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  Esemplarità di "Maria la musulmana" 
Islam

Dal libro di Michel Dousse, Maria la musulmana. Importanza e significato della madre del Messia nel Corano, Edizioni Arkeios, Roma 2005, Capitolo 7, pp. 153-163.




Allah ha proposto ai credenti l'esempio della moglie di Faraone, quando invocò: "Signore, costruiscimi vicino a Te una casa nel Giardino. Salvami da Faraone e dalle sue opere. Salvami dagli ingiusti ". / E Maria, figlia di 'Imrân, che conservò la sua verginità; insufflammo in lei il Nostro Spirito. Attestò la veridicità delle Parole del suo Signore e dei Suoi Libri e fu una delle devote" (C LXVI, 11-12).

Gli ultimi versetti della sura LXVI propongono come esempio universale quattro figure femminili. Ai negatori, innanzitutto, l'esempio negativo delle mogli di Noè e di Lot, a proposito delle quali Dio dichiara: "Entrambe sottostavano a due dei Nostri servi, uomini giusti", eppure (riassumiamo il seguito del versetto) ciò non giovò loro e finirono all'inferno. Subito dopo, Dio propone ai credenti come modello la moglie di Faraone che, al contrario delle prime due, benché sottoposta all'autorità di un empio, appunto Faraone, aspirò a Dio e al Suo paradiso.
L'ultimo esempio proposto, quello di Maryam, non è simmetrico ai precedenti, poiché si tratta della sola figura femminile del Corano ad avere un nome proprio, la sola che non sia sottomessa ad alcuna autorità intermedia: Maryam, vergine consacrata liberamente a Dio, non cerca altro che il Suo compiacimento, nel più totale annullamento di sé.
Attraverso le figure della moglie di Faraone e di Maryam, sono anche due mondi a essere posti in parallelo: da un lato l'Egitto faraonico che illustra - sebbene non espressamente menzionato nel Corano - il simbolo delle piramidi, immagine di un ideale costruito dal potere temporale con l'intento di un'apparenza di eternità; dall'altro lato il mondo semitico, votato all'imprevedibile, con la famiglia di 'Imrân, e in particolare la figura di Maryam.
Pur con intenzioni lodevoli e in una prospettiva positiva. la moglie di Faraone chiede per se a Dio i Suoi favori: che Egli costruisca presso di Sé, in paradiso, una dimora di contemplazione. Certamente, ella aspira a un'eterna intimità con Dio, ma pensando innanzitutto a se stessa, in termini immaginari di stabilità, di sicurezza e di conforto spirituale. Nello stesso slancio, d'altronde, chiede a Dio di liberarla dal suo sposo Faraone, come anche dalle sue opere e dal suo popolo ingiusto.
Al contrario, Maryam non chiede nulla per se (se non l'oblio: cfr. C XIX, 23) e soprattutto nessuna costruzione, neppure eretta da Dio. La sua vita spirituale come abbiamo potuto constatare, è sottrattiva, fatta di insicurezza, ritiro, denudamento e annullamento progressivi. Mentre ella aveva consacrato a Dio la propria verginità, ecco che l'annunciazione le impone di accettare, per decisione divina, di divenire madre. La traiettoria di vita che aveva forse considerato al momento della sua consacrazione si trova posta in discussione. Non per questo ella rinuncerà alla propria risoluzione, ma si vede costretta a considerarne in modo diverso la realizzazione, attraverso vie imprevedibili e paradossali, nella notte della fede. È l'ultimo spossessamento delle conseguenze del suo voto che le viene richiesto. Questo radicale atto d'islam al quale Maryam si trova allora di fronte è, secondo il Corano, lo stesso sul quale Dio fonderà la Sua nuova Creazione.
Dio gradisce l'atto paradigmatico di islam insufflando in Maryam il Suo Spirito, così che ella concepisca un Verbo venuto da Lui: 'Isa (C 111, 45). Mentre Iblis, nel suo disegno di vendetta, prevedeva di traviare gli uomini perdendoli col desiderio e disarticolando in tal modo il segno della Creazione nella sua coerenza per renderlo meno leggibile agli uomini, L'atto di islam di Maryam, gradito a Dio, lo restaura, ridonando alla Creazione un centro e una polarità (C XXIII, 50): il segno esemplare del figlio di Maryam e di sua madre sul colle dell'eternità.
D'altro canto, non dimentichiamo che, secondo il Corano, Maryam, madre di 'Isa, è anche sorella di Mosè. Ora, la sorella - in questo caso non nominata - di Mosè veglia sul fratello che la madre ha nascosto, ancora in fasce, sulle rive del Nilo. Il racconto coranico della moglie di Faraone che scopre il bambino lascia intendere, senza dirlo direttamente, che la coppia faraonica non aveva figli e la moglie ne soffriva. La sura XXVIII, che contiene questa narrazione, è collegata ai rapporti di Faraone con Mosè e stigmatizza l'arroganza del primo in contrasto con la condizione umiliante dei figli di Israele. Dio dichiara al versetto 5: "Invece Noi volevamo colmare di favore quelli che erano stati oppressi, farne delle guide ('a 'imma, plurale di 'imam) e degli eredi (wârithûna)".1 Nel versetto 9, quando la moglie di Faraone scopre Mosè in una cesta sulle rive del Nilo, esclama: "(Questo bambino sarà) la gioia dei miei occhi e dei tuoi! Non lo uccidete! Forse ci sarà utile, o lo adotteremo come un figlio [...]".
Ritroviamo qui le categorie spesso evidenziate della discendenza e dell'eredità. Si tratta di qualcosa di più di un semplice gioco di parole quando, nella sua preghiera (C LXVI, 11), la moglie di Faraone chiede a Dio che le "costruisca" una dimora vicino a Lui. Lo stesso termine arabo 'ibni può essere compreso sia come imperativo del verbo bana, in questo caso "costruiscimi", sia come il sostantivo ibis che designa il figlio.2 Non avendo figli, la moglie di Faraone aspira a una realizzazione nell'altro mondo, vicino a Dio. È questa stessa parola, come sostantivo ('ibn), a esprimere nella titolatura di 'Isâ il rapporto con la Vergine sua madre: 'Isa'bnu Maryam. Mentre la moglie di Faraone, senza figli, nella sua pietà, chiede a Dio di costruirle in paradiso una dimora vicino a Lui, Maryam, che aspira unicamente all'autoannullamento e all'oblio, si vede annunciare un figlio, inaugurando una discendenza spirituale radicalmente nuova.
Citiamo in proposito queste righe di Baqlî (mistico musulmano morto nel 1209), che commenta i versetti 16-17 della sura "Maryam": "L'indicazione reale in questo caso è che la sostanza di Maryam è quella stessa della santità originaria. Educata dal Reale (o dal Vero, al-haqq, nome divino) nella luce dell'intimità, ella è, in ciascuno dei suoi respiri, "magnetizzata" dai segni della prossimità e dell'intimità verso il centro delle luci divine; ella spiava con impazienza a ogni istante il levarsi del sole della potenza a oriente del Regno. Si ritirò da tutti gli esseri creati per mezzo della sua elevata aspirazione pervasa dalla luce dell'arcano mistero [...]. Quando ebbe contemplato la manifestazione del radioso oriente dell'Eterno, le Sue luci la pervasero e i Suoi segreti giunsero fin nell'intimo della sua anima. La sua anima concepì mediante il soffio dell'arcano mistero. Ella divenne (allora) portatrice della Parola più alta e della luce più elevata dello Spirito. Quando la sua condizione divenne grandiosa per il riflesso in lei della bellezza manifestata dall'Eterno, si nascose lontano dalle creature riponendo la sua gioia negli sponsali con la Realtà (alhaqq)".3
Leggendo questo commento di Baqlî ("Quando la sua condizione divenne grandiosa per il riflesso in lei della bellezza manifestata dall'Eterna, si nascose lontano dalle creature [...]") non si può non pensare al testo biblico dell'Esodo 34, 29-34, il quale, a proposito di Mosè, dice che quando discese dal Sinai con le Tavole della Testimonianza (o della Legge), non era consapevole di avere il volto luminoso a seguito del suo incontro con il Signore. Quando se ne accorse lo coprì con un velo che toglieva solo al momento di incontrarsi con Dio o comunicare i Suoi ordini ai figli di Israele.4 Da qui l'insistenza su questo oriente dell'essere, fonte di ogni luce. L'annullamento di Maryam non esclude affatto il fulgore di questa luce che riverbera in lei. La via di ritiro e di annullamento che caratterizza la figura coranica di Maryam, Maria la musulmana, le permette di accedere alla sola realtà imperitura, all'Unico Vero assoluto. In tal modo, la via sottrattiva scopre in lei, nel suo ultimo esito, la rocca dell'eterno sostentamento. Il realismo spirituale di Maryam le fa fuggire non il mondo, bensì le sue apparenze.
Questa presentazione sobria e raffinata della figura di Maryam proposta dal Corano è lontanissima dagli innumerevoli aneddoti che fiorirono nella predicazione popolare, nutrita da diverse tradizioni apocrife al fine forse di renderne la narrazione più attraente. Ma tali aggiunte - a dispetto delle migliori intenzioni non fanno che distrarre dal tenore teologale della rivelazione secondo la sua propria coerenza.
Piuttosto dunque che ricordare quei diversi aneddoti, estranei al testo coranico, fermiamoci alle grandi metafore che esso propone in questa stessa luce teologale.

Maryam e la metafora della luce

Maryam non viene esplicitamente qualificata "musulmana" dal Corano, anche se tutto converge verso questa conclusione che ne fa un paradigma non appropriabile (da un punto di vista confessionale) della piena sottomissione a Dio, in un atto di abbandono attivo e fiducioso di islam; e neppure il Corano stesso le dedica espressamente i versetti relativi alla luce nella sura XXIV (intitolata precisamente an-Nûr, "La luce").
Questi ultimi, insieme a quelli dell'annuncio fatto a Maryam, sono tra i più belli. I primi trentatré versetti della sura (che ne conta sessantaquattro) sono consacrati a questioni di morale sessuale e di buona educazione che dipendono dal registro della sociologia, piuttosto che dalla rivelazione di valori trascendenti o di misteri. Come quello consacrato alla più alta vocazione femminile, "(le donne) proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato [...]" (C IV, 34), i versetti consacrati alla metafora della luce si trovano nascosti, come perle preziose, in mezzo a esortazioni tutte relative ai condizionamenti dell'epoca. D'altro canto, non è per caso che questi versetti di una bellezza avvincente, che amplificano in molti modi i riflessi della luce divina sulla Sua creazione, si dissimulino tra le ombre della contingenza.
La nostra scelta di mettere in relazione i versetti consacrati alla luce nella sura XXIV con la figura di Maryam si trova confortata dal fatto che, tra i versetti che precedono (v. 11-12), si parla di una "calunnia immensa" che sarebbe stata riportata a proposito di 'Aysha, moglie del Profeta. L'espressione che indica questa infamia è, parola per parola, la stessa (buhtân 'azîm) impiegata in C IV, 156 a proposito di quella formulata dagli ebrei su Maryam, madre di 'Isâ. D'altro canto, appena prima del versetto 35 sulla luce, il 33, in una prospettiva molto Paolina, dichiara: "E coloro che non hanno (i mezzi) di sposarsi cerchino la castità5, finché Allah non li arricchisca con la Sua Grazia [...]".
Allo stesso modo e simmetricamente, subito dopo il versetto sulla luce vengono evocati i monaci (C XXIV, 36-37). La metafora centrale si trova dunque all'interno di un fascio di argomenti che attengono, sotto diverse angolazioni e a diversi livelli. alla castità consacrata.
La luce di cui si parla in questo passo è insieme luce divina e immateriale, trascendente: luce cosmica dei grandi luminari; luce discreta e fragile degli oratori monastici, infine, luce metaforica: splendore radioso della purezza spirituale. Ecco dunque questi versetti di una densità sorprendente:
v. 34. "Già vi rivelammo in versetti chiarissimi. l'esempio (mathal) di coloro che vi precedettero esortazione per i timorati".
v. 35: "Allah è la luce dei cieli e della Terra. La Sua luce è come quella (mathaluhu) di una nicchia (mishkât) in cui si trova una lampada (misbâh) la lampada è in un cristallo il cristallo è come un astro brillante; il suo combustibile viene da un albero benedetto (min shajaratin mubârakatin), un olivo (zaytûnatin) né orientale (la sharqiyyatin) né occidentale (wa la gharbiyyatin), il cui olio [è così puro che] sembra illuminare senza neppure essere toccato dal fuoco. Luce su luce. Allah guida verso la Sua luce chi vuole Lui e propone agli uomini metafore ('amthâl, plurale di mathal). Allah è onnisciente".6
A partire da questo nucleo teologale, la sura prosegue descrivendo in che modo questa luce trascendente si riverberi nel complesso segno della vita consacrata:
v. 36: "[E si trova questa luce] nelle case che Allah ha permesso di innalzare, in cui il Suo Nome viene menzionato, in cui al mattino e alla sera Egli è glorificato".
v. 37: "[Da uomini che il commercio e gli affari non distraggono dal ricordo di Allah, dall'esecuzione dell'orazione, dall'erogazione della decima e che temono il Giorno in cui i cuori e gli sguardi saranno sconvolti".
v. 38: "Affinché Allah li compensi delle loro opere più belle e aggiunga loro della Sua Grazia. Allah provvede a chi vuole senza misura".
Quest'ultima asserzione riprende, negli stessi termini, la risposta di Maryam a Zaccaria nel Tempio, risposta che sorprese il sacerdote e lo indusse a chiedere a Dio una discendenza a Lui gradita.
La tradizione cristiana orientale (liturgica e patristica) ha il più delle volte assimilato la concezione verginale di Maria al miracolo (dato da Dio come segno a Mosè) del roveto ardente che bruciava senza consumarsi e da dove usciva la voce di Dio. Da parte sua, il Corano, che in diversi passi (C XX, 8-14; XXVII, 7-9; XXVIII, 29-30) evoca questa teofania accordata a Mosè, non rileva alcun legame simbolico tra quel miracolo e la concezione virginale di Maryam. Tanto più ci si può sorprendere di questo silenzio in quanto il Corano suggerisce invece per allusioni un accostamento tra le figure di Mosè e sua sorella Maryam. Nella fattispecie è detto soltanto che Mosè si trovava con la sua famiglia quando si avvide di un fuoco sul fianco del Monte (Sinai), e disse ai suoi cari "Aspettate, ho visto un fuoco. Forse vi porterò qualche notizia o un tizzone acceso, sì che possiate riscaldarvi" (C XXVIII, 29). E forse opportuno accostare al roveto ardente che bruciava senza consumarsi quell'albero benedetto di cui si dice (C XXIV, 35) che non è né d'oriente né d'occidente, il cui olio è talmente puro che, per illuminare, non ha bisogno di essere "toccato dal fuoco". Non possiamo escluderlo in modo perentorio, e le meditazioni della liturgia orientale su questo tema, che vedono in Gesù il nuovo Mosè, rendono plausibile tale sottinteso.7 E non si può ignorare, nello stesso versetto della sura "La luce", la menzione dell'olivo (zaytûna) del quale, d'altro canto, il Corano fa l'emblema del monoteismo cristiano quando evoca (C XCV, 1-3) le tre religioni del Libro: "Per il fico e per l'olivo, / per il Monte Sinai / e per questa contrada sicura (la Mecca)!".
Secondo la sura XXVII, versetto 8, quando Mosè giunse presso il roveto, dall'interno di esso udì gridare: "Sia benedetto Colui che è nel fuoco e chi è attorno a esso e gloria ad Allah, Signore del Creato". E, secondo C XX, 13-14, Dio disse a Mosè: "lo ti ho scelto. Ascolta ciò che sta per esserti rivelato. / In verità io sono Allah: non c'è dio all'infuori di Me. AdoraMi ed esegui l'orazione per ricordarti di Me".
L'analogia tra le due apostrofi divine annunciatrici, a Mosè e a Maryam, è innegabile, benché quella indirizzata a Mosè sia più marcata dal sacro timore, meno serena e intima di quella rivolta a Maryam. La differenza si manifesta fin nei termini rispettivamente utilizzati per invitarli a pregare Dio. A Mosè, Dio dice: "Esegui l'orazione per ricordarti di Me" nell'attitudine cultuale tradizionale, mentre gli angeli esortano Maryam a raccogliersi nell'orazione continua (C III, 43: è l'attitudine suggerita dalla radice QNT8).

Il silenzio e l'orazione di Maryam

Una delle caratteristiche primarie della figura coranica di Maryam risiede nel suo silenzio. L'unica volta in cui ella prende la parola è in occasione dell'annunciazione, per rivolgersi agli angeli e non agli uomini, e confermare loro la sua decisione di rimanere vergine e quindi, di conseguenza. interrogarli sulle modalità della realizzazione del decreto divino (C III, 47). Nel prosieguo, benché calunniata dai suoi, non risponde e lascia la parola al figlio ancora in fasce. Anche il Vangelo di Luca sottolinea l'atteggiamento di Maria che "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Luca 2~ 19 e 51). Il silenzio di Maryam esprime meglio delle parole il carattere ontologico, esistenziale del mistero che abita in lei. Ella è di per se segno, e non portatrice di un messaggio. La sua tacita testimonianza non è priva di analogia con l'attitudine coranica di raccolto riserbo di fronte all'indicibile Mistero.
Commentando C III, 43: "Oh Maria, sii devota (aqnuti) al tuo Signore, adora(Lo) e prosternati davanti a Lui (asjudi 'ilayhi) con coloro che si inchinano (raka'a)", Tirmidhî (morto nell'898) dichiarava: "Da Maryam si esigeva l'orazione interiore, vale a dire quella che si orienta con tutto il proprio cuore verso Dio, mettendo l'anima sotto la Sua ombra divina [...] affinché Egli ne disciplini i desideri per evitare che si agitino e si disperdano ribollendo fino a far pervenire i loro vapori al punto del petto da cui si irradiano le luci della divinità.
Poiché tra i Suoi doni nostro Signore non ha accordato a nessuno dei Suoi servi devoti il diritto di far irradiare la luce della Sua gloria dal loro petto [...], a Maryam fu dato di mantenersi in uno stato di orazione e di pace, con il cuore rivolto verso la gloria di Dio, per poter rimanere in tale atteggiamento di glorificazione della maestà divina".9
Secondo un'innegabile coerenza spirituale, Tirmidhî pone in parallelo antitetico la dispersione per mezzo della quale Iblis, all'alba dei tempi, si proponeva di traviare gli esseri umani e l'orazione di raccoglimento contemplativo con cui Maryam venne gratificata e di cui costituisce il paradigma: "Ella fu, per eccellenza, tra coloro che pregano (qânitûna)". Nel versetto 5 della stessa sura LXVI si trovano idealmente definite le spose del Profeta: sono le spose "sottomesse ad Allah (muslimât), credenti (mu'minât), devote (qânitat), penitenti (tâ 'ibât), adoranti ('abidât), osservanti il digiuno (sâ 'ihât) [...]". L'orazione permanente nel silenzio e nel raccoglimento costituisce il segno spirituale della ridefinizione della creazione in Maryam, e nello stesso tempo un'anticipazione escatologica.

Grandezza teologale di "Maria la musulmana"

È giocoforza riconoscere, al termine del nostro percorso attraverso il testo coranico, la bellezza, la forza, l'originalità e l'eccezionale grandezza della figura di "Maria la musulmana". Assimilarla a qualche pallida copia della Maria dei Vangeli, per la ragione che il Corano non la presenta come madre di Dio, sarebbe riduttivo. L'argomentazione, d'altronde, è tanto meno pertinente in quanto tutto (o quasi tutto) ciò che dice di lei il Corano è assente dai Vangeli; inversamente, nulla di quanto i Vangeli narrano della vita nascosta di Gesù e di sua madre si ritrova nel Corano.
Il Corano non dice nulla delle profezie, dei miracoli e degli altri eventi che nei Vangeli precedono e circondano la venuta al mondo di Gesù, fino all'adorazione dei pastori e dei magi e la fuga in Egitto. Della vita di Maryam mantiene solo i segni più trascendenti, dalla concezione fino alla nascita di 'Isa e alla sua presentazione alla famiglia. I Vangeli, da parte loro, non dicono nulla di Maria prima dell'annunciazione. Questo evento misterioso - che, per riprendere l'espressione coranica, rientra nelle storie del mistero ('anbâ'al-ghayb), poiché non ha testimoni e si svolge nell'ordine spirituale - si rivela nondimeno assolutamente centrale da una parte e dall'altra, carico di significati essenziali.
Molti islamologi occidentali, di fronte alle evidenti dìssimmetrie tra Corano e Vangelo si sono messi alla ricerca di altri modelli cui il primo si sarebbe ispirato. E evidente che lo studio delle fonti, da un punto di vista particolare e limitato, può rivelarsi illuminante, ma, nella fattispecie, a differenza dei Vangeli in rapporto alla Bibbia, il Corano proclama con tanta insistenza la propria origine trascendente (in riferimento diretto all'umm al-kitâb) che non è possibile ignorare tale rivendicazione e pretendere di spiegarlo al di fuori della sua propria consequenzialità, unicamente a partire da modelli anteriori. Come afferma J. Berque: "Agli occhi dei musulmani, come sappiamo, la Scrittura coranica è 'discesa' tal quale [...]. Non si tratta per noi di contestare o di affermare la verità obiettiva dell'islam o di quest'altra religione, quanto di chiederci [...] come esso organizzi la propria veridicità. Un testo come questo dov'essere affrontato solo tenendo conto dell'ottica (e non secondo essa) della comunità che lo professa".10
Alcuni esperti si sono allora rivolti ai Vangeli apocrifi. Ora, al contrario del Corano, questi testi esagerano in genere con gli aneddoti e cercano di colmare i non detti significativi del testo rivelato con brani di ordine narrativo più vicini alla predicazione popolare che alla sobrietà delle rivelazioni canoniche. L'arbitrio di questi accostamenti tra il Corano e gli apocrifi cristiani trova una delle sue migliori illustrazioni quando alcuni commentatori e traduttori arrivano a sostituire, nella sura III, il nome di 'Imran con quello di Gioacchino, con il pretesto che alcuni apocrifi designano con tale nome il padre di Maria, e questo quando nemmeno i Vangeli canonici dicono nulla in merito. Questo stratagemma, come abbiamo rilevato a suo tempo, ha l'unico fine di evitare l'identificazione - contro ogni verosimiglianza storica - tra il padre di Mosè e quello di Maryam madre di 'Isa".11
Ora, questo sotterfugio, che serve a far trionfare la verosimiglianza storica sul segno di rivelazione, comporta la conseguenza di sopprimere la posizione scritturale assicurata dall'identificazione tra le due figure di Maryam, riunendo in una sola le due stirpi del deserto e della promessa. La portata tipologica e simbolica dell'identificazione tra le due figure è senza paragone con ogni pretesa di verosimiglianza storica. D'altro canto, assimilando le due figure di Maryam, il Corano si situa esso stesso, nella sua differenza, in rapporto alle rivelazioni anteriori, pur facendo risaltare l'unità dei due Testamenti (per riprendere la terminologia cristiana): quando ripete di voler riassumere e confermare le rivelazioni anteriori, lo fa integrandole e organizzandole nel quadro della sua visione tipologica, esemplare e antistorica, che rivendica come fonte e parametro la Madre del Libro (umm al-kitâb).
Sicuramente, può rivelarsi assai illuminante e prezioso rilevare, nella prospettiva di una lettura "di dialogo" delle Scritture, analogie e differenze tra il Corano e la Bibbia e i Vangeli, come anche con le diverse tradizioni del monoteismo abramico, a condizione che non se ne faccia il centro di un dispositivo mirante a fornire una spiegazione in termini di influenze e di prestiti. In nessun caso un tale approccio, in termini di dipendenza, può portare alla comprensione dell'originalità (e dell'identità) di un testo sacro, quale che esso sia. Quindi, non basta riconoscere che Gesù e la Maria coranica sono propriamente musulmani12, ma è opportuno altresì conoscere (per riconoscerla) la grandezza originale di queste figure, divenute essenziali a un titolo diverso, inedito, in quest'altro quadro.
Aggiungiamo che evidenziare unicamente l'eguaglianza e la ripetitività delle figure profetiche del testo coranico significherebbe semplificare indebitamente. Senza dubbio, l'Isâ coranico è propriamente un profeta secondo l'islam, ma tra i profeti e messaggeri che il Corano cita come esempio egli occupa, da ogni punto di vista, un posto unico. Ovviamente, la figura coranica di 'Isa non è identificabile con quella di Gesù nei Vangeli ma, sotto un'altra luce, appare egualmente eccezionale nel Corano e nell'economia divina da esso esposta. Ora, è questa originalità intracoranica che in primo luogo ci pone dei dubbi e ci interessa, ed è anche in rapporto a essa che si disegna l'eccezionale originalità di "Maria la musulmana".
Per tentare di comprendere obiettivamente l'apostrofe specifica di una rivelazione - ciò che abbiamo tentato di fare - è innanzitutto indispensabile individuare il contesto e la prospettiva d'insieme nei quali vengono a inserirsi i segni. È solo in riferimento a questi parametri interni che essi assumono un significato, si organizzano e si collocano. Non potremmo dunque aspettarci che la figura coranica di Maryam sia identica a quella dei Vangeli, dal momento che ciascuna delle due può essere compresa solo in rapporto al proprio ambiente scritturale.
Se nel Corano Maryam non viene definita madre di Dio, la sua perfezione paradigmatica va individuata nella ricerca assoluta di conformità alla volontà divina che ella spinge fino al parossismo dell'annullamento. In ciò il suo esempio si rivela universale, inappropriabile, proposto al di là dei condizionamenti di spazio e di tempo; è quanto illustra il riassunto tipologico con cui il Corano la gratifica. Ella riattualizza la testimonianza monoteista di cui Abramo costituisce la figura universalmente riconosciuta, ma lo fa in quanto donna, il che, secondo il Corano, aggiunge a ciò una nuova prossimità con il mistero di Dio.

NOTE
1 Il passo coranico fa pensare al Magnificat che Luca mette in bocca a Maria: 'L'anima mia magnifica il Signore [...] perché ha guardato l'umiltà della sua serva [...]. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore: ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili [...]" (Luca 1,46-52).
2 Con affisso il possessivo della prima persona: 'bnî "mio figlio".
3 Baqlî, Tafsîr, II, 7, citato da J. M. Abd-el-Jalîl, Marie et l'islam, Beauchesne, Parigi, 1950, p. 80.
4 Su questo tema, vedi anche II Corinzi 3, 7-11.
5 Asta 'fafa, dalla radice 'FF che esprime l'astinenza e la castità.
6 Secondo l'abituale equilibrio duale del Corano, il versetto 40 della stessa sura XXIV paragona, in termini simmetrici, le azioni dei miscredenti 'a tenebre di un mare profondo, le onde lo coprono, (onde) al di sopra delle quali si ergono (altre) onde sulle quali vi sono le nuvole. (Ammassi di) tenebre le une sulle altre, dove l'uomo che stende la mano quasi non può vederla. Per colui cui Allah non ha dato la luce, non c'è alcuna luce".
7 in Le buisson ardent di padre S. Boulgakov (traduzione francese di C. Andronikof, edizioni L'Age d'Homme, Losanna, 1987, p.138) si legge: 'Tra le rivelazioni accordate a Mosè, oltre alle apparizioni della Gloria. dobbiamo dedicare un attenzione particolare alla prima epifania che ha luogo davanti al profeta: quella del Roveto ardente, figura della Santa Vergine, secondo l'interpretazione costante della Chiesa". E in nota l'autore precisa: "Ciò è confermato da numerosi inni liturgici, quali il Canone mattutino dell'Annunciazione. IX ode, IV tropario: Il roveto e il fuoco hanno mostrato un prodigio meraviglioso a Mosè segnato dal sacro: cercando la fine del tempo egli dice, la troverò nella fanciulla pura. Analogamente, anche l'acatisto della Madre di Dio (VIII ode, II tropario): Dal Roveto ardente Mosè ha compreso il grande mistero del tuo parto o Vergine Santa. E ancora, il  tropario dogmatico del II tono dell'Ottavario: Il velo della Legge è caduto, la Vergine ha partorito ed è rimasta vergine. Al posto della colonna di fuoco, è sorto il sole di giustizia. Al posto di Mosè c'è il Cristo, salvezza delle  nostre anime". E a p. 135, in nota, vi è ancora un altro passo tratto dall'acatisto della Madre di Dio: Salve, colonna di fuoco che conduce l'umanità verso la vita eterna.
8 Un derivato da questa radice, qinnît, evoca l'otre contenente l'acqua che non può quindi fuoriuscire.
9
Tirmidhî, Nawâdir, 415, citato da M. Hayek, Le Christ de L'islam, Seuil, Parigi, 1959, p. 75-76.
10 Berque, Yûsuf ou la sourate sérmiorique in Mélanges Greimas tomo II, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam. 1985. p. 847.
11 Perfino molti commentatori musulmani fecero ricorso a simili procedimenti, per rendere il racconto coranico sia più "attraente", sia più verosimile dal punto di vista storico. Cosi, a proposito di C III, 35-37, che lascia inendere che Zaccaria e 'Imrân fossero contemporanei, Haqqi osserva che questo 'Imrân non poteva essere il padre di Mosè e Aronne, mentre lo era sicuramente della Vergine Maryam. Zaccaria e 'Imran avrebbero sposato due sorelle: Elisabetta e Anna. In proposito vedi  R. Arnaldez, Jésus fils de Marie, prophète de l'islam, Desclée, Parigi, 1981. p. 33-39 (trad. it. Gesù nel pensiero musulmano, Edizioni Paoline, Torino, 1990): anche A.J. Wensinck, in Encyclopédie de l'Islam, voce "Maryam".
12 R. Arnaldez precisa in conclusione:"Di certo i cristiani sono profondamente toccati da ciò che molti versetti dicono su Gesù e sua madre. tuttavia rischiano di interpretarli in un senso troppo cristiano. Non si ingannino: tutti i commentari [...] concordano. attraverso le rispettive differenze, nel convincerci che il Gesù del Corano è un profeta dell'islam [...]. Che non si tratta del Cristo dei Vangeli più o meno modificato. Egli è interamente musulmano e perfettamente integrato nella concezione d'insieme che l'islam si fa della profezia e dei profeti [...] tutti i tratti essenziali della figura di Gesù possono ritrovarsi sia in Abramo, sia in Mosè o Maometto [...]" (Jésus.fils de Marie, cit., p. 121). M. Borrmans riprende le posizioni di R. Arnaldez nel suo libro Jésus el les nrusulmans d'aujourd'hui, Desclée, Parigi, 1996, p. 12-13.

Inserito Venerdi 12 Novembre 2010, alle ore 10:32:27 da latheotokos
 
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