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  Maria nei mosaici di Ravenna  
Arte

Un articolo del Prof. Giovanni Gardini, Consulente per i Beni Culturali della Diocesi di Ravenna-Cervia.






‘Genitrice del Verbo ed eternamente vergine, e fu fatta madre del Signore che l’aveva creata’.
 

Il Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, testo composto dal sacerdote ravennate Andrea Agnello e databile al IX secolo, riporta preziose informazioni sui cicli decorativi presenti nelle basiliche di Ravenna. Alcune di queste descrizioni si possono mettere in relazione con i mosaici ancora esistenti come, ad esempio, quelli della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo realizzati da Teoderico e dall’arcivescovo Agnello (556-569). Per altri monumenti, invece, il Liber Pontificalis assume un valore diverso, nel momento in cui "con l’autorevolezza di un testimone oculare" ne descrive gli antichi splendori e le perdute iconografie. É il caso, ad esempio, della Basilica di Santa Maria Maggiore che, stando a quanto Andrea Agnello riporta, presentava all’ammirazione e alla devozione dei fedeli l’immagine della Vergine, iconografia che, al pari della dedicazione del sacro edificio alla Madre del Salvatore, puntava lo sguardo a Roma dove, nella prima metà del V secolo, era stata eretta la grande Basilica di Santa Maria Maggiore.
É al vescovo Ecclesio (522-532) che è fatta risalire la committenza della Basilica: "Questo vescovo in un terreno di sua proprietà costruì anche la chiesa della Santa e sempre Vergine immacolata Maria, che voi potete vedere, di straordinaria grandezza, ornata d’oro nell’abside e nell’arco trionfale; nella stessa volta dell’abside sta l’effigie della Santa Madre di Dio e mai occhio umano ha potuto vedere qualcosa di simile ad essa" (dal Liber Pontificalis, traduzione a cura di M. Pierpaoli). Stando al testo, all’immagine della Vergine – che si presentava come una delle più antiche e monumentali iconografie mariane in ambito ravennate – era collegata un’iscrizione, che arricchiva e completava l’immagine, rendendola un vero e proprio manifesto dogmatico, cristologico, antiariano: "Chi abbia voluto a lungo contemplare quell’immagine, troverà sotto ai suoi piedi versi che dicono così: ‘Rifulge l’aula della Vergine, che ricevette Cristo dal cielo e prima dal cielo venne un angelo ad annunziarlo. Mistero! Genitrice del Verbo ed eternamente vergine, e fu fatta madre del Signore che l’aveva creata. Riconoscono la verità i magi, gli zoppi, i ciechi, la morte e la vita. Ecclesio consacra il tempio a Dio" (dal Liber Pontificalis, traduzione a cura di M. Pierpaoli).
Se a Santa Maria Maggiore si è perso per sempre l’antico ciclo musivo, nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo possiamo ancora ammirare gli splendidi mosaici. All’epoca teodoriciana risale la monumentale immagine della Vergine in trono con il Bambino. Circondata dalla corte celeste, Maria appare in tutto il suo splendore, assisa su un prezioso trono d’oro, reso ancor più solenne e luminoso dalle perle e dalle gemme ivi incastonate. La Vergine è vestita di porpora e oro, segno di regalità. Questa iconografia appartiene alla prima fase del ciclo musivo, cioè all’epoca teodoriciana, quando nella Basilica veniva celebrato un culto ariano, fede eretica che non riconosceva la divinità del Cristo. Sconfitti i Goti ariani, quando, per editto imperiale, la basilica passò alla Chiesa Ravennate, il vescovo Agnello, epurando il ciclo musivo di quelle immagini che, si presume, erano troppo connotate sia dal punto di vista politico sia religioso, decise di collocare, davanti all’immagine della Vergine i Magi che nei doni dell’oro, incenso e mirra, venivano ad adorare "per dirla con le parole della liturgia – colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore" (Preghiera sulle offerte nella Solennità dell’Epifania). I Sapienti venuti dall’Oriente – completando quello schema iconografico che spesso li accostava all’immagine della Vergine in trono – divenivano così il simbolo della fede ortodossa e la raffigurazione regale di Maria, poteva essere considerata a pieno titolo immagine della Theotókos, la Madre di Dio, titolo cristologico formulato nel terzo Concilio Ecumenico, svoltosi ad Efeso del 431.

Sempre nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, proprio per il confronto con l’immagine appena descritta, è ravvisabile un’altra raffigurazione della Madre del Signore. L’undicesimo riquadro posto sulla parete destra della navata centrale, presenta l’annuncio della Risurrezione. Sulla sinistra della scena è un angelo raffigurato in bianche vesti, seduto su una roccia, con la mano destra alzata nel gesto della parola: "Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. É risorto" (Mt, 28, 1-8). Al centro è la tomba vuota con la lastra sepolcrale posta di traverso, mentre sulla sinistra stanno le mirofore il cui numero, nei testi evangelici, varia (cf. Mt 27, 56. 61; 28, 1; Mc 16, 1; Lc 23, 55; 24, 1. 10; Gv 20, 1). Se i vangeli identificano "le Marie" al sepolcro con Maria di Magdala e con Maria la madre di Giacomo e di Giuseppe (cf. Mt 27, 56), diversa "a mio avviso" è la tradizione che propone il mosaico. La donna in primo piano è Maria, la madre di Cristo: l’abito purpureo e d’oro rimanda all’immagine della Vergine in trono, posta nel primo registro a destra, anch’essa immagine di epoca teodericiana.
Pietro Crisologo, vescovo ravennate nella prima metà del V secolo, nel Sermone 74 descrive la visione della Madre di Gesù al sepolcro, creando un parallelo tra Eva/Maria Maddalena, e Maria, nuova Eva, una tema, quest’ultimo, caro all’esegesi patristica: "La sera del sabato, che risplende nel primo giorno della settimana, venne Maria Maddalena e l’altra Maria per visitare il sepolcro. Corre in ritardo al perdono la donna che era corsa rapidamente al peccato. Cerca Cristo alla sera quella che sapeva di aver tratto la mattina Adamo alla perdizione. Venne Maria e l’altra Maria per visitare il sepolcro. Quella che dal paradiso aveva preso l’incredulità, ha fretta di prendere la fede dal sepolcro, cerca sollecita di strappare dalla morte la vita, mentre aveva strappato dalla vita la morte. Venne Maria. Questo è il nome della Madre di Cristo; venne, dunque, nel nome la Madre, venne la donna per essere Madre dei viventi, mentre era diventata la madre dei morenti; e perché si compisse ciò che sta scritto: Questa è la madre di tutti i viventi. Venne Maria e l’altra Maria. Non disse ‘Vennero’, ma: venne. Vengono in due con lo stesso nome per un mistero, non per caso.  Venne Maria e l’altra Maria: venne essa stessa, ma un’altra; un’altra, ma essa stessa, perché la donna cambiasse vita, non il nome; la virtù, non il sesso, e fosse annunciatrice della risurrezione quella che era stata annunciatrice della caduta e della rovina. Venne Maria per visitare il sepolcro, affinché quella che era stata ingannata dalla vista dell’albero, fosse rinnovata dalla vista del sepolcro e quella che era stata attirata da una visione di seduzione, fosse risollevata da una visione di salvezza" (Sermone 74, 3).
Anche nel Sermone seguente – sono questi Sermoni a tema pasquale – ricordando la visita al Sepolcro di Maria Maddalena e dell’altra Maria, Pietro Crisologo evoca la presenza della Madre del Signore, riconoscendo inoltre, nelle due donne, la prefigurazione dell’unica Chiesa formata dal popolo dei giudei e dal popolo dei pagani: "Maria, il solo nome della Madre di Cristo, è raddoppiata in due donne, perché qui la Chiesa, provenendo da due popoli, è rappresentata unica da due popoli, cioè dalle genti e dai Giudei, perché i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. Venne Maria al sepolcro. Venne all’utero della risurrezione, venne al parto della vita, perché Cristo nuovamente nascesse alla fede dal sepolcro, come era stato generato da un grembo di carne; venne per restituirlo alla vita eterna, chiuso nel sepolcro, come l’intatta verginità l’aveva portato alla vita presente. É una manifestazione della Divinità l’aver lasciato intatta la Vergine dopo il parto; è una manifestazione della Divinità l’essere uscito dal sepolcro col corpo. Maria e Maria vennero per visitare il sepolcro. Tu vedi che vennero non per vedere il Signore, ma il sepolcro: né cercavano tra i morti uno che ormai era vivo, poiché credevano che il Signore fosse ormai risorto" (Sermone 75, 3).

Un’ultima immagine musiva della Vergine è quella che si può ammirare all’interno delle Collezioni del Museo Arcivescovile di Ravenna, mosaico che proveniva dal ciclo medievale ed era datato – stando all’iscrizione posta nel catino absidale – all’anno 1112, sotto l’episcopato dell’arcivescovo Geremia (1110-1117). Questo mosaico faceva parte del registro mediano, che comprendeva le cinque finestre absidali, e presentava oltre all’immagine della Vergine orante raffigurata con i santi Giovanni Battista, San Barbaziano ed il protomartire Ursicino, scene legate alla vita di Apollinare. Questa rappresentazione di Maria come Orante, richiama l’iconografia della Madonna Greca e, data la vicinanza cronologica con la Vergine venuta dall’Oriente – nel 1100 -, può essere letta come evidente citazione e segno di devozione ad essa.

 

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Inserito Sabato 30 Giugno 2018, alle ore 9:38:53 da latheotokos
 
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