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  Storicità e convergenze dei Vangeli dell'infanzia di Cristo 
Bibbia

Dal libro di René Laurentin, I Vangeli dell'infanzia di Cristo. La verità del Natale al di là dei miti, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986, pp.421-440.



 

I - LUCA 1-2

La dichiarazione d'intenzioni di Lc 1, 1-4

Dal punto di vista storico il dato principale in Luca è il prologo, ove egli dichiara precisamente di voler riferire con acribia di eventi reali e vicini, sulla base di testimoni oculari: «Dal momento che molti hanno intrapreso a comporre un racconto degli eventi (pragmatôn) che si sono verificati tra noi, secondo quanto ci hanno trasmesso (paredosan) coloro che, testimoni oculari fin dall'inizio (oi ap' archês autoprai), son divenuti servi della Parola, è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente (akribôs) informato (parékolouthêkoti) di tutto a partire dalle origini (anôthen), di scriverne per te, eccellente Teofilo, con ordine (kaihexês), affinché conosca la certezza (asphaleian) delle parole che hai ricevuto (katêchêthês)» (Lc 1, 1-4). Questo prologo spira contemporaneamente una preoccupazione e una sicurezza (parrhêsia) di verità. I commenti sottolineano unilateralmente e sistematicamente che si tratta d'una verità religiosa. Luca parla d'una «tradizione» attinta dai servi della Parola (questo termine ricorre due volte: in 1, 2.4), composta (1, 1) con «ordine» (1, 3) e con la preoccupazione apologetica di confermare la certezza d'una catechesi. Queste parole e questa dimensione vanno sicuramente prese in considerazione. Luca scrive in una comunità e per una comunità di fede, con la preoccupazione del senso che vivifica la comunità. Il «racconto» che propone (1, 1) non è puramente fattuale o aneddotico. É una storia sacra percepita come tale. Ma ciò non esclude una preoccupazione fondamentale di conformarsi agli eventi. E la sua insistenza su questo punto può essere avvalorata da un'opposizione allo gnosticismo e al docetismo, la cui prospettiva irrealista e idealista imperversava4. Sono «eventi veriftcatisi tra noi » (tôn peplêrophorêmenôn en hêmin pragmatôn)5 quelli ch'egli intende presentare. Egli comincia di qui e si indirizza a contemporanei, che possono ancora controllare e contestare. Egli rimane lo storico d'un'attualità vivente e non d'un passato morto. Luca ha la preoccupazione di fondarsi su « testimoni oculari » (1, 2) «fin dall'inizio». Ci si è accaniti nel restringere questo termine «inizio» al battesimo di Gesù: non è forse di qui che cominciava il cherigma primitivo secondo At 1, 22 e 10, 36-40 e secondo l'attestazione del vangelo di Marco? Senza dubbio. Ma Luca, senza che noi ignoriamo questo punto di partenza iniziale del cherigma, ha precisamente voluto innovare spingendosi a monte del battesimo, alle origini stesse di Gesù, alla sua concezione e alla sua nascita. Tale innovazione, che gli sta a cuore e che gli è mirabilmente riuscita, spiega senza dubbio la sua insistenza ridondante: « fin dall'inizio» (1, 2), «a partire dalle origini » (1, 5: isotopia). Queste espressioni si riferiscono normalmente all'inizio stesso del racconto, qui al vangelo dell'infanzia introdotto da questo prologo. Si sono moltiplicati i tentativi di fare di questi primi due capitoli di Luca un'enclave o interpolazione. Lc 1, 1-4 si salderebbe allora con l'inizio del capitolo 5 e si riferirebbe solo al vangelo della vita pubblica. Queste ipotesi senza fondamento sono oggi escluse e abbandonate sotto ogni riguardo6. Luca ha scritto organicamente il vangelo dell'infanzia. Esso porta il marchio del suo stile, del suo vocabolario e della sua teologia e si concatena con il resto. La sua preoccupazione di rifarsi ai testimoni oculari si afferma esplicitamente nel suo vangelo dell'infanzia, ove egli si riferisce a tre riprese ai testimoni che «conservano queste parole-eventi » nei loro cuore7: l'ambiente dell'infanzia di Giovanni Battista (1, 66) e soprattutto Maria, Madre di Gesù (2, 19.51). In misura maggiore degli altri evangelisti Luca fa riferimento alle donne (8, 1-3; At 1, 14 ecc.), attente alle prime origini della vita. Riserva un posto d'onore ai « fratelli di Gesù» (screditati da Mc 3, 20-21 e Gv 7, 5), che sono i testimoni oculari della sua vita a Nazaret8. Egli non ha ridotto la sua informazione alla testimonianza ufficiale dei Dodici. Se dice che questi testimoni - gli Apostoli per la vita pubblica, Maria per l'infanzia — «non compresero» certi atti o parole di Gesù, lo fa per meglio manifestare al lettore lo sforzo e il tempo necessario per comprendere: difficoltà che dovettero superare gli stessi primi « testimoni oculari » (1, 2). La meditazione di Maria è caratterizzata come un'informazione integrale, sottolineata dal ritorno insistente del termine panta in 2, 19.51 e da una riflessione attiva (symballousa: 2, 19) per mettere a confronto gli eventi con le Scritture, al fine di scoprirne il senso. Su questo piano informazione e ricerca del senso, verità e simbolismo sono presentati come strettamente correlativi. Il termine asphaleia (Lc 1, 4), che è stato a volte unilateralmente riferito alla certezza religiosa, ha anch' esso la stessa duplice portata. Esso significa una sicurezza o certezza su cui è possibile contare, si tratti delle catene della porta d'una prigione (At 5, 23), dei ferri d'un prigioniero (verbo asphalizô in At 16, 24), dei sigilli d'un sepolcro (Mt 27, 64-66, stesso verbo asphalizô) o di informazioni sicure nell'istruzione d'un processo (At 21, 34; 22, 30; 25, 26: asphalês). Luca mira indubbiamente a una sicurezza della fede, però il suo vangelo non propone dei dogmi astratti, bensì la storia stessa di Gesù, e bisogna ch' essa sia vera, altrimenti non avrebbe senso. La sicurezza con cui alcuni esegeti dissociano simbolismo e storicità deriva da una cultura e da una filosofia ben diverse da quelle del nostro evangelista. Egli intende proporre una verità compresa, meditata, interpretata in maniera qualificata, solida sul piano dei fatti e su quello del senso. A questo mira l'arte del comporre, di cui egli parla (1, 1-4) e che pratica con tanta coscienza e talento. Luca insiste sull'«acribia» con cui s'è informato di tutto. L'avverbio akribôs ricorre solo qui nei vangeli, eccezion fatta del vangelo dell'infanzia secondo Matteo, ove l'acribia (2, 8; cf 2, 16) caratterizza l'esattezza minuziosa (e cronologica) con cui Erode si informa a proposito del Messia9. Luca s'è conformato culturalmente all'etica degli storici dell'epoca, non solo a Polibio, ma anche allo scettico Luciano, secondo cui la storia va scritta con franchezza e verità (parrhêsia kai alêtheia)10. Egli si è ispirato a questi pionieri della storia fino a scrivere il suo prologo secondo il modello più classico. Se vi apporta altre dimensioni (religiose), lo fa integrandole alla sua preoccupazione di conformità agli eventi. Il suo prologo esprime con estrema chiarezza una preoccupazione d'autenticità storica. Si tratta della dichiarazione di storicità più esplicita che troviamo nella Scrittura. Tale evidente preoccupazione di storicità ha potuto esser contestata solo proiettando su Luca e sul suo tempo l'a priori filosofico del secolo XIX, che riteneva il discorso religioso una finzione. Nella misura in cui tale ipotesi si impone, essa falsa l'interpretazione dei vangeli dell'infanzia e affossa il loro valore anche religioso. Ancora una volta non si tratta di contestare l'intenzione religiosa di Luca, essa però non può venir dissociata dalla preoccupazione di esprimere la verità degli eventi riguardanti la persona reale di Cristo. Per gli evangelisti il vero e il senso non si oppongono, ma sono correlativi. Si tratta di scoprire il senso nella verità dei fatti. Ciò non conduce alla preoccupazione di fornire una cronaca dettagliata, malgrado il termine panta (1, 3; cf 2, 19.51) che Luca utilizza generosamente (25 volte soltanto in Luca 1-2), ma a fare una selezione, di cui vedremo più avanti i principi direttori. Luca si attiene agli elementi significativi, ridotti all'essenziale. Si concede il diritto di presentare, non di deformare o di tradire. La sua storia vuoi essere veridica, solida, rigorosa (1, 3).

Indizi di storicità

Indizi numerosi e convergenti confermano che il suo vangelo risponde a questo proposito. Esso rispetta la modestia, la povertà, l'umiltà sconvolgente dell'infanzia di Cristo; tra i poveri e non in ambienti prestigiosi si verifica la prima fioritura della fede e dei carismi. I dettagli dei racconti manifestano l'esattezza e l'acribia scrupolosa dell'autore11:
- Nel racconto della visitazione, ch' egli. scrive utilizzando il racconto del trasferimento dell'arca secondo 2 Sam 6 (sopra, pp. 82-85), egli si compiace di parlare di 3 mesi passati da Maria nella casa di Zaccaria, conformemente ai 3 mesi passati dall'arca nella casa di Obed-Edom (2 Sam 6, 11). Ma sfuma tale prestito con un «all'incirca» (Lc 1, 56), che denota la sua preoccupazione di non forzare l'accostamento12.
- Non fa di Maria una figlia di Davide, cosa che lo avrebbe aiutato a consolidare i legami davidici di Cristo, perturbati dal fatto della concezione verginale13. La tradizione ecclesiastica non si atterrà a questo rigore e, a partire dal secolo II, cercherà di «dedurre» o inventare ciò che Matteo e Luca non potevano dire. L'imperativo che si manifesta meno di un secolo dopo non esisteva al tempo dei nostri evangelisti (più avanti, pp. 453-456).
-  Né Luca fa di Maria una discendente della tribù sacerdotale, (e lo stesso testo di Ml 3, da cui egli dipende) lo fanno propendere in questo senso. Luca si limita a dire che Maria è parente (suggenis) di Elisabetta (1, 36) «discendente di Aronne» (1, 15)14.
- Egli non proietta la gloria di Dio sulla greppia di Betlemme, ma soltanto sui pastori, lasciando Gesù bambino nell'indigenza più totale, a differenza del Prottovangelo di Giacomo (19, 2, ed. Strycker, 155-157) posteriore di meno d'un secolo.
- Lascia alla profezia di Simeone la sua oscurità, che imbarazza ancora l'esegesi odierna, mentre la passione e la risurrezione, oggetto dei capitoli 23-24, gli avrebbero permesso di chiarirla.
- Stessa moderazione nell'episodio del ritrovamento: là dove gli apocrifi mostrano i dottori confusi dalla scienza esaustiva di Gesù, egli si attiene alle umili domande e risposte del ragazzo (Lc 2, 45-47). Si limita a termini modesti per suggerire in questa scena la sua futura posizione di didascalo.
Certo, Luca non scrive la storia come uno storico moderno. Egli ha messo insieme racconti di carattere semplice, diretto, popolare, racconti già decantati, interpretati, meditati. Secondo la sua abitudine ne ha rispettato la portata, limitandosi a metterli a punto, a esplicitarli o a temperarli, nei limiti che la sua utilizzazione di Marco15 o di altri testi ci permette di apprezzare a suo onore. Luca non è un ideologo. La sua teologia non è una teologia di theologoumenon16, ma una meditazione contemplativa che si fissa sugli «eventi » e vi discerne, nella luce della fede, una luce viva. Ecco ciò che l'analisi permette di dire sulla storicità di Luca, attestata dalla sua dichiarazione di intenzioni, confermata da indizi convergenti.

II - MATTEO 1-2

Matteo 1-2 fornisce allo storico meno garanzie e meno indizi di Luca 1-2. In lui non troviamo alcuna dichiarazione d'intenzione storica (quella di Luca è una rarità, un hapax nel Nuovo Testamento).

Carattere del racconto

Il suo racconto è più schematico, costruito, stilizzato, e ciò potrebbe indurre a diffidare, anche se il meraviglioso vi è assai discreto: l'intervento di Dio attraverso i sogni situa il soprannaturale al livello più basso: un sogno non è un miracolo. I magi non li trasforma in re, anche se la logica del racconto e delle allusioni bibliche va in questo senso. La tradizione posteriore non avrà altrettanto scrupolo. Matteo evita ogni megalomania. L'infanzia di Gesù si svolge senza miracoli, né trionfi umani. La sua genealogia manifesta una preoccupazione documentaria coscienziosa, che esamineremo più avanti. É chiaro ch'egli s'è preoccupato di scrivere non una leggenda o un romanzo, ma la relazione stilizzata di eventi reali, credibili per i suoi contemporanei, tra cui non mancavano gli avversari. E non abbiamo conoscenza ch' egli si sia attirato delle smentite. Diversi tratti coincidono coi dati storici: vi erano sicuramente degli astrologi viaggiatori in Oriente; Qumran ha conservato un oroscopo del Messia; Erode era un re astuto e crudele. Lo sfondo coincide, e noi vi ritorneremo sopra.

Modo di usare la Scrittura

Ma il segno migliore dell'esigenza storica di Matteo è la sua difficoltà di far quadrare gli eventi con le profezie giustificative che cita, per cinque volte, alla fine di ogni episodio. Se questi racconti fossero stati una finzione, egli li avrebbe forgiati secondo la lettera della Scrittura. Avrebbe fatto ricorso alle profezie più note e le avrebbe illustrate con la disinvoltura del romanziere. Invece cita delle profezie oscure, minori o non identificabili e ne adatta laboriosamente i termini per conformarle agli eventi sconcertanti dell'infanzia, che la Bibbia non lascia prevedere.
1. Il fatto che Gesù non sia generato da Giuseppe, figlio di Davide, come ci si aspettava, metteva in questione la sua qualifica di Messia. Matteo dà prova di rigore storico assumendo questo dato scandaloso e giustificandolo per vie traverse laboriose. Egli ricorre a questo scopo alla profezia d'Is 7, 14, ma è lui a conferirle un senso nuovo e inatteso, perché la tradizione ebraica non l'interpretava affatto in questo senso. Lui stesso vi perviene con difficoltà, perché la predizione non concorda in tutti i punti con l'evento:
- Il nome di Emmanuele, dato al Messia secondo Is 7, 14, non coincideva col nome di Gesù. Tuttavia Matteo non ha cancellato questo tratto;
- Secondo il testo ebraico
di Is 7, 14 è la madre a imporre il nome al figlio (come l'ha ritenuto Lc 1, 30-31). Ma ciò avrebbe escluso Giuseppe, di cui Matteo voleva invece attestare il ruolo. Secondo il greco era il re Acaz a imporre il nome, ma ciò non serviva meglio al proposito di Matteo, per cui egli, per mettere in rilievo la missione paterna di Giuseppe, ha dovuto allontanarsi dal testo. Se si è dato la pena di modificarlo, è perché non si riteneva in diritto di modificare l'evento.
2. Egli lavora allo stesso modo la profezia di Mic 5, 1-3, cui integra 2 Sam 5, 2 per esplicitare la funzione di pastore e il riferimento a Davide1.
3. Avrebbe potuto esser tentato di modellare Gesù sul tipo di Mosè, e le sue allusioni mostrano che vi ha pensato. Ma se avesse voluto comporre un theologoumenon su questa base, avrebbe dovuto raccontare un Gesù salvato dalle acque (Es 1, 22; 2, 1-6). Dobbiamo vedere in Mt 2, 13 un reimpiego di Es 2, 15?

- Es 2,15
Il faraone... cercò
di uccidere Mosè.
Mosè fuggi lontano dal faraone
... Si recò nel paese
di Madian...
- Mt 2, 13-14
 Erode cerca
di distruggere il bambino..
(Giuseppe) riparò in Egitto...

 

L'analogia è quanto mai tenue: Mosè adulto fugge spontaneamente, perché sa che il faraone lo vuoi uccidere. Gesù è condotto in Egitto da Giuseppe, in seguito a un sogno in cui gli appare l'angelo del Signore. Mosè fugge l'Egitto, mentre Giuseppe vi si rifugia. Il racconto dell'Esodo non determina in nulla quello di Matteo. L'analogia letterale è molto maggiore tra Es 4, 19 e Mt 2, 20:

Es 4, 19
Jahve disse a Mosè: 
Va', ritorna in Egitto, 
perché sono morti
coloro che cercano
di farti perire.
Mosè
prese la sua sposa e suo figlio
e tornò nel paese
d'Egitto...
 Mt2,19
L'angelo del Signore... disse a Giuseppe
- Va' in Israele,
 perché sono morti
coloro che cercavano
la vita del bambino.
Giuseppe, alzatosi,
 prese il bambino e sua Madre
e entrò nella terra
d'Israele...

Ma anche qui i due viaggi si muovono in senso inverso: Mosè rientra in Egitto e Gesù lo lascia. Mosè prende sua moglie e suo figlio, mentre Gesù è il bambino nel racconto di Matteo. Sarebbe Giuseppe a far pendant con Mosè, un accostamento senza significato. Per il viaggio di ritorno in Israele Matteo non accosta Cristo a Mosè, bensì al popolo adottato da Dio, citando a questo scopo Os 11, 1: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio» (cf Es 4, 22). Gesù è assimilato a Israele, non a Mosè. Anche se raccogliessimo tanti piccoli dettagli dell'abbondante tradizione ebraica sull'infanzia di Mosè, non vi troveremmo nulla che abbia potuto determinare il racconto di Matteo. Gli accostamenti minori e limitati hanno solo valore di allusione come quelle, più rilevanti, che abbiamo notato col patriarca Giuseppe, l'uomo dei sogni (Gn 37-41), omonimo del padre adottivo di Gesù. La dispersione stessa delle analogie toglie loro ogni carattere esplicativo.
4. La profezia di Gr 31, 15, utilizzata per illustrare la strage degli innocenti, non presenta il minimo tratto, che avrebbe potuto determinare o anche solo ispirare questo racconto, come ha minuziosamente dimostrato R. T. France, «Herod», in Nov. Test. 21 (1979) 98-120.
5. Il caso limite è la citazione, che conclude il vangelo dell'infanzia: «Sarà chiamato Nazoreo» (Mt 2, 23). Matteo ha cercato questo termine «nazoreo» là dove ha potuto e ha giustificato per via di attualizzazione, propria del midrash, l'evento cosi imbarazzante d'un Messia apparso a Nazaret in Galilea, contrariamente ad ogni attesa e ad ogni prestigio, di modo che il nome di nazoreo aderiva alla sua persona alla maniera d'un nomignolo2. La modificazione del testo biblico utilizzato è stata cosi laboriosa che gli esegeti rimangono imbarazzati nell'identificarlo.
In breve, Matteo ha conservato i fatti scabrosi, che creavano difficoltà e addirittura scandalo alla mentalità contemporanea: concezione verginale e origine nazaretana di Gesù. Egli non si è attribuito il diritto di eliminarli per soddisfare l'attesa culturale e religiosa degli uomini del suo tempo. Viceversa si è concesso il diritto di modificare dei testi scritturistici per fornire la prova biblica degli eventi. Egli si sentiva quindi più legato dall'evento che dalla lettera delle Scritture. Tali indizi conferiscono al suo racconto una grande credibilità.

III - CONVERGENZE

A. Luca 1-2 e Matteo 1-2

Alcuni critici hanno cercato di trovare delle contraddizioni insuperabili tra Matteo 1-2 e Luca 1-2, ma vi sono riusciti solo travisando il senso dei testi. La verità è che i due vangeli dell'infanzia sono molto diversi e che spesso non si sa come articolarli. Come armonizzare la greppia d'una nascita senza alloggio secondo Luca (2, 7) e la «casa» di cui parla Matteo (2, 11)1? I legami originari di Gesù con Nazaret, secondo Lc 1, 26, e il carattere accidentale e tardivo che Matteo conferisce all'inserzione di Gesù in Galilea? Ove situare la visita di astrologi e la fuga in Egitto nello schema dell'infanzia secondo Luca? A queste domande i testi non danno risposta, ma non presentano neppure delle contraddizioni. Il Diatessaron li aveva armonizzati senza difficoltà in maniera plausibile già nel secolo II (verso il 170), inserendo l'episodio dei magi dopo la presentazione al tempio: soluzione giudiziosa, adottata fino ai nostri giorni dagli esegeti amanti del concordismo2. Dopo la nascita nella greppia la Sacra Famiglia ha potuto trovare una casa. I magi sono potuti venire solo dopo i pastori. E si possono trovare delle ragioni, per cui la Sacra Famiglia è rimasta per qualche tempo a Betlemme (Matteo suggerirebbe un margine di circa due anni: 2, 16). Ma queste sono solo ipotesi. Il rigore critico invita a non trattare gli episodi di Matteo e Luca come pezzi di puzzle da far combaciare, perché tale possibilità non esiste. Si tratta di ricordi registrati, conservati, interpretati, organizzati secondo prospettive molto diverse, quasi di foto d'un edificio prese da diverse angolature. Falseremmo tutto, se le combinassimo in una sola immagine. Ciò che risulta dall'analisi è che Matteo 1-2 e Luca 1-2 realizzano uno dei migliori indizi della verità storica: l'accordo di testimoni indipendenti e divergenti: concordia di scordantium3.

B. Accordo con il resto del Nuovo Testamento

1. I vangeli
Luca 1-2 e Matteo 1-2 concordano in maniera convergente con il resto del Nuovo Testamento.
- Anche in questo Gesù è considerato nazoreo (sopra, pp. 369-371) e figlio di Davide: titolo che ricorre 12 volte nel Nuovo Testamento, senza contare altri riferimenti più numerosi all'ascendenza davidica. I vangeli evitano costantemente di dirlo « figlio di Giuseppe», se non sulla bocca degli avversari (Mt 13, 55; Gv 1, 45; 6, 42) o in contesti, in cui questa espressione della vita quotidiana è chiaramente rettificata (Lc 2, 33.48-49). Vedremo che essi evitano costantemente di riferire Gesù a un padre diverso da Dio. Similmente le obiezioni, che rimproverano a Gesù di non essere di Betlemme (luogo del Messia), sono citate ironicamente come obiezioni di avversari ottusi (Gv 7, 42).
- Il corpo dei quattro vangeli conferma l'oscurità dei primi anni di Gesù. Egli era sconosciuto all'inizio del suo ministero. Era un semplice laico (non un sacerdote). L'insinuazione di Luca, secondo la quale egli era imparentato con le famiglie sacerdotali (Lc 1, 5.36), non contraddice questo dato, ma lo rispetta. Gesù non ha ricevuto la formazione d'uno scriba, e tuttavia parla «con un'autorità» irresistibile4. La mentalità di allora avrebbe preferito per il Messia un biglietto di presentazione onorevole o un'origine meravigliosa. Il theologoumenon rispondente alle aspirazioni dell'uomo di quel tempo l'avrebbe fatto discendere dal cielo. E questa tendenza appare chiaramente in Gv 3, 13; 6, 33 ecc. s, L'evangelista tenta di applicare a Gesù questa espressione luminosa in un senso spirituale: non un adulto che sarebbe disceso dal cielo con un corpo celeste, secondo Dn 7, ma il «Verbo fatto carne» che nasce da una donna (Gv 1, 14).
2. Luca 1-2 e Giovanni 1
Particolarmente numerosi e significativi sono i contatti tra il vangelo dell'infanzia secondo Luca 1-2 e il prologo di Giovanni 1, 1-18, che sembra riferirsi ad esso passo dopo passo. Come Luca 1-2, anche il prologo è costruito sul rapporto contrastato fra Giovanni il Precursore e Gesù, Figlio di Dio (Gv 1, 6-8). Solo Gesù è luce (Lc 1, 78; 2, 32; Gv l, 7-9), mentre Giovanni è solo testimone di questa luce (Lc l, 76-78; Gv l, 7)6. Gesù viene « in casa sua» e « i suoi non lo ricevono» (Lc 2, 7; Gv 1, 10): coincidenza riguardante la storicità. Giovanni 1 riprende soprattutto la teologia di Luca: Gesù è Figlio di Dio (Lc 1, 32.35; 2, 49; Gv l, 14.18). Il fatto che sia nato da una Vergine ne è il segno (Gv l, 13; Lc l, 35):
Non conosco uomo, dice Maria in Lc l, 34.
Gesù non è stato generato da desiderio d'uomo, secondo Gv 1, 13 (ritorneremo su questa lettura del versetto al singolare, pp. 480-481).
La divinità di Cristo è rivelata sotto la figura della shekinah, con l'impiego del verbo specifico episkiazô, che significa l'ombra della nube divina in Lc 1, 35; con il verbo skenoô, che significa l'abitazione di Dio nel tabernacolo, in Gv 1, 14. Come si vede, si tratta dello stessa tema, con riferimento alla medesima presenza di Dio nell'arca dell'alleanza. In Luca 1 come in Giovanni l la teologia di Cristo è sviluppata in funzione della grazia (Lc l, 28.30; 2, 40.52; Gv l, 14.16.17) e della gloria (Lc 2, 9.32; cf 1, 35; Gv 1, 14) riferite al Figlio di Dio nella sua stessa umanità (Lc l, 31; Gv l, 14). In Gv 1, 1-12 l'affermazione dell'origine divina precede, come in Lc 1, 32a, quella dell'origine umana. Gesù è detto «Figlio di Dio» in Lc l, 32a prima di essere detto « figlio di Davide» in l, 32b: ordine che annuncia la preesistenza giovannea. Non specifichiamo oltre le analogie terminologiche, tematiche e teologiche, minuziosamente inventariate da A. Resch7. Come si sarà avvertito, esse riguardano il modo teologico di concepire i dati quanto e anche di più che non i dati stessi: rapporti di Gesù col Precursore, concezione verginale, accoglienza mediocre riservata a Cristo. Tocchiamo con mano ad ogni passo l'impossibilità di separare la constatazione dei fatti dall'interpretazione, che ne coglie il senso8.
3. Paolo
Paolo non s'è interessato dell'infanzia di Gesù Sulla via di Damasco ha conosciuto di colpo il Cristo risuscitato, con riferimento alla sua passione e morte. Solo di rado e non senza imbarazzo si riferisce alla sua origine umana, che Giovanni chiama incarnazione. Tuttavia, come per Matteo e per Luca, anche per lui Gesù è della «stirpe di Davide» (Rm l, 3; 2 Tm 2, 8), né mai è messo in rapporto a un padre umano. Paolo lo dice soltanto «venuto da una donna» (Ga 4, 4), e noi valuteremo più avanti questi riferimenti notevoli, per quanto impliciti, alla concezione verginale (p. 544).

C. Accordo coi dati extra -.biblici

1. La storia profana
Le coincidenze del vangelo dell'infanzia (e di tutta la storia dell'infanzia) con la storia profana sono molto scarse. I riferimenti ai regni di Erode nei due evangelisti (Mt 2, 1; Lc 1, 5), di Archelao in Mt 2, 22, di Augusto e Quirinio in Lc 2, 1-2 forniscono dei dati cronologici concordanti. Le difficoltà sollevate a proposito del censimento di Quirinio (Lc 2, 1-2) dipendono dal carattere frammentario delle nostre conoscenze storiche sul retroterra amministrativo e non sono insormontabili, come ha dimostrato l'articolo rigoroso e esaustivo di P. Benoit9.
1. Quirinio divenne governatore della Siria nel 6 d.C. e presiedette al censimento dei beni, che accompagnò la riduzione della Giudea allo stato di provincia romana. La nascita di Cristo, che i due evangelisti situano sotto Erode il Grande, morto nel 4 a.C. (1 a.C. secondo un'altra ipotesi), non può essere cosi tardiva.
2. Ma un censimento delle persone si svolse forse all'epoca di Erode il Grande, in seguito al suo giuramento di fedeltà all'imperatore, com' era uso (Giuseppe, Antichità giudaiche 18, § 124).
3. Del resto sembra che il processo del censimento sia stato graduale. Esso veniva effettuato ogni 12 anni in Siria, il che fornisce un'altra convergenza. Luca, qualificando il censimento che ci interessa come «primo» (prote), potrebbe voler dire ch' esso fu anteriore al censimento tenuto da Quirinio come governatore della Siria. Lagrange ha trovato una base in questo senso in Sofocle (Antigone 637-638: Revue Biblique 1911, p. 83). Questa soluzione, riconosciuta da numerosi grammatici, ma poco seguita tra gli esegeti, ha una sua probabilità. Diversi storici pensano che Quirinio potrebbe esser stato incaricato di curare gli affari romani in Medio Oriente una dozzina d'anni prima d'essere nominato governatore della Siria. Il fatto che il censimento si sia svolto nella città d'origine non crea difficoltà. Questa era la regola per i censimenti dell'Egitto, al fine di fissare l'imposta sulle proprietà di famiglia. I testi sono troppo frammentari per permettere di ricostruire l'evento o di metterlo in chiaro. In che misura Luca, il quale sembrerebbe conoscere un solo censimento (At 5, 37), ha riunito due censimenti diversi o globalizzato un insieme di operazioni demografiche comprese tra il 6 avanti e il 6 dopo Cristo? In che misura riflette aspetti mal conosciuti del processo lungo e complesso dell'integrazione romana? La discussione rimane aperta. La menzione del «primo censimento» di Quirinio, inserita come un lusso di precisazioni superflue, attesta la volontà di esattezza che anima Luca. Egli ha fatto ricerche secondo i metodi del suo tempo. Allora i documenti erano più rari di oggi. Uno spazio maggiore occupavano la memoria e la parola. Nulla infirma la sua serietà. Il racconto ch' egli ci fa della nascita di Cristo non è un gioco di fantasia, ma è basato su dati complessi (tutt' oggi non padroneggiati). Le sue informazioni sono giustificate per lo meno nella sostanza. Egli vi discerne a giusto titolo il disegno di Dio, che stabiliva la congiunzione di Cristo con la «città di Davide» e preparava, in un mondo unificato divenuto nikumené, la diffusione del vangelo, oggetto dei suoi Atti degli Apostoli. La sua teologia storica è eccellentemente fondata. Bossuet non ha fatto meglio, e noi non abbiamo elementi sufficienti per sapere in che misura la minuziosità e l'esattezza sarebbero e non sarebbero scarse. L'analisi critica degli episodi ci mostrerà come il ritratto di Erode, il crudele e abile omicida privo di scrupoli, concordi coi dati storici.
2. Gli apocrifi
I vangeli dell'infanzia secondo Matteo e Luca differiscono per la loro sobrietà dagli apocrifi, che moltiplicano i miracoli di Gesù bambino. Anche il Protovangelo di Giacomo (metà del secolo II), il più serio tra di essi, che ha ispirato varie feste liturgiche (Natale, Presentazione) e l'iconografia cristiana, si discosta dai vangeli canonici a motivo dell'ignoranza dell'ambiente e delle usanze palestinesi, nonché per le sue invenzioni gratuite, in contrasto coi costumi di allora. Le meraviglie si moltiplicano in occasione della nascita di Maria. Sua madre non le porge il seno prima di essere purificata, cioè. prima del quarantesimo giorno. Ella fa si che i piedi della piccola non tocchino il suolo fino a quando sarà portata al tempio, di cui sale i gradini per dirigersi al Santo dei Santi, ove i sacerdoti l'introducono. Segue il. racconto dei prodigi del matrimonio con Giuseppe, organizzato dai sacerdoti. Il bastone di Giuseppe fiorisce, a differenza di quello degli altri pretendenti, e cosi egli è scelto come sposo di Maria. Al momento della nascita di Gesù è presente una levatrice per constatare la verginità della madre dopo il parto, il che dà luogo ad altri miracoli. Luca si dimostra infinitamente più prudente e più sobrio, quando mostra Maria, padrona di sé, avvolgere lei stessa il bambino in fasce prima di deporlo nella greppia. Il Vangelo di Tommaso (secolo VI), riprendendo l'episodio del ritrovamento (Lc 2, 41-52), non sa attenersi alla medesima sobrietà. I dottori sono sbalorditi di fronte alla scienza del fanciullo: « Stavano tutti attenti e si meravigliavano che un fanciullo riducesse al silenzio gli anziani e i dottori del popolo, spiegando i punti principali della legge e le parabole dei profeti... Gli scribi e i farisei dissero a Maria:  Sei tu la madre di questo fanciullo? Ella rispose: Si, sono io. Essi le dissero: Beata tu fra le donne, perché Dio ha benedetto il frutto delle tue viscere (cf Lc 1, 42); mai infatti abbiamo visto e inteso tanta gloria, tanta virtù e tanta sapienza»(Ed. C. Michel, Évangiles apocryphes, Paris 1911, t. 1, p. 189). Luca non è caduto in questo trionfalismo, né in quello di Giuseppe Flavio, che parla cosi della propria giovinezza: «Quando avevo all'incirca 14 anni (51-52 d.C.}, tutti mi felicitavano per il mio amore allo studio, e i sommi sacerdoti e i notabili della città venivano continuamente a trovarmi, per apprendere da me questo o quel punto particolare delle nostre leggi »(Autobiographie, 5 2, n. 9, Ed. Budé, Pans 1959, p. 2). Luca non riconosce a Gesù un genio superiore all'infanzia, come invece fa Giuseppe Flavio nei confronti di Mosè: «La sua sapienza non cresceva secondo l'età (hêlikia), ma la superava grandemente (Antichità 2, 9, 6). Il vangelo arabo dell'infanzia spinge ancora più lontano le estrapolazioni trionfalistiche. Alla domanda d'uno scriba: «Avete letto i sacri libri?», Gesù risponde dicendo di sapere tutto: «I libri e il contenuto dei libri, la loro spiegazione, la spiegazione della Torah, dei comandamenti, delle leggi e dei profeti: cose inaccessibili alla ragione d'una creatura» (Évangile syro-arabe de l'enfance, c. 50, P. Peeters, Paris 1914, -, p. 62). A un maestro d'astronomia risponde con la stessa sicurezza dicendo: Il numero delle sfere e dei corpi celesti con le loro nature, le loro virtù, le loro opposizioni, le loro combinazioni per tre, quattro e sei, le loro ascensioni e le loro regressioni, le loro posizioni in minuti e secondi e altre cose che superano la ragione umana (ivi ). A un filosofo «versato in medicina» risponde similmente «con una dissertazione sulla fisica, la metafisica, l'iperfisica e l'ipofisica, sulle forze dei corpi e dei temperamenti, sulle loro energie e sugli influssi che esercitano sui nervi, le ossa, le vene, le arterie e i tendini, sulle proprietà del caldo, del secco, del freddo, dell'umido e sui loro effetti, sulle operazioni dell'anima nel corpo, sulle percezioni e sulle potenze, sulla facoltà logica, sugli atti dell'appetito irascibile e concupiscibile, sulla composizione e dissoluzione e su altre cose che superano la ragione d'una creatura. E il filosofo, alzatosi in piedi, si prosternò davanti al Signore Gesù (bambino) e gli disse: Signore, d'ora in poi sono vostro discepolo e vostro servo» (ivi, p. 63). Il contrasto tra questo Gesù «parafisico», precursore di papà Ubu, e l'umile bambino di Luca 2, mostra meglio di ogni commento la differenza tra finzione e realismo storico. Il Vangelo di Tommaso attribuisce a Gesù, fin dall'infanzia, una gran quantità di miracoli puerili e magici, che si amplificano nelle sue derivazioni siriache, arabe e armene10: Gesù fa volare gli uccelli di argilla, che si diverte ad impastare; allunga i mobili, che Giuseppe si dispera d'aver fatto troppo corti per il palazzo del re Erode; guarisce molti malati e risuscita morti ecc. Se Luca fosse stato un inventore di finzioni theologoumenali, il genere letterario dei racconti d'infanzia, che invita a mettere in rilievo le prefigurazioni dell'età adulta (in quell'epoca come nella nostra), lo avrebbe spinto a raccontare almeno una guarigione o qualche moltiplicazione di pani, e invece non lo fa. Questo ci dà la misura della sua serietà e della sua preoccupazione di storicità. È questa onestà che gli ha permesso di assumere la povertà del Figlio di Dio bambino: meraviglia inattesa, rivelatrice dello stesso vangelo, cui nessuno aveva ancora pensato. Questa era la cosa insondabile, e non la scienza o i prodigi illusori moltiplicati dagli apocrifi.

NOTE
- NOTE A I - LUCA 1-2
4 PREOCCUPAZIONE STORICA DI LUCA. Si è sottolineato unilateralmente che il prologo accentuerebbe i « lati divini » anziché la certezza fattuale. J. H. MARSHALL, Luke, 1978, che ha studiato queste analisi, conclude: «Questa tesi è corretta circa ciò che afferma, ma sbagliata circa ciò che nega. É chiaro che... Luca s'è preoccupato dell'amabilità storica del suo materiale», E aggiunge che l'opposizione allo gnosticismo e al docetismo può aver polarizzato la sua preoccupazione storica.
5 PRAGMATA. Il termine, molto generico, significa atto, affare (At 5, 4; Rm 16, 2; 1 Cor é, 1; 2 Cor 7, 11; 1 Ts 4, 6; 2 Tm 1, 4), cosa {Mt 18, 19), realtà (Eb 6, 18; {0, 1; 11, 1), La precisazione «veri6catasi tra noi » induce necessariamente a tradurre il termine con evento (cf At 26, 26, ove il verbo prasso indica ciò che è accaduto, letteralmente ciò che è stato fatto).
6 Sopra, Parte I, pp 54-55: «È uno dei rari punti su cui lo studio cistico perviene a una certa convergenza», dice L. LEGRAND in L'Annonce, 1981, pp. 29, 114. Se Luca avesse voluto riferire il suo prologo solo al capitolo 3, con esclusione dell'inizio, era abbastanza padrone della sua penna per inserire più avanti la sua dichiarazione o redigerla diversamente.
7 Si è tentati di fare dei ritornelli dei ricordo, delle dichiarazioni dalla portata puramente apocalittica. A. SERRA, Sapienza, Marianum, Roma 1981, pp. 46-138. 285-298, ha illustrato in maniera esaustiva la portata polivalente di questo ritornello, che può senza dubbio tingersi di sfumature apocalittiche e sapienziali, ma che si riferisce normalmente agli eventi della storia della salvezza. Il riferimento all'anamnesi come via di trasmissione è costante nella Bibbia.
8 Vedi nota fuori testo, p 420.
9 ACRIBIA DEI VANGELI DELL'INFANZIA. Luca adopera il termine akribeia, rigore, esattezza, in At 22, 3 e akribós (esattamente) in Lc 1, 3 e cinque volte negli Atti, contro tre volte nel resto del Nuovo Testamento, di cui una volta nel vangelo dell'infanzia secondo Matteo 2, 8. Quest'ultimo adopera il verbo corrispondente akriboó in 2, 7.16 (i due soli impieghi nel Nuovo Testamento) per qualificare l'informazione poliziesca accurata e realistica praticata da Erode. L'akribeia può indicare l'esattezza nella conoscenza religiosa (At 18, 25-26; 24, 22; 1 Ts 5, 2), ma anche e anzitutto l'esattezza dei fatti (Mt 2, 7-8; At 23, 15.20).
10 Polibio 4, 2, 2, citato da M. J. LAGRANGE, Evangile selon Luc, 1927, pp. CXXIX-CXXXI.
11 Più avanti, pp. 453-456.
12 Bisogna dire che hôs (all'incirca) è semplicemente un « tic letterario» di Luca? Il termine non è più frequente in lui (29 volte) che in Matteo (32 volte) e in Marco (19 volte). La sfumatura «all'incirca» ricorre 7 volte in Giovanni come in Luca, secondo la concordanza della Bible de Jérusalem (ed. Cerf-Brépols).
13 Secondo le categorie di allora è chiaro che uno non discendeva da una donna, ma da un uomo. Questa è la ragione fondamentale per cui i due evangelisti collegano Gesù a Davide attraverso la paternità adottiva di Giuseppe, di cui Luca sottolinea altrove il carattere soltanto apparente (3, 23: «Figlio, cosi si riteneva, di Giuseppe»). Rimane il fatto che un collegamento per via materna avrebbe servito il proposito dell'evangelista, poiché esso ha suscitato a partire dal secolo II il tema d'un'ascendenza davidica di Maria. In ebraico e in aramaico la stessa radice yld è adoperata per dire che la donna partorisce (al qatal: positivo) e che il padre la fa partotite (all'hiphil: causativo). Il qittel (intensivo) indica il ruolo della levatrice, ma in un altro senso. Le traduzioni ebraiche del vangelo rendono l'egennêsen (generò: adoperato 39 volte in Mt 1) con yld all'hiphil. La differenza è più netta in greco tra partorire (tiktô) e generare (gennaô): due radici diverse.
14 H. CAZELLES, Naissance de l'Église, secte juive rejetée? Cerf, Paris, 1968, pp. 65-66: «La comunità di Qumran attendeva che venisse (il Messia) di Aronne e di Israele..., l'avvento dell'Unto... di Aronne e di Israele (Regola della comunità 9. 11; cf Documento di Damasco 12, 23)». Cazelles ammette l'allusione di Luca 1-2 a questa problematica, perché l'evangelista riconosce Gesù come Messia, figlio di Davide (1, 27.32; 2, 4), ma presenta Maria come «parente» di Elisabetta (1, 36), che è «delle figlie di Aronne» (Lc 1, 5), secondo l'analisi che abbiamo fatto in Structure, 1956, pp. 110-116. Luca tende a suggerire che Gesù è Messia d'Israele e d'Aronne nella linea di Ml 3, ma senza calcare la mano sul dato che utilizza.
15 E. OSTY, L'Évangile selon saint Luc, Cert, Pans 1953, pp. 8-18, ha messo meravigliosamente in luce il modo in cui Luca utilizza Marco, un modo personale ma con un rispetto letterale dell'essenziale.
16 Sulla nozione di theologoumenon vedi più avanti, p. 665.
- NOTE A II - MATTEO 1-2
1 La combinazione di Mic 5, 1 e di 2 Sam 5, 2 in Mt 2, 6 è originale e non risponde esattamente né al testo ebraico, né al greco dei LXX:

2 Sam 5, 2: Jahve a Davide
2b: Diventerai
capo d'Israele
2a: Pascerai
il mio popolo, Israele...
Mt 2, 6 aggiunge a Mic 5
 Perché da te uscirà
 il capo (hêgoumenos)
che pascerà ( poimanei)
il mio popolo, Israele...

2 NAZOREO: in Mt 26, 71 i servi del sommo sacerdote dicono con disprezzo di san Pietro: «Costui era con Gesù il nazoreo»; cf Lc 18, 37; Gv 18, 5.7; 19, 19 (l'iscrizione che stigmatizza «Gesù Nazoreo, Re dei Giudei »), At 24, 5 (ove Paolo è detto leader «della setta dei nazorei »). Questo titolo è usato come una sfida dagli apostoli, che guariscono nel nome di Gesù il nazoreo (At 4, 10; 22, 8; cf At 2, 22; 6, 14; 26, 9). Forse vi è una punta di ironia nelle parole dette da Cristo a san Paolo durante l'apparizione: « Io sono Gesù il nazoreo (sempre nazôraios: il nome che gli davano gli avversari) che tu perseguiti ». Gesù è detto Nazarênos, e non più Nazôraios, come nei testi precedenti, in Mc 1, 24; 10, 47; 14, 67; 16, 6 (forma costante), seguito da Luca (4, 34 e 24, 19), che adopera nazôraios in 18, 37, benché anche qui sembri dipendere da Marco.
- NOTE A III - CONVERGENZE
1 COME ARMONIZZARE GREPPIA (Lc 2, 7) E CASA (Mt 2, 11)?  Secondo la soluzione classica la Sacra Famiglia aveva trovato alloggio al momento della visita dei magi, che può essere avvenuta solo dopo la presentazione al tempio (40 giorni). Secondo l'esegesi attuale la mangiatoia è compatibile con la casa; Lc 2, 9 può essere tradotto: «Non c'era luogo per essi nella sala di soggiorno» (katalyma, sopra, p. 249). Essi furono cosi costretti a sistemarsi nella parte posteriore dell'edificio, senza dubbio la stalla annessa alla casa, da cui la greppia. Le due soluzioni non si oppongono. Lo studio chiave è quello di P. BENOIT, Non erat eis locus... Lc 2, 7, in Mélanges B. Rigaux, 173-186.
2 IL DIATESSARON COLLOCA I MAGI (Mt 2, 1-12) DOPO LA PRESENTAZIONE (Lc 2, 21-38). La versione araba, ed. A. S. MARMADJI, Diatessaron de Tatien, Beyrouth 1935, c. 2 - Lc 2, 21-38, pp. 18-21; e c. 3 = Mt 2, 1-12, pp. 22-24, e EFREM, Commentaire de l'Evangile concordant ou Diatessaron, ed. L. Leloir, Sources, 121, pp. 73-77 attestano lo stesso ordine. L'attribuzione a Taziano (attestata da Eusebio 4, 296, ed. Bardy 2, 214. e confermata da molte convergenze) sembra sicura. Inoltre sembra probabile che Taziano (bilingue) l'abbia composto in siriaco piuttosto che in greco (il frammento anteriore al 256, scoperto nel 1933, sembra infatti una traduzione secondo l'eccellente studio di C. L. Van Tuyvelde, «Orientales (versions)», in SDB 6 (1960) 855-870; 863 sulla lingua originale e il frammento greco).
3 IN CAMPO STORICO L'UNIFORMITÀ DEI TESTIMONI NON É UN BUON CRITERIO, ma un segno sospetto di dipendenza di un testimone dall'altro. Il criterio più probante è la convergenza sulla base di differenze. Xavier Léon-Dufour e altri esegeti esigenti l'hanno riconosciuto nel caso di Matteo 1-2 e Luca 1-2.
4 Lc 4, 32.36; cf Mc l, 22.27.
5 Sopra, Introduzione, p. 9, nota 1.
6 É stata rilevata una sorprendente analogia tra: Lc 1, 44: a Il bambino (Giovanni Battista) ha sobbalzato per la gioia nel mio seno» e Gv 3, 29: «L'amico dello sposo (cioè Giovanni Battista), che gli sta vicino e che l'ascolta, è rapito alla voce dello sposo. Questa è la mia gioia, ed essa è al culmine. Bisogna ch' egli cresca e che io diminuisca». Alcuni critici si sono spinti fino a vedere nella scena della visitazione una proiezione leggendaria di questo testo giovanneo (E. KLOSTERMANN, Das Lukas-Evangelium, Tubingen 1929, pp. 15-16). Vedi la critica di A. FEUILLET, Jésus, 1974, pp. 25-26.
7 A. RESCH, Dar Kindheitsevangelium, Leipzig 1897, TUU, 5, pp. 241-255, che abbiamo approfondito in Structure, 1956, pp. 135-140.
8 IN CHE SENSO GIOVANNI (CUGINO) NON CONOSCEVA GESÚ. C'è contraddizione tra la relazione di parentela Gesù-Giovanni Battista (cugini) affermata in Lc 1, 36, e la dichiarazione del precursore in Gv 1, 31.33: «Non lo conosco»? Nel quarto vangelo «non conoscere» - sia con ginoskô. 1, 10; 3, 10: 8, 27.55; 12, 16; 14, 7.9; 17, 25; - sia con oida (sapere l: 1, 26, 4, 22.32; 7, 27.28; 8, 14.19; 9, 30; 10, 34; 14, 7; 15, 21, 21, 4, riguarda generalmente una conoscenza al livello d'una fede profonda. Il contesto antecedente Gv 1, 31 situa indubbiamente l'affermazione di Giovanni Battista su questo livello. Egli dichiara (1, 26): «C'è in mezzo a voi (dunque visibile, identificabile anche come artigiano di Nazaret) uno che voi non conoscete». In un caso simile «conoscere» andrebbe tradotto con «riconoscere». E tale è appunto il caso di Giovanni Battista, il quale dichiara d'aver conosciuto Gesù per il fatto d'aver «visto lo Spirito scendere... su di lui » (1, 32). D'altra parte Luca parla di incontri tra Gesù e Giovanni Battista solo durante la gestazione e fa scomparire quest'ultimo ben presto nel deserto, fino a far credere ch' egli sia rimasto là a partire dall'infanzia (1, 80). I giochi dei due piccoli cugini appartengono all'iconografia aneddotica, non ai vangeli.
9 P. Benoit, «Quirinius», in SDB 7 (1981) 693-716 contiene lo studio più aggiornato e la bibliografia più completa (4 colonne del dizionario).
10 P. PEETERS, Évangiles apocryphes 2. L'Évangile de l'enfance. Rédactions syriaque, arabe, arménienne, Picard, Paris 1914; AURELIO DE SANTO SOTERO, Los Evangelios apácrifos, Edicián critica y bilingue, BAC, Madrid 1979, pp. 282-372 pubblica, con lo pseudo-Tommaso greco (nucleo fondamentale del ciclo), Il vangelo arabo dell'infanzia e La storia di Giuseppe il falegname, quindi alcuni vangeli armeni e latini dell'infanzia. Non è il caso di soffermarsi sulle loro variazioni indefinite nel campo del meraviglioso.

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