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  Diede alla luce il figlio primogenito (Lc 2,7)  
Culto

Omelia di Mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento - Santa Maria di Leuca del 24 dicembre 2014.



Che meravigliosa scena divina e umana si presenta davanti a chi contempla il presepe: la "vera" luce rischiara le tenebre e illumina il mondo.

Il parto verginale: un mistero di luce

Il parto della Vergine Maria è un grande "avvenimento di luce". La frase evangelica "diede alla luce" evoca una duplice dimensione: il lumen fidei e il lumen vitae. La luce è il simbolo della fede incorrotta e tersa, a cui fa da contrasto la notte con le sue ombre e le sue tenebre. La luce è, dunque, luce cristologica e trinitaria perché richiama il tema di Cristo lumen gentium e allude alla generazione eterna del Verbo che avviene come lumen de lumine. Oggi, - scrive sant’Agostino - è «spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra, il giorno da giorno è nato nel nostro giorno»1.
La maternità verginale di Maria contiene anche un implicito riferimento al primo giorno della creazione quando Dio disse: «Sia la luce! E la luce fu»(Gn 1,3). Questa sua prima parola diede inizio alla creazione: le tenebre si diradarono e ebbe inizio il giorno, il primo giorno del mondo, il primo giorno del tempo.
L’apparire della luce segna anche il primo giorno della redenzione. La vergine - afferma il vangelo di Luca - «diede alla luce il figlio primogenito» (Lc 2,7). Il Natale è l’apparizione della luce intramontabile di Dio. L’introito della seconda Messa di Natale recita: «Oggi splenderà la luce su di noi, perché ci è nato il Signore» (Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis Dominus, Is. 9, 2).
I Padri della Chiesa sottolineano il tema del Natale come manifestazione della luce divina. Rapito dall’incanto della scena evangelica, sant’Ambrogio canta l’avvenimento dell’Incarnazione del Verbo come la manifestazione di una ineffabile sorgente di luce: «Già il tuo presepe rifulge / e la notte spira una luce nuova; / nessuna tenebra più la contamini / e la rischiari perenne la fede». Il linguaggio della luce che contrasta con l’incombenza delle tenebre ritorna nei suoi discorsi nei quali egli parla della «grande luce della divinità, non alterata da nessuna ombra di morte (quam nulla umbra mortis interpolat)», o dei "veri giorni non corrotti da alcuna caligine di notte". Anche nell’esposizione del Salmo 118,il vescovo di Milano richiama il «chiarore di un fulgore perenne, non alterato da nessuna notte» (claritas, quam nox nulla interpolat)".
La luce, però, è anche lumen vitae ossia uno dei simboli più forti della bellezza e la luminosità dell’esistenza. Venire alla luce vuol dire nascere, uscire dal buio e mettersi dalla parte del chiarore. In senso traslato significa essere trasparenti, senza doppiezza, ipocrisia e oscurità. Per questo nel linguaggio comune, per indicare l’atteggiamento di correttezza, sincerità e di onestà, siamo soliti usare le seguenti espressioni: far luce su qualcosa, mettere in piena luce, presentare qualcosa nella sua vera luce, alla luce dei fatti, alla luce del sole.

La fecondità della Vergine

Il duplice significato della luce aiuta a comprendere l’unità del mistero: l’unità tra il divino e l’umano. Il Natale è «il giorno in cui la Sapienza di Dio si manifestò in un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole, emise vagiti umani»2. L’incarnazione del Verbo è un avvenimento divino che si manifesta in modo umano; un evento che riveste un significato personale e un valore storico e simbolico.
Maria, colta nel sue essere donna che partorisce un figlio, è un’immagine di straordinaria ordinarietà, ma assume la dimensione di un fatto e di un simbolo. L’icona della divina maternità traccia le linee di una storia e di una figura, esprime la caratteristica di avvenimento e di segno, mostra il mistero della vita nella sua concretezza e nella sua rappresentazione.
Nella fecondità generativa del parto della Vergine Madre è nascosto il mistero e il segreto della vita umana. Dare alla luce un bambino è un’esperienza originaria e originante. Purtroppo, nella nostra società moderna, dove predomina il parto chirurgico e farmacologico, sembra essersi oscurato il significato della nascita, del suo percorso emozionale e iniziatico, degli effetti duraturi sul corpo e psiche della persona che nasce e su quello della donna che partorisce. Nel suo libro Venire la mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita
, Verena Schmid, ostetrica da 25 anni, ha riportato all’attenzione l’essenza della nascita, ciò che è in gioco a livello profondo per la donna, per il nascente, per la famiglia e la società3.
L’infecondità, infatti, è causa di un profondo dolore. Per questo è stata considerata come una maledizione divina. «Dammi dei figli, sennò io muoio!» (
Gn 30,1). Sono le parole con le quali Rachele si rivolge al marito, rosa dalla gelosia per la sorella maggiore, che in pochi anni ha già dato a Giacobbe quattro figli maschi. Rachele, la sposa amata, è una donna sterile. Giacobbe risponde invitando la moglie a scegliere la strada percorsa da Sara, ossia far partorire un’altra donna sulle sue ginocchia ed "essere edificata" attraverso di lei. In ebraico, il termine che indica le ginocchia ha la stessa radice della parola benedizione. Benedire significa concedere fecondità e vita. L’atto di "partorire sulle ginocchia" ha, dunque, un valore metaforico. Probabilmente si trattava di un vero e proprio rito in cui la sterile, facendosi fisicamente carico della partoriente e partecipando al suo travaglio, curava la sua infecondità.
Anche nel nostro tempo, l'infertilità è causa di sofferenza e può attivare una crisi personale e di coppia particolarmente difficile. Il fantasma della "culla vuota", fa riemergere di continuo l’impotenza a generare e suscita un dolore lacerante. La coppia in assenza di figli può percepire la propria vita come drammatica e insoddisfacente ed essere soggetta una molteplicità di sentimenti: la perdita di fiducia, la sensazione di un vuoto enorme e incolmabile, la frustrazione del desiderio, il cambiamento di significato della vita sessuale, la sensazione di un tempo che va verso la morte, l’insoddisfazione o addirittura l’insuccesso in campo professionale e lavorativo, il disaggio e la sofferenza di fronte a chi ha dei figli, la tendenza all’isolamento.
Quanto avviene sul piano personale ed esistenziale, è segno di quello che accade sul piano sociale, religioso e culturale. Il profeta Isaia legge in questo modo la storia del popolo di Israele: «Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al paese e non sono nati abitanti nel mondo» (Is 26,16-18). La vita diventa un sogno, un’allucinazione, un’illusione. Ancora il profeta Isaia esclama: «E sarà come un sogno, come una visione notturna […]. Avverrà come quando un affamato sogna di mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto; come quando un assetato sogna di bere, ma si sveglia stanco e con la gola riarsa […]. Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non posso, perché è sigillato". Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non so leggere"» (Is
29, 7-8, 11-12).
Al profeta Isaia, sembra ispirarsi il poeta inglese T. S. Eliot quando interpreta la condizione dell’uomo moderno come quella di chi non può dire, né immaginare perché non è altro che «un cumulo d'immagini infrante»
4
. Così, gli uomini in un corale lamento esclamano: Siamo gli uomini vuoti siamo gli uomini impagliati che appoggiano l'un l'altro la testa piena di paglia. Ahimè! Le nostre voci secche, quando noi insieme mormoriamo, sono quiete e senza senso come vento nell'erba rinsecchita o come zampe di topo sopra vetri infranti nella nostra arida cantina figura senza forma, ombra senza colore, forza paralizzata, gesto privo di moto5.

Gesù, il figlio primogenito

La maternità verginale di Maria è un annuncio di liberazione da ogni infecondità, sterilità, improduttività. Gesù nasce come il "figlio primogenito". L’espressione, da una parte sottolinea che egli è il figlio unigenito di Maria, dall’altra richiama che egli è il "figlio dell’uomo", il prototipo di ogni bambino che nasce. Il Natale celebra Gesù come il primo di tutti i nati, e addita Maria come la nuova Eva, la madre di tutti i viventi. Con la nascita di Cristo, una luce nuova appare all’orizzonte e qualcosa di nuovo germoglia. «Di nuovo - annuncia il profeta Isaia - vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre» (Is 26,19). Dio non abbandona il mondo all’insignificanza e alla sterilità. Egli è il Dio "amante della vita". Per questo «vedendo il mondo sconvolto dalla paura, interviene con sollecitudine per richiamarlo con l’amore, invitarlo con la grazia, trattenerlo con la carità, stringerlo a sé con l’affetto»6. Il Natale è il trionfo della vita contro ogni avversità e infecondità. In Gesù, la vita sempre rinasce e si rinnova e all’umanità è assicurato un nuovo futuro.
È necessario, però, che gli uomini vivano con fiduciosa speranza il trionfo della vita. L’Antico Testamento presenta una serie di donne che con il loro comportamento esprimono la forza della vita contro ogni radice di infecondità e di morte: Rebecca e la madre di Sansone scelgono l’attesa fiduciosa e vigile; Sara, Rachele e Lia danno le loro schiave e ancelle ai mariti perché partoriscano sullo loro ginocchia; Rut genera un figlio per Naomi; Anna fa un voto nel santuario; Mikhal alleva i figli della sorella; Bityà si prende un bambino degli ebrei destinato a morte sicura. Ognuna ha la sua modalità di porsi nei confronti della vita e di percorre la propria strada. Tutte manifestano la loro fede nella capacità della vita di riaccendersi anche in corpo sterile e infecondo e di trovare un varco per venire alla luce pur in presenza di vie anguste e impervie.
Il bambino è segno di novità già prima di nascere e fa sbocciare di nuovo l’amore coniugale. La coppia genera il figlio e il figlio rigenera la coppia. Questo flusso vitale è nascosto in ogni bambino che nasce ed è suggellato in modo definitivo dalla nascita del Bambino Gesù. Con la sua venuta al mondo, le ferite della vita si rimarginano, rinasce la speranza e la paura della morte si dilegua. Ed anche se la vita segue un percorso accidentato, il Bambino Gesù ridona la certezza che nascerà ancora un nuovo germoglio. Superando la paura, l’umanità può riprendere a camminare, anche se, come avverte il poeta, dovrà affrontare nuove avversità:
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
7.

NOTE
1 Agostino, Natale del Signore, Disc 184, 1.
2 Agostino, Natale del Signore, Disc 185, 1.
3 V. Schimd,
Venire la mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita, Feltrinelli, Milano 2005.
4
T. S. Eliot, La terra desolata.
5 T. S. Eliot, Gli uomini vuoti.
6
Pietro Crisologo, Disc.
147.
7 E. Montale, Meriggiare pallido e assorto.

 

Inserito Domenica 18 Dicembre 2016, alle ore 16:36:42 da latheotokos
 
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