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  La Salute: un bene prezioso da custodire guidati da Maria  
Spiritualità

Dal libro di Denis Sahayaraj Kulandisamy - Luca Di Girolamo, Maria di Nazaret tra Bibbia e Teologia, NSO, Sivakasi 2017, pp. 229-238.

 



Nelle sue Satire, il poeta latino Giovenale (†127 ca.) ci ha lasciato un verso che è entrato nel parlare comune sebbene travisato e monco: «Mens sana in corpore sano». In realtà non si è guardato all’interezza di questo verso che suona così «Orandum est ut sit mens sana in corpore sano».326 Appare una dimensione religiosa che con l’uso si è perduta e che, lungi dal deprezzare l’uomo, ne rafforza la complessità fisico-spirituale.
Questo ci introduce al contributo che intendiamo proporre nelle righe che seguono.

Sofferenza e salute

In ogni tempo l’uomo ha dovuto fare (e continua a fare) i conti con la malattia e quest’ultima ricompare come spettro che limita (se non addirittura paralizza) le sue migliori aspirazioni ed aspettative. Parlare di malattia e, chiaramente, del suo opposto rappresentato dalla salute, significa considerare l’unità di tutto l’essere umano che non può essere sottoposto a visioni parziali, osservandolo da un’unica dimensione.
Corpo, spirito ed anima sono realtà profondamente connesse che costituiscono la persona per cui la sofferenza che intacca una di esse si ripercuote sulle altre due: una sofferenza fisica costituita da una malattia diagnosticata come grave o gravissima, senza dubbio può condizionare negativamente tutta una progettualità intellettuale come anche – a livello spirituale – il rapporto con Dio. Possiamo qui pensare ad una malattia incurabile e come essa, portando gradualmente il corpo al suo disfacimento, investe le ragioni più profonde del vivere e pone allo scoperto in tutta la sua crudezza la disillusione e la disperazione. Ma anche situazioni di sofferenza psicologica e interiore, stati di paura manifestano non pochi risvolti anche sull’assetto fisico della persona. Il grande scienziato e teologo francese Pierre Teilhard de Chardin (†1955) nella sua opera Le milieu divin (L’ambiente divino) presenta dettagliatamente un ventaglio di situazioni di precarietà che contraddistinguono la vita umana e la necessità etica, quando è possibile, di arrestare il male, anche quello fisico.327
È chiaro che il rapporto con la malattia è diversificato caso per caso: c’è chi lotta fino alla fine e chi – psicologicamente più debole – si rassegna e finisce per soccombere anzitempo. A nulla valgono, in quest’ultimo caso, i consigli e le esortazioni a reagire; ognuno di noi è irripetibile e singolare nel proprio vivere l’esistenza con tutto il carico di difficoltà che essa comporta; per questo motivo anche le migliori intenzioni che manifestiamo verso l’altro, in questi casi di malattia, arrivano ad effetto solo parzialmente.
Notevole in merito, nella tradizione storico-spirituale dell’Ordine dei Servi di Maria la risposta dell’ammalato visitato dal beato Gioacchino da Siena (†1305) che lo esortava alla pazienza: «O buon frate è facile predicare dell’infermità, ma un altro conto è sopportarla».328 Parole ricorrenti ed attualissime che mostrano la limitatezza dell’uomo nonostante la sua sollecitudine.
A ciò si aggiunge un altro aspetto non meno deleterio che ci proviene dal mondo dei mass-media: se da un lato apprezziamo e godiamo nell’apprendere i progressi della scienza e della medicina finalizzate a debellare alcune gravi malattie, per altro verso le vicende tragiche di persone affette da patologie mortali non solo non ci lasciano indifferenti, ma possono procurare in alcuni una vera e propria paura di star male. Anche questo dimostra la debolezza dell’uomo che può portarlo a situazioni psicologiche davvero critiche. Essendo "bombardati" da notizie negative finiamo per entrare, a volte, in spirali non molto lontane da malattie vere e proprie. In tal senso il mondo della sofferenza mostra il suo lato più oscuro ed enigmatico, nonché, per alcuni versi, devastante anche in situazioni oggettivamente non gravi. Siamo umani e dobbiamo fare i conti con la nostra umanità che è debole non solo perché affetta dal peccato, ma in forza della sua creaturalità limitata che porta a non potersi procurare quell’invincibilità ed eternità che si vorrebbe possedere.
La presa di coscienza di questa nostra finitezza deve sensibilizzare e orientare le nostre migliori energie ad una "battaglia pacifica" che consiste nel far tesoro della nostra salute attraverso due strade: la prevenzione che appartiene all’ambito clinico, unita tuttavia ad una vita dominata da un sano equilibrio che investa ogni dimensione dell’uomo. Sorge qui un interrogativo: questa valorizzazione della salute è soltanto opera umana assimilabile ad uno stoico sforzo di volontà? Per la nostra visione cristiana, la risposta è negativa: la cura per la propria salute integrale e che coinvolge tutto l’uomo deriva da quel germe di vita pasquale che – sin dal Battesimo – il Signore ha posto in noi e che va coltivato. Ha ragione allora S. Paolo che, in appena due versetti, compendia tutta la nostra esistenza dominata dalla relazione: «Nessuno di noi vive per sé stesso e nessuno muore per sé stesso, perché se viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rom 14,7-8).
Se la malattia, che genera sofferenza, ci colloca in comunione stretta con Gesù Incarnato-Crocifisso,329 la salute ci addita la luce della Resurrezione e della vita che risplende sul volto del Redentore. In entrambi i casi, nei quali è racchiusa tutta la complessità della nostra vita, il Signore ci viene a visitare e si rende presente con tutta la sua Bontà anche se, a volte, ci riesce difficile comprenderlo.330
Questo ci induce a scrutare con occhio critico la Scrittura: libro ed evento in cui l’azione di Dio e quella dell’uomo si svolgono in sinergia.

Salute e salvezza

 

La salute fisica e quella interiore sono illustrate in modo frequente nell’AT con una profonda stima dell’arte medica: il medico – ci dice un testo della tradizione sapienziale – è da onorare per il suo servizio e perché egli è creato da Dio e, accanto a ciò, dev’esserci nell’uomo equilibrio tra preghiera a Dio ed accoglienza delle necessarie cure (cf. Sir 38,1-15). Si nota tuttavia nell’AT una sorta di separazione tra la cura dei corpi (iaris) e la salvezza (soteria). Nel NT Cristo, in forza dell’Incarnazione, unifica le due dimensioni umane giungendo talvolta ad invertirne l’ordine come avviene in Mc 2,5-11, testo in cui liberazione della malattia e remissione dei peccati formano un unicum. Ciò si comprende anche dal comando di Gesù che coincide con la proclamazione della propria signoria: «Ora perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va a casa tua» (Mc 2,10-11).
I segni della guarigione rinviano alla salvezza e, parallelamente, la salvezza – per rendersi comprensibile – passa per il linguaggio della fisicità realizzando, anche sul piano visivo, il passaggio da uno stato di malattia (sofferenza e morte) a quello di salute (salute-salvezza e vita) rinviando efficacemente alla kenosis redentrice del Signore Incarnato. Questo ci permette di osservare che nella malattia l’uomo, pur associandosi alla sofferenza di Cristo sulla Croce, ne riceve, al contempo la visita con la quale Egli si associa all’infermo. «Colui che è stato orrendamente inchiodato sulla croce – osserva H. U. von Balthasar – non è malato nel senso della medicina, nella massima salute dello spirito Egli compie la sua missione fino in fondo e così, per tutti quelli che altrimenti sarebbero perduti senza speranza, diventa il medico, colui che guarisce ovvero salva».331
In questo ambito la vicenda del Samaritano (cf. Lc 10,29ss.) è fin troppo chiara ed è inutile entrare in dettagli; è interessante, invece, il motivo per il quale l’uomo viene sanato. Un episodio che ci aiuta in tal senso è la guarigione della suocera di Pietro: la donna, affetta da febbre – ci ricorda Mc 1,29-31 – viene sanata e, alzatasi, serve. L’uomo beneficato e sanato si pone, con rinnovata energia, a servizio della vita e di tutto ciò che contribuisce alla sua promozione. Se S. Paolo ci ricorda che non viviamo solo per noi stessi, questo implica responsabilità nell’essere e nell’azione. Nell’essere perché col Battesimo è avvenuto l’inserimento in Cristo e nell’azione perché colui (o colei) che viene beneficato è chiamato a farsi portatore di quanto ha ricevuto da Cristo (e, aggiungiamo, dalla Chiesa e dalla medicina ognuna con caratteristiche e funzioni proprie). Tanto nell’essere quanto nell’agire, il punto di forza resta Cristo il quale se guarisce ed invita ad allontanarsi dal male indica all’uomo un sentiero di ricostruzione per sé e per gli altri e, al contempo, non fa che collocarsi al livello dell’uomo, Lui che è Dio e che – come sottolinea S. Paolo – si è collocato ad un livello di servo (cf. Fil 2,7).
Solo percorrendo la strada della prossimità e della vicinanza l’uomo – creato ad immagine e somiglianza divine – può riscoprire la salute nel suo valore armonioso e bello, tipico di quel creato del quale egli è sintesi e vertice (cf. Sal 8) e può testimoniare la grandezza di Dio.

Maria, salute degli infermi

Non sappiamo, né possiamo sapere se Maria ha attraversato nella sua esistenza momenti di cattiva salute: i Vangeli – che tanto poco riservano alla sua persona – nulla ci dicono in merito. Ciò che tuttavia sappiamo con certezza è che la Madre di Dio è stata, pur nella sua singolarità dovuta ai doni divini che ha ricevuto, una creatura soggetta alle sensazioni che normalmente contraddistinguono l’essere umano. Non meno importante appare il legame che Lei mantiene con il Figlio nelle diverse situazioni di vita.
A partire da queste notazioni possiamo ipotizzare gli effetti che i diversi eventi della vita comune col Figlio abbiano prodotto sulla sua fisicità: presso la Croce (cf. Gv 19,25-27) Maria sperimenta l’afflizione; dinanzi alla perdita-ritrovamento di Gesù (cf. Lc 2,41-50) conosce il disorientamento; all’annuncio dell’angelo (cf. Lc 1,26-38) è attraversata dal turbamento.
Per meglio illustrare il tema che ci riguarda e che è compendiato sotto il titolo Salus infirmorum (= salute degli infermi), c’è da osservare anzitutto che si tratta di una salute che, oltrepassando il dato fisico, Maria vive grazie al suo immacolato concepimento: un dono di misericordia a carattere eminentemente pasquale così come lascia intendere la stessa definizione dogmatica.332
Tale dono determina una convergenza di atteggiamenti di Dio e di sua Madre che si nota soprattutto in due testi che esplicitamente rivelano la gioia pasquale motivata dall’azione risanatrice di Dio: il Magnificat (cf. Lc 1,46-55) e le nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11).
Nel primo testo Maria "canta" le meraviglie del Signore tese a prediligere chi si trova in ogni genere di difficoltà e perciò a colmare le lacune e le storture della storia, rappresentate sostanzialmente dal peccato che produce atteggiamenti generatori di sofferenza, in forza della medesima compassione che vediamo attuata dal samaritano del racconto lucano.
Gesù Cristo, nota acutamente von Balthasar, «ha fondato una «religione» che di certo non mira in modo alcuno ad aggirare il dolore […], ma una religione che guarda in faccia agli orrori del mondo, in un atteggiamento che ne rovescia il valore e più a fondo li trasforma in quanto capovolgimenti potenti in vista della cancellazione più profonda».333
Quanto all’episodio di Cana, la difficoltà del momento viene superata grazie alla potenza del Cristo apportatore del cambiamento proprio della nuova Legge, condensata dall’immagine del vino che si sostituisce all’acqua. Maria, dapprima – nella discrezione che le è propria – evidenzia la situazione puntuale (cf. Gv 2,3), quindi rinvia i servitori al Figlio (cf. Gv 2,5). Anche qui – come nel Magnificat – abbiamo l’affermazione della potenza di Dio contro tutto ciò che minaccia l’uomo o lo spinge sui sentieri del disagio e della sofferenza anche interiore. In sostanza, se all’Annunciazione il «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) è proclamato dall’angelo, la sostanza di tale "impossibilità" sembra implicitamente passare nel comando di Maria ai servi.
Maria ci mostra e ci indirizza verso la potenza di Colui che è medico delle anime e dei corpi, quale prima destinataria dell’effettiva guarigione (Lei stessa è beneficata oltre misura anche se deve "passare" per la via Crucis). Per questo il titolo mariano Salus infirmorum si può associare a quello di Causa nostræ lætitiæ (= causa della nostra gioia). Con la salute si recupera la gioia che deriva essenzialmente dalla Pasqua di Gesù che – come ci ricorda il Prefazio della Messa che porta questo titolo mariano riecheggiando Is 53,4 – «…dolores nostros portavit»334.
Maria quindi vive pienamente il paradosso del Figlio pur non identificandosi con Lui, ma soltanto in una dinamica di partecipazione che implica un itinerario di fede e di familiarità profonde, proprio di ogni credente.

Conclusione

Terminiamo con una domanda: perché Maria è Salus infirmorum? La risposta va ricercata in un denso concetto ricorrente, ma forse poco analizzato: disponibilità. Noi sappiamo che, sul piano deontologico, il medico è tenuto, nella sua missione, ad offrire la sua professionalità senza barriere ideologiche, razziali e simili. Siamo ad un passo dall’universalismo proprio della Croce redentrice presso la quale la presenza di Maria è efficace nella sofferenza che la accomuna al Figlio. Proprio tale disponibilità (che implica una presenza), come manifestazione di un reale coinvolgimento, è medicina che, sebbene non guarisca totalmente (pensiamo a quanti malati terminali godono delle cure palliative), lenisce la sofferenza.
La Salus Infirmorum è la Mater Dolorosa che sappiamo si apre alla luce pasquale del trionfo della vita. Questo dato ci porta alla vera medicina: «Cristo mia speranza è risorto» (Sequenza pasquale). Con Maria ci apriamo ad un futuro reale e non utopico.

 

 

NOTE
326 «Bisogna pregare affinché ci sia una mente sana in un corpo sano», GIOVENALE, Satire X, 356.
327 Cf. P. TEILHARD DE CHARDIN, L’ambiente divino, Il Saggiatore, Milano 1968, 78-84.
328 Cf. Legenda del beato Gioacchino da Siena, 6, in Monumenta OSM 5, 8.
329 Tutta la lettera apostolica del beato Giovanni Paolo II († 2005) sul significato della sofferenza Salvifici doloris (1984) mostra questo tema come centrale.
330 Il Concilio Vaticano I (Dei Filius c. II) e il Concilio Vaticano II (Dei Verbum n. 6) sono concordi nell’affermare che i beni divini trascendono assolutamente la comprensione della mente umana.
331 H. U. VON BALTHASAR, La salute tra scienza e saggezza, in ID., Homo creatus est, Morcelliana, Brescia 1991 (or. ted. 1979), 99. Dello stesso autore si veda anche Frammenti a proposito della malattia e della salute, in Communio n. 33 (mag./giug. 1977), 74-86 dove, in margine al tema, troviamo interessanti legami con il mondo della medicina e della filosofia.
332 Riportiamo il testo centrale della definizione: «La dottrina che sostiene che la beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli», PIO IX, Bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854), in EE 2/761.
333 H. U. VON BALTHASAR, Frammenti a proposito della malattia e della salute, 83.
334 CONGREGATIO PRO CULTO DIVINO, CMBVM, n. 44: Beata Maria Virgo, Salus Infirmorum, 169.

Inserito Venerdi 31 Agosto 2018, alle ore 10:27:38 da latheotokos
 
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