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  Il Natale di Gesù (Lc 2,1-7) 
Bibbia

Dal libro di Stefano M. Manelli, Mariologia biblica,  Casa Mariana Editrice, Frigento (AV) 1989, pp.227-238.



Il mistero del Natale di Gesù porta a compimento definitivo, possiamo dire, le due celebri profezie. quella di Isaia sulla vergine - madre dell'Emanuele (7, 14), e quella di Michea sulla «partoriente» di Betlem (5,1-2). S. Luca e S. Matteo ci offrono molti elementi significativi e suggestivi della Natività di Cristo, che vanno dal censimento di Cesare Augusto alla visita dei magi venuti dall'oriente, alla fuga in Egitto e al
ritorno a Nazaret. Più completo è S. Luca nel descriverei le varie fasi dirette della Natività con la sua solita arte di scrittore elegante e di storico attento anche ai dettagli. Seguiamolo.

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città
(2, 1-3).

Dall'evento del censimento di Quirino1 possiamo anzitutto comprendere come la storia profana, nei
disegni di Dio, è condotta a servire al piano della salvezza da attuare nei tempi stabiliti. Si incrociano infatti al punto giusto e al momento più esatto. Una mano superiore li conduce. «La sequenza del Natale - scrive il Laurentin - comincia come quella precedente con un programma terreno, che sfocia nell'irruzione inattesa di un programma celeste, in cui Dio si manifesta»2. E S. Luca, evidenziando il rapporto tra il Natale di Gesù e il censimento ordinato dall'imperatore, inserisce l'avvento del Salvatore «nella grande ambientazione della storia universale, - nota il Ferraro - mostrando cosi come la storia umana è al servizio del disegno salvifico di Dio»3. Se a Maria e a Giuseppe era nota la profezia di Michea sulla nascita del Messia a Betlemme, quando arrivò l'ordine del governatore Quirino di andare a farsi registrare nella città di origine della discendenza, essi compresero subito in che modo la profezia doveva realizzarsi alla lettera. Il viaggio per il censimento diventava, nel piano di Dio, il viaggio di colei che era stata profetizzata come la «partoriente» di Betlem.
 
Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea sali in Giudea e alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta (vv. 4-5).

Giuseppe appare qui in primo piano. Nell'impero romano gli uomini erano tenuti al censimento. Le donne non erano tenute. Le donne sposate, però, - «almeno secondo un papiro egiziano»4 - si presentavano all'ufficio di registrazione insieme ai loro mariti. Per Maria, poi, prescindendo dalla profezia di Michea, c'erano ragioni particolari in più che la portarono a Betlemme insieme a Giuseppe: se era anch'ella discendente di Davide, se era figlia unica, se si trovava in stato di avanzata gravidanza, era più che conveniente il suo viaggio con Giuseppe a Betlemme5. Con piena docilità e sollecitudine, quindi, i due santi sposi accettano l'ordine dell'imperatore, affrontando il lungo viaggio da Nazaret a Betlemme. Tutto ciò è particolarmente significativo se si tiene conto delle tensioni che, storicamente, erano alimentate dagli zeloti nei riguardi del dominatore straniero. «Sappiamo dalle fonti della storia - scrive il Ferraro - che l'ordine imperiale di censimento sollevò più tardi gravi disordini nel giudaismo e contribuì non poco a far nascere e a stimolare il movimento antiromano degli zeloti; Giuseppe eseguendo il decreto romano era molto lontano da tali contestazioni di carattere politico; ciò ha grande importanza anche per la vita e l'identità di Gesù; egli non proviene dagli ambienti del messianismo politico, perciò le profezie messianiche della sacra Scrittura poterono realizzarsi in lui senza essere offuscate da finalità umane e da rivendicazioni temporali e territoriali »6. Nei due versetti 4-5 S. Luca mette in rilievo ancor più esplicito il fatto che Giuseppe «era della casa e della famiglia di Davide». Perché questo rilievo cosi esplicito? «Per sottolineare - risponde bene il Leonardi - che Gesù è davidico non solo per il luogo di nascita, ma soprattutto perché della discendenza di Davide»7. Subito dopo, poi, S. Luca dà un risalto particolare anche alla «città di Davide, chiamata Betlemme». Il preciso collegamento con Betlemme «città di Davide», anziché con Gerusalemme, anch' essa, e più ancora, «città di Davide», perché da lui conquistata e resa gloriosa, è stato cosi spiegato dal Laurentin: «Egli preferisce collegare Gesù alle umili origini di Davide a Betlemme piuttosto che alla gloria regale di Gerusalemme, perché propende per la povertà, per la povertà di Cristo alla nascita, dopo quella di sua madre in 1, 48, e per quella dei pastori che caratterizzano la scena»8. In  questo quarto versetto è evidente che S. Luca vuole prestare ogni fondamento alla «davidicità» di Gesù: il fondamento genealogico (la famiglia di Davide)9, quello topografico (la città di Davide)10 e quello sociale (la povertà di Betlem)11. Se è il padre che dà la garanzia legale della discendenza al figlio, è giusto l'impegno dello storico S. Luca di ricercare ed esplicitare tutti i dati «davidici » che per via di Giuseppe e dell'evento del parto a Betlemme assicurano a Gesù la regolare discendenza davidica12. Sorprendentemente nel v. 5, S. Luca chiama Maria ancora «promessa sposa» (o « fidanzata») di  S. Giuseppe, come in 1,27, pur aggiungendo che già «era incinta». Qui va colta la trasparenza della verità sia biologica che teologica espressa con il termine «promessa sposa» nei riguardi di Maria. Per una sorta di osmosi tra il piano giuridico e quello trascendente o misterico, abbiamo qui un'interazione feconda tra i personaggi in azione. Sappiamo già che sul piano legale S. Giuseppe è a tutti gli effetti sposo di Maria e padre di Gesù. Sul piano biologico, invece, S. Giuseppe non entra in nulla nella concezione di Gesù, perché ciò è opera esclusiva dello Spirito Santo che rende feconda la verginità di Maria in maniera trascendente con la «virtus Altissimi » (1,35). Si deve dire, infatti, che in tale evento Maria è realmente la Sposa dello Spirito Santo, e non di Giuseppe. Per questo. in rapporto a S. Giuseppe, ella viene chiamata ancora, da S. Luca, con finezza di precisione, «promessa sposa» (emnêsteumenê), nonostante la coabitazione avvenuta ormai già da tempo13. S. Luca non aggiunge nulla sul viaggio dei due santi coniugi. Sappiamo che la distanza fra Nazaret e Betlemme è di circa 150 km. C'è da ritenere che S. Giuseppe e la Madonna si siano uniti a qualche carovana, camminando per quattro o cinque giorni di seguito. In previsione della necessaria permanenza a Betlemme, S. Giuseppe avrà portato con sé gli arnesi da lavoro con le masserizie indispensabili, mentre Maria avrà portato il povero corredino per il suo bimbo14.


Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo
(vv. 6-7).

Appare chiaro che Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme qualche tempo prima dell'evento del parto. L'evangelista scrive che il tempo del parto si compi «mentre si trovavano» a Betlemme15. Non appena arrivati a Betlemme, quindi, dovettero avere del tempo a disposizione per cercare una conveniente sistemazione. E tuttavia non riuscirono a trovarla come l'avrebbero desiderata. Le ragioni principali potrebbero essere state due: la prima, il sovraffollamento dei forestieri venuti anch' essi a Betlemme per farsi registrare; la seconda, il particolare stato di Maria che esigeva uno spazio riservato e tranquillo. Soprattutto questa seconda ragione fa comprendere meglio la soluzione di trovare rifugio e solitudine in una grotta che doveva essere adibita anche a stalla per la presenza di una mangiatoia, cosa non infrequente a quei tempi, e neppure ai nostri giorni16. Si parla di un alloggio, detto katalyma, dove non «c'era posto per loro». Sembra che il significato di questo katalyma" oscilli tra il «caravanserraglio» -  luogo pubblico per tutti i pellegrini di passaggio con le loro cavalcature - e un luogo di «soggiorno» che una casa poteva avere per i parenti o pellegrini di passaggio, con annessa una stalla o grotta adibita a stalla18. Nell'uno o nell'altro caso, Maria e Giuseppe, soprattutto per ragioni di riservatezza, preferirono la soluzione della grotta, o stalla, dove la mangiatoia poteva servire da culla per il neonato19. Proprio in questo luogo, umile e nascosto al punto tale che è difficile pensarne uno ancor più in basso, Maria vergine «diede alla luce il suo figlio primogenito». Notiamo anzitutto, con il Leal, che mentre nel versetto precedente «c'è una terza persona plurale maschile: ' mentre essi... ', qui invece una terza persona singolare femminile: ' essa diede... '. Nella mentalità orientale e particolarmente in quella antica, una simile mancanza di indicazione del padre può spiegarsi soltanto con una concezione verginale»20. Fa spicco, in questo v. 7, la parola «primogenito» (prototokon). Il termine aveva un valore soprattutto giuridico - religioso, per indicare il «primo nato», che doveva essere offerto a Dio per il riscatto (Es 13,1-16; Nm 3,12-13; 8,5-26; 18,15-16), che aveva diritto alla prima e più importante benedizione paterna, che riceveva una doppia eredità rispetto agli altri figli. Il primo figlio veniva perciò chiamato primogenito «anche se non era seguito da altri figli - scrive il Leonardi - ed era quindi l'unico. Ciò è confermato da una lapide giudaica contemporanea alla nascita di Gesù - 5 a.C. - scoperta in Egitto, dove si dice che una certa Arsinoe mori ' nelle doglie del parto del suo figlio primogenito ' »21. Oltre al valore giuridico - religioso, però, il termine «primogenito» adoperato qui da S. Luca fa intuire un valore teologico di primaria importanza per la storia della salvezza. Il piano redentivo di Dio ci presenta qui il «primogenito fra molti fratelli » (Rm 8,29), ossia l'inizio del nuovo popolo di Dio, novella creazione che inaugura i tempi nuovi dell'era messianica. Anzi, secondo il Laurentin, il titolo di primogenito « insinua già che Gesù, Figlio di Dio (1,32a), prima di essere figlio di Maria (1,32b), è il primogenito di tutte le creature (Col 1,15.18) come figlio unico di Dio (ivi e Gv 1,14.18; 1 Gv 4,9)»22. Con estrema semplicità e naturalezza S. Luca passa quindi a descrivere ciò che fece Maria alla nascita di Gesù: «Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia». Un parto in cui la partoriente fa tutto da sé e da sola: prende il bimbo, lo avvolge nelle fasce, lo adagia nella povera greppia. Non c'è ombra di travaglio o di dolore in questa scena cosi dolce e materna23. La Tradizione vi ha letto, giustamente, il mistero del gioioso parto verginale con la nascita di Colui che veniva a portare al mondo la «gioia sovrabbondante» (Gv 15,11). Da questo momento Maria non è più la «Vergine - gravida», ma è la «Vergine - Madre» che aduna e porta in sé i due sigilli di gloria della verginità sempre intatta e della maternità divina24. Maria depone Gesù nella «mangiatoia». Questo è il segno della povertà e dell'umiltà estrema di Colui che «anniento se stesso assumendo la forma di servo» (Fil 2,7), adagiato « in una mangiatoia, luogo animalesco - scrive il Laurentin - segno di marginalizzazione, al di fuori dell'ambiente umano, ove il Messia non è stato accolto (2,7)»25. Maria lo avvolge con le « fasce». Queste « fasce» sono il segno delle premure materne di Maria, mentre il Bambino in « fasce», deposto nella «mangiatoia», è segno profetico di Colui che anche nella tomba della resurrezione sarà «avvolto in maniera simile, stretto con fasce»26. Che cosa dire, infine, riguardo al bue e all'asino che la tradizione popolare colloca sempre accanto alla greppia del Divino Infante di Betlem? A riguardo, ci sono due richiami precisi e suggestivi a Isaia e ad Abacuc. Il primo dice: « Il bue conobbe il suo padrone e l'asino la greppia del padrone» (ls 1,3). Il secondo dice: «Sarai riconosciuto nel mezzo di due animali » (Ab 3,2). Da Origene e S. Girolamo, dal Protovangelo di Giacomo e dai dipinti delle Catacombe, la tradizione ha portato avanti questa presenza del bue e dell'asino nella grotta di Betlem, confermando il valore del riferimento soprattutto a Isaia 1,3, che usa espressamente il termine phatnê («mangiatoia») adoperato da S. Luca27. Ma quale dovette essere la commozione di Maria in quell'ora della natività di Gesù? Quali i suoi sentimenti materni nel contemplare il suo Figlio divino? Quali le effusioni del cuore e i baci estatici su quel piccolo volto di Dio umanato? « In quei momenti - cosi il Garofalo - anche Maria ha pronunziato le parole deliziosamente inconcludenti di tutte le mamme, con gli occhi negli occhi del figlio, naufraga in un mare di amore. Ed ha cantato una dolce nenia per placare il fantolino crucciato o per costringerlo al sonno. Con la ninna-nanna della prima mamma ha inizio la storia della poesia e della musica, sulle soglie del Paradiso perduto, con una nostalgia di innocenza»28. E il Pietrafesa scrive anche lui: «Alla fioca luce della lampada Maria SS. contemplò il neonato. In Lui scorse i propri lineamenti e con trepidante tenerezza e amore impresse su quel volto il primo bacio. Innanzi a quel Bimbo che era Figlio di Dio, ma anche figlio suo, Lei gioì come nessun'altra madre al mondo per la nascita del suo figlio. Estasiata, dové adorare„contemplare, impotente ad esprimere i suoi sentimenti »29.


NOTE
1 A proposito delle difficoltà di ordine cronologico riguardanti il censimento di Quirino, si veda la soluzione presentata con rigorosità di dati e abbondanza di bibliografia da P. BENOIT, Quirinus in Dictionnaire de la Bible. Supplement 7 (1977) 693-716.

2 Op. cit., 242.
3 G. FERRARO, I racconti dell'infanzia nel Vangelo di Luca, Napoli 1983, p. 95 (v. pure p. 98), Anche J. ERNST scrive: « Il fatto che invece di Erode re della Giudea (1,5), venga menzionato il dominatore del mondo, Augusto, ha un suo motivo ben preciso. Luca vuole mostrare come l'umile nascita nella remota Betlemme sia significativa per tutta la terra» (I/ Vangelo secondo Luca I, Brescia 1985, p. 135).
4 G. LEONARDI, op. Cit., p. 206. Vedere pure P. F. CEUPPENS, op. cit., p. 127; A. STOEGER, Vangelo secondo Luca, Roma 1966, p. 73; J. LEAL, op. cit., p. 135; C. GHIDELLI, Luca, Roma 1977, p. 88; C. DE AMBROGIO, Il Vangelo di San Luca, Torino 1977, p. 65.
5 Cfr P. PIETRAFESA, op. cit., p. 215: l'Autore si rifà allo studio di U. HOLZMEISTER, Cur S. Joseph iter bethlemiticum susceperit et Maria eum comitata sit (Lc 2,4), in Verbum Domini 22 (1942) 263-270. Secondo alcuni Autori, inoltre, forse S. Giuseppe aveva dei possedimenti a Betlem, mentre Maria, figlia unica, era ereditiera: cfr P. BENOIT, art. cit., p. 700; G. LEONARDI, op. cit., pp. 205-206; R. FABRIS, Il Vangelo di Luca, in I Vangeli, Assisi 1975, p. 962.
6 Op. cit., pp. 99-100. Anche J. ERNST scrive con efficacia: « Il fatto che Giuseppe si sottometta agli ordini dell'autorità occupante straniera ed accetti con ' silenziosa obbedienza ' i disagi del viaggio, acquista forse una rilevanza ancora maggiore alla luce dello sfondo storico-temporale di allora. Per gli zeloti, la cui determinata resistenza era profondamente radicata nelle attese messianiche, tale atteggiamento da parte di un appartenente alla stirpe di Davide doveva sembrare addirittura una provocazione» (op. cit., pp. 140-141).
7 Op. cit., p. 206.
8 Op. cit., p. 243. A proposito della nascita a Betlemme, è evidente - contro ipotesi insostenibili che tendono a metterla almeno in dubbio - la solidità del dato storico e geografico, tenendo conto che su questo punto coincidono S. Matteo, S. Luca e i vangeli apocrifi: tale concordanza di autori ben diversi è ritenuta, a ragione, criterio molto valido di storicità (cfr ad esempio J. DANIELOU, I vangeli dell'infanzia, Brescia 1968, p. 54; C. PERROT, Les recits d'enfance dans la Haggada antérieure au II' siécle de notre ère, in Recherches de Science Religeuse 55 (1967) 510 s; G. DANIELI, A proposito delle origini della tradizione sinottica sulla concezione verginale, in Divus Thomas 72 (1969) 312-31; F. ZINNIKER, Probleme der sogennanten Kindheitsgeschichte bei Matthaus, Freiburg 1972, p. 122; E. GALBIATI, Genere letterario in Mt 1-2, in Bibbia e Oriente 15 {1973) 9 s). Contro coloro che negano o mettono in dubbio la nascita di Gesù a Betlemme, ha scritto recentemente anche A. ORY, il quale, con l'aiuto dell'esegesi « funzionale», scalza del tutto la loro peregrina esegesi, basata su falsi presupposti e pregiudizi: cfr Come riscoprire la verità storica dei vangeli, Milano 1986, pp. 82-91.
9 Cfr G. LEONARDI, l.c.
10 R. LAURENTIN scrive che S. Luca fonda il titolo di « figlio di Davide», attribuito molte volte a Gesù (Mt 9,27; 12,23; 15,22; 20,30.31; 21,9.15; Mc 10,47-48; 11, 10; Lc 18,38.39; cfr Rm 1,2; 2 Tm 2, 8), «sulla sola congiunzione topografica» (op. cit., p. 243).
11 Cfr R. LAURENTIN, l.c.
12 É chiaro che il dato veramente reale, anche se non giuridico, della discendenza davidica di Gesù resta quello biologico: ma questo viene fornito esclusivamente da Maria, anch'ella di discendenza davidica, quindi, come fa ben capire S. Paolo quando parla di Gesù nato «dal seme di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3): in questo caso il «seme di Davide secondo la carne» non poteva essere che quello esclusivo di Maria, Madre Vergine di Gesù.
13 Ciò si armonizza anche con l'interpretazione del matrimonio rato e non consumato fra Maria e Giuseppe. Il LEONARDI spiega: «Maria era per Giuseppe, anche dopo il matrimonio, come una promessa sposa, e quindi il suo parto fu veramente verginale» (l.c.); cfr pure R. LAURENTIN, op. cit., p. 245; A. POPPI, Sinossi dei quattro vangeli. Padova 1988, p. 266.
14 Cfr P. PIETRAFESA, op. cit., p. 216; J. LEAL, op. cit., p. 137; M. VARÓN-VARÓN, op. cit., p. 92.
15 L'espressione «si compirono per lei i giorni del parto» significa, - spiega J. LEAL -, «che la nascita si verificò secondo il ciclo normale (è il medico Luca che narra)» (op. cit., p. 136).
16 Cfr G. LEONARDI, op. cit., pp. 109-110. C'è da credere che si trattasse di una grotta che poteva fare corpo o che comunque non distasse dal «diversorio» (cfr A. FEUILLET, Jésus et sa mère d'après les récits lucaniens de l'enfance et d'après saint Jean, Paris 1974, p. 51).
17 Si veda l'interessante nota fuori testo di R. LAURENTIN, op. cit., pp. 249-251, dove l'autore tratta anche della grotta, della stalla, del bue e dell'asino.
18 A differenza di S. Luca, l'evangelista Matteo adopera il termine «oikian», che, secondo il significato etimologico più stretto della parola indica una «casa», mentre nel senso più largo indica una «abitazione» in genere: cfr J. GOMA CIVIT, El Evangelio segùn San Mateo, I, Madrid 1966, p. 63; C. ZEDDA, I Vangeli, Milano 1974, p. 191: l'Autore ritiene che S. Matteo parli di una grotta-abitazione, di una grotta per alloggio, di una grotta, cioè, adattata a «casa», cosa che avveniva con una certa frequenza a quei tempi. Ma la difficoltà del disaccordo fra i due evangelisti appare irrilevante se si considera che S. Matteo si riferisce non al luogo della nascita, ma al luogo della visita dei magi, che sembra sia avvenuta qualche tempo dopo la nascita (Mt 2, 11). Se la grotta, infatti, fu un rifugio di emergenza per il parto di Maria, è ovvio pensare che subito dopo la nascita di Gesù, S. Giuseppe abbia trovato una «casa» dove far abitare la Sacra Famiglia: cfr G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, Città del Vaticano 1947, pp. 281 s. Niente impedisce, del resto, di intendere per «casa» (secondo Mt 2,11) la parte posteriore, ossia la grotta-stalla annessa alla vera e propria «casa»: cfr P. BENOIT, Non erat eis locas in diversorio (Lc 2,7), in A. DESCAMPS, Mélanges B. Rigaux, Grembloux 1970, pp. 173-186.
19 Sembra sia confermato anche dagli scavi archeologici che tale grotta, in ogni caso, veniva a trovarsi nei pressi dell'abitato di Betlemme: cfr E. TESTA OFM, Betlemme e la grotta della Natività, in Bibbia e Oriente 1 (1959) 78-80; G. LEONARDI, op. cit., p. 110, nt. 25.
20 Op. cit., p. 137.
21 Op. cit., p. 207. Cfr R. LAURENTIN, op. cit., p. 270, nt. 4, dove sono citati gli studi di E. MORE TOMBTONES, H. LIETZMANN, J. B. FREY, W. MICHAELIS, G. KITTEL, E. PERETTO, a dimostrazione che il termine «primogenito» non implica la nascita di altri fratelli minori. Anche J. ERNST scrive che « il testo non contiene neppure la velata intenzione di alludere ad eventuali altri figli che sarebbero nati dal matrimonio con Giuseppe» (op. cit., p. 141).
22 Op. cit., pp. 594-595 (l'intera nota fuori testo).
23 «Senza appesantire il racconto con particolari di dubbio gusto - come faranno più tardi i ' Vangeli ' apocrifi - l'evangelista ci presenta una madre immediatamente in grado di prestare, da sola, le prime cure al bambino. La fede, infatti, ci dice che quella Madre restò Vergine, e per lei il parto fu soltanto gioia» (S. GAROFALO, La Madonna della Bibbia, Milano 1958, p. 62). Vedere pure R. LAURENTIN, op. cit., p. 247; M. VARÓN-VARÓN, op. cit., p. 92.
24 A proposito del «parto verginale» (cosa ben diversa dalla «concezione verginale» e dalla verginità «dopo il parto», che significano l'esclusione totale del rapporto coniugale fra Maria e Giuseppe), il LEONARDI tenderebbe nressoché a sottacerlo nella sua realtà biologica integrità dell'imene»), sostenendo che la maternità, con il segno «delle cicatrici nell'utero», è una «gloria, non un disonore; e questo anche per Maria!» (op. cit., p. 208). È quanto meno strano o equivoco questo modo di ragionare. Se è vero, infatti, che la maternità ha il segno delle «cicatrici nell'utero», è altrettanto vero che la verginità ha il segno dell'« integrità dell'imene». Orbene, il mistero del «parto verginale» di Maria significa esattamente che Maria con il parto ha ambedue le cose insieme, ossia ha « le cicatrici nell'utero» (segno e gloria della maternità) e ha « l'integrità dell'imene» (segno e gloria della verginità). Sono le due glorie della Vergine-Madre! Questo è il mistero di fede della verginità «nel parto» di Maria. Cfr La Bibbia di Navarra. I quattro Vangeli, Milano 1988, p. 531.
25 Op. cit., p. 255.
26 R. LAURENTIN, op. cit., p. 247 (leggere l'intera nota fuori testo su «La greppia e i pannolini », pp. 246-247; vedere pure p. 255, nt. 14). A proposito della «mangiatoia» c'è chi la descrive come un incavo nella pietra della grotta, con una sponda fatta di fango, paglia e pietre; c'è chi, invece, la descrive come una sorta di canestro o recipiente mobile messo a terra: cfr G. DALMAN, Orte und Wege Jesu, Giitersloh 1924, pp. 42 s; J. M. CREED, The Gospel according to St. Luke, London 1966, p. 34.
27 Cfr B. RINALDI, La mangiatoia, in Bibbia e Oriente 6 (1968) 243-252; R. LAURENTIN, op. cit., p. 251, p. 255 nt. 15. 16.17 (cita anche il Brown tra i favorevoli alla presenza dei due animali); G. LEONARDI, op. cit., pp. 210-211 (tra i favorevoli, cita il Winandy); P. PIETRAFESA, op. cit., pp. 220-221.
28 S. GAROFALO, Le parole di Maria, Milano 1962, p. 152.
29 Op. cit., p. 218.
 

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