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  Lo stile ''mariano'' di donare Cristo 
ChiesaDal libro di Giuseppe Forlai, Madre degli Apostoli. Vivere Maria per annunciare Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2015, pp.85-96.

«Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). L'invito dell'angelo a Giuseppe di Nazaret è rivolto anche a noi. Vivere Maria, entrare in quell'ineffabile intimità con lei, ove è racchiuso il tesoro della Sapienza, non significa altro che mettersi totalmente e senza condizioni sotto il dominio dello Spirito Santo che genera Cristo in noi. E nella dimensione "mariaforme"' del battesimo che tutti i nostri piccoli idoli sordi e muti (anche quelli pretestuosamente buoni o religiosi) vengono allo scoperto e rivelano il loro antagonismo radicale con Dio. Essa fa emergere la nostra avversione a Dio. Spesso si invoca Maria come «colei che ha distrutto tutte le eresie del mondo intero» (in quanto i dogmi mariani sono garanzia di ortodossia cattolica), e questo non deve farei dimenticare che il pericolo "eretico", ancor prima che fuori, è dentro di noi. Tutti possiamo impercettibilmente scivolare verso una prassi di vita errata, poiché a causa del peccato originale siamo maestri nel camuffare la nostra malizia e nel far passare per gloria di Dio ciò che è solo interesse personale. Mettersi con Maria sulla via del vangelo ci aiuta a far verità sui piccoli idoli che ci portiamo in tasca e ci costringe a tirarli fuori per metterli sotto la luce della giustizia di Dio. La vera spiritualità mariana non allontana da Cristo, ma lo mette al centro del cuore senza più alcun concorrente. Non è un caso, forse, che l'Ordine dei Fratelli del Monte Carmelo, tutto dedicato a Maria invocata come "Sorella e Signora del Luogo, faccia risalire i suoi inizi alla vicenda del profeta Elia, lo sterminatore dei profeti di Baal (cfr. 1Re 18,20-40). Dove c'è la Madre si vive sotto la signoria del Figlio senza alternative plausibili.
Scopriamo allora che prendere Maria nella casa interiore è, in un certo qual modo, pericolosissimo: se l'accogliamo con sincerità dobbiamo serenamente metterci nell'ottica che del nostro uomo vecchio non rimarrà nulla! A mio avviso questo è un vero principio teologico. Mi spiego meglio: perché avvenisse l'Incarnazione nel suo grembo, la Vergine è stata pre-redenta nel primo istante del suo concepimento. Nel suo cuore la grazia ha operato il miracolo di ristabilire la cristallina ed esclusiva amicizia con Dio che avevano Adamo ed Eva prima del peccato. Da questa verità dogmatica discende un limpidissimo principio della vita spirituale: possiamo concepire Gesù nel tempio del nostro corpo nella misura in cui lasciamo che lo Spirito tolga tutto ciò che non solo è dannoso, ma anche superfluo. Pertanto la più bella richiesta che il devoto di Maria possa fare è quella di chiedere al Signore di entrare nella propria vita e buttare all'aria tutto ciò che fa camminare "con il piede in due scarpe", esattamente come fece in quel giorno memorabile a Gerusalemme quando cacciò dal tempio i mercanti che avevano ridotto il luogo santo a un «covo di ladri» (Mc 11,17). Ciò premesso, a mo' di preambolo, formuliamo nuovamente la domanda: perché Gesù morente non ha affidato la sua Chiesa a un potente, a un sacerdote, ma ad una povera vedova come sua Madre? Cosa ha voluto direi con un tale atto?

a) L'alleanza con Maria: croce e lotta

Forse Gesù agonizzante ha messo la Chiesa nelle mani di Maria per insegnarci che la comunità deve fare alleanza con lei al fine di realizzare la sua missione specifica: la Vergine ha un compito che è quello di fare in modo che la Chiesa si plasmi nello Spirito nella forma di "madre vergine" per continuare a dare al mondo la vera vita che viene dal Figlio. L'apostolato di Maria nei tempi della salvezza attende collaboratori: facciamo alleanza con lei perché venga il Regno di Dio, perché gli uomini trovino la pace alle loro inquietudini riposando sul Cuore di Cristo! Chi si scopre associato alla missione della Madre del Redentore deve sapere che mettersi con lei per il Regno comporta l'assunzione di due prospettive: la croce e la lotta.
Il Crocifisso ha voluto rivelarci un segreto di riuscita: non è un caso che sul Golgota dica «ecco» rivolgendosi alla Madre e al discepolo prediletto (cfr. Gv 19,26-27), avverbio che nella Bibbia introduce una novità, una rivelazione. Poco prima, durante il processo, era stato lo stesso Pilato, inconsapevole ostensore della gloria di Dio, a rivelare al popolo il vero modello da seguire: «Ecco l'uomo!» (Gv 19,5). In quell'essere piagato e umiliato risplendeva la figura del Servo di Dio, dello Sposo d'Israele pronto a dare la vita per la sua sposa. Cosi mentre Pilato nel pretorio ci presenta lo Sposo, Gesù sul Calvario ci mostra in Maria il volto della Donna sposa. Il quadro è meraviglioso! Solo la Donna impara come lo Sposo dona la vita per lei, perché a lei è dato di essere coinvolta nella contemplazione della segreta sorgente dell'amore: la croce, apice della sapienza divina, paradigma di ogni trasmissione della grazia.
In altre parole mi sento di dire che Gesù ci ha affidati alle mani di Maria per farei comprendere che si può portare la vita della grazia solo morendo a noi stessi. Come Maria ridiventa "madre" accettando di perdere il Figlio, cosi noi diventiamo generatori di vita se accettiamo di perdere noi stessi. Perdere per donare è pertanto il codice fondamentale della maternità di Maria e della Chiesa. Chi desidera evangelizzare con lei non può che attenersi a questa "modalità crocifissa" come fece Paolo con i corinzi: «Anch' io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,1-2). Croce e fecondità sono inseparabili!
Ciò naturalmente è tutt' altro che facile; specialmente per due motivi: prima di tutto perché moltissimi cristiani vogliono evangelizzare ma senza rinunciare a potere e privilegi; in secondo luogo perché il contesto in cui viviamo fa si che l'annuncio della salvezza si debba scontrare con forti correnti antievangeliche, consapevoli e no, ove il nemico del genere umano, il Maligno, miete vittime con estrema facilità. E questo il mistero dell'iniquità che si manifesta ora come indifferenza, ora come odio o mero rifiuto del Signore (che lo stesso apostolo Paolo ben conosceva: cfr. 2Ts 2,7). Cosi siamo arrivati al secondo carattere, quello ambientale, della missione di Maria. Fare alleanza con la Madre di Gesù richiede, oltre a una modalità "crocifissa" di fecondità, anche la serena accettazione di una lotta che sempre ha accompagnato e accompagnerà i tempi della Chiesa pellegrina.
Il libro dell'Apocalisse al capitolo 12 ci racconta con il linguaggio della visione le difficoltà della comunità cristiana nascente, stretta fra tentazioni e persecuzioni. La descrizione dello scrittore sacro è altamente evocativa: nel cielo appare una donna vestita di sole, come solo Dio potrebbe essere vestito; con la luna sotto i piedi (segno della signoria sul tempo che il satellite misura); sul capo ha una corona di dodici stelle che allude alle dodici tribù di Israele e quindi al nuovo popolo di Gesù fondato sulla nuova alleanza. La donna è incinta e geme per le doglie del parto: siamo dunque davanti a una scena di natività. In questo caso, però, non regna la serena pace di Betlemme, poiché un drago attende da vicino con le fauci spalancate che la donna partorisca per divorarle il bambino. Il drago è il nemico di Dio e della sua creazione; è il guastatore della bellezza del mondo: divora l'uomo con i suoi inganni e stravolge il firmamento facendo cadere sulla terra come meteoriti le stelle; quelle stelle fissate come perle in cielo dalla mano di Dio, splendidi archivi dei suoi arcani disegni (cfr. Bar 3,34-35).
Il richiamo al serpente della Genesi è chiaro. Anche nel libro delle origini questa creatura perversa e strisciante, che guarda le cose dal basso delle passioni, insidia la donna e la sua discendenza (cfr. Gen 3,15). Dietro la creatura perfida, serpente o drago che sia, si nasconde sempre lo stesso leone che si aggira famelico intorno agli eletti di Dio per saltare loro addosso nel momento della debolezza: «Il vostro nemico, il diavolo, va in giro come un leone ruggente, cercando qualcuno da divorare: resistetegli restando saldi nella fede» (1Pt 5,8-9). Il nemico insidia Adamo ed Eva promettendo illusioni; ora, nella visione dell'Apocalisse, insidia i cristiani neofiti, deboli nella fede, che come un bambino appena partorito sono bisognosi di cure e conforto. La crisi della comunità nascente, a cui il testo allude, è cosi disegnata: non tutti i cristiani sono in grado di affrontare la persecuzione; non tutti resistono alla tentazione di abiurare; si vive sempre in bilico tra certezze e dubbi, tra forza e debolezza, solidarietà ed egoismi; l'apostolo Paolo lo sapeva benissimo: «Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; incerti, ma non disperati; cacciati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi» (2Cor 4,8-9). La donna vestita di sole è la Chiesa che partorisce con il battesimo continuamente nuovi figli, e il drago con la bocca spalancata è il simbolo della persecuzione o della tribolazione che li attende appena partoriti.
Fare alleanza con Maria non è un bel gioco devoto, bensì un prender parte alla lotta tra la Nuova Eva e il drago! Mettersi dalla sua parte comporta l'assunzione di una responsabilità che deve rimanere intatta anche quando siamo braccati dalla paura, dal pericolo; quando il nostro annuncio del vangelo-Crocifisso risulta debole e i nostri tentativi sterili; quando il lavoro da fare è enorme e quando il male che ci circonda insidiandoci sembra invincibile. Ecco perché i grandi santi devoti di Maria non hanno avuto mai un attimo di tregua. Ma la loro forza era già tutta nella fede: essi vedevano la vittoria quando ancora era impossibile scorgerla, e sapevano che la Madre del Signore avrebbe schiacciato definitivamente la testa del serpente. Per questo rimasero sereni in mezzo alla bufera e, ignorando la fatica, raggiunsero la mèta del loro amore.

b) Generare come Maria: una mistica apostolica

Diamo Cristo al mondo con la debolezza della nostra condizione e nel contesto di una lotta molto dura anche se spesso poco evidente. L'unica speranza di farcela è riposta nella forma autenticamente evangelica della nostra esistenza di battezzati, cosicché più ci lasciamo cristificare dallo Spirito più sapremo generarlo negli altri. Il segreto di questa riuscita è trinitario: se mi lascio contagiare dall'io cristico vengo necessariamente proiettato fuori di me, perché l'io di Gesù è totalmente rivolto al Padre e ai fratelli; divento apostolo perché mi approprio dell'anima apostolica del Maestro. La vera consacrazione a Maria richiede che ci si familiarizzi con due principi base di quella che possiamo chiamare "mistica apostolica": l'intimità e il nascondimento.
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: intimità e intimismo non sono confondibili. Elisabetta della Trinità diceva di Maria che «in lei tutto accade al di dentro», nel senso che i miracoli della grazia avvenivano nel suo cuore e la trasformavano: l'intimità è in Maria il contrario della superficialità. "Intima" è la vita di chi affonda la propria consapevolezza nella sfera dello Spirito che in noi grida «Abbà! Padre!» (Rm 8,15) e sapendosi figlio discerne e sceglie secondo il vangelo. Purtroppo, le persone credenti che vivono cosi sono veramente poche; la maggioranza si accontenta di qualche buon pensiero che mai si posa sul crudo terreno di determinazioni quotidiane, e anche quando si fanno "cose buone", ciò accade per essere visti dagli uomini (cfr.Mt 6).
Senza questa intimità con Cristo l'apostolato è una caricatura, una messa in scena da mestieranti. Maria ha donato il Figlio perché lo ha portato nel grembo; per lei, prima apostola, il donare Cristo al mondo è stata conseguenza irresistibile di un modo singolare di sentirsi coinvolta nella vita stessa di Dio, cosi come successe al profeta Amos: «Ruggisce il leone: chi non tremerà? Il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?» (Am 3,8). La scena della visita ad Elisabetta ce lo ricorda in maniera inequivocabile: si è pneumatofori perché pneumatoformi, si porta Cristo perché lo si è concepito grazie al seme della Parola ascoltata e accolta. Per questo la mistica non può che precedere l'apostolato e accompagnarlo, in quanto il collocarsi nella vita dello Spirito consente alle nostre azioni di avere il sapore di Dio. Non siamo lontani dall'insegnamento del Maestro: «Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, cosi neanche voi se non rimanete in me» (Gv 15,4). Don Alberione aveva in mente questo quando, in maniera geniale, definiva l'apostolo come «il tempio della Ss. Trinità che in lui è sommamente operante». E Cristo apostolo che vive in me quando faccio apostolato, cosi come era il Bambino vivente in Maria che santificava Elisabetta con il suo Spirito.
Vivere l'intimità ha anche un altro risvolto. Proprio perché si sperimenta l'azione dello Spirito in noi siamo portati a stimare massimamente i mezzi della grazia nello svolgimento dell'apostolato. Sebbene oggi nessuno possa sottrarsi alla necessità di muoversi e servire il prossimo in maniera professionale e organizzata, tuttavia chi vive con "spirito mariaforme" l'annuncio del vangelo darà grande importanza ai sacramenti, alla preghiera di intercessione, all'offerta delle tribolazioni per il bene del prossimo (cfr. Col 1,24), ricordando che Maria è stata la più grande e perfetta collaboratrice del Redentore semplicemente rimanendo in continuo discernimento e lasciandosi formare dalle parole del Figlio. "Intimità" in tal caso vuole dire aprire il cuore alla bontà e necessità di quelle che un tempo si chiamavano "virtù passive", a quell'abbandono all'Amore che è e rimarrà sempre lo strumento più efficace affinché il Signore sia conosciuto e amato. Siamo apostoli perché i nostri nomi sono scritti in cielo e non perché i demoni ci obbediscono (cfr. Lc 10,20)!
Il secondo termine chiave della mistica apostolica (che traduce in atteggiamento il modo mariano di portare il Signore) è quello che il venerabile Jean-Claude Colin chiamava l'essere «ignoti e quasi nascosti in questo mondo». Cerchiamo di penetrare meglio in una tale espressione che a prima vista può risultare inattuale e perdente. Maria, come già abbiamo riflettuto, per la sua singolare elezione e missione è stata la chiave di volta della vicenda di Gesù e della Chiesa nascente. La sua fede contemplativa si è collocata nel cuore del mistero dell'Incarnazione e della Pentecoste, ella è Madre del Capo nella carne e Madre del Corpo nello spirito. Questa presenza efficace e indispensabile non ha mai assunto i connotati del presentismo o dell'ostentazione di carismi. Tale è il paradosso del servizio della Vergine, che è simultaneamente necessario e quasi sconosciuto, efficace e molto discreto. Mentre intorno a Gesù tutti parlano o per acclamarlo o per denigrarlo, la Vergine rimane lontana dal clamore e dal vaniloquio. La sua presenza nella Chiesa nascente è stata cosi umilmente celata che gli uomini hanno cominciato a rifletterci seriamente solo dopo la sua morte. Noi pensiamo a Maria come a un "personaggio chiave" del cristianesimo e dimentichiamo che ella durante la sua vita terrena è rimasta sconosciuta ai più: il grande apostolo Paolo non ne parla mai espressamente. Là sua esistenza è avvolta da qualcosa di assolutamente normale e ordinario che si fa fatica a strapparle: tutta la gloria di Maria in terra è racchiusa nell'umiltà, quella propria dei grandi che sono cosi liberi dalle altrui aspettative da potersi permettere il lusso di "essere nessuno". Dio esalta i piccoli nascondendoli al mondo!
Questa modalità marginale di comprendersi e collocarsi al cuore della Chiesa, corollario imprescindibile che rafforza e custodisce l'intimità col Cristo salvandola dalle aspettative umane e dalla dispersione, è forse la nota più importante per chi come Maria vuole vivere servendo la comunità: rimanere "ignoti" schivando il clamore, liberandosi dalla paura di non fare carriera; amare il "nascondimento" come chi fa il bene con la mano sinistra senza che lo sappia la destra (cfr. Mt 6,3), salvandosi dalla brama di essere ricompensati e riconosciuti. E ciò è possibile nelle relazioni con gli altri solo se a monte esiste un modo di rapportarsi al Padre nel segreto del cuore e rifiutando di essere ammirati dagli uomini, come comanda insistentemente Gesù (cfr. Mt 6,4.6.18). Chi vive nel segreto sotto gli occhi di Dio è ben lieto di rimanere ignoto e nascosto nel cuore della Chiesa; le due cose vanno insieme e vivono della stessa logica evangelica.

 

Inserito Domenica 12 Aprile 2015, alle ore 10:00:48 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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