. Su questo punto di vista metodologico il Concilio consigliò un metodo che tenga conto delle fonti e il costante riferimento alla S. Scrittura, ai Padri, ai Dottori, alla Liturgia della Chiesa, con il sottofondo essenziale della impossibilità di paragonare la Beata Vergine a Cristo.

Due criteri guida
Sono:
- L’attenzione pastorale che comporta una finalità contenutistica e insieme ermeneutica e quindi l’esigenza di presentare la dottrina con un linguaggio accessibile all’uomo contemporaneo. Tramonta così il trattato per il trattato o il trattato per i banchi di scuola: la trattazione mariologia deve essere essenzialmente pastorale.
- L’attenzione ecumenica che richiede sia l’attenzione nell’evitare tutto quello che può indurre i fratelli separati in errore, sia la formulazione della dottrina in termini esatti, spiegando quello che può creare difficoltà di comprensione, come la mediazione di Maria inserita nell’unica ed essenziale mediazione di Cristo o il culto alla Vergine che si distingue essenzialmente da quello tributato a Cristo e alla Trinità, ecc.

Intenzioni del Concilio
Il Concilio non volle proporre nuovi dogmi mariani, ma non ebbe nemmeno l’intenzione di presentare una dottrina esauriente su Maria, né volle dirimere le questioni dei teologi ancora non pienamente illustrate. Il Cap. VIII non è quindi esaustivo di tutta la dottrina mariana, ma si limita a sottolineare aspetti che la rapportano al mistero del Verbo Incarnato al suo Corpo mistico e al culto.
Fino a che punto, allora, il testo conciliare è fondante per un trattato di mariologia?
a) è fonte sicura per quanto riguarda l’esposizione dei principali dogmi mariani nel contesto di Cristo e della Chiesa;
b) è fondante per distinguere quello che è ipotesi e quindi ancora campo di ricerca da quello che la Chiesa invece crede e professa
Le fonti
Mentre il primo “De Beata” sottolineava in primo luogo il Magistero della Chiesa, il Cap. VIII, parla di improrogabile ritorno alla Bibbia, ai Santi Padri, alla Liturgia della Chiesa, pur restando il Magistero dei papi come un fondamentale supporto. L’accettazione di questi documenti papali non va fatto in forma indiscriminata ma con attenzione al valore dottrinale dei testi e ai loro rapporti con le fonti della rivelazione.

Una planimetria dogmatica: la “Historia salutis”
Lo schema del Cap. VIII trova il suo posto specifico e la sua metodologia all’interno della Storia della Salvezza: non su teoremi, ma nella sua concreta attuazione. Una Storia che parte dal beneplacito divino, si snoda attraverso le tappe storiche della Creazione, della caduta, del piano misericordioso di redenzione preparato nell’Antico Testamento; che si completa storicamente nel Cristo incarnato, morto e risorto; che continua, per sua volontà, nella Chiesa; che troverà il suo completamento nel regno celeste. La trattazione ha dunque una sua impostazione e un movimento storico – salvifico non astratto ma concreto.
Una coordinata mariologica
Se per i bizantini l’elemento centrale della mariologia è la “Theotokos”, per i padri conciliari è l’intima e indissolubile unione della Vergine Madre con Figlio Redentore in tutta l’opera della Salvezza, unione che non parte da Lei, ma è espressamente voluta dal Padre e resa possibile dalla grazia e dal di lei libero consenso. Questa libera e volontaria cooperazione è la trama sottesa che percorre i unifica il dettato mariano conciliare.

Criterio biblico, antropologico e patristico
a) Il criterio biblico: soggiace alla figura di Maria sia come cooperatrice di salvezza, sia come tipo e modello della Chiesa. Il Concilio però non propone né una sequenza biblica completa, né una profonda esegesi dei testi: non accenna né al Magnificat, né a Apocalisse 12, né accetta l’interpretazione tipologica di Gv 19,27. Il Concilio fa un’esegesi non per l’esegesi, ma in funzione della verità creduta e professata.
b) L’orientamento antropologico: L’attenzione è rivolta a tutta la persona di Maria in relazione all’evento di cui fu portatrice. Senza legame con precisi schemi antropologici, il Concilio volle mostrare che la partecipazione di Maria la mistero salvifico, non fu solo una funzione biologica, ma impegnò profondamente la sua psiche, la sua coscienza e il suo assenso. Viene fatta dunque una lettura interiore di Maria con l’esplicitazione delle sue disposizioni interiori fatte di fede, amore, consapevolezza al sacrificio.
c) Il criterio patristico: Il Concilio ha voluto intenzionalmente far ricorso all’antica tradizione dei Padri, come ad una fonte e guida sicura, dopo quella biblica: essa conferma i dogmi che non sono testimoniati dalla Bibbia, avvalora l’esegesi conciliare, recupera e ripropone temi antichi come Maria “Madre dei viventi”, “Tipo e figura della Chiesa”. Con il suo agire il Concilio attribuì autorità anche a singoli Padri come Ireneo ed Agostino.

Tre momenti chiave della cooperazione di Maria
Nel primo schema vennero sottolineati tre momenti della mediazione di Maria: l’incarnazione – il mistero pasquale – l’intercessione celeste, marcandoli fortemente in un’ottica cristocentrica. Lo schema definitivo, mantenendoli sempre nell’ordine in cui erano stati proposti, li ha arricchiti di nuovi termini e allargato gli orizzonti. La mediazione non è un privilegio mariano intimamente congiunto con Cristo, ma è vista alla luce della sua unione con la Chiesa. La sezione, appunto, che parla del rapporto di Maria con la Chiesa, si apre con il discorso sulla mediazione nella duplice prospettiva: acquisizione della grazia e partecipazione alla sua efficacia. Gli orizzonti si ampliano, dove si afferma che la cooperazione di Maria si estende a tutta la sua vita e non solo al Calvario, una compartecipazione fatta di fede e di carità. Senza entrare in merito al modo con cui la mediazione celeste è esercitata, il Concilio afferma che Maria si occupa dei fratelli del figlio suo ancora pellegrinanti sulla terra e posti in mezzo a pericoli ed affanni. La mediazione di Maria, che dipende totalmente da Cristo, deve essere collocata nel cuore della Chiesa che è il sacramento universale di salvezza.
Rapporto con la Trinità
L’ottica trinitaria è presente in tutti e due gli schemi: la Vergine si presenta perciò nella sua impareggiabile dignità di Theotokos come Figlia prediletta del Padre, vera Madre del Figlio di Dio, santuario dello Spirito Santo.

La dogmatica mariana
Il primo schema proponeva in un capitolo tutti i privilegi mariani. Lo schema definitivo cambia questa impostazione. Essi vengono incorporati e letti nel corso della vita terrena di Maria, nella funzione applicata dalla Vergine nella salvezza umana, nel suo ruolo all’interno della Chiesa celeste e pellegrinante in dipendenza di Cristo, sempre in rapporto con la comunità dei salvati. Trattare i dogmi separatamente, non è perciò secondo la mente del Concilio: leggerli solo come sono stati formulati dalla Tradizione o dal Magistero, senza rileggerli nel più ampio contesto della Storia della Salvezza operata da Cristo e continuata dalla Chiesa è egualmente un tornare a prima del Concilio.
La spiritualità mariana
Parlando dell’esemplarità di Maria il Concili congloba tre accentuazioni della spiritualità: quella cattolica, quella orientale e quella protestante. Il principio di essa scaturisce dalla Chiesa una e santa, in quanto essa si sente realizzata in Maria e quindi tende a diventare come lei. Maria diventa così un riferimento promozionale all’interno della Comunità dei fedeli perché debellino il peccato e crescano nella virtù (cattolicesimo), contemplino lo Sposo e si uniscano a Lui (ortodossia), camminino sempre più pienamente nella fede, nella carità e nell’obbedienza (protestantesimo).
La normativa per il culto
Il Concilio sottolinea come il culto della Vergine abbia come sua componente primaria l’imitazione di lei, punto di confluenza della venerazione, dell’amore filiale e dell’invocazione. Il Concilio raccomanda il culto soprattutto liturgico, anche se non tralascia di raccomandare tutti gli esercizi di pietà che da secoli sono patrimonio della vita della Chiesa.
Significatività escatologica ed ecumenica
La presenza di Maria nella Storia terrena del Cristo, trova armoniosa continuità nella sua presenza celeste che viene così esplicata:
- la sua presenza nella comunità primitiva, è oggi presenza nella comunità dei santi;
- ieri orante, oggi intercede;
- per l’effusione dello Spirito sulla comunità dei credenti, oggi perché tutti concorrano a formare l’unico popolo di Dio.

E’ una visione globale immensa che, oltre alla Chiesa e alle Chiese, si estende alla storia e all’intera famiglia umana.




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Inserito Mercoledi 16 Settembre 2009, alle ore 15:52:04 da latheotokos
 
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