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  La devozione mariana nella storia della Chiesa  
Devozione

Una ricerca del Prof. Saverio Xeres, docente di storia della chiesa e direttore dell'Archivio storico della diocesi di Como.



 

La devozione mariana non è soltanto un elemento costante della vita della Chiesa nei suoi duemila anni di storia; essa può essere a buon diritto considerata come un punto di osservazione profondo, interiore, dello spirito ecclesiale, dei suoi sviluppi e delle sue involuzioni. Maria, infatti, è l’immagine e il modello della Chiesa. Più precisamente, modello della "forma" primitiva della Chiesa, quella delle origini: di qui l’intensificarsi del richiamo a Maria durante le fasi di maggiore tensione ri-formatrice della vicenda ecclesiale. Una riflessione di storia generale della Chiesa, sia pure in forma di estrema sintesi, può essere utile per collocare le espressioni locali della devozione mariana, i santuari innanzitutto, che vengono di seguito analiticamente presentati. Storia locale e storia generale, infatti, lungi dal contrapporsi o – peggio ancora – dall’ignorarsi reciprocamente, utilmente si integrano e si illuminano l’un l’altra.

Epoca antica-orientale

Prima fase (I-III secolo)
In questa prima fase, che corrisponde ai secoli iniziali della vita della Chiesa ed alla sua collocazione marginale rispetto all’organizzazione politica e sociale, le rarissime testimonianze ci delineano una posizione di Maria nella Chiesa caratterizzata da estrema sobrietà: né chiese dedicate a lei, né feste particolari, eccetto quella della sua maternità, il 1° gennaio, legata dunque al ciclo natalizio. Non che ella non sia presente, nella devozione, tra il popolo cristiano. Fin dal II secolo, nelle catacombe romane di Santa Priscilla, compare l’immagine di Maria che, con il bambino, accoglie i Magi; un papiro egiziano del III secolo ci ha conservato, in greco, quella che può essere ritenuta la più antica preghiera mariana: Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genetrix ("Sotto la tua protezione, o santa madre di Dio, noi ci rifugiamo"). Si potrebbe dire che per l’epoca primitiva la presenza di Maria risulta ben inserita – al punto da sembrare quasi nascosta – nel popolo dei cristiani; comunque sobria e discreta, tanto che anche nel massimo titolo che essa riceve, appare correttamente in posizione essenzialmente relativa al centro della fede cristiana, la persona di Cristo.

Seconda fase (V-VII secolo)
Con la fondamentale svolta impressa da Costantino all’inizio del IV secolo, per cui la Chiesa, più che "liberata", viene fortemente connessa, come base universale di consenso, alla struttura imperiale, si diede origine ad una prima forma di "cristianità", ossia quel complesso e mutevole sistema di concezione ideale e di organizzazione politica della società che delinea come un tutt’uno il regno terreno – ovviamente affidato ad un sovrano cristiano – e l’istituzione ecclesiastica, e l’uno e l’altra insieme quale anticipo e inizio del regno di Dio. Dunque è una visione per sua natura universale, "ecumenica", che comprende non soltanto tutta l’umanità storica, bensì anche la comunità dei santi; non solo la terra, ma anche, in anticipo e promessa, il cielo. Si evidenzia dunque, alla coscienza collettiva, uno spazio intermedio, o di mediazione, tra cielo e terra; ed è in questo contesto generale e fondamentale che va collocato il forte intensificarsi della devozione mariana che accompagna e segue la dichiarazione solenne di "Maria madre di Dio" fatta al concilio di Efeso (anno 431). Sullo sfondo della cristianità universale, infatti, la Vergine – a un tempo creatura umana ma ricolmata dei più grandi favori divini – si staglia come la figura che identifica perfettamente quel nuovo spazio di connessione fra cielo e terra venutosi a delineare. Unica, inoltre, e tuttavia molteplice per i molti luoghi e le diverse forme in cui inizia ad essere venerata, ella si pone come immagine ideale dell’universo cristiano. La diffusione del culto mariano è costituita, innanzitutto, dal moltiplicarsi delle feste in suo onore. Tra le prime chiese che iniziano a sorgere – altra espressione di un cristianesimo ormai assunto a religione pubblica e universale – molte vengono dedicate a Maria. Se a Costantinopoli, che Costantino aveva voluto nel 325 come nuova Roma "cristiana" al posto della antica capitale pagana, i santuari mariani superarono ben presto il centinaio, anche nella vecchia Roma sorgono le prime basiliche dedicate alla Vergine, prima e più famosa delle quali è quella voluta da Sisto III (V secolo) sull’Esquilino, Santa Maria Maggiore. L’ipotesi sopra esposta trova conferma nell’assenza di un consistente culto mariano in Occidente prima che si realizzi una cristianità analoga (e a un certo punto alternativa, dunque destinata a contrapporsi prima, quindi a separarsi) a quella orientale. Unico periodo segnalato di un particolare incremento di devozione mariana è, infatti, quello carolingio, prima grande prova, durata di fatto solo il tempo del regno personale di Carlo Magno, di una cristianità (o di un Sacro Impero) d’Occidente. Dobbiamo dunque giungere alla svolta del millennio – di profondo significato e di conseguenze durature – per assistere all’inizio di quella straordinaria fioritura di culto mariano che in Occidente, pur assumendo significati e contenuti diversi, non avrà più soste, fino ai nostri tempi.


La svolta in Occidente attorno al primo cambio di millennio

La prima grande riforma della storia della Chiesa (XI secolo)
Il senso essenziale di quel vasto movimento di riforma che talora è stato ridotto entro gli angusti ambiti della riforma "gregoriana" (da Gregorio VII, dunque solo o prevalentemente papale, e ristretta alla seconda metà del secolo XI) è, in realtà, quello di una Chiesa che, dopo aver assunto le più varie e vaste responsabilità terrene nell’Occidente, ha finito con l’essere invischiata a tal punto nella gestione delle realtà temporali, sempre più frammentate e confuse, soprattutto dopo il crollo dell’unificazione carolingia. Di qui l’urgenza di ricuperare la libertas Ecclesiae, non solo o innanzitutto dalle investiture feudali, ma più a fondo dal forte condizionamento delle responsabilità temporali. La direzione della riforma è quella, a un tempo, della conquista di un potere ecclesiastico che fosse autonomo, appunto in quanto spirituale e, perché ciò fosse possibile, centralizzato, ossia non più condizionato dai poteri locali. Il movimento di riforma partì, fin dall’inizio del secolo X, in ambito monastico, precisamente con la fondazione di Cluny, avvenuta nel 910 in Borgogna. L’abbazia cluniacense, edificata su un terreno svincolato da ogni ingerenza feudale, soggetta soltanto al papa, e posta a capo di una vastissima rete di monasteri successivamente aggregatisi ad essa, inaugurò quella stagione di riforme delineandone anche il modello: autonomia e centralizzazione. Ora, non può essere ragionevolmente collocato fuori da questo sfondo il contemporaneo insorgere e diffondersi di una fiorente devozione mariana.

Le nuove fondazioni monastiche
Gli stessi nuovi Ordini (nuovi anche in quanto "Ordini", ossia comunità di religiosi organizzate sotto un’unica guida centrale, il che non avveniva nella antica tradizione benedettina, fondata sull’autonomia di ogni monastero) che sorgono tra X e XII secolo sono molto legati alla devozione mariana. A Cluny si istituiscono alcune devozioni e pratiche che di là si diffonderanno ovunque: il canto serale della Salve Regina, la devozione alla Mater misericordiae, l’Ufficio della Vergine, la Messa in suo onore in giorno di sabato. Ancor più viva la devozione mariana a Citeaux (dal cui nome latino, Cistercium, si denominano i cistercensi). Il "nuovo monastero", come veniva chiamato, sorto in polemica con il monachesimo cluniacense, si proponeva come modello e iniziatore di una più radicale riforma, soprattutto a riguardo della povertà. Il riferimento mariano, in particolare il richiamo ad apparizioni della Vergine, diventa in questa prospettiva un sigillo di "autenticità" da esibire il più possibile. Infatti, le chiese abbaziali dei cistercensi sono in genere dedicate a Maria (per il nostro territorio, il monastero di Dona a Prata presso Chiavenna, da ritenere cistercense, è in effetti dedicato alla Vergine: Santa Maria di Dona). Tra i cistercensi, poi, sorgerà la stella di san Bernardo il quale, con la sua intensa predicazione mariana e grazie al suo personale rilievo ecclesiastico, sarà uno dei principali promotori della devozione a Maria.

Dai monasteri a tutta la Chiesa
È attraverso il canale monastico che, insieme alla riforma, si diffonde in tutto l’Occidente la devozione mariana. Le prime cattedrali gotiche, edificate in Francia verso la metà del XII secolo, sono dedicate a "Nôtre Dame" (Chartres, Paris, Reims, Laon, Amiens). Anche nella nostra città vescovile, Como, la nuova cattedrale, costruita nella seconda metà del secolo XI, viene intitolata a santa Maria. E a dedicarla, verso la fine del suo episcopato, è proprio Rainaldo, il più importante dei nostri vescovi riformatori, stretto collaboratore di papa Gregorio VII, in contatto con l’ambiente monastico di Montecassino. Come ben appare soprattutto dall’impianto architettonico delle cattedrali, si può dire che, in quest’epoca, la devozione mariana si colloca ancora saldamente all’interno di una corretta prospettiva teologica e liturgica. Intanto, la dedicazione mariana della chiesa-madre (nel senso di edificio) sottolinea e rafforza il già richiamato e tradizionale legame tra Maria e la Chiesa: la comunità ecclesiale si fa Corpo di Cristo in quel luogo dove si raccoglie e attinge alla vita del Figlio di Dio, offerto al mondo da Maria. Inoltre, la struttura stessa delle antiche cattedrali mariane svolge un programma catechetico ben chiaro: attraverso i portali, con le loro raffigurazioni significative, i fedeli vengono invitati a passare dal mondo esterno all’intimità della Chiesa; ripercorrendo le vicende della storia della salvezza raffigurate sulle navate o nelle vetrate, sono condotti all’altare, dove, nell’Eucaristia, si compie la manifestazione di Cristo nella donazione di sé al Padre e all’umanità.


Da una riforma all'altra (secoli XII-XVI)


Entriamo qui nella fase più complessa e travagliata di tutta la storia della Chiesa. Si va, non per nulla, da una riforma all’altra. Da quella del secolo XI – che aveva ristrutturato la Chiesa in modo autonomo rispetto all’Impero e, in generale, al potere laico, e l’aveva accentrata attorno alla sede romana – a quella che proprio in riferimento a tale struttura, ritenuta eccessivamente "esteriore" e giuridica, denuncia la perdita dell’elemento spirituale indispensabile alla Chiesa. La devozione mariana, nello sviluppo di questi secoli, accompagna e riflette, da un lato, l’esasperarsi dell’esteriorità della Chiesa, nella gestione del potere come nelle manifestazioni della religiosità, dall’altro il diffuso e crescente anelito riformatore. La mancata sintesi tra la realtà istituzionale della Chiesa e la sua anima religiosa, anzi precisamente il divaricarsi delle due dimensioni provocherà quel collasso chiamato Riforma o Riforme protestanti, dove l’accostamento stesso delle parole dice una mancata composizione e indica nel rifiuto della esteriorità della Chiesa – e dunque delle sue forme devozionali – il punto cruciale di svolta.

Nuovi Ordini, crescente devozione mariana
Il continuo, affannoso rincorrersi di riforme nell’ambito benedettino, tra X e XII secolo, non condusse ad una soluzione soddisfacente soprattutto per quella che, anche sotto la pressione dei movimenti ereticali, appariva l’esigenza spirituale prima della vita religiosa, ossia la povertà. Si dovette quindi mutare radicalmente l’impostazione stessa della vita religiosa, applicando il principio della povertà non più solo al singolo, ma all’intera comunità: nacquero così gli Ordini mendicanti, primi tra i quali domenicani, francescani, agostiniani, servi di Maria (o serviti), carmelitani. Ora, se almeno in un caso – quello dei serviti, nati appunto da una confraternita mariana di laici – il richiamo alla Madonna è esplicito, tutti i Mendicanti si caratterizzano per una spiccata devozione alla Vergine. Essa deriva, a sua volta, da una spiritualità che si orienta verso il Cristo-uomo, soprattutto nella povertà della sua nascita e nella sofferenza della sua morte. Contemplando l’infanzia del Signore o la sua morte in croce, non si può non incontrare la figura della Vergine, presente al suo fianco, nel presepe come sul Calvario.

La grande stagione della devozione popolare
Come già avvenuto durante i secoli a cavallo del Mille, dagli Ordini religiosi la devozione mariana trapassa e si diffonde tra le popolazioni. Ancor più, il diretto contatto con la gente, esplicitamente ricercato dai Mendicanti, e attuato soprattutto con la predicazione, il ministero del confessionale, l’istituzione di confraternite, l’apertura di chiese frequentatissime in ogni città, moltiplica in proporzione geometrica tale influsso sulla religiosità popolare. In questo modo – come più in generale con la loro stessa spiritualità e la loro predicazione – i Mendicanti vengono incontro alla diffusa esigenza di una religiosità più personale, maggiormente modellata sul singolo il quale, attraverso la contemporanea rinascita dell’economia e il risveglio della partecipazione politica da un lato e l’esperienza tragica dell’incombenza della morte nelle frequenti guerre e pestilenze dall’altro, ha acquisito una decisiva coscienza della propria individualità. La distanza sentita tra l’istituzione ecclesiastica e le nuove esigenze religiose porta anch’essa verso la Vergine, vista e sentita come una figura, a un tempo più umana, cioè vicina e misericordiosa, e più sovrumana, cioè pura dalle corruzioni e dalle meschinità di molti ecclesiastici, immagine e promessa di una Chiesa santa. Ed ecco apparire nuove pratiche devozionali. Prima di esse, per la diffusione e la fortuna assai durevole di cui godrà, è certamente il rosario. Esso nasce in ambiente monastico, comunque di vita religiosa, come denota chiaramente l’intento sostitutivo dei 150 salmi mediante la recita delle 150 Ave Maria; d’altra parte, il nome stesso con cui tale pratica viene inizialmente propagandata è quello di Psalterium Beatae Mariae Virginis. Con ciò si conferma, nuovamente, l’influsso determinante dei monaci prima, dei frati dopo sulla religiosità popolare. A diffondere il rosario, anche con l’istituzione di confraternite, nel secolo XV, è un domenicano, Alain de la Roche (1428-1474), anche se la sua prima origine viene attribuita al fondatore stesso dell’Ordine, san Domenico. Un significativo documento, in sede locale, dell’antica diffusione di tale devozione è quello ritrovato qualche anno fa presso il santuario dell’Assunta di Morbegno, e tuttora visibile sul pavimento dell’ossario: si tratta di una lapide tombale raffigurante un confratello con il tipico abito dei battuti e, in mano, una corona del rosario. Quella fra Tre e Cinquecento è un’epoca ricchissima di raffigurazioni mariane, da quelle di sommo livello artistico, dove più forte è la tendenza ad esaltare nella bellezza la figura femminile di Maria, a quelle più modeste, significativamente presenti in ogni angolo di vita quotidiana, dalla casa alla campagna, dai palazzi pubblici alle strade. Si pensi, localmente, alle numerosissime raffigurazioni di Maria nelle chiese, ma anche sulle case o in cappelle rurali. Tra le più frequenti, quelle legate appunto all’umanità di Gesù: dunque la madre con il bambino sulle braccia o al seno, l’Addolorata con in grembo il Cristo morto. Appare intuitivo come in queste raffigurazioni potesse al meglio esprimersi ed accrescersi la devozione popolare, unendo alla venerazione alla Vergine e alla contemplazione di suoi misteri la consolante possibilità di rispecchiarsi con la propria stentata vita, dalla culla alla tomba, nella sua e in quella di suo Figlio. Allargandosi la devozione mariana a tutti gli strati sociali, soprattutto ai più popolari, si amplia anche il gruppo dei veggenti. Anzi, evangelicamente, le apparizioni risultano privilegiare i piccoli: poveri fanciulli o pastorelle, mentre il costante tema di fondo è quello della penitenza, ossia di nuovo, in altri termini più personali, ma non soltanto individuali, quello della riforma. Ed è proprio in quest’epoca, ossia sul finire del Quattrocento, fin verso i primi anni del Cinquecento, che anche nel nostro territorio si parla di apparizioni mariane: per due contadinelle a Gallivaggio nel 1492, al popolano Mario nel 1504, presso il ponte della Folla alle porte di Tirano. Che la successiva propaganda antiprotestante abbia potuto collegare tali apparizioni con il (successivo) avvento della Riforma protestante è più che comprensibile e ampiamente scusabile. Non è, invece, giustificato continuare a ripetere oggi tali considerazioni: basta soltanto tener d’occhio le date, per capire che la Madonna non poteva far da baluardo ad un "nemico" ancora di là da venire. Tali apparizioni, sia per la prevalente qualità dei destinatari, poveri e marginali, sia per l’assenza, ma anche per la diffidenza o addirittura per il contrasto da parte delle autorità ecclesiastiche, fanno semmai trapelare un senso di distacco dall’istituzione ecclesiastica. Sulla stessa linea si pongono anche le numerose leggende, tra cui quella che darà origine al santuario di Loreto, relative al trasporto, per mezzo di angeli (dunque non per mano umana) della casa di Nazaret, ossia della prima, umile "chiesa" delle origini.


L'età tridentina (secoli XVII-XVIII)

Vorrei leggere quest’epoca, ricchissima di espressioni devozionali di ogni genere anche dalle nostre parti, sotto una prospettiva sintetica e, credo, significativa. Il concilio di Trento, facendo proprie e qualificando autorevolmente molte delle proposte di riforma emerse dalla lunga stagione tardomedioevale, porta ordine e disciplina in tutti i settori della Chiesa. E questo è abbastanza noto. Spesso non si considera come l’assise tridentina si sia caratterizzata per un forte taglio pastorale, anzi assumendo precisamente la pastorale (o "cura d’anime", nel linguaggio del tempo) come prospettiva fondamentale. Le sue direttive non intervengono su una sorta di tabula rasa, ma si innestano e si intrecciano su un tessuto religioso piuttosto vivace, quello appunto delle devozioni tardomedioevali, cercando di fare sintesi tra le esigenze di ortodossia e di disciplina richieste dalla degenerazione diffusa in tutto il corpo ecclesiale e la sensibilità popolare, legata ad espressioni particolari, spesso caratterizzate da visibilità, concretezza e da forte componente affettiva. Ciò avviene, spesso con buoni risultati, incanalando le manifestazioni popolari verso alcuni elementi centrali della fede cristiana. In particolare tre: la croce, l’Eucaristia e, appunto, la Madonna. Si sono così originate molte di quelle manifestazioni di culto mariano – canti, processioni, santuari – che tuttora sussistono e ancora sono sentite come attraenti e coinvolgenti, anche per il credente di oggi; appunto perché riescono a coniugare l’insopprimibile elemento sentimentale della religiosità con la correttezza teologica dei suoi contenuti e la disciplina ecclesiastica dei comportamenti. Il collocarsi della devozione mariana subito a fianco di quelle direttamente cristologiche (croce ed eucaristia), in epoca tridentina, non dipende soltanto dal ruolo centrale di Maria nella Redenzione e dalla sua vicinanza a Gesù, ma anche dalla opportunità di collocare a fianco e quasi a custodia della Verità incarnata quella che è da sempre l’immagine della Chiesa-madre. La devozione mariana costituiva in tal modo un opportuno completamento e un’evidente, anche se discreta, correzione alle possibili tendenze privatistiche o spiritualiste che potevano verificarsi nella ricerca di una fede come rapporto personale tra l’individuo e Cristo. La mediazione materna di Maria si poneva come efficace e persuasivo richiamo della ineliminabile mediazione ecclesiastica: si rovesciavano, in tal modo, quasi insensibilmente, taluni aspetti di polemica antiecclesiastica che la diffusa devozione mariana del tardo Medioevo aveva potuto assumere. Per svolgere tale funzione di richiamo disciplinare e dottrinale, ovviamente, la stessa devozione mariana aveva bisogno di essere purificata da abusi ed inopportuni spontaneismi. Forse non è casuale il fatto che proprio all’inizio della riforma tridentina scompaiono le apparizioni mariane, prima tanto frequenti, e che esse restino assenti per tutta l’epoca dell’attuazione di quel concilio, per poi riapparire – ma in tutt’altro contesto – solo ad Ottocento avanzato. Le specifiche confraternite mariane (del Rosario, del Carmine, ecc.), sorte tra il popolo spontaneamente o sotto la guida degli Ordini mendicanti, vengono sottoposte alle autorizzazioni e ai controlli vescovili, così da verificarne la correttezza nella fede e nei comportamenti, similmente a quanto avviene per le confraternite eucaristiche. Quella che abbiamo visto come la più popolare devozione mariana – il rosario – viene esplicitamente assunta e fatta propria dallo stesso vertice papale: è alla Vergine del rosario, come è noto, che il domenicano Pio V attribuirà la vittoria di Lepanto contro i Musulmani nel 1571. In questo modo il rosario non è più una devozione soltanto personale o a rischio di essere considerata come un po’ magica (l’oggetto "rosario" come una sorta di amuleto), ma viene collocata (e, dunque, anche controllata) tra le devozioni riconosciute dalla Chiesa.


Crisi dello schema tridentino (secoli XVIII-XIX)

Fine dell’identità tra società e Chiesa
Questa sintesi attuata a seguito del concilio di Trento subisce una crisi profonda nel momento in cui inizia il tramonto dell'identificazione tra Chiesa e società sia per l’evolversi della coscienza occidentale verso nuove concezioni dell’uomo, più attente all’elemento razionale, sia per la constatata impossibilità di continuare a fondare la convivenza sociale sul comune e, fino ad una certa epoca, indiscusso elemento cristiano, a seguito delle violente divisioni confessionali. Di conseguenza, tutto ciò che costituiva un punto di forza nell’identità delle comunità locali – le chiese, le tradizioni religiose, le devozioni tipiche del luogo e, tra queste, in primo luogo, quelle legate a Maria ("la nòsa", come si dice ancor oggi in alcuni paesi, a indicare la Madonna in quanto oggetto di una particolare devozione locale) – subisce una crisi profonda e di lunghissima durata. I primi segni sono dati precisamente dalla contestazione – da parte di una componente ancora minoritaria, benché importante, della società e della Chiesa – delle forme devozionali popolari, in favore di una religiosità più razionale, più sobria e socialmente costruttiva. Non che tali critiche siano pretestuose, tutt’altro; solo segnalano un distacco tra l’animo popolare e la religione, dunque la fine della sintesi tridentina e, più in generale, dello schema di cristianità.

La tentata riconquista
Si doveva dunque ricominciare a evangelizzare – o, se si vuole, rispettando la terminologia e la mentalità dell’epoca – a conquistare, anzi a ri-conquistare quella società già cristiana, ora distaccatasi dalla sua antica matrice e dalla sua tradizionale tutela. Di nuovo, la devozione mariana assume caratteristiche tali che la pongono come riflesso e, potremmo dire, interpretazione della mutata mentalità ecclesiale. Maria diventa sempre più l’immagine della Chiesa che implora (le Madonne cominciano a piangere), invita e incoraggia gli uomini a ritornare alla fede abbandonata; oppure della lotta della Chiesa contro quelle forze malvagie che, subdolamente, hanno sviato dalla retta via il popolo già tutto cristiano. In questo senso, l’immagine dell’Immacolata – la cui verità viene definita dogmaticamente nel 1854 – identifica perfettamente l’ideale di una Chiesa impegnata a schiacciare la testa al serpente, ossia al male che striscia nascostamente nel giardino creato da Dio per l’uomo. Si può notare, ancora, come molte delle numerosissime congregazioni religiose che sorgono con l’intento preciso di operare la ri-cristianizzazione della società, in particolare della gioventù, vengono intitolate a Maria. I papi stessi si fanno promotori, come della riconquista ecclesiastica della società, così della devozione mariana. Di una devozione, in particolare: il rosario. Per capire il senso di questi richiami fatti con frequenza impressionante (il solo Leone XIII pubblica ben sette encicliche sul rosario, ben più di quante vengono dedicate a qualunque altro tema), occorre ricordare il significato attribuito a tale devozione, nella sua origine leggendaria (ossia la lotta contro le eresie, assunta da san Domenico e dal suo Ordine) e nella "canonizzazione" ecclesiastica, sopra menzionata, in epoca tridentina, come strumento e simbolo di vittoria contro le forze del male, opposte alla Chiesa. L’Islam nel Cinquecento, la secolarizzazione e la miscredenza nell’Ottocento (esplicitamente dichiarate più temibili del pericolo musulmano) sono nemici formidabili che possono essere tuttavia sconfitti con il rosario, tanto simile a quella fionda con cui Davide ebbe la meglio sul gigante Golia. Tornano le apparizioni, sia pure in un clima diverso da quello del tardo Medioevo. Se a quel tempo, infatti, esse davano visibilità ed espressione ad un anelito religioso che saliva dal basso e che chiedeva il rinnovamento della Chiesa, soprattutto nei suoi vertici, ora esse si caratterizzano come provocazioni dall’alto, attraverso le quali la Madonna – come la Chiesa – si rivolge al mondo, e richiama, invita, risveglia l’umanità, perché si volga nuovamente a suo Figlio. Sono chiaro sintomo e manifestazione di questa preoccupazione di reagire ad un allontanamento imprevisto e sconvolgente della società dalla Chiesa. Non a caso le principali apparizioni avvengono in Francia, luogo simbolo e patria riconosciuta della secolarizzazione: dalla medaglia miracolosa del 1830 (apparizione a santa Caterina Labouré), a La Salette (1846), a Lourdes (1858). Con Fatima, all’inizio del secolo successivo, ci si sposta leggermente a sud e l’accento viene a cadere piuttosto sul tema, prepotentemente d’attualità nel 1917, della pace e della salvezza dell’umanità. Le apparizioni si possono anche leggere – dal punto di vista storico – come risposta al predominante spirito scientista e positivista, quasi una rivendicazione della presenza e delle possibilità del Trascendente nella storia umana.


La riscoperta della originaria missione ecclesiale (secolo XX)

Il secolo che abbiamo appena concluso ha cronologicamente al suo centro, ma soprattutto al suo vertice, il concilio Vaticano II (1962-1965). Esso ha segnato una svolta profonda per la coscienza stessa della Chiesa. Il senso fondamentale del Vaticano II è costituito dalla rilettura, in chiave positiva, della già ricordata, inedita situazione della Chiesa nel mondo moderno: l’avvenuta separazione tra Chiesa e società non è più considerata come motivo di cruccio e punto di partenza per una riconquista apparsa sempre più improbabile, ma come occasione storica per ritrovare il senso originario della propria missione, che non è affatto, o non prima di tutto, quello di pilotare una società, ma quello di testimoniare la novità evangelica. Se dunque la figura di Maria, come si è visto, fin dall’epoca antica per l’Oriente e poi nel cuore del Medioevo per l’Occidente, era emersa in rilievo e in distacco dalla compagine ecclesiale, dando visibilità a quello spazio di interconnessione tra cielo e terra costituito, più che dalla Chiesa, dalla cristianità, ossia da una Chiesa che gestisce il mondo, ci si poteva aspettare in questa svolta una profonda, quasi definitiva crisi della devozione mariana. In effetti, i principali movimenti che, riconducendo la Chiesa alle fonti del proprio essere e alle proprie origini, hanno preparato, lungo tutta la prima parte del secolo, la svolta del Vaticano II, sembravano progressivamente dover restringere lo spazio riservato a Maria. Il movimento biblico portava a ridimensionare molta parte della rigogliosa letteratura attorno a Maria, riconducendone la figura a quelle poche, essenziali note che ne danno i Vangeli. Il movimento liturgico, ristabilendo l’antico ordinamento delle celebrazioni e, soprattutto, ripristinando la corretta gerarchia del culto, avrebbe ampiamente ridimensionato la molteplicità di devozioni particolari aggiuntesi nel tempo. Il movimento ecumenico, infine, riaprendo il dialogo con le comunità cristiane separate, avrebbe portato a condividerne almeno in parte l’atteggiamento critico nei confronti dell’eccesso di culto mariano, a scapito della centralità di Cristo. Se così è stato, ciò non ha tuttavia comportato una perdita della devozione mariana, ma piuttosto una purificazione che ne ha valorizzato i contenuti più autentici e originari. Quanto al Vaticano II, il passaggio fondamentale al riguardo è espresso nella contrastata decisione di non produrre un documento a sé stante a riguardo della Vergine Maria, bensì di inserirne le considerazioni a conclusione dell’importante costituzione sulla Chiesa, la Lumen gentium. Ciò ha significato riportare la figura di Maria all’interno della compagine ecclesiale, considerandola come modello di vita cristiana da imitare piuttosto che come eccezionale creatura da ammirare. Il che non si è attuato contestualmente ad una riduzione della sua importanza; anzi, oltre al fatto che per la prima volta si è trattato in modo organico di Maria in un concilio ecumenico (analogamente a quanto avvenuto per la Chiesa), lo si è fatto a partire proprio dalla qualità più alta e originaria di Maria: quella di madre del Dio fatto uomo. Come tale, essa si pone in diretto, intimo rapporto con Cristo, ma risulta anche relativa a Lui e, in questo senso, profondamente vicina a tutti i suoi discepoli, dunque alla Chiesa. Certo, non si può negare l’esistenza, anche dopo il concilio, di una modalità nel concepire la devozione mariana fatta ancora spesso di prodigioso, di straordinario, di esteriore. Le svolte importanti e profonde hanno bisogno di tempo per essere comprese e assimilate. Ciò che importa sottolineare, e con una certa forza, è che la riforma del Vaticano II, in questa come in altre fondamentali tematiche (innanzitutto quella della Chiesa), non è stata dettata da una scelta cervellotica e neppure da contingenze di mentalità o, addirittura, di "moda". La riforma liturgica, in particolare, e il connesso ridimensionamento della devozione mariana sono state iniziate – è bene ricordarlo – da Pio XII, lo stesso papa del dogma dell’Assunzione di Maria al cielo in anima e corpo (1950). Essa corrisponde, in ogni caso, ad una lenta e profonda riscoperta della condizione originaria della fede e della vita cristiana (certo propiziata, come si diceva, dalla rinnovata situazione di marginalità della Chiesa nel mondo), dunque ad una autentica riforma.

Bibliografia
Nuovo dizionario di mariologia, a cura di S. De Fiores e Salvatore Meo, Cinisello Balsamo 1988.
TH. KOEHLER, Storia della mariologia, 5 volumi, Vercelli 1974-1976.
R. LAURENTIN, Maria nella fede cristiana, situazione e avvenire, in Iniziazione alla pratica della teologia, III, Dogmatica II, Brescia 1992.
Maria, in Dizionario degli Istituti di perfezione, diretto da G. Pelliccia e G. Rocca, V, Roma 1978.

Inserito Mercoledi 11 Settembre 2013, alle ore 13:09:51 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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