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  Maria modello di contemplazione del mistero di Cristo 
Spiritualità

Un articolo di Stefano De Fiores su Madre di Dio n. 3 del 2003.

 



1. Maria "montagna" della contemplazione

La storia d’Israele insegna che Dio predilige rivelarsi sui monti, siano essi l’Horeb (Es 3,1-5) o il Sinai (Es 19, 2) o la collina di Sion, dove alla fine dei giorni si eleverà il tempio del Signore (Is 2,2; Zc 8,3). Anche Gesù ama le montagne e le sceglie per proclamare le Beatitudini (Mt 5, 1-12), nominare gli Apostoli (Mc 3,13), trasfigurarsi (Mt 17,1-8), compiere il mistero pasquale di morte e risurrezione (Mt 27, 33), e ascendere al Padre (Mt 28, 19; At 1,12).  La liturgia "cristologizza" il monte quando prega il Padre perché faccia giungere i fedeli "felicemente alla santa montagna, Cristo Gesù". Senza negare questa concentrazione cristologica, alcuni Padri applicano anche alla Theotokos il simbolo della montagna. Forse il primo a fare questa trasposizione è il vescovo Severo di Antiochia (†538) il quale rivolgendosi a lei afferma che Dio ha "manifestato la sua venuta pacifica, benigna e misericordiosa in te, o Maria, che sei la montagna spirituale. Perciò egli benedisse questa montagna e la santificò con la discesa dello Spirito Santo". Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono autori sparsi in tutto l’arco mediterraneo: Teodosio di Alessandria (†566), Modesto di Gerusalemme (†634), Massimo il Confessore (†662), Germano di Costantinopoli (†733), Andrea di Creta (†740), Giovanni Damasceno (†749), Teodoro Studita (†826). Il tema ritorna in un testo di Gregorio Magno (†604) che non ci sottraiamo a riferire perché la simbologia del monte assume in esso il massimo sviluppo: «Col nome di questo monte si può designare la Beatissima sempre Vergine Maria Madre di Dio. Sì, monte, perché con la dignità della sua elezione ha completamente superato l’altezza di ogni eletta creatura. Maria è monte sublime, perché, per giungere al concepimento del Verbo eterno, ha eretto il vertice dei meriti al di sopra dei cori degli Angeli fino alla soglia della divinità. Isaia, vaticinando l’eccelsa dignità di questo monte, dice: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti" (Is 2, 2). E il monte si è elevato sulla cima dei monti, perché l’altezza di Maria ha rifulso al di sopra di tutti i Santi. Infatti, come il monte designa l’altezza, così il tempio designa l’abitazione». Sì, è detta monte e tempio colei che, illuminata da incomparabili meriti, ha preparato all’Unigenito di Dio un santo seno su cui adagiarsi. Maria, del resto, non sarebbe divenuta monte elevato sulla cima dei monti, se la divina fecondità non avesse elevato quest’altezza al di sopra degli Angeli. Inoltre, non sarebbe diventata tempio del Signore, se la divinità del Verbo non si fosse calata nel suo seno per assumere l’umanità. Maria giustamente è detta monte di Efraim, perché, mentre è elevata dall’ineffabile dignità della divina nascita, nel suo frutto rinverdiscono gli aridi germogli della condizione umana. Colui che con la potenza della sua divinità ha creato gli Angeli, ha assunto la forma umana dalla carne di un’eccelsa creatura.

2. Maria, modello dei contemplativi

San Gregorio unisce la linea dell’elezione di Maria come Madre di Dio (piano biologico) e quella che sottolinea la conseguente eccelsa santità (piano spirituale). Nel corso dei secoli prevale il senso mistico che fa di Maria il "monte sublime", modello dei contemplativi, oppure la dimora dei missionari lanciati all’annuncio del Vangelo nel mondo. In questa prospettiva si pone San Luigi Maria di Montfort (†1716) nella sua celebre Preghiera infocata dove presenta Maria come la "montagna di Dio", luogo prescelto per l’Incarnazione del Verbo, vertice di santità elevante a Dio, ambiente adatto alla formazione cristiana e alla trasformazione in Cristo, in quanto fa assimilare lo spirito delle Beatitudini e vivere i misteri compiuti dal Salvatore sui monti. Anche qui è di rigore la citazione integrale del testo montfortano per non privare i lettori del contatto diretto con l’esperienza del Santo tradotta in preghiera allo Spirito: «Soltanto tu, re dei cieli e re dei re, separerai dalla massa questi missionari come altrettanti re. Li renderai più bianchi della neve del Selmon, la montagna di Dio, fertile e lussureggiante, solida e compatta, dove Dio mirabilmente si compiace, risiede e dimorerà per sempre. Signore, Dio di verità, chi è questa misteriosa montagna di cui riveli tante cose mirabili, se non Maria, tua cara Sposa? Lei è la montagna che tu hai eretto sulla cima dei monti più alti (Is 2, 2), le sue fondamenta sono sui monti santi (cfr. Sal 87,1). Beati, molto beati, i sacerdoti da te prescelti e destinati a dimorare con te su questa montagna fertile e santa. Qui essi diventeranno re per l’eternità con il distacco dalla terra e l’elevazione in Dio. Diverranno più bianchi della neve perché uniti a Maria, tua sposa totalmente bella, pura e immacolata. Saranno arricchiti della rugiada del cielo e dell’abbondanza della terra (cfr Gen 27, 28), di ogni benedizione temporale ed eterna di cui Maria è ricolma. Dall’alto di questa montagna, come Mosè, con le loro ardenti preghiere scaglieranno frecce contro i nemici per abbatterli o convertirli (cfr Es 17, 8-13). Su questa montagna impareranno dalla bocca stessa di Gesù Cristo, che sempre vi dimora, il significato delle otto Beatitudini. Su questa montagna di Dio saranno trasfigurati con Cristo come sul Tabor, moriranno con lui come sul Calvario, ascenderanno al Cielo con lui come sul Monte degli Ulivi». I pellegrini che si recano ai Santuari della Madonna impareranno a passare dalla preghiera a Maria all’orazione meditativa con lei e la vedranno tutta concentrata sul Figlio "adorando e aderendo". Questo passaggio è di grande importanza teologica e spirituale, perché unisce il legame affettivo verso colei che ci è madre nell’ordine della grazia (che ha una priorità pedagogica) con l’ispirazione all’esempio di Maria che detiene il primato assiologico.

3. La dimensione contemplativa della vita

Viviamo in un tempo di complicazioni. La vita diventa sempre più difficile: una dura battaglia per difendere quanto sta a cuore sopra ogni altra cosa: l’onestà di coscienza, la libertà interiore, il gusto delle cose semplici, la gioia della preghiera e della fraternità. Nel nostro secolo, definito l’età dell’ansia, malattia prodotta dal ritmo vertiginoso del vivere sociale e dall’abissale amarezza inflitta a chi rincorre spasmodicamente l’avere, avvertiamo sempre più il bisogno di recuperare un valore essenziale: quello che il Card. Carlo Maria Martini ha chiamato "la dimensione contemplativa della vita". L’uomo tecnologico, immerso nel ritmo vorticoso dell’attività e operante in una cultura dove si accavallano i messaggi sulle onde sonore delle radio e televisioni o sugli schermi della navigazione Internet, sente il bisogno di trovare un’oasi di riposo, di riservarsi un segmento di contemplazione, di divenire una scheggia di eternità nel tempo. In una cultura continuamente minata dalla chiacchiera e dalla dispersione, perfino dalla menzogna e dalla corruzione, l’uomo e la donna d’oggi avvertono l’esigenza di unire passato e presente mediante una memoria misericordiosa. Nello scorrere del tempo "ciascuno può diventare istante qualificato" (K. Barth). E questa qualità di vita in cui uno ritrova se stesso e la sua relazione trascendentale al Creatore, cioè il suo essere che aspira all’incontro con il Dio vivo, è necessaria per evitare di essere alienati o addirittura manipolati dai mass media e dai persuasori più o meno occulti.

4. In contemplazione, come Maria

Contemplare deriva da ‘cum’ e ‘templum’, implica comunione e spazio sacro: è guardare prolungatamente e con stupore il mondo tempio di Dio. Questo rimane vero – come ci ricorda Teilhard de Chardin - perché il mondo è "ambiente divino": non solo reca impressa l’orma delle Persone della Trinità, ma diviene spazio allargato per la propria santificazione. Il dualismo, infatti, conduce a conseguenze penose i Cristiani laici, condannati ad una doppia vita: quella sacra del culto e quella profana del lavoro. Teilhard risolve il problema dell’evangelico e tradizionale "giogo dei due padroni" (cfr Mt 6,24) proponendo "una comunione con Dio per mezzo della terra". Dio e il mondo non devono essere considerati in opposizione, come sacro e profano (profano è solo il peccato), poiché in virtù della Creazione e ancor più dell’Incarnazione, niente è profano, quaggiù, per chi sa vedere. Invece, tutto è sacro per chi sa distinguere, in ogni creatura, la particella di essere eletto sottoposta all’attrazione del Cristo in corso di compimento. Con l’aiuto di Dio, va riconosciuta la correlazione, anche fisica, che collega il nostro lavoro all’edificazione del Regno celeste […] e, nel lasciar la chiesa per la città rumorosa, non avremo altro che la sensazione di continuare ad immergerci in Dio. Questa impostazione mostra che la contemplazione non è evasione alienante ma componente dell’azione, anche se rimane la necessità di riservarsi uno spazio più o meno ampio, secondo la propria vocazione, per "l’incontro con Dio allo stato chimicamente puro". Ma anche allora non si tratta di divagare su proposizioni astratte, bensì di realizzare una riflessione amante sull’esperienza di Dio nella storia della salvezza e nella propria vita personale ed ecclesiale. Forse mai come oggi si consolida il convincimento che la contemplazione non è un "hortus conclusus" riservato agli uomini e donne di clausura, ma atteggiamento indispensabile e prerogativa essenziale del cristiano che percorre le strade del mondo. Nel considerare la "planimetria divina" che si attua nella storia della Salvezza notiamo un’evoluzione secondo cui la presenza di Dio nel mondo passa da una visione universale ad una concentrazione qualitativa. All’inizio il senso religioso non atrofizzato ha percepito Dio presente in cielo e sulla terra, nel tuono e nel lampo, sul monte e negli alberi maestosi. Poi il luogo della presenza è il tempio di Salomone, anche se gli Israeliti capiscono che esso non può circoscrivere l’Assoluto e l’Infinito (cfr Is 66, 1-2). Infine, Dio procede ad una umanizzazione e interiorizzazione della sua presenza: sarà presente mediante il suo Spirito nel cuore degli uomini (Ez 36, 26-27; Ger 31, 33). Questa promessa si realizza in modo evidente in una donna: nella Vergine di Nazaret, in cui sopravviene lo Spirito inviato dall’Altissimo perché ella diventi tempio del Paraclito e madre del Verbo fatto carne (cfr Lc 1, 31-35). Al suo seguito tutta la comunità cristiana diviene "tempio di Dio", abitato dallo Spirito (cfr 1Cor 3, 16-17). Soprattutto, il tempio definitivo è Cristo (cfr Gv 2, 19-21), perché egli adempie in modo sommo la funzione del Santuario di essere luogo per l’incontro con Dio. In conclusione, troviamo Dio nelle cose, nella storia, nelle persone, in Cristo. La contemplazione diviene occhio attento agli eventi straordinari e alle vicende quotidiane, spazio di accoglienza del Dio Trinità che si rivela in essi. E in quell’ambiente matura il movimento responsoriale d’amore che ritorna al Padre da cui tutto deriva (exitus-reditus). Si può concludere così: la contemplazione, proprio perché fondata nel Cristo incarnato e nello Spirito santificatore, vivifica e sostiene la storia degli uomini, rendendoli testimoni dell’Invisibile nella  visibilità dei fatti ordinari della loro vita quotidiana. Maria ne è il segno più alto e più certo.

 

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Inserito Lunedi 5 Agosto 2019, alle ore 12:45:08 da latheotokos
 
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