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  Maria nell'Antico Testamento 
Bibbia

Dal testo di Giovanni Rota, Note di Mariologia ad usum auditorum, Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano, Anno scolastico 2012-2013, pp. 8-10.



Maria nella testimonianza della Scrittura

Parliamo di “Scrittura” e non solo di NT, perché possiamo riconoscere nell’AT alcune linee interessanti che nel NT servono a interpretare il ruolo di Maria nella storia della salvezza1. Individuiamo in particolare tre linee tradizionali:
- I. L’immagine delle madri di Israele (Sara, Rebecca, Lia, Rachele, Bila e Zilpa, Anna, etc.);
- II. La linea teologica-profetica della figlia di Sion (è il modo con cui i profeti hanno presentato il mistero dell’alleanza e di Israele);
- III. La figura di Eva e della donna in genere (usata soprattutto da Giovanni).
La pietà e la teologia mariana si fondano, dunque, su una teologia della donna, già presente nell’AT. Anche se generalmente si dice che le donne non abbiano un posto di rilievo nell’AT. E questo perché nell’AT i profeti combattono il politeismo, che si presentava in genere come religione della fecondità che ritrova in Dio la distinzione sessuale di maschio e femmina. Connesso con il politeismo c’era anche il fenomeno della prostituzione sacra. Con questa pratica l’uomo si inseriva nei cicli della natura. L’idolatria è infatti spesso presentata sotto la figura della fornicazione. Di conseguenza il culto di Israele sarebbe primariamente affare degli uomini, poiché durante la sua celebrazione la donna rimane nel vestibolo del tempio. Da questo fatto alcuni concludono che la donna non avrebbe una collocazione positiva nell’AT e quindi la mariologia non sarebbe una ripresa di una teologia della donna dell’AT, ma la ripresa di un modello di culto non biblico. Inoltre alcuni autori dicono che il concilio di Efeso non avrebbe fatto altro che riscoprire e trasformare il culto di Artemide, molto florido e diffuso ad Efeso già al tempo di Paolo (At 19,23-41).
Occorre dire però che sono falsi i presupposti veterotestamentari di questo modo di vedere, perché se la fede profetica rigetta il modello delle divinità in “sizigia”, ossia in coppia, e la loro corrispondenza nella prostituzione sacra, quella stessa fede profetica assegna alla donna una posizione indispensabile, la cui corrispondenza nella vita umana è il matrimonio. Se i culti della fecondità trovano il corrispettivo nella prostituzione sacra, la fede nel Dio dell’Alleanza si esprime nel rapporto uomo-donna presente nel matrimonio. Il matrimonio è in consonanza con l’immagine di Dio vera e propria presente nell’uomo maschio e femmina (Gen 1,27). Questa traiettoria trova la esplicazione più perfetta in Mc 10,1-122 e in Ef 5,31-32.

1. Prima linea: Eva

La prima linea veterotestamentaria è quella relativa alla figura di Eva. Eva è colei che sta necessariamente di fronte all’uomo Adamo, che senza di lei si troverebbe in una condizione non “buona”3. Eva non viene dalla terra, ma da Adamo. Ciò significa l’intima reciproca correlazione tra l’uomo e la donna. Correlazione in cui soltanto si compie la totalità dell’umano come uomo e donna (cfr. anche Gen 1,27). Questa relazione può essere però ambivalente: può trasformarsi infatti in una relazione di seduzione. Eva rimane comunque la madre di tutti i viventi, conservando quella potenza (vita) antagonista della morte. La donna, che porge il frutto della morte, il cui compito è misteriosamente affratellato alla morte, è anche la guardasigilli della vita e l’antitesi della morte. In tal modo la donna, che porta la chiave della vita, tocca direttamente il mistero dell’essere, il Dio vivente, dal quale in definitiva proviene ogni vita e che proprio per questo è chiamato la Vita, il Vivente.

2. Seconda linea: le grandi madri dell’Antico Testamento

a) Nelle storie della promessa dell’AT non ci sono solo i padri, ma anche le madri e spesso sono presentate a coppie: Sara e Agar, Rachele e Lia, Anna e Peninna, etc.
b) Spesso in queste coppie c’è una contrapposizione tra fertilità e sterilità. E a volte si giunge ad una contrapposizione di valori perché sembra che sia la sterilità ad essere benedetta. C’è un senso teologico in tutto ciò: è il sovvertimento di cui parlerà Paolo nelle sue lettere (Rm 4; Gal 3,1-14; 4,21-31): vero figlio di Abramo non è il discendente fisico, ma colui che in modo nuovo viene concepito dalla forza creatrice della parola della promessa di Dio. Non già la vita fisica in quanto tale è ricchezza, ma solamente la promessa, che sta oltre la vita, trasforma la vita completamente in vita.
c) Il canto di Anna, ripreso nel Magnificat, sviluppa da questo tema una teologia della grazia (1Sam 2,8). Per Anna (e per Maria nel Magnificat) in questo singolare fenomeno delle donne non benedette-benedette, risplende l’attenzione di Dio per il misero, per l’impotente… e l’amore di Dio che quell’attenzione comporta. Si annuncia il mistero dell’ultimo posto (Lc 14,10), lo scambio di posto tra primi e ultimi (Mc 10,31), il rovesciamento dei valori del discorso della montagna, il rovescia-mento dei valori terreni che si fondano sulla hybris. Ma anche la teologia della verginità trova il suo primo spunto ancora velato: la sterilità terrena diventa fecondità vera…
d) In testi tardivi appaiono nuove figure salvatrici di donna (Ester, Giuditta), che riprendono la figura antica di Debora, donna giudice (Giudici 4-5). Ester e Giuditta si trovano in una situazione di oppressione, rappresentano l’Israele sconfitto, oltraggiato, ma anche la forza spirituale, indistruttibile di Israele, la speranza. Sono la debolezza umana in cui Dio rivela la sua forza.

3. Terza linea: La figlia di Sion

In questa terza linea troviamo il punto centrale della teologia veterotestamentaria della donna: lo stesso Israele, il popolo eletto, viene presentato come donna, come vergine, come amata, come sposa, come madre. Le grandi donne di Israele rappresentano ciò che questo stesso popolo è. La storia delle donne del popolo d’Israele diventa la teologia del popolo di Dio e quindi diventa insieme la teologia dell’alleanza. Il termine alleanza è un termine preso dai patti di vassallaggio, dove il rapporto tra il re e il suo vassallo, è paragonato a quello di Dio con il suo popolo. Nella teologia profetica questo concetto politico-giuridico dell’alleanza viene sempre più approfondito e superato: il rapporto di alleanza tra Yhwh e Israele è un’alleanza di amore matrimoniale (Os 2; Ger; Ez), per cui Dio è lo sposo del suo popolo Israele (visto come donna). Ed essendo stato Dio stesso a stabilire l’alleanza, quest’ultima sarà irreversibile ed eterna, un’alleanza matrimoniale come nel rapporto fra uomo e donna: all’unico Dio appartiene Israele. Stando così le cose, l’alleanza, sulla quale si fonda l’essere popolo di Israele e l’essere israelita di ogni singolo, si manifesta tra le persone nella fedeltà dell’alleanza matrimoniale: il matrimonio è la forma, derivante dall’alleanza, del rapporto reciproco tra uomo e donna, rapporto reciproco su cui si basa tutta la storia umana. Essa racchiude in sé teologia, anzi, essa è veramente possibile e comprensibile solamente sul piano teologico. Ma prima di tutto, ciò significa anche: a Dio, all’Unico, non appartiene una dea, ma secondo la rivelazione che egli fa di se stesso, gli appartiene la creatura eletta, Israele, la Figlia di Sion, la donna.
Nell’AT questa linea resta incompiuta e aperta in attesa di quella donna che viene designata come il vero resto santo, come la vera Figlia di Sion e che perciò diventa la madre del Redentore.

4. Quarta linea: la linea sapienziale

Questa linea non si trova nel NT, bensì nella liturgia della Chiesa, che riprende le linee di Ester e di Giuditta e le letture sulla sapienza. La linea sapienziale è una linea tardiva di Israele che sviluppa le figure della sapienza (sophía), ripresa da modelli egiziani adattati alla figura di Israele.
La sapienza si presenta come intermediaria della creazione, della storia della salvezza, come la prima creatura di Dio, nella quale si esprime la pura figura originaria della sua volontà creatrice e, al tempo stesso, la pura risposta che egli trova in essa. La creazione risponde e la risposta è vicina a Dio come compagno di giochi, come un’amante (Prov 8; Sir 24).
La liturgia della Chiesa ha riferito a Maria le letture sulla sapienza. Questo fatto è stato assai criticato dal movimento liturgico: in conseguenza del suo orientamento biblico ha riletto questi testi in un’ottica cristologica, essendo Cristo “sapienza di Dio e potenza di Dio” (1Cor 1,24). Questo è senz’altro corretto. D’altra parte, rimane qualcosa che non poteva essere integrato completamente nella cristologia: “sapienza” è termine femminile sia in greco che in ebraico (hochmah) e, per la coscienza linguistica degli antichi, un fatto di questo genere non è un semplice fenomeno grammaticale. Sophia indica anche la risposta che viene dalla chiamata divina della creazione e dell’elezione. Essa rivela che esiste la risposta pura e che in essa trova la sua sede irrevocabile l’amore di Dio.
La sophía rimanda al Logos, alla Parola che fonda la sapienza, ma anche alla risposta femminile che accoglie la sapienza e la porta a frutto.

5. Conclusione

La figura della donna è indispensabile per la struttura della fede biblica. Essa esprime la realtà della creazione, la fecondità della grazia. Nel momento in cui, nel NT, gli astratti schemi di speranza nell’intervento di Dio per il popolo ricevono, nella figura di Gesù Cristo, un nome concreto, personale, anche la figura della donna, considerata fino a quel momento in maniera solamente tipologica in Israele, e tuttavia personalizzata provvisoriamente nelle grandi donne, si fa avanti con un nome e come sintesi personale solamente nella persona; ma la persona, appunto perché singola, indica sempre oltre se stessa, in direzione di quella totalità che essa porta e rappresenta: Maria.
Il negare o rifiutare l’elemento femminile nella fede e quindi concretamente l’elemento mariano, porta alla fine alla negazione della creazione e della realtà della grazia, in una concezione dell’attività solitaria di Dio che trasforma la creazione in una maschera e disconosce quindi anche il Dio della Bibbia, caratterizzato dal fatto che egli è il Creatore e il Dio dell’Alleanza.

NOTE
1
Ci ispiriamo in particolare a: J. RATZINGER, La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 19952, 11-28; I. DE LA POTTERIE, “Introduzione: Lo sfondo biblico della figura neotestamentaria di Maria”, in ID., Maria nel mistero dell’alleanza, Marietti, Genova 1988, 17-32; A. SERRA, “La presenza e la funzione della madre del Messia nell’Antico Testamento. Principi per la ricerca e applicazioni”, in Maria di Nazaret nella Bibbia, Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica vol. 40, Borla, Roma 2005, 15-142, con bibl.; ID., La Donna dell’Alleanza. Prefigurazioni di Maria nell’Antico Testamento, EMP, Padova 2006.
2 Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
3 Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda»: Gen. 2,18.

 

Inserito Domenica 2 Giugno 2013, alle ore 23:37:15 da latheotokos
 
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