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  Maria modello dell'asceta esicasta, secondo G. Palamas 
Ortodossi

Uno studio di L. Bianchi, in Theotokos, Anno XX - 2012 - n. 1, pp. 171-186.



La riflessione mariana non è un tema marginale in Gregorio Palamas: la Vergine, anzi, si pone al centro o, meglio, al culmine della sua teologia. Analizzare il modo con cui il teologo bizantino riflette sulla figura di Maria ci permetterà di toccare alcuni tra i principali nodi del pensiero palamita: l'esichìa, la preghiera pura, la contemplazione, la divinizzazione, la luce.

1. Gregorio Palamas: brevi note biografiche

Gregorio Palamas (1296 - 1359) «è considerato oggi dagli ortodossi il più importante teologo di Bisanzio ed uno dei più grandi dell'ortodossia»,1 il santo custode della gloriosa tradizione della patristica greca. La sua importanza nell'Oriente cristiano di oggi può essere paragonata a quella di san Tommaso d'Aquino nella tradizione teologica occidentale. Nato a Costantinopoli nel 1296, da famiglia benestante, Gregorio fece i suoi studi umanistici e filosofici nella capitale dell'impero, ma ben presto si rivolse verso la vita ascetica e a vent' anni decise di farsi monaco. Nel 1317 arrivò sul Monte Athos, e li visse per quasi vent' anni una vita di preghiera, solitudine e ascesi. In quel periodo scrisse qualche opera spirituale e per qualche mese fu igumeno di un monastero, finché nel 1335 la sua esistenza subì una svolta decisiva: in quell'anno ebbe inizio quella polemica teologica che passerà alla storia come la «controversia esicasta o palamita», e che per più di trent' anni coinvolse la vita non solo religiosa, ma anche politica dell'impero bizantino. La polemica riguardava quella corrente spirituale dell'esperienza monastica, chiamata «esicasmo», che aspirava alla pace dell'anima come mezzo per raggiungere l'unione intima con Dio nella contemplazione; era una corrente antica quanto il monachesimo stesso, ma si era diffusa con grande successo all'inizio del XIV secolo, soprattutto a partire dai monasteri del Monte Athos, e con alcune caratteristiche nuove rispetto alla tradizione. In particolare, l'antichissima pratica della preghiera di Gesù, consistente nella ripetizione incessante del Nome divino e di formule che lo contengono, veniva ora preparata e accompagnata da pratiche psico-fisiche per aiutare la concentrazione, che arrivarono a costituire un vero e proprio metodo di preghiera. Praticando questo metodo si pretendeva di arrivare fino alla contemplazione della «luce divina», la stessa che aveva illuminato gli apostoli sul Monte Tabor. Tale modo di pregare fu aspramente criticato e deriso da un monaco e filosofo greco di origine calabrese, Barlaam di Seminara; fu proprio per rispondere a lui che Palamas entrò in quella disputa che avrebbe poi occupato gran parte della sua vita. Per difendere i santi esicasti e poi per difendere se stesso, egli scrisse, infatti, la maggior parte delle sue opere, che dai temi legati all'esicasmo si allargarono in seguito ad altri impegnativi temi dottrinali, quali la distinzione tra l'essenza di Dio e le sue energie, e la natura della divinizzazione dell'uomo. La controversia ebbe fasi alterne, fino a che due sinodi, tenutisi nel 1347 e nel 1351, approvarono definitivamente la dottrina palamitica. Tale dottrina dal 1352 fu inserita nel cosiddetto Svnodikon dell'ortodossia, un documento dogmatico che, ogni anno, viene letto solennemente in chiesa nella «Domenica dell'ortodossia» (la prima di quaresima del calendario bizantino). Gli ultimi anni della sua vita, Gregorio li trascorse come metropolita di Tessalonica, manifestando una grande fecondità spirituale come pastore e predicatore, e lasciandoci di quel periodo soprattutto omelie e opere di carattere spirituale. Mori il 14 novembre 1359; meno di dieci anni dopo, nel 1368, fu canonizzato dal patriarca Filoteo Kokkinos, suo caro amico e discepolo, che ne scrisse anche la prima biografia.2 La sua festa liturgica viene celebrata dalla Chiesa bizantina la seconda domenica di quaresima, quella cioè successiva alla domenica dell'ortodossia (che celebra la vittoria sull'iconoclasmo), come per indicare che, dopo la difesa della venerazione delle icone, la difesa dell'esicasmo è la vittoria dogmatica che garantisce l'identità della fede ortodossa.

2. Maria nella vita di Palamas

«C'è un monte in Europa, al tempo stesso bellissimo ed altissimo, che protendendosi per lungo tratto in mare, è rivolto verso la Libia; io stessa ho deciso di adibire questo luogo, che ho scelto tra tutti gli altri sulla terra, come un rifugio adatto alla vita monastica; perciò lo consacrai come dimora mia propria e d'ora in poi sarà chiamato Santo; per tutti coloro che li staranno, combatterò per tutta la durata della loro vita la lotta contro il comune nemico degli uomini e sarò per loro un'alleata del tutto invincibile, suggeritrice di ciò che si deve fare, interprete di ciò che non si deve fare, tutrice, medico, nutrice, ed anche, se vuoi, cibo o farmaco, per quanto spetta al corpo, perché lo consolida e gli giova, e per quanto ristora e fortifica lo spirito e non permette che perda la bellezza; ma raccomanderò anche a mio Figlio e Dio coloro cui accadrà di terminare bene la loro vita in questo luogo, chiedendogli la completa remissione delle loro colpe».3 Queste parole, che Palamas mette sulle labbra di Maria, nella prima opera che egli scrisse, la Vita di Pietro Athonita, presentando la credenza tradizionale secondo cui fu la Vergine stessa a scegliere il Monte Athos come sede di vita monastica e a benedirlo con innumerevoli grazie, manifestano la tenera confidenza che Palamas nutriva per la Madre di Dio. Egli peraltro, come risulta dalla narrazione del suo biografo Filoteo Kokkinos, sperimentò fin da piccolo l'aiuto e la protezione della Tuttasanta, e la devozione per lei lo accompagnò per tutta la vita. Due esempi sono sufficienti a documentare questo atteggiamento. Gregorio attribuisce all'aiuto della Vergine il successo nei suoi studi: «Gregorio, quando era ancora un bambino, poiché trovava difficoltà ad esporre oralmente, s'impose come regola di non toccare neppure il libro e di non dare inizio all'esposizione, se prima non si era inginocchiato tre volte davanti alla venerata icona della santa Madre di Dio, rivolgendole delle preghiere; cosi facendo ripeteva ogni giorno speditamente e senza ostacoli quanto aveva appreso».4  Quando poi decide di intraprendere la vita monastica, Maria gli è vicina e lo guida amorevolmente: «Egli si impegna a vivere notte e giorno in digiuno, veglia, sobrietà ed incessante preghiera a Dio, eleggendo la Madre di Dio al tempo stesso come guida, patrona e mediatrice, ponendo dinanzi agli occhi ogni momento, nelle parole, nelle preghiere e nei moti intellettivi, l'alleanza con lei e la sua vista e percorrendo la via dell'obbedienza, guidato da lei che lo conduceva per mano».5

3. Maria negli scritti di Palamas

L'amore e la devozione per la Madre di Dio appaiono poi in modo chiaro nelle opere composte da Gregorio nel corso della sua esistenza. Egli parla di lei essenzialmente nelle sue omelie, in particolare in quelle pronunciate in occasione di feste liturgiche mariane. Le principali sono le seguenti:
Omelia 14, Nell'annunciazione della purissima nostra Signora la Madre di Dio e sempre vergine Maria;
Omelia
18, Per la domenica delle portatrici dei profumi nella quale si dice che la Madre di Dio vide per prima il Signore risorto dai morti;
Omelia 37, Nella Dormizione della Madre di Dio;
Omelia
42, Nella nascita della Madre di Dio;
Omelia 52, Per l'entrata nel Santo dei Santi di nostra Signora purissima Madre di Dio;
Omelia 57, Della genealogia di nostro Signore Gesù Cristo e del suo concepimento verginale della sempre vergine e Madre di Dio.
6
Ma quella senza dubbio più significativa è inserita nelle collezioni delle omelie di Gregorio come la n. 53, Per l'ingresso nel Santo dei santi e la vita di specie divina vissuta in esso dalla nostra Signora purissima Madre di Dio e sempre vergine Maria.7 Come nota Meyendorff, probabilmente questo scritto è stato aggiunto successivamente all'omeliario palamita e nei manoscritti si trova sovente al di fuori dell'omeliario stesso, prima delle altre omelie.8 Sempre nei manoscritti esso porta il titolo di logos (trattato, discorso) ed è di lunghezza eccessiva per pensare che, almeno in questa forma, possa essere stato pronunciato come omelia. Secondo Filoteo Kokkinos, questo discorso fu la seconda opera composta da Palamas, dopo la Vita di Pietro Athonita. Sarebbe stata scritta dunque attorno al 1333.9 Filoteo riporta anche l'occasione che avrebbe spinto Gregorio a redigere questo testo: «[Scrisse] dopo aver saputo che a tale proposito alcuni, fuori di senno e con lingua arrogante e brutale, osavano insultare questi misteri».10 Palamas avrebbe dunque scritto per difendere i misteri della festa dell'Ingresso di Maria nel Santo dei santi, anche se non sappiamo precisamente che cosa sostenessero gli oppositori. Christou nota, tuttavia, che questo trattato, nella forma in cui lo possediamo ora, presenta una dottrina esicastica sviluppata: ipotizza dunque che, dopo essere stato composto sotto forma di omelia, pronunciata davanti ai monaci di Lavra attorno al 1333, sia stato poi rielaborato e trasformato in trattato, forse attorno al 1341, quando Palamas era a Costantinopoli.11 Nell'Omelia 53, Palamas commenta la festa dell'Ingresso di Maria nel Tempio di Gerusalemme. E lo fa basandosi sui racconti di alcuni vangeli apocrifi - Natività di Maria (o Protovangelo di Giacomo) e Vangelo dello Pseudo-Matteo - molti particolari dei quali erano, ormai da secoli, entrati nella tradizione, erano considerati storici ed erano stati incorporati nella dottrina teologica. In questi apocrifi si descrive come Maria, all'età di tre anni, fu portata dai suoi genitori al Tempio, dove rimase fino ai dodici anni; durante la sua permanenza nel luogo santo, ella crebbe rapidamente in virtù e santità, tanto da suscitare stupore e ammirazione in tutti; era assidua nella preghiera e nella meditazione della Legge, prendeva solo il cibo che gli davano gli angeli con i quali era solita conversare, mentre distribuiva ai poveri il nutrimento che le davano i sacerdoti.12 Gregorio riprende questi elementi e li sviluppa in un discorso encomiastico, in cui la sua ammirazione per la Vergine si trasforma spesso in preghiera ed inno. Il risultato è un trattato che presenta una completa sintesi della dottrina esicasta, in cui Maria figura come il modello compiuto della vita spirituale e, in particolare, come il prototipo di ogni monaco e di ogni esicasta: la descrizione del cammino di ritiro e di hesychía vissuto dalla Vergine nel Santo dei santi non è altro che la realizzazione dell'ideale esicasta sognato dal nostro autore. Per esporre la dottrina mariologica di Palamas ci serviremo ampiamente di questo trattato, seguendo nei vari passaggi il ragionamento sviluppato in esso, integrandolo e arricchendolo, dove opportuno, con elementi tratti da altre opere del teologo bizantino.

4. Maria nel pensiero di Palamas

4.1. Rende possibile l'incarnazione del Verbo
Come si è detto il ruolo di Maria non è affatto marginale nella riflessione teologica del dottore esicasta. Ella rappresenta, insieme a Cristo, il fine del piano salvifico di Dio, lo scopo finale della creazione. Il progetto di Dio era, infatti, quello di unire il creato all'Increato. Ma «era impossibile che quella suprema natura, pura al disopra di ogni concetto, potesse unirsi con una natura contaminata. Infatti solo una cosa è impossibile a Dio: unirsi con qualcosa di impuro. Aveva bisogno, quindi, per necessità, di una perfetta e immacolata vergine che portasse nel grembo e desse alla luce colui che è amante e datore della purezza. Questa vergine a questo scopo fu predestinata e a questo scopo è apparsa; questo mistero fu realizzato nella storia con fatti meravigliosi».13 La Vergine è predestinata da tutta l'eternità a questo scopo: rendere possibile l'incarnazione. Lei è il luogo adatto in cui il Verbo può inserirsi nel creato. «Siccome Adamo, seguendo la malvagità del maligno, trasgredì il comando divino e si dimostrò indegno, è decaduto dalle promesse e ha interrotto l'obiettivo divino. Tuttavia la grazia divina è senza pentimento e la sua deliberazione non si smentisce; perciò Dio fa una scelta tra quelli che sono nati da Adamo, affinché dai molti si potesse trovare un vaso che potesse servire efficacemente il divino volere e fosse capace di contenere la divina grazia della filiazione, un vaso che potesse diventare segno per l'unione ipostatica tra la natura divina e quella umana, un vaso che non solo avrebbe risollevato in alto la nostra natura umana, ma l'avrebbe ripristinata nella sua condizione primitiva. Un simile vaso dimostrò di essere la figlia e Madre di Dio, la Vergine, ed è per questo che dall'arcangelo Gabriele fu chiamata piena di grazia essendo essa la scelta tra i scelti, vaso immacolato ed incontaminato, degno di contenere e di collaborare con la divina ipostasi. Dio, dunque, predestinò lei e la scelse prima dei secoli, la ricolmò di grazie più di tutti rendendola la santa dei santi ancor prima della mirabile nascita».14 Nell'Omelia 57, che come abbiamo visto è intitolata Della genealogia di nostro Signore Gesù Cristo e del suo concepimento verginale della sempre vergine e Madre di Dio, Palamas svolge un ragionamento esegetico, in realtà un po' forzato, per dimostrare come Maria sia il risultato di una lunga evoluzione biologico-spirituale guidata da Dio proprio perché si formasse quel luogo adatto ad accogliere il mirabile incontro tra il creato e l'Increato.15 Il risultato è cosi sintetizzato nell'Omelia 53: «Nel genere umano non si trovò nessuno che fosse capace, quanto bisognava, d'accogliere in sé Dio (χωρητικος Θεου). [...] Questa sempre Vergine fu capace, per la sua estrema purezza, d'accogliere corporalmente la pienezza della divinità (του πληρωματος την θεüτητος σωματικως χωρητßκÞν)
e non solo capace di accoglierla, ma anche di generarla e di produrre una parentela con Dio per tutti gli uomini prima di lei e dopo di lei.16

4.2. È la prima testimone del Risorto
Secondo la prospettiva di Palamas, Maria svolge un ruolo fondamentale nella storia della salvezza in relazione a suo Figlio, essenzialmente per due motivi: perché lo concepisce verginalmente, rendendo possibile l'incarnazione del Verbo, e perché è la prima testimone della risurrezione. «La prima, tra tutti gli esseri umani, ad aver ricevuto dal Signore la buona notizia della risurrezione del Signore stesso, com'era conveniente e giusto, fu la Madre di Dio; ella, prima di tutti, lo vide risorto e godette della sua divina compagnia, e non solo lo vide con gli occhi e lo udì con le proprie orecchie, ma anche lo toccò per prima con le sue mani, e lei sola ne toccò i piedi immacolati, anche se gli evangelisti non dicono apertamente tutte queste cose, non volendo riferire la testimonianza della Madre, per non dare agli increduli un pretesto di sospetto».17 Anche in questo caso Palamas fonda le sue affermazioni su un'esegesi piuttosto originale, e alquanto discutibile, di alcuni brani evangelici. In particolare giunge alla conclusione che abbiamo appena citato, a partire da Mt 28, 1: «Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro». Questa «altra Maria» secondo Palamas sarebbe la madre di Gesù, che per prima capì, credette e vide, perché più di tutti si era resa degna di una tale grazia. Meritò cosi di diventare «l'apostola degli apostoli», bellissima definizione che solitamente la tradizione attribuisce però a Maria Maddalena. «La Madre di Dio [...] fu la prima fra tutte le altre a vedere e a riconoscere il risorto e, caduta dinanzi a lui, toccò i suoi piedi e divenne sua inviata presso gli inviati (suo apostolo presso gli apostoli).18 Ancora una volta Gregorio attribuisce a Maria un ruolo assolutamente privilegiato.

4.3. Rende possibile la divinizzazione dell'uomo
Se Maria, agli occhi di Palamas, diviene anche la prima testimone del risorto, rimane il fatto che la sua importanza nella storia della salvezza dipende innanzitutto dal suo essere la Madre di Dio, dall'aver generato nel tempo, in modo virginale, il Verbo eterno di Dio. Maria, come abbiamo visto, ha reso possibile l'incarnazione e in questo modo ha collaborato attivamente alla realizzazione del progetto di Dio il cui fine è, per usare un termine caro all'Oriente cristiano, la divinizzazione dell'uomo. «Perciò noi celebriamo oggi la festa (di Maria), dopo aver visto il premio vantaggioso per tutti della sua insuperabile perseveranza, la straordinaria discesa di Dio sulla terra attraverso di lei e la nostra gloriosissima ascesa al cielo attraverso di lui».19 Realmente efficace è questa immagine dinamica del rapporto tra incarnazione di Dio e divinizzazione dell'uomo: Dio è sceso sulla terra attraverso Maria, perché noi potessimo salire al cielo attraverso di lui. Accogliendo in sé l'incarnazione di Dio, Maria rende possibile la divinizzazione dell'uomo. Giungiamo qui al cuore della riflessione teologica di Palamas, tutta volta a fondare la reale esperienza di divinizzazione proposta all'uomo che se ne rende degno. Nell'Omelia 53 il dottore esicasta descrive compiutamente il ruolo svolto da Maria nell'attuazione di questo affascinante e vertiginoso progetto divino. Vediamo, in modo analitico, come Palamas sviluppa il suo ragionamento. Come si è detto, in questa omelia egli commenta la festa dell'Ingresso di Maria nel tempio di Gerusalemme, descrivendo la sua lunga permanenza nel Santo dei santi come un periodo privilegiato di ritiro dal mondo, una sorta di esperienza monastica ante litteram, che le permette una straordinaria ascesa spirituale: «Là infatti la figlia di Dio, risiedendo in quei sacri recessi [nel Santo dei santi], le alte «salite pose nel cuore» [Sal 83, 6], giungendo nel modo più vero fino agli stessi cieli e trascinando da lì fino a noi il Sovrano dei cieli».20 Palamas descrive l'esperienza di Maria con termini audaci: nel suo cammino ascetico, la Purissima sali fino al cielo e da li trascinò fino a noi il Signore della gloria; con la sua vita e le sue preghiere, rese appunto possibile il processo della divinizzazione dell'uomo. Colei che doveva svolgere questo incredibile ruolo nella storia della salvezza non poteva non ricevere un'educazione singolare: «Fin dalla più tenera età, si desiderò che per la Vergine Madre fosse dimora il Santo dei santi, la dimora del nome di Dio, come dice David. E di fatti quale luogo era più adatto perché vi abitasse colei che davvero era la santa dei santi? Ed in quale altro luogo sarebbe stato preferibile che fosse fissata la vera dimora di Dio?».21 E in quel luogo, ben presto si staccò totalmente da tutte le cose della terra, rivolgendo lo sguardo soltanto alle bellezze celesti, pregustando cosi i doni escatologici: «[E qui] viveva come in paradiso e in un luogo riservato della terra, anzi come nelle dimore celesti, poiché anche di queste erano figura quei luoghi inaccessibili. Viveva dunque conducendo una vita senza preoccupazioni, senza sforzi, priva di dolore, esente da ignobili passioni, superiore a quel piacere che non è senza dolore, vivendo solo per Dio, guardata solo da Dio, nutrita da Dio e custodita solo da Dio, che attraverso di lei avrebbe abitato fra noi, ma anche lei guardando sempre e solo a Dio, facendo di Dio la propria delizia e dedicandosi continuamente a Dio».22 Palamas presenta la sosta della Vergine nel tempio come un archetipo della vita eremitica: sola con Dio, vive tutta e solo per Dio, come se già fosse in cielo a godere dell'incontro definitivo con lui. Nell'esperienza giovanile della Tuttasanta, come viene raccontata dal dottore esicasta, si possono rintracciare i tre passi fondamentali del cammino spirituale di ogni monaco. Innanzitutto la vita ascetica, che Maria praticò per anni, lottando contro ogni piacere terreno, per poter essere in grado di fissare lo sguardo solo sulle bellezze invisibili: «Dunque la Vergine entrò nel Santo dei santi [...] e subito, attraverso la bellezza delle cose viste, dispiegato lo sguardo del pensiero verso le bellezze invisibili, non ritenne piacevole più nessuna delle cose sulla terra. E quando divenne superiore alle necessità della natura ed ai piaceri della sensazione, e giudicò che non bisognava guardare le cose belle alla vista, ma trascurare quelle buone come cibo, per prima e sola si mostrò irraggiungibile per colui che, attraverso queste cose, si era imposto con la sua tirannide su di noi. Ed in questo non lottò per un solo giorno, e nemmeno contro il frutto di un solo albero, ma per un periodo di molti anni contro forme di piacere varie, anzi d'ogni genere, trovate dai principi della tenebra come un'esca contro le anime».23 Quindi la vita di preghiera, che la Vergine nutri continuamente con l'ascolto della Scrittura; la sua intercessione fu talmente efficace che ci ottenne la grazia delle grazie, il mistero dell'incarnazione: «Ascoltava con grande comprensione gli scritti di Mosè e le parole degli altri profeti, quando tutto il popolo si riuniva fuori ogni sabato secondo la consuetudine. [...] La Vergine figlia di Dio, avendo udito ed inteso questi fatti, ebbe compassione per il comune genere umano e, cercando un rimedio che controbilanciasse tanta sofferenza, decise di rivolgersi subito a Dio con tutto il suo intelletto; e per noi accolse l'incarico di far violenza a chi non è soggetto a violenza, attirandolo più rapidamente verso di noi, perché egli stesso togliesse di mezzo la maledizione ed arrestasse il diffondersi del fuoco che brucia le anime, perché rendesse gli avversari più deboli ed esaudisse la preghiera, perché una luce inaccessibile brillasse e perché legasse a se stesso chi aveva modellato, curandone la debolezza».24 Infine, l'unione con Dio, che a Maria fu donata in modo singolare, per la sua somma purezza: «Tu sola tra tutti hai portato a compimento delle contemplazioni, superando la comune natura di tutti con l'unione con Dio non solo per quanto riguarda l'ineffabile parto, ma anche la comunione con lui in ogni bene portata avanti a partire da una somma purezza».25 Subito dopo Maria è presentata esplicitamente come modello di ogni cristiano, ma soprattutto di ogni monaco: «Dirò la parola che giova ad ogni persona che prende il nome da Cristo, ma soprattutto a coloro che hanno rinunciato al mondo (τοις  αποτασσομÝνοις τω κοςμω), e per mezzo della quale si possano gustare i beni futuri, si possa stare con gli angeli ed avere la cittadinanza nei cieli, desiderando emulare, secondo le proprie possibilità, la sposa sempre Vergine, la prima e sola che fin da bambina ha rinunciato (αποταξαμενην) al mondo a favore del mondo».26 Vale la pena sottolineare che Üποταγη (rinuncia) è uno dei termini tecnici utilizzati per indicare la professione monastica:27 la Vergine è la prima monaca, modello a coloro che hanno rinunciato al mondo. Segue quindi un paragrafo in cui Palamas discute che cosa sia la vera contemplazione e come si debba distinguere radicalmente tra l'esperienza della visione divina e ogni filosofia che cerchi di conoscere Dio: non è la stessa cosa, infatti, dire qualcosa su Dio ed incontrarsi con Dio.28 A questo punto il nostro autore può presentare Maria come il modello della vera contemplazione, colei che ha realizzato pienamente l'ideale della spiritualità esicasta. Riportiamo questo testo fondamentale: «La Vergine trova come guida la santa hesychía: e hesychía è il fermarsi dell'intelletto e del mondo, la dimenticanza delle cose di quaggiù, l'iniziazione alle cose di lassù, l'impostazione al meglio dei concetti; questa è la vera prassi, ingresso alla vera contemplazione o, per dirlo in modo più appropriato, alla visione divina, che è la sola prova di un anima davvero sana; attraverso di essa infatti l'uomo è divinizzato (... l per l'educazione alla scuola della hesychía: attraverso di essa siamo sciolti dalle cose di quaggiù e ci rivolgiamo verso Dio e. come in un piano superiore della vita. persistendo notte e giorno con preghiere e suppliche. raggiungiamo in qualche modo quella natura intatta e beata. E cosi coloro che hanno purificato il cuore grazie alla santa hesychía, quando la luce superiore alla sensazione e all'intelletto si unisce ineffabilmente a loro, vedono in se stessi Dio, come in uno specchio. Sintetico paradigma di ciò è questa Vergine che si dedicò a questo fin dalla sua più tenera età. portando grande utilità e mettendo in rapporto con Dio più di chiunque altro coloro che ne hanno bisogno; sola tra tutti avendo praticato in modo straordinario la hesychía fin da quando era ancora una bambina, sola tra tutti portò in sé, senza aver conosciuto uomo, la Parola divino - umana».29 È qui sintetizzato il cammino proposto dall'esicasmo: si accenna al processo di purificazione, per cosi dire, negativo, cioè quello che, attraverso l'esercizio delle virtù, pone rimedio all'anima malata, purificandola dalle passioni malvagie; ma questo processo non riguarda l'esperienza di Maria. La sua anima, già perfettamente sana, può dedicarsi subito alla hesychía, la vera praxis, che scioglie dalle cose di quaggiù, rivolge a quelle di lassù, e rende stabile l'intelletto, che cosi diviene disponibile alla vera contemplazione; colui che, grazie alla hesychía, ha preparato l'intelletto, persevera con fedeltà nella preghiera e giunge infine alla visione stessa di Dio: una luce superiore ad ogni sensazione e ad ogni concetto si unisce a lui in modo ineffabile e questa esperienza, superiore ad ogni conoscenza filosofica, produce in lui la divinizzazione. Maria visse questo cammino in modo straordinario tanto da divenire «capace» di portare in sé Dio stesso fatto bambino. Qualche paragrafo più avanti, Palamas torna sull'esperienza della Vergine, ancora una volta descritta con i termini classici dell'esicasmo: Maria scelse una vita solitaria, libera da ogni legame terreno, e poté cosi purificare il suo intelletto da ogni ragionamento fino a giungere allo stato della hesychía, che qui è chiamata «il silenzio dell'intelletto» (νοητÞν σιγην). Giunta alla quiete dell'intelletto, la Tuttapura riceve in dono qualcosa che supera ogni potere dei sensi umani, e cioè la visione di Dio, attraverso la quale subisce una trasformazione, che gli innografi della liturgia descrivono con immagini piene di luce:30 «[Cosi Maria] vola al di sopra di tutte le cose create, vede la gloria di Dio meglio di Mosè e osserva la grazia divina, cose che non ricadono affatto nella potenza della sensazione, ma sono una grazia e una visione sacra propria di anime e di intelletti senza macchia; avendo ottenuto in sorte questo, ella, secondo i divini cantori, diviene nube splendente dell'acqua davvero viva, alba del giorno mistico e carro di fuoco della Parola».31 La Tuttasanta «vede la gloria di Dio meglio di Mosè»: per Palamas Maria è dunque il nuovo e insuperabile modello per ogni esperienza mistica. Cosi commenta lo studioso greco Mantzarides: «Mentre Gregorio di Nissa, nella sua opera La vita di Mosè, rappresentò Mosè come il modello della perfezione spirituale per il fedele, Palamas rappresenta la Vergine Maria precisamente nello stesso modo nella sua Omelia sull'ingresso della Vergine».32 Maria però non è solo modello di esperienza mistica esicasta, ma è anche mediatrice di ogni illuminazione divina; lei che ha pienamente accolto la luce,
la fa riverberare su tutti coloro che ne sono degni: «Come dunque attraverso lei sola, [il Figlio] venendo in mezzo a noi "è apparso sulla terra ed ha vissuto tra gli uomini" [Bar 3, 37], mentre prima di lei era invisibile a tutti, cosi anche per i successivi secoli infiniti ogni progresso nella
manifestazione della luce divina e ogni rivelazione di divini misteri e ogni tipo di carismi spirituali non potrà essere accolto da nessuno senza di lei; lei che per prima ha accolto la pienezza di colui che tutto porta a compimento rende possibile a tutti di accoglierlo, accordando questo a ciascuno secondo la sua capacità, in rapporto e a misura della purezza di ciascuno».33 Senza la Vergine non si dà manifestazione della luce divina: per questo Spiteris può parlare di «diffusione orizzontale della grazia» o di «mediazione universale di Maria nell'ordine della grazia».34 Concludiamo questo paragrafo, riportando un ultimo brano, che da una parte sintetizza il pensiero di Palamas sulla Madre di Dio e dall'altra introduce un nuovo elemento importante per la comprensione dell'esperienza della divinizzazione. Cosi il dottore esicasta si rivolge alla Vergine: «Tu sei chiamata Madre di Dio; hai unito l'intelletto a Dio; hai unito Dio alla carne. [...] Hai nutrito con il nostro nutrimento colui che nutre gli angeli; e hai nutrito noi, attraverso colui che nutre gli angeli, con il cibo davvero celeste e incorruttibile. [...] (La Vergine) fece di tutta la terra un cielo [...], fece nascere per noi il più prezioso di tutti i beni, la fonte eterna sgorgata dal seno del Padre e da questo inseparabile, la Parola fondata al di sopra delle volte celesti, la quale ci portò da là acqua viva e ci procurò cibo che rende immortali, rendendo figli di Dio coloro che ne partecipano, non adottati solo di nome, ma resi parenti di Dio e gli uni con gli altri, in comunione di Spirito divino (o dono ineffabile!) con la carne ed il sangue di Dio».35 Maria ha unito il suo intelletto a Dio, realizzando l'ideale di ogni esicasta, ma, in modo unico, ha unito Dio alla carne. Il nuovo elemento presente in questo passo è il riferimento all'eucaristia: la Vergine ha nutrito Dio con un nutrimento terrestre, perché Dio potesse nutrirci con un cibo celeste, un cibo che rende immortali perché è la carne ed il sangue di Dio stesso. L'incarnazione del Verbo nel grembo della Vergine è il presupposto della divinizzazione dell'uomo, che ci viene donata in massimo grado nell'eucaristia. Maria ha unito Dio alla carne, perché l'uomo potesse nutrirsi di quel cibo che ci mette in comunione con la carne di Dio.

Conclusione

La Vergine Madre è il solo confine fra la natura creata e quella increata; e quanti conoscono Dio sapranno che essa ha contenuto ciò che è incontenibile,
mentre quanti lodano Dio la loderanno subito dopo Dio. Essa è causa degli eventi che l'hanno preceduta, protettrice di quelli avvenuti dopo di lei e patrona dei beni eterni. Essa è presupposto dei profeti, guida degli apostoli, sostegno dei martiri, fondamento dei maestri. Essa è principio originario, fonte e radice della speranza riposta per noi nei cieli.36 «Maria, agli occhi di Palamas, è realmente al centro della storia della salvezza, poiché generando suo figlio ha unito il creato e l'Increato. Ma soprattutto ha reso la terra un cielo, rendendo possibile la divinizzazione: Lei sola [Maria], trovandosi in mezzo tra Dio e tutta la stirpe degli uomini, fece Dio figlio dell'uomo e rese gli uomini figli di Dio, fece diventare la terra cielo e rese divino il genere umano».37 Come conclusione vale la pena riportare un ultimo brano, la preghiera con cui Gregorio si rivolge a Maria verso la fine dell'Omelia 53 e che ben sintetizza il percorso che abbiamo fatto: «Chi dirà le tue magnificenze, o Vergine? [...] Tu sei chiamata Madre di Dio (ΘεομÞτΘρ) (Theometor); hai unito l'intelletto a Dio; hai unito Dio alla carne; hai reso Dio figlio. dell'uomo e l'uomo figlio di Dio. [...] Tu hai concesso a noi, con i sensi stessi, di vedere l'invisibile nell'aspetto e nella forma nostra, di toccate nella materia l'immateriale e l'intangibile. [...] Hai dato agli uomini lo stesso genere di vita degli angeli, anzi li hai considerati degni di onori anche maggiori, concependo dallo Spirito santo una forma divinoumana, generando in modo insolito e rendendo la natura umana ineffabilmente connaturata alla natura divina e, per cosi dire, simile a Dio».38 Maria ha compiuto l'ideale del monaco esicasta: ha unito l'intelletto a Dio. Ma, in modo sorprendente e singolare, ha anche unito Dio alla carne, rendendo visibile l'Invisibile e tangibile l'Intangibile. Da quel momento l'uomo può realizzare la sua vocazione profonda,39 può veramente divenire Dio.

NOTE
1 Y. SPITERIS, Palamas: la grazia e l'esperienza. Gregorio Palamas nella discussione teologica, Lipa, Roma 1996, 13. Questo testo costituisce un'ottima presentazione della persona e del pensiero di Palamas. Per un approfondimento si veda anche il classico ma ancora fondamentale J. MEYENDORFF, Introduction à l'étude de Grégoire Palamas (Patristica sorbonensia 3), Éditions du Seuil, Paris 1959, e l'articolo di R. E. SINKEWICZ, «Gregory Palamas», in La théologie byzantine et sa tradition, II. XIII- XIX s., ed. par C.G. CONTICELLO - V. CONTICELLO, Turnhout 2002, 131-188 con un'ampia bibliografia. Per quanto riguarda le tematiche prettamente spirituali, mi permetto di rinviare a L. BIANCHI, Monasteri icona del mondo celeste. La teologia spirituale di Gregorio Palamas (Collana Teologia spirituale 17), EDB, Bologna 2010. L'edizione critica delle opere di Palamas è Γρηγορßου του ΠαλαμÜ ΣυγγραπτÜ (Scritti di Gregorio Palamas), I-V, a cura di P. CHRISTOU, Thessaloniki 1962-1992 (manca ancora un sesto volume che conterrà le Omelie) ; queste opere sono ora tutte tradotte in italiano in tre volumi: GREGORIO PALAMAS, Atto e luce divina. Scritti filosofici e teologici, a cura di E. PERRELLA (con testo greco a fronte), Bompiani, Milano 2003 (d'ora innanzi P I); GREGORIO PALAMAS, Dal sovraessenziale all'essenza. Confutazioni, discussioni, scritti confessionali, documenti dalla prigionia fra i Turchi, a cura di E. PERRELLA (con testo greco a fronte), Bompiani, Milano 2005; GREGORIO PALAMAS, Che cos'è l'ortodossia. Capitoli, scritti ascetici, lettere, omelie, a cura di E. PERRELLA (con testo greco a fronte), Bompiani, Milano 2006 (d'ora innanzi P III).
2 FILOTEO KOKKINOS, Λüγος εßς τüν εν αγßοις πατÝρα ημων Γρηγüριον αρχιεπισκοπον Θεσσαλονßκης, in Φιλüθεου Κωνσταντινοýπολεως του Κοκκινου ΑγιολογικÜ εργα Α, a cura di D. TSAMES, Thessaloniki 1985, 427-521, tradotto in italiano come FILOTEO KOKKINOS, Discorso encomiastico sulla vita del padre nostro tra i santi Gregorio Palamas (d'ora innanzi FILOTEO, Vita) in PI, 1353-1513.
3 GREGORIO PALAMAS, Vita di Pietro Athonita, § 11: P III, 187.
4 FILOTEO, Vita: P I, 1362.
5 lbid., 1372.
6 La lista completa di queste omelie è in Y. SPITERIS, «La mariologia di Gregorio Palamas». in Lateranum 62 (1996) 560-62. Questo articolo costituisce, a mio parere, la miglior presentazione della dottrina mariologica di Palamas. Cf. anche S. DE SIMIO, La mariologia nelle opere di Gregorio Palamas, Vieste (FG) 1958; I. KALOGEROU, «La devozione di san Gregorio Palamas alla Santissima Madre di Dio», in Simposio Cristiano 4-5 (1978-79) 143-164. B. SCHULTZE, «Theologi palamitae saeculi XIV de mediazione BVM», in De mariologia et oecumenismo, PAMI, Romae 1962; E. M. TONIOLO, «Sull'ingresso della Vergine nel Santo dei Santi. Una finale inedita di omelia bizantina», in Marianum 36 (1974) 101-105; A. GIAKALIS, «Punti di vista mariani di san Gregorio Palamas», in Atti del Congresso teologico in onore della santissima Madre di Dio e Semprevergine Maria (Tessalonica 15-17 novembre 1989), Tessalonica 1991, 127-134 (in greco) ; Mary the Mother of God. Sermons by Gregory Palamas, ed. by C. VENIAMIN, Mount Thabor, South Canaan (Pennsylvania) 2005.
7 Εις την πρüς τα Üγια των αγßων εßσοδον και τον εν αυτοις θεοειδη βßου της Πανυ περÜγνου Δεσποßνης ημων θεοτοκου και αειπαρθÝνου Μαρßας. Il testo originale greco (ma non è un'edizione critica), con una traduzione in greco moderno, è in Γρηγορßου του ΠαλαμÜ απαντα τα Ýργα (Tutte le opere di Gregorio Palamas) a cura di P. CHRISTOU, XI, Thessaloniki 1986, 259-347. Abbiamo già riferito che siamo ancora in attesa del volume VI dell'edizione critica di Christou, che conterrà appunto le omelie. La traduzione italiana è in P III, 1502-1534.
8 Cf. MEYENDORFF, Introduction à l'étude de Grégoire Palamas, 390-91.
9 Cf. ibid., 391; SINKEWICZ, «Gregory Palamas», 153.
10 FILOTEO, Vita: P I, 1393.
11 Cf. Γρηγορßου του ΠαλαμÜ απαντα τα Ýργα  (Tutte le opere di Gregorio Palamas), XI, 14.
12 Cf. Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L. MORALDI, I. Vangeli, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1994, 128-129; 354-355.
13 PALAMAS, Omelia 52, § 6: P III, 1496.
14 ID., Omelia 57, § 3: P III, 1560.
15 Cf. SPITERIS, «La mariologia di Gregorio Palamas», 562-565.
16 PAI.AMAS, Omelia 53, § 5. La traduzione è mia: cf. P III, 1504.
17 ID., Omelia 18 § 3: P III, 1198.
18 Ibid., 18 § 11: P III, 1202.
19 ID., Omelia 53, § 9: P III, 1506.
20 Ibid., P III, 1506.
21 Ibid., § 19: P III, 1510-11.
22 Ibid., § 47: P III, 1525.
23 Ibid., § 46: P III, 1524-25.
24 Ibid., § 48: P III, 1525-26.
25 Ibid., § 14: P III, 1508.
26 Ibid., § 50. La traduzione è mia: cf. P III, 1526.
27 Cf. M. WAWRYK, Initiatio monastica in liturgia byzantina. Offiiciorum schematis monastici magni et parvi necnon rasophoratus exordia et evalutio, Roma 1968 (OCA 180), 4-26.
28 Cf. PALAMAS, Omelia 53 § 51: P III, 1527. Questo brano è praticamente uguale a ID., Triadi I, 3, 42: P I, 451.
29 ID., Omelia 53, §§ 52-53. La traduzione è mia: cf. P III, 1527-28.
30 Ibid., § 59: P III, 1531-32.
31 Ibid. La traduzione è mia: cf. P III, 1531-32.
32 G. MANTZARIDES, The deification of man. St. Gregory Palamas and the orthodox tradition, Crestwood, N.Y. 1984, 32.
33
PALAMAS, Omelia 53, § 39. La traduzione è mia: cf. P III, 1521.
34 SPITERIS,
Palamas: la grazia e l'esperienza, 168-69.
35
PALAMAS, Omelia 53, §§ 62-64. La traduzione è mia: cf. P III, 1533-34.

36 ID., Omelia 14, §15: P III, 1154.
37 ID., Omelia 37, § 7: P III, 1369.
38 ID., Omelia 53 §§ 62-63: P III, 1533.
39 «L'uomo è una creatura di Dio che ha ricevuto l'ordine di diventare Dio (θεüς ειναι κεκελευσμÝνος)»: GREGORIO NAZIANZENO Discorso 43, 48: PG 36, 560 A.

Inserito Domenica 12 Gennaio 2014, alle ore 16:58:06 da latheotokos
 
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