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  L’impronta biblica del Rosario  
Preghiere

Un intervento di Maria Marcellina Pedico in Sabati Mariani, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 28 marzo 2009.



Senza dubbio tutta la preghiera cristiana ha un centro rappresentato dalla Liturgia, culmine di tutta l’azione della Chiesa, fonte di tutta la sua forza (cf SC 10). Perciò il cristiano è consapevole che la preghiera della Chiesa, costituita dalla Liturgia eucaristica e dalla Liturgia delle Ore, forma la sua vita di credente e gli fornisce il cibo quotidiano della Parola e dell’Eucaristia, e questo, come ricordava Giovanni Paolo II, richiede che «l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nelle Sante Scritture la Parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza».1 Rispettato il primato della Liturgia, il cristiano - proprio perché la preghiera liturgica sia prolungata fino a diventare preghiera incessante e si sviluppi e raffini l’arte del colloquio con Dio - può ricorrere ad altre forme di preghiera, poiché, sottolinea la Sacrosanctum concilium, «la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia» (SC 12). Nella tradizione cristiana, di fatto, sono state molte e diverse le forme della preghiera con cui i credenti hanno rinnovato e confermato la loro comunione con il Signore. Tra le azioni cultuali non liturgiche eccelle, all’interno della tradizione occidentale del II millennio, il Rosario.

1. «Compendio del Vangelo»

Cos’è il Rosario? Nonostante qualche pregiudizio, che tende a relativizzare e perfino a deprezzarlo, il Rosario è una realtà originale sul piano della devozione, una forma di preghiera non liturgica, unica nella spiritualità occidentale. Il card. Newman lo chiama «credo fatto preghiera», mettendo l’accento sulla fede nei misteri che professiamo nel Credo. Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae n. 18, lo definisce con le stesse parole di Pio XII, ribadite poi da Paolo VI: «Il Rosario "compendio del Vangelo"». Ci soffermiamo su questa definizione. Già all’inizio della Lettera il Papa scrive: «Nella sobrietà dei suoi elementi il Rosario concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio» (RVM 1). Giovanni Paolo II con il dono della Rosarium Virginis Mariae ha inteso condurre il credente a scoprirlo come prezioso e salutare esercizio di comunione con i misteri di Cristo mediante il cuore di Maria; come espressione di un intenso amore che si appaga solo nella ripetizione; come autocomprensione antropologica del cristiano. Oggi studiosi e commentatori del Rosario amano soffermarsi sul legame Rosario/parola di Dio, evidenziandone la peculiare caratteristica di preghiera biblica ed essenzialmente evangelica. Su questa linea si è pronunciato Benedetto XVI a Pompei il 19 ottobre 2008, mentre si svolgeva a Roma il XII Sinodo dei vescovi su «La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Dice il Papa: «A ben vedere, il Rosario è tutto intessuto di elementi tratti dalla Scrittura. C’è innanzitutto l’enunciazione del mistero, fatta preferibilmente con parole tratte dalla Bibbia. Segue il Padre Nostro: nell’imprimere alla preghiera l’orientamento "verticale", apre l’animo di chi recita il Rosario al giusto atteggiamento filiale, secondo l’invito del Signore: "Quando pregate, dite: Padre…" (Lc 11,2). La prima parte dell’Ave Maria - tratta anch’essa dal Vangelo - ci fa ogni volta riascoltare le parole con cui Dio si è rivolto alla Vergine mediante l’Angelo, e quelle di benedizione della cugina Elisabetta». Troviamo lo stesso orientamento biblico in una delle Proposizioni sinodali, al n. 21, dove si legge: «Il Sinodo raccomanda la formazione di piccole comunità ecclesiali dove venga ascoltata, studiata e pregata la parola di Dio, anche nella forma del Rosario come meditazione biblica».Il motivo per cui il Rosario è preghiera essenzialmente evangelica non riguarda però solo quanto appena evidenziato. Dipende piuttosto dal fatto che quasi tutti i "misteri" derivano direttamente da pagine evangeliche. Soltanto due misteri, il 4° e il 5° gloriosi, l’Assunzione e l’Incoronazione di Maria, non sono documentati dalla Scrittura, ma da essa traggono l’ispirazione. «Certo, [i misteri] non sostituiscono il Vangelo, e neppure richiamano tutte le sue pagine. Ma se quelli considerati nel Rosario si limitano alle linee fondamentali della vita di Cristo, da essi l’animo può facilmente spaziare sul resto del Vangelo» (RVM 29). Se il Rosario non esaurisce il Vangelo, ne richiama però il cuore, il nucleo essenziale, introducendo l’animo «al gusto di una conoscenza di Cristo che continuamente attinge alla fonte pura del testo evangelico» (RVM 24). Un accenno ai quindici misteri tradizionali - che hanno costituito la fisionomia inconfondibile del Rosario fino alla promulgazione della Lettera Rosarium Virginis Mariae - conferma questo orientamento evangelico. I «misteri della gioia» hanno origine dai primi due capitoli del Vangelo di Luca, i racconti dell’infanzia. I «misteri del dolore» si basano sugli episodi della passione raccontati dai quattro Vangeli. I «misteri della gloria» riflettono la conclusione dei Vangeli e il loro prolungarsi nella nuova era dello Spirito e della Chiesa. Tuttavia, se il Rosario ha un’indole profondamente evangelica, osserva acutamente Giovanni Paolo II, i quindici misteri tradizionali propongono alla meditazione contemplativa dei fedeli solo alcuni eventi della vita di Cristo. I misteri della gioia giungono fino all’episodio di Gesù dodicenne nel tempio; quelli del dolore iniziano con il Getsemani. Tra il Battesimo e la Passione non c’è traccia di Gesù che esercita il suo ministero negli anni della vita pubblica. Il fatto è che non si può comprendere veramente la morte di Gesù se non nel contesto della sua vita. Gesù è stato messo a morte proprio per la testimonianza data, con tutto ciò che era e con tutto ciò che ha compiuto durante il suo ministero. «Chi dite voi che io sia?» (Mc 8,29), è la sfida posta dal Gesù di Marco. La risposta non sta solo nella sua morte, ma anche in ciò che l’ha portato alla morte. L’aggiunta - o meglio l’inserimento - da parte di Giovanni Paolo II dei "misteri della luce" consente di abbracciare anche i misteri della vita pubblica di Gesù, nei quali egli si presenta come «luce del mondo» (Gv 9,5). Questa integrazione rende il Rosario una preghiera più equilibrata. Nei misteri della luce - battesimo, Cana, annuncio del Regno, trasfigurazione, ultima cena - Gesù è centrale. Mentre la presentazione fatta dai Vangeli riflette l’incontro con lui Risorto, egli tuttavia è fermamente il Gesù di Nazaret, colui che «è nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4), «uno in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,17). Questa verità che si vuol qui sottolineare è di vitale importanza per una cristologia equilibrata: i misteri della luce rivelano la Luce-Cristo che è luce del mondo, e cioè vita del mondo. Rivelano il Verbo incarnato. Il Rosario in definitiva è una meditazione sul Figlio di Maria, su colui che rivela il volto del Padre e la sua presenza nella storia. Di conseguenza, dopo aver ricordato l’incarnazione e la vita nascosta di Cristo (misteri della gioia), e prima di soffermarsi sulle sofferenze della passione (misteri del dolore), e sul trionfo della risurrezione (misteri della gloria), Giovanni Paolo II invita a meditare anche su alcuni momenti particolarmente significativi della vita pubblica di Gesù (misteri della luce) (cf RVM 19). L’inserimento dei misteri luminosi da una parte conferma il Rosario come «compendio del Vangelo», dall’altra lo arricchisce di contenuto spirituale, quale «vera introduzione alla profondità del Cuore di Cristo, abisso di gioia e di luce, di dolore e di gloria» (RVM 19). Tale integrazione dona al Rosario quella completezza «biografica», che lo rende in modo straordinario adatto non solo a contemplare, ma anche a raccontare la storia di Gesù. Esso completa con la parola pregata quanto il popolo di Dio ha appreso lungo i secoli mediante la parola dipinta e cioè mediante l’immagine. La vita di Gesù infatti è stata la più alta fonte di ispirazione per gli artisti di tutti i secoli e di tutte le culture.

2. Enunciazione biblica dei misteri

Giovanni Paolo II nella Rosarium Virginis Mariae suggerisce una serie di atti che conferiscono dignità e importanza al Rosario. Innanzitutto l’enunciazione biblica del mistero. Essa può essere accompagnata dalla contemplazione di un’icona che lo raffiguri, per concentrare subito l’attenzione su ciò che si sta per meditare. Il Papa non disdegna di ricorrere ad «elementi sensibili», per un motivo teologico in sintonia con il Verbo incarnato e con la nostra condizione umana: «È una metodologia che corrisponde alla logica stessa dell’Incarnazione: Dio ha voluto prendere, in Gesù, lineamenti umani. È attraverso la sua realtà corporea noi veniamo condotti a prendere contatto con il suo mistero divino» (RVM 29). Ancor più importante è il suggerimento di far seguire all’enunciazione del mistero «un passo biblico corrispondente». Esso può essere «più o meno ampio», in modo che si riconosca la priorità e il primato della parola di Dio, che è viva ed efficace (cf Eb 4,12) e di cui il Rosario costituisce la meditazione attualizzata. Afferma Giovanni Paolo II: «Le altre parole, infatti, non raggiungono mai l’efficacia propria della parola ispirata. Questa va ascoltata con la certezza che è parola di Dio, pronunciata per l’oggi e "per me". Accolta così, essa entra nella metodologia di ripetizione del Rosario senza suscitare la noia che sarebbe causata dal semplice richiamo di un’informazione ormai ben acquisita. Si tratta cioè di lasciar "parlare" Dio» (RVM 30). Con ragione Giandomenico Mucci ha scritto di recente sul quindicinale dei gesuiti: «La Scrittura, comunicandoci il Signore, ci dà la possibilità di ascoltarlo, di stabilire un colloquio con lui che si rivela, di dargli la risposta che egli stesso suggerisce. La preghiera, infatti, si sviluppa in rispondenza della penetrazione della Scrittura sotto la misteriosa azione dello Spirito che l’ha dettata e dirige ogni discepolo di Cristo a perfezionarsi nell’amore».3 Questa impostazione biblica arricchisce certamente il Rosario, soprattutto quando un commento adeguato esplicita i contenuti dei singoli misteri e li applica alla situazione dei singoli e delle comunità. Ma più che aggiungere parole umane alla parola di Dio, è fondamentale interiorizzarla. Perciò è conveniente subito dopo la sua proclamazione che si osservi qualche momento di "silenzio" per meglio fissare lo sguardo sul mistero: «L’ascolto e la meditazione si nutrono di silenzio». La riscoperta del valore del silenzio è uno dei segreti per praticare la contemplazione e la meditazione. Tra i limiti della nostra società fortemente specializzata in opere tecnologiche e mass-mediali, c’è anche il fatto che il silenzio diventa sempre più difficile. Come nella Liturgia sono raccomandati momenti di silenzio, anche nella recita del Rosario una breve pausa è opportuna dopo l’ascolto della parola di Dio, mentre l’animo si fissa sul contenuto di un determinato mistero (cf RVM 31). Anche qui il Papa da una parte rivolge l’attenzione alla parola di Dio da meditare e personalizzare interiormente e dall’altra alla società del nostro tempo dove si accavallano tanti messaggi lasciando poco spazio al silenzio. Pertanto, è quanto mai opportuno ritrovare istanti di silenzio, riempiti di Parola salvifica.

3. Le preghiere evangeliche del Rosario

Come abbiamo accennato, sia le preghiere sia la formulazione dei misteri del Rosario vengono desunte dal Vangelo.
- Il Padre Nostro per il suo immenso valore sta alla base della preghiera cristiana e ci viene direttamente da Gesù stesso. La sua recita all’inizio di ogni mistero, pone l’orante in atteggiamento filiale dinanzi al Padre sempre presente nei misteri di Cristo. «… il Padre che è nei cieli - si legge nella Dei Verbum - viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro» (DV 21). «Dopo l’ascolto della Parola e la focalizzazione del mistero è naturale che l’animo si innalzi verso il Padre. Gesù, in ciascuno dei suoi misteri, ci porta sempre al Padre, a cui egli continuamente si rivolge, perché nel suo "seno" riposa (cf Gv 1,18)» (RVM 32). Cristo vuole introdurci nell’intimità del Padre, per ripetere con lui «Abbà, Padre» (Rm 8,15; Gal 4,6). Dice san Cipriano: «Colui che ci ha donato la vita della grazia come Salvatore, ci ha insegnato a pregare come Maestro». E Gesù nel Padre Nostro ci rivela il cuore stesso del Padre facendoci conoscere le richieste e i sentimenti che egli desidera dai suoi figli. «È in rapporto al Padre che egli ci fa fratelli suoi e fratelli tra di noi, comunicandoci lo Spirito che è suo e del Padre insieme» (RVM 32). Inoltre va notato che il Rosario come espressione di pietà popolare non segue l’uso liturgico, ma procede secondo la propria indole. Mentre nella celebrazione liturgica delle lodi mattutine e dei vespri alla sera il Padre Nostro è posto al termine delle invocazioni dei fedeli, al culmine della loro celebrazione, qui la medesima preghiera è situata a base della meditazione dei misteri della salvezza, per sottolineare che il Padre è all’origine del piano salvifico che si dipana lungo il Rosario. «Il Padre Nostro, messo quasi come fondamento alla meditazione cristologico-mariana che si sviluppa attraverso la ripetizione dell’Ave Maria, rende la meditazione del mistero, anche quando è compiuta in solitudine, un’esperienza ecclesiale» (RVM 32).
- La recita dell’Ave Maria, ripetuta 10 volte, fa diventare il Rosario una «preghiera mariana per eccellenza». «Desunta dalle parole rivolte a Maria dall’angelo Gabriele e da Elisabetta», l’Ave Maria ha un carattere squisitamente biblico e quindi necessariamente orientata a Cristo: è contemplazione del mistero che si compie in lui. Il ripetersi nel Rosario delle Ave Maria diviene giubilo, stupore, riconoscimento del più grande miracolo della storia e compimento della profezia di Maria: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). Saggiamente compresa e valutata, si avverte nell’Ave Maria che «il carattere mariano non solo non si oppone a quello cristologico, ma anzi lo sottolinea e lo esalta» (RVM 33). Inoltre, applicando un procedimento utilizzato nel libro di Giuditta, secondo cui quello che viene dopo conta più di ciò che viene prima, la benedizione di Maria prepara la benedizione di Gesù, che costituisce il motivo ultimo per cui la Madre è benedetta. Lo mostra bene il parallelismo tra l’acclamazione di Ozia rivolta a Giuditta e quella di Elisabetta indirizzata a Maria: «Benedetta sei tu, […] più di tutte le donne che vivono sulla terra e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra» (Gdt 13,18); «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1,42). Giovanni Paolo II può allora concludere che l’Ave Maria è preghiera mariana, ma soprattutto cristologica perché il suo «baricentro» è il nome di Gesù. Sottolinea Giovanni Paolo II: «Talvolta, nella recitazione frettolosa, questo baricentro sfugge, e con esso anche l’aggancio al mistero di Cristo che si sta contemplando. Ma è proprio dall’accento che si dà al nome di Gesù e al suo mistero che si contraddistingue una significativa e fruttuosa recita del Rosario […]. Esso esprime con forza la fede cristologica, applicata ai diversi momenti della vita del Redentore. È professione di fede e, al tempo stesso, aiuto a tener desta la meditazione, consentendo di vivere la funzione assimilante, insita nella ripetizione dell’Ave Maria, rispetto al mistero di Cristo» (RVM 33). Ripetere il nome di Gesù costituisce un cammino di assimilazione, che mira a farci entrare sempre più profondamente nella vita di Cristo. Proprio per sottolineare maggiormente questo carattere cristologico Giovanni Paolo II afferma che è «un uso lodevole, specie nella recita pubblica» aggiungere al nome di Gesù «una clausola evocatrice del mistero che si sta meditando». Questa clausola ha il compito di fissare la mente sul mistero, impedendo all’orante di vagare nella distrazione.
- Il Gloria al Padre, che conclude ogni decina di Ave Maria, è ritenuto il vertice della meditazione. Esso sviluppa la formula trinitaria pronunciata da Gesù quando invia i discepoli nel mondo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Dice Giovanni Paolo II: «La dossologia trinitaria è il traguardo della contemplazione cristiana. Cristo infatti è la via che ci conduce al Padre nello Spirito. Se percorriamo fino in fondo questa via, ci ritroviamo continuamente di fronte al mistero delle tre Persone divine da lodare, adorare, ringraziare. È importante che il Gloria, culmine della contemplazione, sia messo bene in evidenza nel Rosario. Nella recita pubblica potrebbe essere cantato […]. Di Ave in Ave la glorificazione trinitaria ad ogni decina, lungi dal ridursi ad una rapida conclusione, acquista il suo giusto tono contemplativo, fino a farci rivivere in qualche modo l’esperienza del Tabor, anticipazione della contemplazione futura: "È bello per noi star qui" (Lc 9,33)» (RVM 34).

4. I Misteri della luce

Il carattere biblico
La Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae di Giovanni Paolo II propone di integrare la meditazione dei misteri di Cristo, con quelli riguardanti la sua vita pubblica. Essi si possono chiamare a titolo speciale «misteri della luce» in quanto momenti della rivelazione luminosa del Regno, ormai giunto nella persona stessa di Gesù. Il Papa ne individua cinque:
1. Il Battesimo al Giordano;
2. Il segno di Cana di Galilea;
3. L’annuncio del Regno di Dio;
4. La Trasfigurazione;
5. L’istituzione dell’Eucaristia.
In questa nuova serie il carattere biblico-teologico del Rosario è stato arricchito in maniera originale. Non è senza importanza considerare dapprima il termine «mistero». Nell’uso comune «mistero» vuol dire nascosto, da investigare, non distinguibile immediatamente. Nella catechesi del passato, «mistero» definiva «una verità rivelata che noi non possiamo comprendere». Nell’uso biblico – ed è ciò che ci guida qui – mysterion non è qualcosa di misterioso. Un «mistero» è un’intenzione di Dio o un suo progetto, nascosto - è vero - in passato, ma ora rivelato (cf Rm 11,25-26). La lettera di Paolo ai Colossesi parla di un «mistero» tenuto a lungo nascosto da Dio, ma ora «manifestato ai suoi santi» (Col 1,26). Ne deriva che «mistero» è identificato con la persona di Cristo. In breve: è rivelatore. I misteri del Rosario rivelano Cristo, guidano a comprenderlo più profondamente. È quello a cui vogliamo accennare, evidenziando il carattere biblico dei «misteri della luce».4

Il Battesimo al Giordano
L’episodio del Battesimo al Giordano ha grande importanza per i tre sinottici, ma assume rilievo maggiore nel vangelo di Marco (Mc 1,9-11), in quanto è con esso che l’evangelista inizia la presentazione di Gesù. Marco non propone una genealogia o episodi dell’infanzia, perciò il primo incontro con Gesù coincide con il momento in cui egli va al Giordano per farsi battezzare da Giovanni. Molti accorrono ad ascoltare il Battista che parla di una visita imminente di Dio al suo popolo e compiono il gesto penitenziale del battesimo, confessando i propri peccati. Tra questa folla, penitente e desiderosa di poter accogliere Dio nella propria vita, sorprendiamo un personaggio sconosciuto, Gesù di Nazaret. Inizia la sua "carriera" con i peccatori: finirà la sua avventura crocifisso tra due malfattori. «In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni» (Mc 1,9). Mettendosi tra la folla che va al Giordano per farsi battezzare, Gesù stesso anela alla visita di Dio, invoca il perdono su Israele, entra nell’acqua compiendo il rito simbolico. Il lettore del Vangelo rimane sconcertato da tutto ciò. La risposta gli giunge quando Gesù esce dall’acqua: si squarciano i cieli, scende lo Spirito e una voce celeste dichiara tutto il suo amore per lui: «Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,11). Ognuno di noi ha bisogno, per vivere, d’un amore che lo faccia sentire figlio, ha necessità di un riconoscimento che lo dichiari "unico" tra tanti. Qui, al Giordano, si ode una voce che viene dal cuore stesso di Dio. È manifestazione e conferma di una speciale relazione già esistente tra Gesù e il Padre. Non si limita a dire che Gesù è il Figlio amato, ma che è Figlio proprio in questo modo, cioè nella solidarietà con i suoi fratelli peccatori. La frase evangelica diviene la sintesi di tre passi biblici. Essa richiama anzitutto il Salmo 2, nel quale Dio proclama la potenza del suo Messia cui viene affidato il governo delle nazioni e la cui signoria si afferma però in mezzo a gravi opposizioni. Il tema dell’umiliazione e della morte è ancor più palese nell’altro rimando biblico, ossia nell’episodio del sacrificio di Isacco, durissima prova che, secondo il giudaismo non riguarda soltanto Abramo, ma coinvolge lo stesso figlio Isacco. Anche Isacco come Gesù è figlio «unico e prediletto» (Gen 22,2) e non gli viene risparmiata l’angoscia della morte violenta (cf Eb 5,7). La terza citazione si riferisce infine alla figura descritta da Isaia del Servo del Signore, un personaggio ricolmo dello Spirito e che muore nel servizio del piano di Dio per la salvezza d’Israele e dell’intera umanità. L’incontro battesimale con l’ineffabile paternità di Dio verso Gesù è così l’evento d’un amore, che non si esaurisce nell’intimità tra lui e il Padre, ma chiede di potersi comunicare ad ogni uomo. «Vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba» (Mc 1,10). I cieli squarciati preludono al velo del Tempio che si squarcerà nella morte redentrice di Gesù, rivelando un Dio che non ha più segreti perché la sua ultima parola è il Crocifisso (Mc 15,38). Lo Spirito che scende come colomba ricorda la fine del diluvio e l’inizio del nuovo mondo; così da questo Gesù, battezzato al Giordano, prende inizio la nuova creazione di Dio, quella che non muore.

Il segno di Cana di Galilea
«Gesù diede inizio ai suoi segni in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui»: così si conclude il racconto giovanneo del primo miracolo di Gesù (Gv 2,1-12), che per l’evangelista è appunto il "segno" della rivelazione divina data in lui. La festa di nozze che sta naufragando per la mancanza di vino, rappresenta anzitutto la speranza d’Israele che attende la liberazione, ma è minacciata dalle smentite della storia, ed in secondo luogo è figura della stessa vita umana, la quale si annuncia come una festa promettente, ma in cui ben presto la gioia lascia il passo alla durezza sconfortante della realtà. Il fatto che Gesù cominci proprio con questo singolare miracolo, che viene a chiudere la settimana inaugurale della sua missione (cf Gv 1,19-2,1), significa che la rivelazione, di cui egli è il portatore, è una nuova creazione e arreca all’umanità una gioia indefettibile e piena. Cana è dunque la presenza di Gesù quale epifania di un Dio nuovo e diverso da quello delle nostre attese. Il Dio che Gesù rivela non ha bisogno dei sacrifici, ma vive in mezzo all’umanità per condividerne gioie e preoccupazioni. È il Dio della festa, colui che vuole rendere l’umanità partecipe della sua gioia: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5). Cana è anche la presenza di Maria, cioè di una fede che attende dalla fedeltà di Dio il compimento delle promesse e diventa supplica fiduciosa, che lascia a lui il modo ed i tempi della risposta: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Maria è la Madre del popolo che ha questa fede, e a tale fede accedono per primi i discepoli di Gesù (Gv 2,11). La Madre di Gesù è la personificazione concreta del popolo di Dio, che coltiva la speranza nella promessa e attende fedelmente il compimento dell’Alleanza: esercita il suo interessamento materno, la sua intercessione per questi sposi. La tradizionale figura di Maria, come colei che intercede continuamente per il popolo di Dio, biblicamente si radica qui. Cana è soprattutto l’annunzio dell’«Ora» di Gesù. Tutta la missione di Gesù è un andare verso l’Ora decisiva, quella della croce. Lì a colui che ha portato all’umanità il vino nuovo verrà offerto aceto, ma lì sarà presente ancora una volta la Madre di Gesù, che diventa la Madre del popolo generato dalla croce del Figlio. E se egli le si rivolge con il titolo di "donna" è precisamente per additare in lei la nuova Eva, la donna della nuova creazione. Maria comprende la risposta di Gesù e nella certezza dello splendore di tanto amore, che si mostrerà in quell’Ora, esorta i servi ad obbedire al suo comando. È questa la sua prima ed ultima parola nel Vangelo di Giovanni ed è perciò il suo testamento spirituale comunicato ai discepoli del Figlio: «Qualunque cosa vi dirà, voi fatela» (Gv 2,5).

L’annuncio del Regno di Dio
Il terzo mistero della luce invita a meditare sul primo momento della missione di Gesù, che si condensa nell’annunzio del Regno di Dio. Così lo riassume il Vangelo di Marco in un sommario, che introduce l’attività di Gesù in Galilea: «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il Vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo"» (Mc 1,14-15). È evidente in primo luogo la connessione tra l’inizio della missione di Gesù e l’arresto del Battista. Il testo evangelico recita letteralmente: «dopo che Giovanni venne consegnato…». È un noto modo biblico di esprimersi per alludere al misterioso intervento di Dio nelle vicende umane. Vi è dunque un piano divino che si compie nella consegna del Battista. Dio, nella sua volontà imperscrutabile, affida il giusto Giovanni nelle mani degli empi, ma anche questa drammatica "consegna" diventa fonte di salvezza! Gli uomini possono incatenare i giusti, persino sopprimerli, ma il progetto divino per il bene dell’umanità procede inesorabilmente. Per apprezzare quanto Marco dice sulla predicazione di Gesù, è bene poi ricordare ciò che sappiamo di Gesù fino a questo punto del suo Vangelo. Finora abbiamo udito di Gesù due cose fondamentali, e cioè che al Battesimo nel Giordano Dio lo proclama suo Figlio amatissimo e che nel periodo di prova successivo, cioè durante le tentazioni, Gesù rimane pienamente fedele alla propria identità di Figlio. Per i farisei e gli Esseni, l’arrivo del Regno dipende dal loro sforzo. Sarebbe arrivato solo quando avessero realizzato la loro parte, quando avessero cioè osservato tutta la legge. Gesù dice il contrario: «Il Regno è arrivato», già sta lì, fra loro, indipendentemente dallo sforzo fatto. Quando Gesù dice: «Il Regno è giunto», non vuole dire che sta per arrivare in quel momento, ma che esso già sta lì. Quello che tutti speravano, già era presente in mezzo al popolo ed essi non lo sanno, e nemmeno lo percepiscono (cf Lc 17,21). Gesù rivela e annuncia ai poveri della sua terra questa presenza nascosta del Regno in mezzo al popolo. Per accogliere il Regno di Dio presente nel mondo, non si richiedono sforzi sovrumani, eccelse qualità religiose e morali, ma una decisione possibile a tutti: credere e convertirsi. Credere: Gesù non chiede solo che si dia credito alle sue parole, ma che ci si affidi fiduciosamente a lui con il riconoscere l’annuncio del venire del Regno quale notizia davvero "buona" per la propria vita. L’assenso della fede si stabilisce dando forma nuova all’essere e all’agire: ciò che è appunto la "conversione", l’altra condizione richiesta da Gesù per l’accoglienza del Regno.

La Trasfigurazione
La Trasfigurazione è il mistero della luce per eccellenza (Mc 9,2-10). In esso sfolgora sul volto di Gesù la gloria del Padre, mentre la voce divina lo accredita, davanti ai testimoni prescelti come Figlio prediletto. La prima comunità cristiana si riferirà alla Trasfigurazione come ad una sorta di sintesi del ministero pubblico di Gesù (cf 2Pt 3,16-19). Il vangelo di Marco si serve dei testi dell’Antico Testamento per descrivere la scena della Trasfigurazione. L’evangelista colloca l’evento all’inizio del viaggio verso Gerusalemme (Mc 9,2-10) riferendolo ad una precisa scelta di Gesù: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro» (v. 2). «Salire sul monte» nel linguaggio biblico è l’aprire il cuore all’amore di quel Dio che sul Monte Sinai strinse il Patto con il suo popolo. Nell’orizzonte della fede nell’Alleanza, acquista senso l’esperienza dei tre discepoli con Gesù sul monte, loro soli. Nella solitudine del monte vedono dunque Gesù trasfigurato, avvolto in una luce abbagliante. Insieme a lui appaiono le due più grandi autorità dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia: il primo rappresenta la legge, l’altro la profezia. Il profeta Malachia aveva annunciato che Elia doveva ritornare per preparare il cammino del Messia (Ml 3,23-24). Questo stesso annuncio si trova nel libro del Siracide (Sir 48,10). Allora, come può essere Gesù il Messia, se Elia ancora non era tornato? Per questo, la domanda dei discepoli: «Perché gli Scribi dicono che prima deve venire Elia?» (Mc 9,11). La risposta di Gesù è chiara: «Io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui» (Mc 9,13). Gesù sta parlando di Giovanni Battista, assassinato da Erode (Mt 17,13). Quel Gesù che sta andando verso un destino di morte e il cui aspetto verrà deturpato dalla dolorosa passione, si svela all’improvviso nella sua identità più segreta. Questo è quanto è concesso ai tre discepoli d’intuire per qualche istante. La richiesta di Pietro di poter costruire tre tende e prolungare così l’esperienza spirituale del monte ci consegna una preziosa intuizione: bisogna conservare nella ferialità, nel logorio del quotidiano, la verità su noi e su Dio che in certi momenti di ascolto, di raccoglimento, è balenata al cuore. Custodire la memoria della Trasfigurazione dovrebbe dare ai tre discepoli "privilegiati" la forza per restare vicini a Gesù nei momenti più difficili, come nel Getsemani. Sul monte, Pietro, Giacomo e Giovanni sono chiamati a scoprire il senso d’ogni discepolato come un obbedire a Dio, ascoltando la Parola di Gesù quale suo Figlio amatissimo e ponendosi alla sua sequela fino a lasciarsi conformare alla bellezza inafferrabile che risplende sul suo volto sfigurato e trasfigurato di Figlio di Dio. Il Tabor è allora per il credente non tanto il luogo della scoperta di Dio attraverso la contemplazione della bellezza della natura, ma il monte della rivelazione cui s’accede solo nella fede, che si fa preghiera e obbedienza. È il monte dell’invito a saper vedere il progetto divino sull’uomo, manifestato in Cristo e a perseverare in tale sguardo di fede.

L’istituzione dell’Eucaristia
Il quinto mistero della luce è dedicato alla contemplazione dell’istituzione dell’Eucaristia. I testi biblici che ne parlano esplicitamente sono i Sinottici e la 1Corinti 10-11. Le parole dell’istituzione in Marco e in Matteo ci sono giunte probabilmente attraverso la mediazione della Liturgia della Chiesa di Gerusalemme, mentre in Luca e in Paolo sono mediate dalla Liturgia della comunità di Antiochia. La preoccupazione di Marco è quella di collegare questa cena di addio alla pasqua ebraica (Mc 14,12-25): nel v. 14 egli parla esplicitamente di un banchetto pasquale. Ciò significa che nella sua cronologia Gesù muore in occasione della festa di Pasqua. In questo Marco è seguito anche da Matteo e da Luca. Il quarto Vangelo afferma con uguale chiarezza che Gesù muore nella vigilia della Pasqua (Gv 18,28). In realtà sembra che l’ultima cena è stata una solenne cena di addio e non una tradizionale cena pasquale. È stata il culmine di una serie di pasti condivisi da Gesù con i suoi discepoli. Gesù segue la prassi di un capofamiglia nel pasto festivo giudaico, spezzando un pane e distribuendone i pezzi. Egli "prese il pane", "benedisse", lo "spezzò", lo "diede": sono gli stessi gesti e le medesime parole in ambedue i racconti dove Gesù sfama le folle (Mc 6,41; 8,16). Senza alcun dubbio, la corrispondenza è intenzionale. Allora i discepoli «non avevano capito il fatto dei pani» (Mc 6,52). Ora il mistero è rivelato. Gesù è "l’unico pane" (Mc 8,14) per i giudei e i gentili, il suo corpo è dato e il suo sangue è versato per tutti. Paolo e Luca (1Cor 11,24-25; Lc 22,19) aggiungono il comando di fare in memoria di lui ciò che Gesù stesso ha fatto in quella notte. Il comando è rivolto non ai singoli, ma alla comunità dei discepoli, perché celebrare l’eucaristia è il vertice del ritrovarsi della comunità e la fonte della vita ecclesiale. La Chiesa è consapevole che la celebrazione eucaristica, vista quale luogo di appropriazione sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, la costituisce nella sua essenza come «Corpo di Cristo» (1Cor 10,17) e come comunità del tempo della salvezza convocata dal suo Signore quale segno di speranza nel mondo. Dei cinque misteri, solo quest’ultimo non sembra a prima vista un evento luminoso. L’eucaristia anzi appare come mistero di nascondimento e di kenosi della presenza di Cristo sotto i segni sacramentali del pane e del vino. Ma quando si pensa che l’Eucaristia annuncia la morte e la risurrezione del Signore, è possibile cogliere sotto l’esiguità del segno la gloria del mistero pasquale, con tutta la sua carica di grazia, di amore e di speranza.

Veramente possiamo concludere che il Rosario lascia dietro di sé una scia luminosa di Vangelo, che guida milioni di uomini e donne verso Gesù Cristo e verso la santa e adorabile Trinità.

NOTE
1 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, 39.
2 Si veda «La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa», in Il Regno Documenti, 19/2008, Prop. n. 21, 648.
3 G. MUCCI, «Due cardinali e la preghiera», in La Civiltà Cattolica 160 (2009) I, 427.
4 A titolo esemplificativo rimandiamo ai commenti di cui ci siamo serviti: A. IZQUIERDO GARCÌA, «I misteri della luce nel Santo Rosario», in L’Osservatore Romano, 19 febbraio 2003, 5; W. J. HARRINGTON, «I misteri della luce. Una riflessione a carattere biblico», in Testimoni, 12/2003, 20-23; P. ROTA SCALABRINI, «I Misteri della luce: meditazione biblica», in Communio, 29 (2003), n. 189, 33-41; S. DE FIORES, «Rosario», in IDEM, Maria. Nuovissimo Dizionario, 2, Dehoniane, Bologna 2006, 1401- 1449; M. TENACE, «I misteri della luce a Lourdes», in Consacrazione e Servizio 57 (2008), n. 11, 31-35. Tra le proposte celebrative ne segnaliamo alcune: M. M. PEDICO-M. M. MURARO, In preghiera con il Rosario. Lectio-meditatio-contemplatio-oratio dei venti misteri, Presentazione di Corrado Maggiori, Edizioni Monfortane, Roma 2003; S. DE FIORES, Il Rosario. Catechesi e meditazione dei 20 misteri, Piemme, Casale Monferrato 2004; DON ORESTE BENZI, Il sì di Maria. Meditazioni sui misteri del Rosario. A cura di Alessio Zamboni, Prefazione di Mons. Flavio Roberto Carraro, Edizioni Sempre, Rimini 2005.

 

Inserito Lunedi 20 Febbraio 2017, alle ore 17:51:17 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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