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  Maria specchio della vita buona del vangelo... 
Spiritualità

cioè dell'autentico umanesimo cristiano. Dal libro di Stefano De Fiores, Educare alla vita buona del vangelo con Maria, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 41-51.



Convinti che esiste un'emergenza educativa per dare senso e orientamento nella vita, ci domandiamo quale contenuto dobbiamo assimilare e trasmettere. In particolare ci chiediamo che cosa significa «la vita buona del vangelo». O in modo più completo, qual è il senso del «vangelo della vita buona, bella e beata che i cristiani possono vivere sulle tracce del Signore Gesù»1. Orbene Maria, dopo Cristo, è lo specchio più perfetto, che indica i gesti attesi da Dio da parte dei credenti, cioè la vita buona del vangelo. Innanzitutto vediamo che cosa significa il vangelo, poi passeremo a prendere atto della vita buona che esso include.

1. Il vangelo

In genere si pensa che il vangelo sia il racconto della vita di Gesù o quell'insieme di norme e di consigli che il Maestro ci offre mediante i libri dei quattro evangelisti2. É questa un'impostazione dottrinale e moralistica, piuttosto tardiva (inizia verso il 150 con Giustino), mentre per il Nuovo Testamento il vangelo consiste in un'attività salvifica, in un'irruzione della grazia e della potenza di Dio. «Gesù è il messaggero di gioia atteso alla fine dei tempi»3. Egli risponde agli inviati di Giovanni Battista: «... ai poveri viene annunciata la buona novella», cioè la presenza del «regno di Dio» nella storia (cfr. Lc 4,18; 8,1; 16,16). Poi è Gesù stesso ad essere annunciato e la buona notizia e l'annuncio della sua risurrezione: «E noi vi annunciamo una buona novella: la promessa fatta ai padri Dio l'ha adempiuta per i nostri figli, risuscitando Gesù» (At 13,32). Evangelizzare significa annunciare con autorità e con segni e prodigi, provocando gioia e operando la salvezza (At 8,8; Ef l,13; lCor 15, 1). Se passiamo al «vangelo di Paolo», notiamo che anch'esso si pone in prospettiva vitale: «E il termine classico per indicare la grazia di Dio, a cui bisogna rispondere con la fede»4. Tale vangelo, ricevuto per rivelazione (Gal 1,11- 12) e insieme contenente dati della tradizione (1Cor 11,23-26; 15,3-11), coincide con la predicazione e con il messaggio cristiano, «ha un orizzonte storico-salvifico», in quanto «è una dynamis mediante la quale la giustizia di Dio diventa una realtà salvifica per ogni credente». Nello stesso tempo il vangelo è visto «come norma per il comportamento della comunità»5. Il vangelo infatti esercita la sua forza salvatrice conducendo la persona a rispondere con la fede: «Io infatti non mi vergogno del vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima, come del greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto vivrà per fede» (Rm 1,16-17). É chiaro che non ci salvano le opere della Legge, cioè la circoncisione e le prescrizioni alimentari, che costituivano i «segni d'identificazione» (U.D.G. Dunn) degli ebrei rispetto alle genti6. Le opere della Legge - sostiene Paolo - non possono giustificare (Gal 2,16; Rm 3,20.28), poiché la salvezza viene dall'unico salvatore Gesù Cristo. Ma una volta giustificato e trasformato dalla grazia, l'essere umano può e deve «fare il bene» (Gal 6,9), «fare opere buone» (Mt 5,16; 1Tm 6,18; Tt 3,8.14), «vincere il male con il bene» (Rm 12,21).

2. Vita buona secondo il vangelo

In genere la filosofia morale naturale lega il progetto di una «vita buona» all'esercizio delle quattro virtù cardinali, cioè prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, mediante le quali la persona opera una crescita nel bene. Se ricorriamo al vangelo l'impostazione cambia radicalmente. La domanda di Gesù: «É lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?» (Lc 6,9), ha una concreta rilevanza etica. «Fare del bene» (Mc 3,4; Mt 19,16; Ef 6,8) «indica, come una "summa" etica, il modo di agire conforme alla fede»7, una sintesi dell'insegnamento morale di Gesù (Lc 6,33-35), ma è anche un'interpellanza a schierarsi dalla parte di lui e non della morale legalistica e farisaica. Non si dà cristianesimo senza un incontro personale con Cristo. Egli interpella ad una scelta decisiva, ad una vera opzione fondamentale, sul tipo di quella richiesta nell'Antico Testamento, quando si chiede all'uomo di scegliere tra le due vie: la via del bene che sfocia nella vita o la via del male che conduce alla morte (Dt 30,15-16; Pr 2,16; 21,8). Gesù richiama due principi o criteri fondamentali, che pongono sulla retta via del bene. In primo luogo egli rimanda alla fonte di ogni bontà, Dio, che diviene il modello supremo e la causa trascendente di ogni bene riscontrabile nelle creature. Infatti, quando il giovane ricco si prostra ai suoi piedi in atto di omaggio chiedendo: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?», Gesù risponde: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo» (Mc 10,17-18). Qui l'aggettivo buono designa l'incomparabile bontà che contraddistingue Dio nella sua essenza. In tal modo Gesù Maestro «si ricollega alla tradizione veterotestamentaria: un principio fondamentale di tale concezione è che Jahvé è buono (tôb), e la storia d'Israele lo qualifica nella sua bontà. [...] L'esperienza salvifica dell'esodo, della conquista della terra promessa e della protezione goduta nel corso della storia testimonia la "bontà"  di Jahvé (cfr. Es 18,9; Nm 10,29 ss; Os 8,3; 14,3)»8. In secondo luogo Cristo pone al centro della morale evangelica la persona umana, ristabilendo che «il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Qui raggiungiamo il vero umanesimo: si fa il bene quando esso giova all'uomo e alla donna, allo sviluppo delle loro potenzialità, al rispetto dei loro diritti e carismi, alla loro maturità e alla loro salvezza. In ultima analisi, la vita buona o giusta, che s'identifica con la carità verso il prossimo bisognoso, è il criterio discriminante per entrare nel regno preparato dal Padre. I cattivi dal cuore duro andranno «al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,46). La vita buona trova testimonianza nella coscienza rinnovata del cristiano. Nella visione paolina la bontà (= agathosyne) fa parte del catalogo delle virtù, come effetto dello Spirito: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Paolo si difende davanti al sinedrio richiamandosi alla bontà o rettitudine interiorizzata: «Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in piena rettitudine di coscienza» (At 23,1); e ritorna in altri passi la «buona coscienza» (1 Pt 3,16.21; lTm 15.19; Eb 13,18).

3. Maria educatrice alla vita buona del vangelo

        a. Madre della nostra vita della grazia
        Se "vangelo" non significa un racconto e una morale, ma anzitutto l'irruzione della presenza, della grazia e della potenza d'amore di Dio unitrino, in una parola la forza divina salvatrice, Maria ha a che fare con questo dono della Trinità in quanto è «per noi madre nell'ordine della grazia» (LG 61). L'espressione «madre nostra» non può essere interpretata solo in senso affettivo («perché mi vuole bene»), poiché per essere vera deve implicare una reale comunicazione di vita. La Vergine è madre nostra in quanto cooperatrice di Cristo nel «restaurare la vita soprannaturale delle anime» (LG 61). L'esortazione apostolica Signum magnum, pubblicata da Paolo VI in occasione del suo pellegrinaggio a Fatima (13 maggio 1967), puntualizza la collaborazione della Madre della Chiesa allo «sviluppo della vita divina della grazia», non solo con l'intercessione ma pure con «un altro influsso: quello dell'esempio». La sua maternità non si limita alla generazione, ma si estende alla crescita divenendo educatrice: «Come, infatti, ogni madre umana non può limitare il suo compito alla generazione di un nuovo uomo, ma deve estenderlo alle funzioni del nutrimento e dell'educazione della prole, cosi si comporta la beata Vergine Maria» (Signum magnum, 6). Commentando questo passo, mons. Francesco Franzi applica a Maria le tre funzioni della maternità, «la generazione, la nutrizione, l'educazione», e spiega questo ultimo termine: «Con il termine "educazione"' invece possiamo intendere l'opera con cui Maria suscita e sostiene il nostro impegno ascetico di progresso nella virtù; impegno che Maria promuove, in reale funzione educatrice, anche con l'esempio e il fascino delle sue virtù»9. Poiché Maria è consapevole del fine da raggiungere, che è la formazione di Cristo in noi, ella vuole compiere «opera di piena educazione», che si può chiamare «una vera soprannaturale pedagogia materna»10. Qui bisognerebbe tracciare la presenza efficace e santificante di Maria lungo l'itinerario dal battesimo alla gloria, nelle fasi dell'iniziazione cristiana, dell'assimilazione degli atteggiamenti evangelici e della comunione mistica con Dio.

        b. Facendo il bene
        L'apostolo Pietro riassume la vicenda terrena di Gesù con le parole: «Gesù di Nazaret... passò beneficando (euergeton) e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (At 10,38). É chiaro che Maria rimanda a Gesù, al suo esempio e al suo insegnamento, oltre che al suo Spirito che dà vita e ci rende figli del Padre. Ci dice: «Fate quello che egli [Gesù] vi dirà» (Gv 25). Per cui, come Gesù è passato facendo del bene, cosi anche noi dobbiamo operare il bene, con tutto ciò che esso comporta. Qui si apre un ventaglio di applicazioni ai principali insegnamenti del vangelo, in particolare alle opere buone da compiere. Ma in modo tutto speciale, Maria come madre di famiglia, difende e trasmette il senso di appartenenza alla Chiesa e dell'unità tra tutti i credenti, come richiama il teologo Jean Galot: «Maria è la Madre di tutta la comunità cristiana. La sua sollecitudine materna si estende allo sviluppo dell'insieme della Chiesa, e in funzione di questo insieme tocca la vita personale di ogni cristiano [...]. In qualità di Madre della Chiesa, Maria è destinata più specialmente a contribuire all'unità della comunità. Ella è madre dell'unità» (cfr. Agostino, Sermo 192,2, PL 38, 1013)11. Maria ci introduce nella fonte della moralità, che biblicamente è il cuore. Ella infatti è colei che conserva nel cuore i misteri di Gesù e li medita (cfr. Lc 2,19.52). Nel cuore, modernamente nella coscienza, maturano le decisioni e le scelte della persona. Alla scuola di Maria impariamo a compiere scelte responsabili, come ha fatto lei quando ha deciso, dopo riflessione, di accettare la maternità nei riguardi del Messia Figlio di Dio (cfr. Lc 1,38). Così anche noi dobbiamo agire «in piena rettitudine di coscienza» (At 23, 1). Con questi rimandi la Vergine ci fa ricuperare l'amore verso gli altri come aspetto essenziale di un nuovo paradigma antropologico12, che supera il vecchio modello centrato sull'io, aprendo a un futuro di pace.

4. Messaggio educativo di Maria nel «Giudizio universale» di Michelangelo

Chiunque entra nella Cappella Sistina in Vaticano e alza lo sguardo verso la grande parete dietro l'altare, rimane colpito della scena centrale, che ordinariamente viene descritta così: Cristo giudice inesorabile alza la mano per condannare i reprobi e produce alla sua sinistra un movimento discensivo che precipita i cattivi nell'inferno, mentre alla sua destra si sprigiona un moto ascensionale che trasporta i corpi risuscitati dei buoni verso il paradiso. Maria assiste spaventata, chiusa in se stessa e impotente, alla rovina dei malvagi. Ad un'analisi più approfondita la rappresentazione michelangiolesca assume un altro significato, che supera i luoghi comuni. Innanzitutto bisogna tenere conto dei quattro bozzetti preparatori, in cui si vede Cristo sotto le sembianze di Giove tonante con mano molto alta e con lo sguardo minaccioso, e Maria che allarga le braccia verso il Figlio in atteggiamento d'implorazione di misericordia. Nell'affresco definitivo la scena cambia radicalmente: Cristo presenta fattezze apollinee, è senza barba e la sua mano si è abbassata tanto da toccare la testa: è serio, ma non arrabbiato né minaccioso. Maria non intercede più, ma si presenta come la prima cristiana segnata da una croce sulla fronte e collocata nello stesso alone di luce del Figlio. Come tale Maria accetta il verdetto di Cristo, non è spaventata ma addolorata. Un velo di profonda mestizia le avvolge il volto in modo impressionante: nello stesso atteggiamento Michelangelo l'aveva raffigurata ai piedi della croce. Per capire il muto messaggio della Madonna sistina, occorre tenere presente la raffigurazione della Pietà, composta da Michelangelo per Vittoria Colonna, dove Maria innalza e allarga le mani sul corpo èsanime del Figlio deposto dalla croce. Il significato di questo gesto è spiegato dall'artista da una frase scritta in verticale sul legno della croce: «Non vi si pensa quanto sangue costa!». Il verso dantesco illustra e interpreta ufficialmente il gesto di Maria: ella è afflitta perché la gente, dimenticando il dramma della Passione, continua sulla via malvagia che porta alla perdizione, cioè al fallimento definitivo. Anche nel Giudizio universale Maria, più che spaventata, è profondamente addolorata per la fine misera e irreversibile dei dannati: «Il suo sguardo - interpreta egregiamente Cristina Acidini Luchinat - abbassato in toccante simmetria con quello di Cristo suggerisce un pensiero doloroso per le creature che, nonostante il sommo sacrificio della Redenzione, hanno finito per perdersi»13. Dall'alto della parete sistina la figura di Maria diviene educatrice del popolo di Dio, in quanto trasmette un messaggio di estrema urgenza: seguire le vie del bene per essere benedetti dal Padre ed entrare nel suo regno eterno, lasciare finché si è a tempo le vie del male per non concludere la propria esistenza terrena con un fallimento eterno. Con il suo silenzio avvolto di dolore, Maria ci invita a fare buon uso della libertà, da cui dipende la nostra sorte eterna14.

NOTE
1 Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per il decennio del 2000, 29 giugno 2001, n. 57.
2 « Il termine vangelo [ ... ] qui viene inteso in chiave teologico-morale come il messaggio di salvezza che Dio ci ha rivelato nel Cristo, che il credente assume nella fede come principio e norma di vita» (A. Dalbesio, «Vangelo e legge», in Lexikon. Dizionario teologico enciclopedico, Piemme, Casale Monferrato 1993, 1113).
3 G. Friedrich, «euanghelizomai», in G. Kittel, Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1967, III, 1050.
4 A. B. Luter Jr., «Vangelo», in G. E Hawthorne - R. P. Martin - D. G. Reid (ed.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 1595.
5 G. Strecker, «euanghelion», in H. Balz - G. Schneider (ed.), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004, I, 1433.
6 T. R. Schreiner, «Opere della Legge», in G. E Hawthorne - R.P. Martin - D.G. Reid (ed.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, 1102.
7 J. Baumgarten, «agathopoiéo», in H. BaIz - G. Schneider (ed.), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004, I. 10.
8 J. Baumgarten, «agathos», in H. BaIz - G. Schneider (ed.), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004, I. 16.
9 F. Franzi, Maria educatrice della Chiesa. Commento all'esortazione apostolica Signurn magnum, Centro mariano monfortano, Salone-Roma 1968,
10 F. Franzi, Maria educatrice della Chiesa, 79.
11 Cfr. J. Galot, «Théo1ogie du titre "Mere de I'Eglise"», in Ephemerides mariologicae 32 (1982) 168-169.
12 Cfr. S. Dc Fiores, «Paradigma antropologico», in Id., Maria. Nuovissimo dizionario, Edizioni Dehoniane, Bologna 20082, II, 1241-1269.
13 Cristina Acidini Luchinat, Michelangelo pittore, Motta Editore, Milano 2007, 291.
14 Per questa interpretazione, cfr. S. De Fiores, La Madonna in Michelangelo. Nuova interpretazione teologico-culturale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010 (con prefazioni di M. Fallace, G. Ravasi e A. Paolucci).

 

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