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  Tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc 1,48b) 
Bibbia

Unità del mondo e pietà mariana.
Dal libro di Aristide Serra, Maria di Nazaret. Una fede in cammino, Edizioni Paoline, MIlano 1993, pp.91-104.



La fede di Maria è riflessa anche nelle parole profetiche che ella fece risuonare sulle montagne di Giuda: « D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata, poiché grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente » (Lc 1,48b-49a).
Illuminata dallo Spirito del Signore, che è sorgente di profezia, Maria poté elevare lo sguardo sugli orizzonti della storia. Per la distesa dei secoli, la sua persona sarebbe stata oggetto di benedizione; le genti si sarebbero felicitate con lei. Perché? Il motivo è della massima importanza. La ragione di questa acclamazione universale risiede nel fatto che Dio, l'Onnipotente, ha operato in Maria le « grandi cose » connesse alla sua maternità divina. Il Figlio è dunque l'origine e il termine di così vasta e corale beatitudine cantata alla Madre.
Al seguito di Elisabetta, ogni generazione della storia saluterà in Maria di Nazaret « la Madre del mio Signore » (Lc 1,43). Ogni epoca prolungherà nel tempo la benedizione che l'anziana parente le indirizza in anticipo su tutti: « Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! » (Lc 1,42).
Maria ebbe dunque coscienza che in virtù della sua missione di Madre del Messia Salvatore contraeva dei legami con l'umanità intera, di ogni tempo e di ogni luogo. Di conseguenza, la Chiesa deve ripensare su scala mondiale il suo rapporto con la madre di Gesù. Più il mondo avanza sulle vie dell'unificazione, più si rivela la destinazione universale della persona di Maria.
La Chiesa, riunita a Concilio, definiva se stessa « ...come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ». E aggiungeva: « Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti da vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo »1.
Oggi il mondo sta sperimentando un movimento incontenibile verso l'unità. Ne sono testimoni: gli organismi continentali e nazionali a servizio della collaborazione e della pace; i mezzi rapidissimi di comunicazione; le migrazioni e gli interscambi di popoli e razze; il dialogo rispettoso che si allarga progressivamente a tutti i credenti delle varie religioni della terra... Anche nella nostra piccola Italia, le città (a cominciare da Roma) giorno dopo giorno si trasformano in crocevia di etnie e di culture.
Le confessioni cristiane avvertono l'urgenza di leggere questo segno dei tempi alla luce di Cristo, la Parola che non passa. Anche stavolta si tratta di una questione « cristologica ». Infatti « Dio ha tanto amato il mondo da donare il Figlio suo unigenito» (Gv 3,16).
E Gesù fa dono della propria vita in croce « ...non soltanto per la nazione [ebraica], ma anche per radunare nell'unità i dispersi figli di Dio » (Gv 11,52).
Se obbedisce a queste premesse, la ricerca dell'unità fra i cristiani non vuoi essere ostentazione di numero o potenza. È, semmai, aspirazione a servire meglio i propri fratelli e sorelle, a imitazione di Gesù, « ...venuto non per essere servito ma per servire e donare la sua vita in riscatto per tutti » (Mt 20,28).
Nel quadro di questa dinamica evangelica espressione dell'amore di Cristo che ci incalza (cfr. 2Cor 5,14) - vanno considerate alcune iniziative di Giovanni Paolo II. Per esempio: il discorso tenuto ad alcune migliaia di giovani musulmani nello stadio di Casablanca (Marocco), il 19 agosto 19852; la visita alla Sinagoga di Roma (13 aprile 1986); la grande preghiera universale per la pace, celebrata ad Assisi il 27 ottobre 1986, con la partecipazione di vari rappresentanti delle massime religioni mondiali.
Parlando ai membri del Segretariato della Santa Sede per i Non-Cristiani, il 3 marzo 1984, il papa esortava: « Rivolgiamoci perciò a Cristo; impariamo da lui come comportarci con gli altri. Così in lui vivremo l'amore misericordioso del Padre, che attraverso lo Spirito invita tutti gli uomini a riconciliarsi in Cristo e a riconciliarsi fra di loro »3.
Dunque: in termini di fede cristiana, il laborioso processo di unificazione progressiva del mondo è anch'esso un valore cristologico. Ma, come sempre accade, ogni rimando a Cristo comporta un rimando a Maria sua Madre. Dal fenomeno della planetarizzazione, tipico della nostra epoca, la mariologia trae impulsi innovatori. Aprirsi maggiormente al mondo, per sentire il polso della storia, equivale fra l'altro a riscoprire Maria di Nazaret come sorella e madre universale.
Nel breve spazio di queste note, vorrei appunto lumeggiare il profilo « ecumenico » di tre episodi evangelici riguardanti la figura della Beata Vergine: l'annunciazione (Lc 1,26-38); l'adorazione dei Magi (Mt 2,1-11) e la sua presenza accanto alla croce (Gv 19,25-27)4. Ciascuno di questi tre momenti contribuisce alla comprensione dei motivi per cui tutte le generazioni chiameranno beata la Madre del Signore (cfr. Lc 1,48b).

1. «...in una città della Galilea, chiamata Nazaret » (Lc 1,26)

È noto che Luca mette in parallelo l'annuncio a Zaccaria (1,5-25) e l'annuncio a Maria (1,26-38). Si tratta di un artificio letterario ben conosciuto nella letteratura greco-romana: era chiamato synkrísis, che significa « paragone-confronto ». Luca adotta questa tecnica narrativa per insegnare che in Giovanni Battista (il nascituro di Zaccaria ed Elisabetta) si adempiono i tempi della preparazione scanditi nell'Antico Testamento; con Gesù (il nascituro di Maria) si inaugura invece il compimento del disegno salvifico da parte di Dio. Nell'economia di questo contrappunto variegato entra in gioco anche « il luogo » dei due annunci, recati dall'angelo Gabriele.
L'apparizione a Zaccaria avviene nel tempio di Gerusalemme, « alla destra dell'altare dell'incenso » (Lc 1,11). Siamo quindi nell'area più sacra di tutto Israele, popolo dell'Antica Alleanza.
L'annuncio a Maria, al contrario, ha come scenario « una città della Galilea, chiamata Nazaret » (Lc 1,26). Da un perimetro di sacralità qual era il tempio di Gerusalemme passiamo quindi a una zona profana, la « Galilea delle genti » (cfr. Is 8,23 citato da Mt 4,14-15). La Galilea era così denominata in quanto, a motivo dei suoi confini con territori stranieri, era abitata anche da persone non ebree. Si configurava, perciò, come una regione ibrida, non pura, quasi bastarda. Di qui la nota di spregio nei suoi confronti, testimoniata anche dal vangelo di Giovanni: « Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? », bisbiglia Natanaele (Gv 1,46), lui pure un galileo di Cana (Gv 21,2). I farisei, inoltre, quando si accorgono che Nicodemo non nascondeva una qualche simpatia verso Gesù, lo metteranno sull'attenti, obiettandogli: « Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea! » (Gv 7,52).
Ed ecco il paradosso del piano divino: là dove gli uomini hanno pronunciato un verdetto di emarginazione, proprio lì Dio costruisce il suo disegno. L'annuncio dell'Alleanza nuova ed eterna (ché tale è l'incarnazione del Figlio dell'Altissimo nel grembo di Maria) ha luogo non a Gerusalemme, nel Tempio, bensì in Galilea: una frangia quasi ai margini della Terra Santa, ove convivevano ebrei e non ebrei. Sulla mappa della strategia di Dio, Nazaret e la persona di Maria appaiono come il segno augurale dell'universalismo cristiano. Dio abbandona il Tempio, per abitare in mezzo alle Genti. La sua dimora non è più vincolata a un popolo e a uno spazio. Ormai ogni angolo di questo mondo, per quanto nascosto e insignificante agli occhi della gente, può essere benissimo il santuario della sua inabitazione. Ogni persona che accolga la parola evangelica diverrà sacrario della Presenza divina. Dirà un giorno Gesù medesimo: « Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica » (Lc 8,21; cfr. Gv 4,20-24 e 14,23).
L'evangelista Luca, in effetti, pare che voglia prescindere da una localizzazione dell'annuncio a Maria, poiché scrive che l'angelo Gabriele « ...entrò da lei » (Lc 1,28). Poco più avanti egli ricorderà che Maria, dopo aver visitato la parente Elisabetta, « . . . tornò a casa sua » (Lc 1,56). Situandosi però nel cuore dell'evento, Luca sembra indicare la persona della Vergine come il mistico spazio ove Dio scende a dialogare con lei. In tutto questo è adombrata l'economia dei tempi nuovi. Il Dio dell'Alleanza, incarnandosi nel grembo di una donna che risiede nella Galilea degli stranieri, si rivela ormai come il Dio che, attraverso Israele, si fa vicino a ogni persona che « ...lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga » (At 10,35).

2. « Videro il Bambino con Maria sua Madre» (Mi 2,11)

La scena dell'adorazione dei Magi - come intuì bene la liturgia romana fin dai secoli V-VI è chiaramente ispirata al capitolo 60 del profeta Isaia. In questo oracolo (vv. 1-6) il profeta celebra la gloria di Gerusalemme conseguente al ritorno degli esuli da Babilonia. Altri brani similari dello stesso libro di Isaia esaltano il tempio ricostruito dalle rovine come il luogo in cui il Signore avrebbe radunato non solo gli ebrei che tornavano dalla schiavitù di Babilonia, ma anche tutti gli altri popoli (Is 56,3-8; 66,20-21; cfr. Tb 13,11-13; 14,5-7...). Gerusalemme, allora, diviene Madre universale. Infatti entro il grembo delle sue mura essa accoglierà tutte le nazioni, che salgono alla città santa per adorare l'unico Signore nel Tempio. Re e principesse, canta il profeta all'indirizzo di Gerusalemme, « ...con la faccia a terra si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi... Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori, ti si getteranno proni alle piante dei piedi» (Is 49,23; 60,14).
Allo sguardo del profeta, Gerusalemme appare semplicemente come « la Città-Madre ». La letteratura giudaica, anche precristiana, rimeditando in chiave attualizzante i suddetti squarci profetici, dava risalto alla persona del Messia, che avrebbe regnato nella Nuova Gerusalemme-Madre universale. A lui sarebbero venute le nazioni dalle estremità del mondo, per ammirare la sua gloria e offrirgli doni5.
Orbene: questo complesso di tradizioni confluisce nel racconto di Mt 2,1-11, dando luogo però a significative trasposizioni. Per esempio: al posto dei re e delle principesse che, secondo Isaia, con la faccia a terra si sarebbero prostrati davanti a Gerusalemme, baciando la polvere dei suoi piedi (Is 49,23; cfr. Is 60,14), stanno ora i Magi: essi « si prostrano » davanti al Bambino e lo « adorano » (Mt 2,1 lb). E se ricchi mercanti, al dire ancora del profeta, avrebbero mosso il passo verso Gerusalemme con stuoli di cammelli, «...portando oro e incenso » (Is 60,6), vediamo adesso i Magi che presentano al Messia « ...oro, incenso e mirra >i (Mt 2,11c). Si noterà inoltre che questi sapienti incontrano il neonato Messia non a Gerusalemme, nel Tempio; d'ora innanzi il grembo e le ginocchia di Maria, Madre vergine dell'Emmanuele-Dio con noi (Mt 1,23), divengono l'arca naturale ove riposa la maestà divina del Re Bambino.
È fuor di dubbio che nella persona dei Magi l'evangelista Matteo abbia voluto significare tutti i Gentili che si aprono alla fede in Cristo (cfr. Mt 8,11 e Mt 28,19). Entrando in questa mistica « casa » che è la Chiesa (cfr. Mt 16,18; 7,24), quale visione si dispiega ai loro occhi? Risponde l'evangelista: «Videro il Bambino con Maria sua Madre...»(Mt2,11).
Da una parte, quindi, è Maria che presenta al mondo il Dio fatto bambino, il « Dio con noi » (cfr. Mt 1,23; 28,20). Dall'altra, ogni credente in Cristo si renderà conto che Maria è strettamente congiunta al Figlio, come radice dalla quale germina il Fiore.

3. «Donna, ecco il tuo figlio! » (Gv 19,26)

Credo sia utile un richiamo: nel magistero pontificio di questi ultimi cento anni, la persona del discepolo amato presente accanto alla croce (Gv 19,25-27) è considerata come rappresentante non solo di tutti i discepoli di Cristo, ma anche dell'intera famiglia umana. Questa lettura ecumenica è documentata da vari pronunciamenti di Leone XIII, Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo II. Leone XIII asseriva nell'enciclica Adiutricem populi (5 settembre 1895): « Nella persona di Giovanni, secondo il pensiero costante della Chiesa, Cristo volle additare il genere umano e, particolarmente, tutti coloro che avrebbero aderito a lui con la fede »6.
Paolo VI, nell'esortazione apostolica Signum magnum (13 maggio 1967), scrive che Maria è stata «...proclamata Madre non solo del discepolo Giovanni, ma - sia consentito affermarlo - del genere umano da lui in qualche modo rappresentato »7.
Giovanni Paolo II, fin dal primo anno del suo magistero pontificio (1978), va ripetendo frequentemente che il discepolo sotto la croce è figura di ogni discepolo e di tutti i discepoli, di ciascun uomo e dell'intera umanità8. Per non citare che un solo esempio, mi limito a uno stralcio della catechesi che egli teneva durante l'udienza generale di mercoledì 23 novembre 1988: « Il gesto di Gesù... ha un valore simbolico. Non è solo un gesto di ordine familiare, come di un figlio che prende a cuore la sorte di sua madre, ma è il gesto del Redentore del mondo che assicura a Maria, come "donna", un ruolo di nuova maternità per rapporto a tutti gli uomini, chiamati a riunirsi nella Chiesa. In quel momento, dunque, Maria è costituita, e quasi si direbbe "consacrata", come Madre della Chiesa dell'alto della croce »9.
Questa valenza ecumenica riconosciuta alla persona del discepolo amato e, di conseguenza, alla maternità spirituale di Maria, ha un solido fondamento nello stesso vangelo di Giovanni.
Secondo questo vangelo, infatti, Gesù è « la salvezza [che] viene dai Giudei » (G v 4,22); ma è al tempo stesso « il Salvatore del mondo » (Gv 4,41; cfr. lGv 4,14). Egli è il Dono supremo in cui splende visibilmente l'amore di Dio per il mondo (Gv 3,16). Cristo, il Verbo divino fatto uomo, è l'amplesso, il sorriso e il bacio del Padre per ciascuno dei suoi figli e figlie.
Gesù, dichiara ancora il medesimo evangelista per bocca di Caifa, « ...doveva morire per la nazione [ebraica], e non soltanto per la nazione, ma anche per radunare nell'unità i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,51-52).
La riunione dei dispersi figli di Dio cui accenna Giovanni, è un tema dell'Antico Testamento, che racchiude risonanze molteplici.
I « figli di Dio » sono i membri del popolo d'Israele; essi godono di questo titolo in forza dell'Alleanza sinaitica10. Sono detti « dispersi » in relazione al tempo in cui furono esiliati in terra straniera, specialmente a Babilonia, a causa delle loro infedeltà all'Alleanza11. Ma col ritorno dalla deportazione (538 a.C.), Dio « raduna » nuovamente i suoi figli nella terra promessa di Palestina12, mediante l'opera del suo Servo sofferente (Is 49,5-6). Il Tempio, ricostruito dalle rovine, diviene il luogo emblematico del raduno dei dispersi. Al suo interno, tanto gli Ebrei quanto i Gentili si riuniscono come un solo popolo per adorare l'Unico Signore di tutti13. E Gerusalemme, nell'atto di accogliere questi figli innumerevoli entro il grembo delle sue mura, diviene Madre universale di tutti i popoli14.
L'evangelista Giovanni rilegge questa gamma di temi alla luce del mistero pasquale di Cristo. Nell'ottica giovannea, i « figli di Dio » sono non soltanto gli appartenenti al popolo d'Israele ma anche tutti coloro che accolgono Gesù e la sua Parola (Gv 1,12; l G v 3,1.2.9.10; 5,1.2). L'umanità tutta quanta è « dispersa », in quanto è esposta agli assalti del lupo, cioè del Maligno, che rapisce e disperde (Gv 10,12; 16,32). Cristo, « Agnello di Dio » (Gv 1,29.36), cioè Servo sofferente del Padre, muore « per radunare nell'unità i dispersi figli di Dio », Ebrei e Gentili (Gv 11,51-52). Egli ricompone la dispersione del genere umano in un altro Tempio e in un'altra Gerusalemme. Il Tempio nuovo è la sua stessa Persona, nella quale sussiste l'unità del Padre e del Figlio (Gv 10,30). E la nuova Gerusalemme-Madre è la Chiesa (cfr. Gv 10,16), simbolizzata nella persona della Madre di Gesù accanto alla croce. Se all'antica Gerusalemme il profeta diceva: « Ecco i tuoi figli radunati insieme >i (Is 60,4 nei Settanta), ora Gesù dice a sua Madre: « Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26).
Questo « figlio », che è il discepolo amato da Gesù, rappresenta dunque tutta l'umanità dispersa e radunata dalla morte di Cristo Salvatore. È questo il raduno universale per il quale Gesù ha pregato (e continua a pregare) dicendo: « Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola... Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (Gv 17,21.22-23).

Conclusione

Citavo il paragrafo iniziale della Lumen gentium per introdurre le presenti riflessioni. Ora, a termine delle medesime, vorrei rifarmi al grandioso epilogo della suddetta Costituzione; un epilogo che non mancò di impressionare per gli ampi orizzonti che dischiudeva alla devozione mariana: « Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla Madre di Dio e degli uomini, perché essa, che con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo, esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella Comunione dei Santi, interceda presso il Figlio suo, finché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome cristiano sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità »15.
A distanza di quasi tre decenni, siamo in grado di misurare la lungimiranza profetica di quello squarcio finale della Lumen gentium. Diciamolo pure: il Concilio ha trent'anni, ma non li dimostra! Sulla scia aperta dal Concilio, il 4 settembre 1984 il Segretariato per i Non-Cristiani rilasciava il seguente commento: « Dio solo conosce i tempi, Lui a cui niente è impossibile, Lui il cui misterioso e silenzioso Spirito apre alle persone e ai popoli le vie del dialogo per superare le differenze razziali, sociali e religiose e arricchirsi reciprocamente. Ecco dunque il tempo della pazienza di Dio nel quale opera la Chiesa ed ogni comunità cristiana, perché nessuno può obbligare Dio ad agire più in fretta di quanto ha scelto di fare.
Ma davanti alla nuova umanità del terzo millennio, possa la Chiesa irradiare un cristianesimo aperto per attendere nella pazienza che spunti il seme gettato nelle lacrime e nella fiducia (cfr. Gc 5,7-8; Mc 4,26-29) » 16.
Di questo « cristianesimo aperto » daremo una testimonianza suadente se, con Maria sorella e madre di tutti, sapremo chinarci su ogni persona e su ogni altra creatura con simpatia amicale, con tenerezza materna.

NOTE

1 Costituzione dogmatica « Lumen gentium » (21 novembre 1964), in Enchiridion Vaticanum, EDB,1, Bologna 1979, pp. 120-121.
2 Dopo aver ricordato che « ...Abramo è per noi un modello comune di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di confidenza nella sua bontà », il papa aggiungeva le seguenti parole, che suonavano come un presagio augurale sui tempi futuri: « La lealtà esige altresì che noi riconosciamo e rispettiamo le nostre differenze... Sono differenze importanti, che possiamo accettare con umiltà e rispetto, nella reciproca tolleranza. C'è lì un mistero sul quale Dio, un giorno, ci illuminerà. Io ne sono certo ». Cfr. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/2 (luglio-dicembre 1985), pp. 497-498, 506 (mio è il corsivo; ma è anche la versione dal francese).
3 Acta Apostolicae Sedis 76 (1984), p. 712, n. 6.
4 Per la rispettiva documentazione, si potranno vedere i seguenti miei scritti: voce Bibbia, in Nuovo dizionario di mariologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986, pp. 240-243, 245-249, 284-292, più i rispettivi rimandi alle voci Madre di Dio (p. 808) e Regina (pp. 1192-1193); Maria a Cana e presso la Croce. Saggio di Mariologia giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Ed. Centro di Cultura Mariana « Mater Ecclesiae », Roma 1991, pp. 79-121.
5 Cfr. il salmo 44,13 nella versione greca dei Settanta (secoli III-II a.C.): « Si prostreranno a lui [= il Re] le figlie di Tiro con doni ». Poi i Salmi di Salomone (50 ca. a.C.), 17,31: « Dalla estremità della terra verranno le nazioni a vedere la gloria di lui [= il Re Messia, figlio di Davide]... e a vedere la gloria del Signore, con la quale Dio ha glorificato [Gerusalemme] ». Infine il Targum del salmo 44,10.14.
6 A. Tondini, Le encicliche mariane, Belardetti, Roma 1950, pp. 222-223.
7 Enchiridion Vaticanum cit., 2 (1963-1967), pp. 984-985.
8 G. Kwiecieñ, L'interpretazione di Gv 19,25-27 nel magistero di Giovanni Paolo II (anni 1978-1990). Temi scelti. Tesi dattiloscritta presentata alla Facoltà Teologica « Marianum » (Roma), vol. I (testo), Roma 1992, pp. 1-4. Per gli anni 1978-1990 si contano circa 130 commenti del Santo Padre su Gv 19,25-27.
9 Insegnamenti di Giovanni Paolo II, cit., XI/4 (novembre-dicembre 1988), p. 1636.
10 Os 2,1; 11,1; Is 1,2; 43,6; 63,8; Ger 31,19; Sap 9,7.
11 Dt 4,25-27; 28,62-66; 2Re 17,7-23...
12 Is 40,11; 43,5-6; Ger 23,3; 31,8-11; Ez 34,13...
13 Is 56,6-7; 66,18-21; Tb 14,5-7...
14 Is 49,18-23; 54,1-3; 60,1-22; 66,7-13; Bar 4,36-37; 5,5-6...; Sal 87.
15 Enchiridion V'aticanum cit., 1, pp. 254-255.
16 L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione (4 settembre 1984), in Enchiridion Vaticanum cit., 9 (1983-1985), pp. 942-943.
 

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