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  Maria alle nozze di Cana 
BibbiaSignificati e risonanze bibliche dell'evento

 Inquadratura teologico – interpretativa del “segno” di Cana

Più che badare ai datai di cronaca, per Giovanni conta soprattutto il fatto che nel paesino di Cana fu un giorno ospite Gesù, nella cornice di un tripudio che si stava spegnendo in una cocente delusione, che squarcia il velo del mistero che avvolge la sua persona. Probabilmente anche Giovanni fu testimone oculare dell’evento – segno e la sua memoria ne rimase folgorata facendolo oggetto di approfondita meditazione dove cronaca e dottrina, storia e teologia si intrecciano e si compenetrano. E’ questo il motivo per cui l’evangelista ispira il suo racconto di Cana sia la racconto del Sinai che a quello della Pasqua.

SINAI (Es 19,11)

CANA (Gv 2,1.11)

PASQUA(Gv 2, 190-20; 20-21)

Il terzo giorno Yahwéh rivelò la sua gloria a Mosè e il popolo credette in lui.

Il terzo giornoGesù rivelò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui

Il terzo giorno Gesù riveò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui.

La corrispondenza tra i tre racconti non è solo corrispondenza di termini, ma anche di temi che fanno capo ora al Sinai e ora alla Pasqua oppure all’uno e l’altra insieme. Il ricorso ai temi dunque dell’antica letteratura giudaica è indispensabile per capire il testo di Cana.


 La settimana inaugurale del ministero di Gesù

Il Segno di Cana è datato al “terzo giorno”. Questa annotazione cronologica ha lo scopo di porre in relazione il primo miracolo di Gesù col Sinai e con la Risurrezione.

IL SINAI
Il terzo giorno di Cana fa parte a sua volta dei giorni entro i quali Giovanni suddivide i primi atti del ministero profetico di Gesù. Ne viene fuori una sequenza di giorni così articolata:

GIORNO

EVENTI

I giorno

1,19-28: Testimonianza di Giovanni davanti ai sacerdoti e leviti di Gerusalemme

II giorno

1,29-34: Giovanni addita Gesù come l’Agnello di Dio

III giorno

1,35-42: Due discepoli del Battista e Pietro sono chiamati da Gesù

IV Giorno

1,43-51: Vocazione di Filippo e di Natanaele

“Il terzo giorno”

2, 1-11:  Nozze di Cana

“Non molti giorni”

2,12:      Dimora a Cana di Gesù, Maria e i discepoli

La fonte alla quale si ispira Giovanni per tale schema cronologico, sono probabilmente antiche tradizioni giudaiche che erano solite distribuire in più giorni i fatti del Sinai. Sono essere soprattutto tre:
- 6 giorni: i Rabbini in genere
- 7 giorni: Uosè il Galieleo (110 d.C. e Rabbah (150 d.C.)
- 7/8 giorni: Targun dello pseudo Gionata sul Pentateuco.
Quest’ultimo schema si presenta così:

GIORNO

EVENTI

I

Es 19,1-2: Gli Ebrei giungono al deserto del Sinai

II

Es 19, 3-8: Mosè sale sul monte e ritorna al popolo. Ritorna al monte e riferisce a Dio le parole del popolo: “Tutto ciò che ha detto Dio noi lo faremo”

III

Dio dice a Mosè: “Io mi rivelerò a te” e Mosè lo riferisce al popolo

IV

Dio ordina ordina al popolo di lavare le vesti e a Mosè di prepararsi perché al terzo giorno si rivelerà agli occhi di tutto il popolo sulla montagna del Sinai

IL TERZO GIORNO

Rivelazione di Dio sulla montagna del Sinai

VII

Ratifica dell’alleanza davanti alle stele delle 12 tribù di Israele

VIII(?)

Mosè e quanti saliti con lui sul monte vedono la gloria di  Dio. Mosè rimane 40 giorni e 40 notti sul Sinai.

Il più solenne di tutti i giorni è il “terzo giorno”, il sesto della serie, perché è il giorno in cui viene donata da Dio la legge a Mosè. Questo schema cronologico è usato dalla tradizione giudaica esclusivamente per narrare i fatti della teofania sinaitica e probabilmente è di estrazione liturgica. Pare, cioè, che rifletta i giorni della festa che commemorava il grande evento del Sinai. Due secoli prima di Cristo coincideva con la solennità della Pentecoste e veniva celebrata al terzo mese dell’anno nei circoli sacerdotali e poteva durare sei,sette, otto giorni, a seconda le correnti del giudaismo.

LA RESURREZIONE
Il “terzo giorno” di Cana, oltre che al “terzo giorno” del Sinai, dice ordine anche al “terzo giorno” della Risurrezione di Cristo. Ecco alcune considerazioni:
1. Il nesso tra “terzo giorno” e risurrezione è dichiarato espressamente da Giovanni come anche dai Sinottici e Paolo: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo riedificherò….Egli parlava del tempio che è il suo corpo”(Gv 2,19-22)
2. La formula il “terzo giorno” nel vangelo giovanneo è strettamente connessa con 2l’ora di Gesù” Ora secondo il quarto vangelo l’ora di Gesù designa una realtà unica: passione – morte – resurrezione del Salvatore. Il suo compimento è determinato dalla volontà del Padre. Nell’Ora il Padre rivela se stesso, perché egli è nel Figlio din dall’eternità, prima che il mondo fosse e rivela il potere che ha conferito al Figlio su ogni uomo, affinché doni loro la vita eterna.
3. Nell’escatologia del quarto vangelo la frase “terzo giorno” trova anche equivalenza in “in quel giorno” che deriva dal linguaggio escatologico dei profeti dell’antico testamento. In “quel giorno” che è “il terzo giorno” e cioè l’ora della passione – morte – resurrezione, è il giorno in cui saranno rivelati ai discepoli due aspetti dell’unico mistero del Verbo Incarnato: i discepoli conosceranno che Gesù è nel Padre, cioè la sua eguaglianza col Padre nella divinità e prenderanno coscienza anche dei legami interpersonali che Gesù vuole istituire con loro. “voi in me ed io in voi”(14,20). Da questo si vede che l’amore – unione del Padre col Figlio è il fondamento e la causa dell’amore – unione del Figlio coi discepoli e dei discepoli col Padre.

Il Loghion di Gv 11,51 in relazione al segno di Cana e al segno del tempio

In Gv 11,51 Gesù dice a Natanaele: “In verità, in verità vi dico: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. Quasi tutti gli esegeti riconoscono in queste parole il richiamo alla scala di Giacobbe. La tradizione giudaica interpretava la scala di Giacobbe come simbolo del monte Sinai e del Tempio. Giovanni sembra avere conoscenza di questa tradizione infatti:
- Gv 1,511 è conglobato entro quella serie di giorni che nel giudaismo veniva impiegata per narrare la teofania sinaitica;
- al racconto dell’incontro con Natanaele, Giovanni fa seguire il racconto di Cana anch’esso modellato sulle tradizioni del Sinai e del tempio. Ambedue i segno sono posti nell’orbita del “terzo giorno” e dell’ora di Gesù. Giovanni dunque sembra vedere in Gesù la scala di Giacobbe: il Figlio dell’uomo sarà il luogo privilegiato della rivelazione celeste, di quella rivelazione che egli può recare al mondo perché è in perfetta e sotanziale comunione con il Padre..Nel “terzo giorno” cioè nella sua Pasqua, egli apparirà a noi come il Sinai, cioè come la Legge e come il Tempio della nuova alleanza tra Do e gli uomini. 


“Che vi è fra me e te o Donna?”

SENSO DELLA FRASE
Questa espressione ricorre quindici volte nell’Antico Testamento e indica una divergenza di vedute da due o più interlocutori. Secondo il contesto questa divergenza può andare dal disaccordo lieve a quello radicale. Ecco un esempio:
- Iefte, condottiero di Israele, disapprova i propositi bellicosi del re di Ammon, il quale vavea ingaggiato guerra contro Israele. Egli manda i suoi messaggeri al re degli Ammoniti per dirgli: “Che c’è tra me e te, perché tu venga contro di me a muovere guerra al mio paese? “.(Giu 11,12-13)
Anche nel Nuovo Testamento è usato diverse volte: L’ossesso presente nella sinagoga di Cafarnao esclama a gran voce: “Che vi è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! So chi sei, il Santo di Dio” (Mc 1,24; cfr. Lc 4,34).
Quale disparità esiste tra la Madre e il Figlio alle nozze di Cana? Solo questa: Maria si preoccupa del vino materiale, Gesù invece lascia il discorso materiale per trasferirlo su un altro livello, quello concernente la sua Ora che è quella della passione – morte – resurrezione. Quando Gesù passa dalle realtà materiali a quelle spirituali, i suoi uditori non lo capiscono ed è ragionevole pensare che anche sua madre non abbia compreso quale fosse l’intentimento di Gesù. La stessa cosa era avvenuta nel tempio (“Essi non compresero le sue parole”Lc2,50). Ma forse illuminata dallo Spirito potè comprendere che a Cana Gesù voleva donare un altro vino: quello della sua Parola, del suo Vangelo, un vangelo che si identifica con la sua stessa persona e che egli avrebbe pienamente manifestato con il sopraggiungere della sua Ora.

UNA COSTANTE NEI SEGNI DI GESU’
Il modo col quale Gesù dialoga con la madre, si ripete in altri segni successivi narrati da Giovanni. In parole più chiare: Gesù mette alla prova la fede di coloro che gli chiedono di intervenire con un miracolo. Prima di esaudire le loro richieste egli fa capire di avere vedute più ampie di quelle dei suoi interlocutori. Egli non è affatto condizionato da alcun calcolo umano, poiché opera in conformità alla volontà del Padre. Adottando questa strategia, Gesù intende purificare ed elevare la fede dei suoi perché lo scopo prioritario del suo agire è la manifestazione della sua gloria, che genera a sua volta la fede dei discepoli. Gli esempi sono molti:
- Al funzionario di Cana che chiede la guarigione del figlio Gesù risponde: “se non vedete segni e prodigi voi non credete” (Gv 4,48);
- alla morte di Lazzaro: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate” (Gv 1,15;
Anche Maria è soggetta agli atteggiamenti e agli insegnamenti di suo Figlio, anche lei è chiamata a entrare nella cerchia di coloro che, al di là delle realtà umane, credono in lui e comprendono il verso significato della sua Parola.

MARIA L’ONNIPONTENZA SUPPLICE
La sua maniera di chiedere è normativa per la nostra preghiera. In presenza delle nostre infinite difficoltà non ci resta che dire al Signore: “Non abbiamo più vino”. Ma dobbiamo essere aperti all’accettazione e al compimento della sua volontà. E Dio verrà sempre in nostro aiuto.
La Vergine a Cana chiedeva il vino materiale. Dopo un apparente rifiuto e il suo invito ai servi di fare quello che egli avrebbe detto, Gesù esaudisce doppiamente la Madre: oltre a provvedere il vino nuovo, introduce la madre nella comprensione del vero significato del dono di Dio che è il Vangelo della salvezza.


“Quando egli vi dirà, fatelo!”. Importanza dell’invito di Maria ai Servi

Nell’AT ricorre spesso la frase “Quanto il Signore ha detto noi lo faremo” e si trova soprattutto in quei brani in cui tutto il popolo d’Israele promette obbedienza a Dio, nella stipulazione del Patto ai piedi del monte Sinai, oppure quando il patto o qualcuno dei suoi impegni veniva rinnovato. In questi testi due cose sono costanti:
- Il discorso del mediatore che ricorda i benefici concessi dal Dio al suo Popolo. Egli cerca di illuminare le menti perché siano in grado di comprendere nei giusti termini la volontà del Signore espressa nella Legge di Mosè;
- la risposta del popolo che dichiara unanime il proprio assenso con formule differenziate in quanto ai termini, ma identiche nel contenuto. Questa risposta del popolo è di grande importanza, perché la relazione che Dio vuole stabilire con Israele è di natura dialogica: Dio chiama e l’uomo risponde. Se l’uomo non risponde, il dialogo è morto. Dio non può agire, finché l’uomo non si converte.

Nel brano di Giovanni 2,5b, “Quanto egli vi dirà, fatelo” ci sono echi delle parole pronunciate dal popolo ai piedi del Sinai: “Quanto Dio ha detto, lo faremo” (Es 19, 8 e 24,3.7). Difatti:
- al Sinai Mosè stava tra Dio e il popolo; a Cana Maria sta tra Gesù e i servi;
- al Sinai il popolo si dichiarò pronto ad ascoltare e osservare tutto ciò che il Signore avrebbe detto tramite Mosè; a Cana Maria esorta i servi a fare quanto avrebbe detto Gesù;
- al Sinai il dono della Legge ebbe luogo dopo che il popolo pronunciò il suo atto di fede; a Cana il dono del vino nuovo, simbolo della nuova legge portata da Gesù, è preceduto e propiziato dalla fede di Maria, che viene trasmessa ai servi.
Perché Gesù si rivolge alla madre col termine Donna, inusuale nella letteratura ebraica e greca in un dialogo tra madre e figlio? Il segreto sta nel parallelismo delle due affermazioni:

POPOLO

MARIA

Quanto

Dio

Ha detto,

lo faremo

Quanto

Egli

Vi dirà

fatelo


Maria dunque ripete quello che il popolo aveva detto al Sinai, Giovanni dunque fa una identificazione indiretta fra tutto il popolo di Israele e la Madre di Gesù. Infatti Giovanni pone sulle labbra di Maria la professione di fede che tutta la comunità del popolo eletto emise un giorno in faccia al Sinai. Ora nel linguaggio biblico – giudaico, il popolo di Israele è rappresentato sovente sotto l’immagine di una Donna. Gesù dunque vede nella Madre sua la personificazione dell’antico popolo d’Israele giunto alla pienezza del tempo. Possiamo dire che il “Donna” di Giovanni corrisponde al “Figlia di Sion” di Luca. Entrambi gli evangelisti salutano in Maria il simbolo personificato di Israele, proteso verso la salvezza escatologica.

Le sei giare

SIGNIFICATO BIBLICO DI SEI
Le sei giare di Cana hanno un valore simbolico simboleggiano i sei giorni della creazione. Questo simbolismo è recepito dai Padri e dagli scrittori ecclesiastici, a partire da Origene. Ecco alcuni punti salienti dell’esegesi giudaico – cristiana del “segno” delle giare:
1. Il numero sei ha un legame con il mondo presente: Dio creò il mondo in sei giorni..
2. Questo racconto della creazione ha un carattere profetico:il modo con cui Dio crea il mondo, prelude al modo col quale egli lo ricrea, perfezionando lungo tutto il percorso della storia della salvezza. I sei giorni della creazione simboleggiano i sei millenni, nei quali Dio condurrà a perfezione l’opera delle sue mani.
3. Le sei età del mondo ( i sei millenni, i sei grandi giorni), sono figurati dalle sei giare di Cana. Con la venuta di Cristo si rivela compiutamente il senso della storia dei Padri che l’avevano preceduto; l’acqua della legge mosaica è convertita nel vino della novità del Vangelo.

APPLICAZIONI AL TESTO DI GV 2,6
1. Le sei giare di Cana raffigurano i sei grandi giorni della creazione o il sei millenni in cui si compie l’opera di Dio. Le due o tre metrete indicano che ognuna delle epoche, con le sue varie possibilità era in cammino di perfezione verso Cristo.
2. Le sei giare di Cana sono in rapporto col sesto giorno (= il terzo”) nel quale Gesù in cui Gesù sempre a Cana dona il vino nuovo delle nozze messianiche, come figura profetica della sua parola di rivelazione. Esse dunque si annodano anche col sesto (“terzo giorno”) del Sinai, quando il Signore diede la sua Legge a Israele, su tavole di pietra e al “sesto” giorno della passione di cristo che si sublima nel “terzo” giorno della risurrezione.
3. Le sei anfore nella loro staticità, simboleggiano la Parola di Cristo, come fondamento stabile della prima e della seconda creazione: della prima, perché tutto è stato fatto in vista di Lui; della seconda, perché a quanti aprono il suo cuore ala sua parola di verità, egli comunica il potere di diventare figli di Dio.


 “Ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua”

Nel quarto vangelo sono intrecciate come in simbiosi cronaca e dottrina, storia e simbolo. Le persone con i loro gesti e le loro parole, esprimono si l’ambiente reale e concreto, ma al tempo stesso rimandano puntualmente a realtà più profonde. Questo criterio del duplice livello si applica molto bene anche ai servi delle nozze di Cana sul piano della cronaca non sono altro che degli inservienti a sul piano della rilettura pasquale essi divengono il tipo del servizio che ogni discepolo deve rendere a Cristo. Questa lettura è suggerita da due espressioni presenti nel racconto:
1.Il direttore della mensa non sapeva donde venisse il vino buono, mentre “lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua”;
2. Nell’espressione “attingere l’acqua” c’è tutto un significato nascosto da rivelare.

I. “ATTINGERE L’ACQUA NEL LINGUAGGIO BIBLICO – GIUDAICO
Il verbo “attingere” = “Atleo” ricorre 7 volte nell’AT dei Settanta, uso collegato con un “pozzo”. Nel NT è usato esclusivamente nel vangelo di Giovanni: 4 volte in forma verbale e una in forma sostantivata. Nel suo senso ovvio letterale di base, significa “attingere – bere l’acqua”. Da questa accezione primaria è facile passare a quella simbolico – figurativa: l’acqua, secondo la tradizione biblica è il simbolo privilegiato della Torah intesa come “Parola di Dio”
A) Il giudaismo antico
- Il Targum aveva tradotto Is 13,3 “Attingere l’acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” nel modo seguente: “Ricevere una nuova istruzione, con gioia, da parte degli eletti della giustizia”. E nel punto in cui Isaia 55,1 diceva: “O voi che avete sete, venite all’acqua”, il Targum interpretava: “Chiunque brama l’istruzione, venga e impari”. Il Targum lascia dunque trasparire questa decodificazione: “acqua del pozzo di Beer = legge di Mosè”;
- Fra gli scritti di Qumràn, il Documento di Damasco offre una esegesi minuziosa di Num 21,18: scavare un pozzo con il bastone, significa applicarsi assiduamente allo studio della Torah sotto la condotta di un capo, di un istruttore, conformandosi agli insegnamenti e alle direttive da lui emanate.
B) Il Vangelo di Giovanni
I momenti in cui è presente la frase in questione sono due:
1. Nel dialogo con la Samaritana, il primo senso è chiaramente è quello che la donna viene realmente al pozzo per rifornirsi di acqua. Quello simbolico: vi è un altro tipo di acqua a cui attingere spiritualmente e questa è la Parola di Gesù;
2. “Attingere acqua” nel senso simbolico illustrato è uguale anche a “scrutare le scritture” e ricorre due volte. Nel discorso con Nicodemo si evince che il vero israelita è colui che si china amorevolmente sulla Parola di Dio, la studia, cerca di penetrarla, di approfondirla, per trarne ammaestramento di vita eterna.
C) Origene e la sua esegesi sui “pozzi”
Scrisse omelie memorabili sui significato dei pozzi di cui parla la Scrittura. Secondo Origene:
- i pozzi della Scrittura, sono una figura dei libri sacri stessi;
- “scavare i pozzi” sono le scritture dell’AT: Gesù aprì questi pozzi per spiegarne il significato; ogni cristiano deve scavare la scrittura per trovare l’acqua viva che disseta lo spirito;
- Scrittura – Legge – Profeti – Vangeli – Scritti Apostolici, formano per Origene un solo pozzo che è possibile scavare soltanto con l’aiuto dei “principi”, dei “profeti” che sono i maestri della Parola di Dio.

2. APPLICAZIONE A Gv 2,9
Valorizzando gli elementi emersi dalle considerazioni fatte e riflettendo sul contesto immediato delle nozze di Cana, nonché su quello più esteso del quarto vangelo, si può giungere a questa conclusione: i servi del banchetto appaiono come “diaconi”, “amici” e “testimoni” di Gesù
a) Servi “diaconi”
I servi sono chiamati “diakonoi”. Molti osservano già nel termine che l’evangelista descrive il discepolo – seguace di Gesù in termini di “diaconia”. Il servo di Gesù è un diacono, il quale segue Gesù, perchè nell’ambito di questa diaconia c’è anche l’obbedienza alla sua Parola. Le pecorelle che seguono lui, ascoltano la sua voce. E lo stesso Gv 8,31 afferma ce “discepolo verace è quello che rimane fedele alla parola di verità del Maestro”. I servi di Cana esprimono la loro diaconia obbedendo alla sua Parola, con assoluta disponibilità.
b) Servi “amici”
Gesù dice: “Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando” (Gv 15,14). Questa parola si applica molto bene ai servi di Cana. Essi fanno infatti ciò che Gesù ordina loro. Giovanni descrive incisivamente la parola – comando di Gesù e l’obbedienza dei servi: al duplice ordine di Gesù “Riempite d’acqua le giare…… ora attingete e portatene al maestro di tavola..” essi rispondono con l’immediata, duplice esecuzione del comando.
c) Servi “testimoni”
Giovanni sottolinea puntualmente che il maestro di tavola non sapeva da dove venisse il vino, ma lo sapevano benissimo i servi che avevano attinto l’acqua. Nella “conoscenza – testimonianza” dei serevi vi è il primo piano attinente alla cronaca dei fatti: Essi sono testimoni oculari del prodigio. Come tali sanno che l’ha compiuto Gesù e ne divulgano la notizia. Essi dunque:
- fanno sapere che da Gesù viene il vino nuovo: cioè divulgano “le grandi” cose fatte da Gesù. E’ chiaro il collegamento al filone dell’AT e del NT dove le cose meravigliose che Dio compie nella sua storia salvifica, devono essere destinate a tutto il popolo dell’Alleanza;
- sanno che dalla parola di Gesù viene la pienezza dell’AT. In questo atteggiamento dei servi c’è il riflesso della comunità cristiana che, sotto l’influsso dello Spirito Santo, ripensava tutto l’AT alla luce della Parola di Gesù. Gesù stesso aveva detto: “Voi scrutate le Scritture…..sono proprio esse che mi rendono testimonianza” (Gv5,39);
- conoscono in virtù dello Spirito Santo: è infatti lo Spirito che secondo Giovanni, apre il cuore ad accogliere la verità di Cristo, Figlio del Padre. Egli inegna ogni cosa ai discepoli, facendo loro ricordare ciò che Gesù ha detto.

3. CONCLUSIONE
Il servi di Cana non anche i primi servi di Maria. Essi accolsero il suggerimento della Madre di Gesù, quando diceva loro: “Quanto vi dirà, fatelo!”. Dovremo ricordarci che Giovanni scrisse l’evento di Cana sotto l’emblema del “terzo giorno” vale a dire: ciò che avviene alla mensa nuziale, è il pegno figurativo ed esemplare di ciò che avrà luogo in maniera stabile, quando sarà giunta “l’Ora” di Gesù che inaugura l’era pasquale della Chiesa: risorgendo dai morti, Gesù darà l’inizio all’economia dell’Alleanza nuova, che è la mistica mensa nuziale dell’Agnello – Sposo – Cristo con la sua Chiesa. Qui dunque troviamo la presenza e il ruolo della Madre di Gesù: nella vita della Chiesa ella continua a trasmettere il salutare consiglio: “Quanto vi dirà, fatelo!”. E noi, accogliendo la sua Parola, diventiamo suoi “servi – amici – diaconi”.


 Fonti dell'articolo

1.Aristide Serra
MARIA A CANA E PRESSO LA CROCE
Saggio di mariologia giovannea
Centro di Cultura mariana “Madre della Chiesa”, Roma 1978, pp.9 – 78

2.Aristide Serra
MARIA DI NAZARET
Una fede in cammino
Edizioni Paoline, Milano 1993, pp. 75-85 e 89-90.

3. Aristide Serra
...MA LO SAPEVANO I SERVI CHE AVEVANO TINTO L'ACQUA (Gv 2,9c)
I servi di Cana: diaconi, amici e testimoni di Gesù
Acta Congressus Mariologici – Mariani Internationalis in civitate Onubensi, anno 1992 celebrati, Vol V, Sectio Italica et Gallica
Pontifica Accademia Mariana Internationalis
Città del Vaticano 2000. pp 395-418

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