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  Maria nell'arte del primo Ottocento 
Arte

L'età del romanticismo. Un articolo di Vincenzo Francia, in Theotokos XXVI (2018), n. 1, pp. 121.136.




L. Seitz, Storie di Maria, Cappella Tedesca del Santuario di Loreto

Visitando, anche superficialmente, la celebre Galleria Borghese di Roma, un turista non vi incontra mai testimonianze del medio evo né opere dei cosiddetti "primitivi". Quella straordinaria collezione di arte, oltre a custodire dei tesori immortali, è un'autorevole testimonianza di un gusto che per alcuni secoli caratterizzò la società europea. Il cardinale Scipione Borghese e i suoi successori, infatti, raccolsero opere del mondo classico, del rinascimento, dell'età barocca e neoclassica, senza minimamente interessarsi a quella lunga stagione che va dal crollo dell'impero romano fino alla scoperta dell'America: dal Quattrocento al Millequattrocento, praticamente dieci secoli! In tempi più vicini a noi, invece, è proprio quel medio evo che torna a far sentire la sua voce. Il primo Ottocento, nell'orizzonte artistico europeo e mondiale, si caratterizza per una rapida evoluzione, che vede il superamento del neoclassicismo e del linguaggio accademico a favore di una freschezza e immediatezza della composizione. Questo stile, anzi questa visione complessiva del mondo, viene chiamato "romanticismo". Si tratta, in definitiva, di una breve stagione. Nella quale, tuttavia, trionfa una nuova concezione della realtà: dalla staticità al divenire. Quindi: ordine ed equilibrio compositivo lasciano il campo a irrazionalità, sogno, allucinazione, sensualità, morte, malinconia, desiderio mai appagato, aspirazione all'armonia, atteggiamento fantasioso ed emotivo.
Il "padre nobile" di questa concezione può essere considerato a giusto titolo Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, detto Novalis, che si oppone agli illuministi, ritenuti ormai classici e "congelati". Con lui la forza creatrice dell'individuo irrompe nella coscienza intellettuale europea. Insieme al Novalis, non va sottovalutato un certo gusto "preromantico" del sublime, con il superamento dei canoni di bellezza proposti dal neoclassicismo, l'osservazione appassionata del paesaggio e la riscoperta delle epoche non classiche, cioè appunto il medio evo; il neoclassicismo, invece, prospettava una forma perfettamente compiuta raggiunta una volta per sempre, quasi cristallizzata nel tempo. La prova più immediatamente evidente è data dalla stessa scelta dei soggetti: il neoclassicismo e l'accademia preferiscono i temi della mitologia greca e romana, mentre il romanticismo guarda con simpatia quasi esclusiva alla natura e alla storia, anche a quella contemporanea. In tal modo gli artisti iniziarono a «scendere dall'Olimpo per rivolgere la loro attenzione ai comuni mortali e ai loro drammi».1
In tale riscoperta non può essere assente un'attenzione al cristianesimo, seppure declinato in una vaga esperienza religiosa e nel recupero della religiosità tradizionale. Cambiano i soggetti, si diceva, e quindi le forme espressive. Gli artisti si immergono nella storia, anche in quella contemporanea, senza dimenticare una straordinaria tensione verso l'infinito. Tensione, appunto, non raggiungimento, come nell'illusione neoclassica: ne sono insigni testimoni Giacomo Leopardi nella poesia e Caspar David Friedrich nella pittura. Storicismo e nazionalismo sono il segno del crollo dell'utopia razionalistica, tipica del Settecento. Spontaneità, non ricerca della bellezza ideale, purezza espressiva, simbolismo come apertura verso il sublime, perfino misticismo medievaleggiante: tutto ciò si riscontra nella sensibilità romantica, che trova una sua sintesi nell'eroe romantico. Questi riassume in un unico atto il significato di un'intera esistenza: il titanismo di Prometeo si intreccia, non senza contraddizione, con il vittimismo del giovane Werther, personaggio letterario creato da Goethe. Perciò anche nella raffigurazione artistica queste due componenti si incontrano con una forte ansia emotiva, mentre nel neoclassicismo prevaleva la dimensione razionale.
Ora e la storia a dominare. Significativo è anche quanto accade, ad esempio, nella musica. Se dalla fine del Cinquecento e per tutto il Settecento e la mitologia classica ad offrire abbondante materia per le composizioni e le esecuzioni, con l'Ottocento è una nuova "mitologia" che prende forma. Basti pensare alla Camerata de' Bardi nella Firenze del tardo rinascimento e poi, salendo, all'Euridice di Jacopo Peri del 1600, all'Orfeo di Claudio Monteverdi (1607), alle opere del Cavalli e del Cesti, all'Orfeo e Euridice di Gluck e di Mozart, all'Europa riconosciuta di Antonio Salieri del 1778, alla Medea di Cherubini del 1797: tutto ciò viene superato, in cerca di nuovi soggetti. Sotto l'aspetto politico, questo è il clima della restaurazione dopo l'avventura napoleonica. Di conseguenza, sul piano culturale, ritornano le tradizioni nazionali, soprattutto. negli ambienti che resistettero al grande Corso, accompagnate da una nuova fedeltà ai "valori" non priva di una certa ingenuità.
In ambito estetico forse i primi artisti ad avvertire il fascino di questa antitesi nei confronti del. mondo classico furono gli inglesi: tra loro primeggiano John Constable, William Turner e William Blake. Gli artisti romantici risentono del loro straordinario vitalismo, al quale va aggiunta l'insoddisfazione creatrice dei francesi Theodore Géricault ed Eugene Delacroix e del tedesco anglicizzato Heinrich Füssli. Un pensiero di Delacroix può costituire il manifesto di questo periodo: «La libera manifestazione delle mie impressioni personali, il mio allontanamento dai tipi invariabilmente calcati nelle scuole e la mia ripugnanza per le scelte accademiche».2 Originalità, spontaneità, freschezza, senso di libertà, sincerità: tutto ciò ritorna nella poetica romantica come esigenza spirituale prima ancora che come visione ideologica e tecnica compositiva. Tragico sentimento della natura, aspetti grandiosi ma non di rado drammatici. L'immensità e l'uomo davanti al suo mistero: «Un vertiginoso sentimento dell'Essere che [...] in pittura, attraverso il rifiuto delle convenzioni prospettiche e antropocentriche, denuncia lo smarrimento di un uomo solo nell'universo, e privato di qualsivoglia garanzia trascendente o ideologica. [ ... ]. Stupore spaventoso della natura [ ... ]. Annullare lo spazio 'umanistico' e irreale della prospettiva quattrocentesca» (Calvesi, 371) (Calvesi, 374).3
L'Italia non è assente in questo crogiolo europeo. Anzi la proposta romantica si incontra con la crescente esigenza di realizzare anche sul piano politico l'unità che, da secoli, si era già compiuta in ambito culturale. «Alla storia il romanticismo ritorna perché essa equivale alla soggettiva esperienza dei popoli nel continuo fluire delle vicende umane. E questo il particolare significato dello storicismo romantico».4
Ma, per quanto riguarda l'arte esplicitamente sacra e cristiana, la stagione che stava per aprirsi si prospettava estremamente problematica. «Nel passaggio tra il mondo prerivoluzionario e i nuovi scenari sociali e culturali alle soglie dell'Ottocento, l'arte di soggetto sacro si rivela impreparata ad affrontare i cambiamenti ed entra in una pericolosa involuzione»,5 il cui esito, non previsto e tanto meno programmato, fu una «torrenziale e stucchevole produzione devozionale ottocentesca».6
Cause di questa crisi sono da cercarsi soprattutto nella diffusione dei valori illuministici nella seconda metà del Settecento, nella polemica con i privilegi della Chiesa e specificamente del clero, nell'egemonia economica e culturale delle nazioni non cattoliche, nella stessa figura di Napoleone come culto della personalità. Molto significativa, in questo senso, appare un dipinto di Giuseppe Borsato, La commemorazione del Canova, del 1822, oggi alla Ca' Pesaro di Venezia.


G. Borsato, La commemorazione del Canova - Ca' Pesaro, Venezia

Oltre al suo valore estetico, il quadro è un'efficace testimonianza di una svolta culturale di enorme portata. Vi notiamo, infatti, come la celebre Assunta di Tiziano abbia lasciato la sua originaria collocazione, cioè l'altare maggiore di una chiesa, per diventare "oggetto da museo": pertanto sarà ammirata per i suoi valori estetici, ma solo con molta fatica potrà comunicare il messaggio per il quale era stata realizzata. L'ondata napoleonica aveva contribuito, come non mai prima, a sganciare l'opera d'arte dal suo luogo naturale per inserirla in un sistema di comunicazione culturale quale il museo, sia il Louvre di Parigi o la Pinacoteca di Brera di Milano: è evidente che, in tal modo, il destinatario dell'opera sarà non più il fedele, ma il turista o lo studioso (che può anche essere un fedele, ma per accidens). Ricordiamo, a onor del vero, che poi l'Assunta fece ritorno nella basilica veneziana di Santa Maria Gloriosa dei Frari, dove si trova tuttora, ma una vera rivoluzione culturale, le cui conseguenze sono ben vive ancora oggi, si era innestata nella sensibilità europea. Grande interprete dello 'spirito del tempo' fu, come si diceva, il tedesco Caspar David Friedrich. Questa la sua poetica: «un senso mistico, una grande anima universale pervade il mondo della natura e all'individuo spetta il compito di partecipare con 1'abbandono dei sentimenti, per intuire e sentirsi partecipe di questo mistero».7
Precursore di questa sensibilità è lo spagnolo Francisco Goya, benché la sua produzione artistica sia difficilmente collocabile all'interno di una scuola o di uno stile. La sua Annunciazione è fresca e popolare nel senso più alto del termine: «Goya tralascia tutto l'apparato barocco di nuvole, angioletti e abbigliamenti, che compaiono ancora nei disegni preparatori, per dare spazio ad un linguaggio limpido, semplice e monumentale nello stesso tempo, imbevuto di luce e di un sentimento misurato».8 Furono alcuni artisti tedeschi e austriaci ad introdurre la nuova poetica in Italia, in anni ancora segnati dal neoclassicismo e proprio in quella città, Roma, che del neoclassicismo fu mater et magistra. Infatti nel 1809 nella Città Eterna si stabilisce la Confraternita di San Luca formata dai cosiddetti Nazareni, un gruppo di artisti che, in polemica con l'Accademia di Vienna, decisero di vivere in uno stile quasi monastico, svolgendo un lavoro di équipe, come nelle botteghe medievali e rinascimentali. Nitida definizione delle immagini, gamma cromatica intensa, resa dei particolari, freschezza e spontaneità: con questo linguaggio "popolare", ma fortemente radicato negli artisti del medioevo e del rinascimento, i Nazareni affrontano scene bibliche, dantesche e cavalleresche. Prendono forma, così, anche le prime immagini mariane romantiche. Friedrich Overbeck, ritenuto il leader del gruppo, nel 1829 dipinge il Miracolo delle rose sulla facciata della chiesetta della Porziuncola di Assisi. Dello stesso autore, importantissimo è il Trionfo della religione sulle arti, nel quale la Vergine Maria appare seduta sul trono della sapienza come sorgerite di ogni autentica civiltà.


 F Overbeck, Il trionfo della religione sulle arti - Städel Institute, Francoforte

Alla stessa scuola artistica e spirituale appartenevano Philip Veit e Friedrich Wilhelm von Schadow. II primo nella chiesa romana di Trinità dei Monti dipinge l'Immacolata Concezione e nel Casino Ludovisi L'Empireo; del Secondo molto bella e la Sacra Famiglia sotto un portico, oggi alla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.


 F. W. Von Schadow, Sacra Famiglia sotto il portico - Alte Pinakothek, Monaco

 Un centro, tra i principali, nel quale si afferma la sensibilità romantica è 1'Accademia di Brera a Milano, città all'epoca appartenente all'impero asburgico. Nel 1820 vi giunge il veneziano Francesco Hayez, il quale aderisce in misura significativa alla poetica romantica e che nel giro di pochi anni diventerà direttore dell'Accademia, con l'evidente influsso che ciò comporta su una schiera di artisti. Nei numerosi dipinti di Hayez risaltano attenzione alla storia, definizione psicologica dei personaggi, costumi, ambienti; contorno disegnativo, chiaroscuro, eleganza, vivacità cromatica. La sua Orante riecheggia chiaramente gli elementi figurativi dell'iconografia mariana.
Un altro movimento artistico aperto alla proposta romantica fu quello dei Puristi, il cui massimo esponente può essere considerato Tommaso Minardi. La sua Apparizione di Maria a San Stanislao è del 1826: una pittura levigata, al servizio di un limpido sentimento religioso. Altro suo celebre dipinto è la Madonna del Rosario, del 1840. Di questa ispirazione puristica risentono gli artisti di vari ambienti, come Luigi Mussini a Siena o Elisabetta Benato Beltrami a Padova. Ci fermiamo un attimo a considerare quest'ultima figura di artista, perché, in quanto donna, costituisce una felice eccezione per il contesto culturale e sociale dell'epoca. Formatasi presso 1'Accademia di Venezia, le sue opere risentono di un impianto classico, tipico delle varie scuole della Penisola e, più in generale, dell'Europa. Una tale impronta, come abbiamo visto, e stata chiamata "accademica" proprio perché fa riferimento ad un insegnamento scolastico, ad una mentalità moderata, ad un ambiente sostanzialmente tradizionalista. Contro tutto ciò si manifesta la reazione del romanticismo, che, allo studio accademico, oppone la vita, accusando il primo di freddezza e di artificio per dare libera voce alla spontaneità dei soggetti e dei linguaggi.
Ebbene, Elisabetta Benato si colloca all'incrocio di questi due movimenti e riesce a coniugare la nuova sensibilità ottocentesca con la tradizione del tardo Settecento. Cosi il suo disegno, preciso e misurato, non raggela la comunicazione, critsallizzandola come su un sarcofago ma si apre all'emotività e ad una familiare dimestichezza. Certo, nelle sue opere non si rivela la magnificenza della natura e del suo mistero (come nei già citati Giacomo Leopardi e David Caspar Friedrich), davanti al quale la persona umana può unicamente sperimentare la solitudine o il naufragio; né il dramma della storia, con la grandiosità di un'epopea (come in Francesco Hayez). La sua voce è tenue, perfino umile. Ma è in grado di esprimere un valore che la rende perennemente attuale: l'assenza di retorica. Si tratta, cioè, di una comunicazione essenziale, diretta, veramente "popolare" nel senso più alto della parola. Ecco: popolare, perché parla a tutti; non populista, perché non fa appello all'ignoranza e alla semplificazione enfatica della realtà. La Benato dà il meglio di sé nella ritrattistica: lo scavo psicologico va di pari passo con la precisione fisionomica e la définizione anche sociale del personaggio.
Ma anche in quell'ambito artistico nel quale è più facile cadere nel declamatorio e nel barocchismo, cioè l'arte sacra, la nostra pittrice riesce custodire un equilibrio tra la ieraticità della materia e la sua esplicitazione: popolare, ancora una volta. Basti dare uno sguardo alla Deposizione di Tribano o alla Beata Vergine con Bambino e Santi di Bagnoli, due centri del Padovano. Ci troviamo in presenza di contenuti che vantano una tradizione iconografica e stilistica plurisecolare. La Benato non teme di affrontarli, sapendo di non poter competere con i colossi dell'arte che l'hanno preceduta. Ma, abilmente, sfugge al sentimentalismo in agguato: nella Deposizione Maria non si lascia andare ad un più che comprensibile languore, ma, con grande concentrazione interiore, si rivolge al cielo e, nel gesto sacerdotale di allargare le braccia, compie l'atto di offrire a Dio il sacrificio del Figlio. E, come è noto, un soggetto quanti mai drammatico e aperto a tutte le possibili scelte estetiche. La Benato opta per un'immagine rigorosa, elegante, semplice e vivida, armoniosamente strutturate ed espressivamente significativa, spoglia di ogni elemento descrittivo (tra I'altro, non si notano lacrime sul volto della Madonna né piaghe sul corpo di Gesù, tranne un leggerissimo accenno alla ferita del costato).
La pala di Bagnoli è ancora pin indicativa dello stile della Pittrice. Maria e il Bambino appaiono tra le nubi del cielo, ma il loro sguardo è verso la terra e precisamente verso i due santi vescovi (sappiamo che solo vescovi dagli elementi iconografici che li identificano, cioè la mitra e il pastorale) che fungono da mediatori tra lo spazio sacro e la realtà terrena. Il paesaggio è ridotto a linee essenziali, senza alcuna esagerazione descrittiva. In tal modo il messaggio che il dipinto intende comunicare giunge immediatamente allo sguardo (e alla mente e al cuore) dell'osservatore. É il messaggio di una vicinanza di Dio all'umanità, vicinanza testimoniata da Gesù, da sua madre Maria e dai Santi. Questi ultimi sono colti in due atteggiamenti altamente simbolici: il santo di sinistra volge lo sguardo verso il sacro gruppo di Maria e Gesù in un gesto di invocazione (precisamente indica la terra: una benedizione sul lavoro dei campi e, più in genere, sulla vita che si svolge in quel territorio); quello di destra volge la mano verso I'osservatore, a sottolineare che la grazia che proviene dall'alto raggiunge il suo scopo quando giunge fino al popolo. E tutto ciò non è per caso, ma corrisponde a un disegno divino frutto di sapienza, come attestano i cherubini che circondano Maria nella fascia superiore.9
Dunque, ancora una volta: un'arte popolare a favore del popolo. Delicatissima, infine, la Madonna con il Bambino: uno straordinario momento di abbandono del Bambino sulle gambe di Maria, uno straordinario momento di abbandono di Maria alla volontà di Dio. Le due figure sono unite tra loro, oltre che da un compatto impianto piramidale, anche da un dettaglio importantissimo: il Bambino gioca con un fibre e quel fibre si trova all'altezza del petto di Maria. Osservando con maggiore attenzione, notiamo che quel fibre e la passiflora, il fibre della Passione. Il Vangelo racconta che un anziano profeta aveva preannunziato la passione di Gesù e aveva aggiunto a Maria: "Anche a te, o donna, una spada trafiggerà il petto". E proprio questo che, con estrema sensibilità la Benato intende rivelare. Già soltanto quest'ultimo particolare ci fa comprendere come la Pittrice riesca ad animare anche uno schema collaudato e stereotipato. E ciò che è tipico del suo mondo espressivo, cioè un ritorno all'evidenza delle cose semplici, diventa quasi la cifra stilistica di questo intero periodo.


 E. Benato Beltrami, Madonna con Bambino - Museo Belle Arti, Venezia

La Scuola Romana dell'Ottocento, di cui i Puristi furono un'importante componente, si caratterizza per una vivace pittura illustrativa, che culmina nella Sala dell'Immacolata in Vaticano di Francesco Podesti del 1854. Fecondo autore, di facile lettura, fu Pietro Gagliardi, discepolo del Minardi, attivo in molte chiese romane. Non poteva mancare, in questa ottica, una rivalutazione della devozione popolare come forma di religiosità tradizionale: ovviamente le immagini mariane sono quelle maggiormente presenti nella grande famiglia degli ex voto (ad esempio, quelli del Santuario della Santissima Annunziata a Firenze). La scultura vede tra i suoi protagonisti Lorenzo Bartolini e Pietro Tenerani, ma nella loro produzione non si riscontrano immagini mariane particolarmente significative. Forse è più facile rinvenirle in ambiti quali l'oreficeria, l'argenteria o l'artigianato: celebri gli ostensori con l'impugnatura raffigurante la Vergine o i celebri pupi del presepe.
In quegli anni di revival medievale tante chiese e palazzi europei assunsero gli stilemi dell'arte gotica, rivisitati da fantasia e creatività. Il movimento neogotico produsse vivaci immagini mariane, che risplendono dalle facciate di celebri basiliche (Duomo di Firenze, di Orvieto, di Milano), e altre dovute ai pennelli diversi pittori provenienti da vane scuole e accademie, che progressivamente si aprivano al nuovo linguaggio. Una citazione a parte merita Ludovico Seitz, che, pur non appartenendo cronologicamente alla stagione che stiamo considerando, vi è pienamente partecipe sotto l'aspetto culturale. La sua opera principale, le Storie di Maria nella Cappella Tedesca del Santuario di Loreto lo testimoniano pienamente.
Uno dei pittori nazareni fu I'inglese Ford Madox Brown. Questi, una volta tornato in Inghilterra, diede origine ad un'esperienza analoga a quella vissuta a Roma. Nacque così il movimento dei Preraffaelliti, i cui massimi esponenti saranno Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais. Inclinazioni letterarie illustrative, primato del sentimento, culto del Quattrocento italiano (cioè gli artisti prima di Raffaello, donde il nome "pre-raffaelliti") con particolare predilezione per il Botticelli e il Beato Angelico, simbolismo, tensione verso il misticismo. La produzione mariana preraffaellita non è molto abbondante, ma è straordinariamente affascinante e incisiva: basti pensare all'Infanzia di Gesù nella bottega di Giuseppe del Millais o, soprattutto, alla Ecce ancilla Domini e L'adolescenza di Maria Vergine del Rossetti.


 D. G. Rossetti, Ecce ancilla Domini - Tate Gallery, Londra

Gli anni del romanticismo coincisero, specialmente in Italia e in Germania, con il periodo nel quale sempre più intensa e accelerata si avvertì l'esigenza dell'unificazione politica. Questo clima influì sulla produzione artistica, al punto che questa si espresse con maggiore vitalità ed energia nella raffigurazione "profana" che in quella sacra. La stessa iconografia mariana non di rado si appiattisce, per dirla con uno storico dell'arte su una «leziosa immagine devozionale, ricalcata su motivi perugineschi e raffaelleschi, esemplare per tanta pittura sacra proseguita fino ai nostri giorni ad uso e consumo del più banale pietismo».10
Ovviamente qua e là si notano importanti eccezioni. Ma il tono dominante resta quello di una produzione media (a volte mediocre), senza particolari slanci né audaci sperimentazioni. Anche pittori dalla robusta fibra realistica, come il napoletano Domenico Morelli, quando affrontano soggetti religiosi e mariani perdono il loro accento veristico per privilegiare il contenuto di un'immagine la cui ricerca sfocia nei temi religiosi, mistici e soprannaturali: lo prova la sua Assunzione di Maria nel Palazzo Reale di Napoli. Alcuni temi sacri riecheggiano nella pittura profana: così La visita di Silvestro Lega presenta una moderna Visitazione di Maria a Elisabetta.
L'arte romantica non sfugge al rischio del sentimentalismo e del patetismo, già avvertiti dal Leopardi. É difatti anche essa, in definitiva, si ridusse ad una nuova forma di quell'accademismo che in un primo momento essa voleva contestare. Bisognerà attendere la formidabile lezione dell'impressionismo e dei movimenti successivi per assistere a un autentico rinnovamento del linguaggio artistico. A parziale comprensione, se non proprio giustificazione, della produzione iconografica mariana di questo periodo c'è l'importante caratteristica che nel romanticismo abbiamo avuto modo di rilevare: la sua dimensione popolare. In base a ciò si stabilisce che «la vera poesia è solo quella popolare e al popolo, si deve riferire interpretandone i sentimenti, rispecchiandone le credenze, esaltandone le native e primigenie virtù morali»11.
L'iconografia mariana romantica rispecchia tutto ciò? Molte volte no, ma a volte sì, come in certe opere spontanee e briose di un Felice Giani.


 F. Giani, Sacra Famiglia - Palazzo Milzetti, Faenza

L'iconografia, del resto, e una cartina di tornasole: mentalità, gusti, attese vengono sintetizzate attraverso di essa. Che mentalità si aveva allora? Che gusti? Che attese? L'Ottocento è il secolo del cristianesimo sociale. Ma, sotto l'aspetto dell'arte mariana il panorama europeo, come abbiamo visto, non offre molto, attardato com'è nel neoclassicismo oppure lanciato verso le novità romantiche ma al di fuori dell'orizzonte ecclesiale. Peccato! Il soggetto "Maria", infatti avrebbe avuto tutte le caratteristiche per dare vita a capolavori espressivi della moderna sensibilità, come lo era stato nei precedenti secoli del medio evo, del rinascimento e del barocco. Invece il "divorzio" culturale tra Chiesa e modernità trovò proprio in quest'epoca una delle punte pin intense. La comunità cristiana, in tal modo, veniva privata di quell'apporto anche educativo che l'arte è in grado di offrire. É possibile condividere questo giudizio che uno studioso esprime in ambito francese, ma è certamente estensibile a tutta 1'Europa: «II rinnovamento della pittura religiosa non sempre fu accompagnato da un rinnovamento del sentimento religioso [ ... }. Esigenze spesso contraddittorie della Chiesa e del potere laico: la prima, infatti, cercava innanzi tutto di riconquistare la sua autonomia, il secondo vedeva nella religione soprattutto uno strumento di coesione sociale»12. Del resto, e l'intero linguaggio religioso che cade in forme stereotipate, da sagrestia, al punto che si percepisce maggiore "religiosità" nei quadri di paesaggio che nelle scene esplicitamente sacre. Nell'età romantica, il sublime trova il suo campo di realizzazione non nell'iconografia mariana, ma nella natura.

NOTE
1 R. DE GRADA, La pittura neoclassica, in AA. VV., Pittura '800, Istituto Geografico DeAgostini, Novara 1989, p. 60.
2 Cfr. in A. BOROLI (cur.), Storia della Pittura, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1983, vol. TX, p. 76.
3 Cfr. F. CAROLI, Storia dell'arte, Electa, Milano 2011, pp. 371-374.
4 Da BERNARDI, Disegno storico della letteratura italiana, SET, Torino 1982, p. 513.
5 S. ZUFFI, L'arte sacra nel primo Ottocento, in AA VV., La Storia dell'Arte. Il Romanticismo, Electa, Milano 2006, vol. 14, p. 302.
6 Ibid., p. 306.
7 Ibid. p 313.
8 V. FRANCIA, L'immagine di Maria negli anni dell'illuminismo, in Theotokos, 2 (2016), pp. 93-104.
9 É noto che i cherubini sono gli angeli della sapienza: cfr. Divina Commedia, Paradiso, canto XI, vv. 38-39 ("l'altro per sapienza in terra fue /I di cherubica luce uno splendore").
10 F. NEGRI ARNOLDI, Storia dell'Arte, Fratelli Fabbri, Milano 1976, vol. III, p. 449.
11 DE BERNARDI, Disegno storico della letteratura italiana, p. 515.
12 R. TEMPERINI, Il primo Ottocento, in AA VV., La Pittura Francese, Electa, Milano 1999, II, p. 677.


 

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