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  Maria nel cammino della contemplazione della Chiesa 
Chiesa

Dal libro di Juan Esquaerda Bifet, Maria nel cammino missionario della Chiesa, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2004, pp. 55-66.




Il cammino della Chiesa è illuminato dalla parola di Dio meditata nel cuore. Questo fu l’atteggiamento contemplativo di Maria, e continua ed essere regola per la Chiesa di tutti i tempi. L’itinerario contemplativo è una trasformazione costante del cuore e di tutta la comunità ecclesiale, fino a lasciarsi orientare pienamente verso i piani di Dio. L’evangelizzazione è stata sempre frutto della contemplazione. Il prossimo lo si ama veramente quando lo si scopre nel volto di Gesù e lo si guarda con lo sguardo di Gesù.

1. La contemplazione di Maria, immagine della Chiesa

Quando Maria «meditava nel suo cuore» (Lc 2,19.51), visse un’esperienza profonda del «porre in relazione» le diverse espressioni della Parola rivelata, in armonia con la fede e i dati della rivelazione. Una nuova luce proveniente da Dio fa vibrare con nuova intensità le luci ricevute precedentemente, aprendole ad una nuova sorpresa di Dio. Meditare la Parola, con apertura incondizionata del cuore, era l’atteggiamento abituale di Maria. La preghiera del «Magnificat» è «la personale esperienza di Maria, l’estasi del suo cuore» (RMa 36). È «la preghiera per eccellenza di Maria, il canto dei tempi messianici nel quale confluiscono l’esultanza dell’antico e del nuovo Israele» (MC 18). I contenuti principali di tutto il salterio e degli altri inni veterotestamentari, si riflettono in questa preghiera mariana, pronunciata in occasione della visita a sua cugina Santa Elisabetta. Il «Magnificat» è un insieme di espressioni sapienziali davanti a una realtà nuova, l’Incarnazione: «Dio ha fatto in me cose grandi» (Lc 1, 49). L’esperienza del silenzio fu, in Maria, un atteggiamento per lasciar parlare Dio, senza voler sovrapporre i propri pensieri. Fu così il suo atteggiamento davanti all’annuncio dell’angelo (cf. Lc 1,29) e all’ascoltare le parole di Gesù Bambino (cf. Lc 2,51). È il silenzio sacrificato e fecondo del saper accettare con adorazione e ammirazione il mistero divino: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). Maria è il silenzio personificato, dove risuona la Parola; per questo è la pura accoglienza della Parola, piena di questa stessa Parola. Quando Gesù ricordò a Maria che lui si doveva occupare delle cose del Padre (cf. Lc 2,49), la sua affermazione equivaleva a ciò che disse successivamente durante la sua vita pubblica: «Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc 10,22). Per il suo atteggiamento contemplativo, Maria si mostra come «donna del silenzio e dell’ascolto» (TMA 48). Gli aspetti luminosi di questo atteggiamento contemplativo di Maria emergono nei fatti evangelici. Era un silenzio rispettoso del mistero di Dio (cf. Lc 1,29), concretizzato in un «» generoso e incondizionato alla Parola (cf. Lc 1,38). In questo modo praticava la sua fede viva riguardo ai piani salvifici di Dio (cf. Lc 1,45), con effusioni di lode, di riconoscenza, umiltà, speranza e confidenza nella misericordia divina (cf. Lc 1,46ss). A livello pratico, questo atteggiamento contemplativo si traduceva nei servizi umili (come durante i tre mesi in casa di Elisabetta), e nell’attenzione caritativa verso le necessità degli altri (come a Cana). È l’atteggiamento di ammirazione, condivisa con S. Giuseppe (cf. Lc 2,33), che trascende i concetti di speranza messianica di quell’epoca. Maria imparò con umiltà, convivendo con tutte le persone che Dio poneva sul suo cammino: Giuseppe, Elisabetta, i pastori, i magi, Simeone, Anna. La saggezza cristiana è un continuo apprendistato del mistero di Dio, manifestato per mezzo di segni poveri. Il fatto che ella fosse «piena di grazia» e Madre del Figlio dell’Altissimo (Madre di Dio), non solo non impedì, ma rafforzò anche il suo atteggiamento di umiltà sapienziale. L’atteggiamento contemplativo di Maria equivaleva all’accettazione gioiosa del mistero di Dio, che è sempre al di là di ogni conoscenza umana e anche oltre le grazie ricevute precedentemente. Continuare nella ricerca e associarsi sponsalmente a Cristo, è il segnale di averlo incontrato più profondamente. L’itinerario contemplativo equivale a una vita impegnata nell’associazione sponsale a Cristo, che è la Parola personale del Padre e, pertanto, «spada» a doppio taglio: chi condivide la gioia della vita di Cristo, è chiamato a condividere anche la sua sofferenza della passione e della croce. Soltanto l’amore può trasformare lo «scandalo» delle grandi difficoltà, in uno sposalizio fecondo. Il silenzio di Maria, «presso la croce» (Gv 19,25), equivale al «guardare» contemplativo al quale ci invita il discepolo amato (cf. Gv 19,37, in relazione con 1,14). È silenzio di donazione e associazione incondizionata, che trascende le proprie tendenze (sante e non così tanto sante in noi) di pensare, sentire e parlare. È la gioia e il dolore di accettare, senza ritardi né reticenze, che Dio, amato profondamente, è sempre al di là di tutti i nostri risultati e di tutti i suoi doni. «Il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all’esperienza della profondità del suo amore» (RVM 1).

2. La contemplazione della Chiesa nella sua dimensione mariana

Contemplare equivale a «vedere» con gli occhi della fede: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che la nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita... quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi» (1Gv 1,1-3). Il credente in Cristo è chiamato a «vedere» Gesù dove sembra che non ci sia (cf. Gv 20,8). «Colui che è cercato, trascende ogni conoscenza» (S. Gregorio di Nissa, Vita di Mosè). Ciò significa ricevere il Verbo incarnato tale come lui si vuole manifestare: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). La Chiesa è un insieme di segni «poveri», dove Cristo si nasconde e attraverso i quali si manifesta. Lui è importante, ma non lo si può incontrare, se non nascosto in questi segni, che sono sempre segni del fratello (vocazioni, ministeri, carismi). Senza uno «sguardo contemplativo» (EV 83) non è possibile scoprire Cristo, specialmente quando si guarda alle persone e agli avvenimenti solo da un lato circoscritto o negativo. Questo sguardo si impara «nella contemplazione del volto di Cristo: lui considerato nei suoi lineamenti storici e nel suo mistero, accolto nella sua molteplice presenza nella Chiesa e nel mondo, confessato come senso della storia e luce del nostro cammino» (NMi 15). «Recitare il Rosario non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo... se riscoperto nel suo pieno significato, porta al cuore stesso della vita cristiana ed offre un’ordinaria quanto feconda opportunità spirituale e pedagogica per la contemplazione personale, la formazione del Popolo di Dio e la nuova evangelizzazione» (RVM 3). Solo così si può «riflettere la luce di Cristo», specialmente quando «chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”» (NMi 16). Quando ci domandano «vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,11), dobbiamo saper rispondere: «Abbiamo visto il Signore» (Gv 20,25). Il segnale dell’aver «contemplato» Cristo nella sua parola e nell’Eucaristia, è quando si riesce a scoprire il suo volto nel volto di ogni fratello. È sempre questione di avere o non avere una fede vissuta: «Solo la fede poteva varcare pienamente il mistero di quel volto» (NMi 19). La preghiera cristiana tende, per se stessa, a questo sguardo e atteggiamento contemplativo, acquisito in un incontro con Cristo che, per sua natura, tende ad essere definitivo e pieno, per la visione e trasformazione in lui. L’essere stato «con lui» (Gv 1,39) si traduce nel saper esprimere l’esperienza di averlo «incontrato» (Gv 1,41.45) e averlo «visto» (Gv 1,14). A questo obiettivo punta l’amicizia con Cristo: «Stare con chi sappiamo che ci ama», per «portarlo sempre con sé» (Santa Teresa di Gesù), fino ad avere «gli stessi sentimenti» con lui (S. Giovanni della Croce). «Il Rosario... mira a plasmare il discepolo secondo il cuore di Cristo. Il Rosario conserva tutta la sua forza e rimane una risorsa non trascurabile nel corredo pastorale di ogni buon evangelizzatore» (RVM 17). Il cammino contemplativo è sempre di infanzia spirituale, cioè, l’atteggiamento evangelico di accettare gioiosamente e umilmente il non poter comprendere pienamente il mistero di Cristo. È l’atteggiamento di Maria e di Giuseppe davanti alle parole del figlio ritrovato: «Essi non compresero le sue parole» (Lc 2,50). Chi capisce questo modo, capisce molto di più, perché trascende il modo umano di capire, lasciandosi sorprendere da Dio Amore. Dio può farsi conoscere nel profondo del cuore, senza che noi manifestiamo le nostre idee in maniera esplicita. La «nuvola luminosa» del Tabor (Mt 17,5) mostra e nasconde, allo stesso tempo, il mistero pasquale di Cristo. È luce che sembra tenebra, perché abbaglia, senza offuscare né distruggere le luci ricevute precedentemente. Dio è sempre lui, al di là di tutta la nostra intelligenza. Soltanto accettando questo mistero di Dio Amore, si comincia a conoscere e amare il mistero dell’uomo. La regola che dà Gesù per il cammino di relazione con Dio («in spirito e verità»: Gv 4,23), è quella di avere un atteggiamento di autenticità davanti al Signore e di confidenza nel suo amore. Il cammino contemplativo è un incontro con Dio e con la propria realtà, cioè, nella propria povertà: «Dio ha guardato il nulla della sua ancella» (Lc 1,48). Cristo lo si incontra al proprio pozzo di Sicar (come la Samaritana), nel proprio cammino di Emmaus (come i due discepoli) e nel proprio cammino di Damasco (come Paolo). Il cammino contemplativo è cammino di povertà biblica. Nell’itinerario contemplativo si impara meglio la «teologia vissuta dei santi» (NMi 27). Sono essi che, per averlo sperimentato, possono spiegare meglio gli obiettivi, le tappe e gli ostacoli dell’itinerario. È un’apertura graduale all’«acqua viva» (Gv 4,10), cioè alla presenza attiva dello Spirito Santo (cf. Gv 7, 39). Si tratta di lasciare entrare la Parola di Dio nel profondo del cuore, senza lasciarsi condizionare dai falsi egoismi e meccanismi di difesa. È sempre un itinerario biblico, che va dall’esodo (purificazione), passando per il deserto (illuminazione), fino ad arrivare alla terra promessa (unione). S. Gregorio di Nissa dà una spiegazione più contemplativa di queste tappe: dalla luce o dal fuoco del roveto ardente, si passa alla nube del Sinai e, quindi, con il desiderio di «vedere», si giunge solo a vedere la sua «spalla». Cioè, «non vedere è la vera visione, perché chi è cercato, trascende ogni conoscenza» (Vita di Mosè). Si cerca Dio Amore, più in là di tutti i suoi segni e messaggi. In questo cammino biblico, il modello perfetto è Maria. Tutto è opera della grazia, che potenzia e fa possibile la nostra collaborazione libera ed effettiva. «Alla contemplazione piena del volto del Signore non arriviamo con le sole nostre forze, ma lasciandoci prendere per mano dalla grazia. Solo l’esperienza del silenzio e della preghiera offre l’orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, aderente e coerente di quel mistero» (NMi 20). È l’esperienza chiamata «lectio divina», per ricevere con piena apertura la Parola di Dio, lasciandosi mettere in discussione da essa, per chiedere con confidenza filiale e unirsi pienamente alla volontà divina. Con questo atteggiamento contemplativo si affrontano gli avvenimenti, per costruire la storia amando. Gli stessi avvenimenti salvifici narrati dalla Scrittura e celebrati nella liturgia, si rivivono «come se fossero accaduti oggi» (NMi 28). La realtà storica si fa «segno dei tempi» (Mt 16,3), quando si penetra alla luce della Parola di Dio.

3. Maria nel cammino di contemplazione della Chiesa

La Chiesa, nel suo cammino di speranza nella storia, è invitata a «imitare la contemplazione di Maria» (NMi 59). La Luce che illumina la storia viene da Dio: Gesù è «la luce del mondo» (Gv 9,5). Maria invita ad ascoltare le sue parole (cf. Gv 2,5), che sono parole di «spirito e vita» (Gv 6,63), «parole di vita eterna» (Gv 6,68). È un’invito alla «comunione viva con Gesù attraverso il Cuore della sua Madre» (RVM 2). Meditando Maria, la Chiesa impara da lei a meditare la storia alla luce dell’«ora» di Gesù, cioè del suo mistero pasquale (cf. Gv 2,4). Gli avvenimenti storici lasciano intravedere la sua dinamica salvifica solo quando si analizzano alla luce della Parola di Dio. «Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11). In tutta la tradizione cristiana, l’itinerario contemplativo è un processo di ingresso nella «nuvola luminosa» (Mt 17,5). È la «nube» che coprì Maria, per ricevere la Parola del Padre sotto l’azione dello Spirito Santo (cf. Lc 1,35). Sant’Ambrogio invitava a lasciar risuonare nel proprio cuore l’inno mariano del «Magnificat»: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio». L’atteggiamento contemplativo, imitando Maria, è un riconoscimento fiducioso della propria povertà davanti al mistero insondabile di Dio. È l’atteggiamento dell’adorare Dio, santo e trascendente, per chi lo incontra nella propria realtà. La trascendenza di Dio si scopre riconoscendo la propria realtà e i propri limiti. Lo stesso atteggiamento di adorazione si concretizza nella profonda ammirazione della bontà di Dio. È la gioia, frutto della carità, di sapere quel che Dio è, al di là della nostra esperienza: «Il mio spirito gioisce in Dio mio Salvatore» (Lc 1,47). L’adorazione e l’ammirazione si esprimono anche nel silenzio attivo di donazione o di presenza affidata totalmente all’incontro con Dio. È il «silenzio carico di presenza adorata» (VC 38; OL 16). In ogni comunità cristiana deve risuonare il «fiat» e il «Magnificat» di Maria, come segno della sua donazione e del suo atteggiamento contemplativo. La giornata, iniziata con l’«Angelus» (pronunciando il «fiat» di Maria) si può concludere con il «Magnificat», come inno di gratitudine e di speranza gioiosa nella misericordia divina. Tutto quello che, durante il giorno, non è stato in sintonia con il «» iniziale, si recupera al tramonto con l’atteggiamento mariano del «Magnificat», per continuare a camminare sulla via della «donna vestita di sole» (Ap 12,1). In noi, è fare l’esperienza del «lavare le vesti rendendole candide col sangue dell’agnello» (Ap 7,14). Attualizzando continuamente il fatto paradigmatico del Cenacolo di Pentecoste (cf. At 1,14), la comunità cristiana si converte in «scuola di preghiera»: «Le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche “scuole” di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprime soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino al un vero “invaghimento” del cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio» (NMi 33). Pregando con Maria, la Chiesa fa «esperienza della sua intercessione» (MC 22). Così si riconosce la «presenza di Maria nella Chiesa nascente e nella Chiesa di ogni tempo, poiché ella, assunta in cielo, non ha deposto la sua missione di intercessione e di salvezza» (MC 18). Si contempla Maria alla luce del mistero di Cristo, dato che lei è tutta espressione di questo mistero di Dio fatto nostro fratello, Redentore e Salvatore. In questo modo, «la Chiesa... penetra più profondamente nel supremo mistero dell’Incarnazione e si va ognor più conformando col suo Sposo» (LG 65). La preghiera mariana (con Maria e a Maria) è una espressione della fede vissuta circa il mistero di Cristo. E questa stessa fede cristologica si fortifica pregando con e come Maria. «La venerazione che la Chiesa ha reso alla Madre di Dio in ogni luogo e in ogni tempo... costituisce una validissima testimonianza che la norma di preghiera della Chiesa è un invito a ravvivare nelle coscienze la sua norma di fede. E, viceversa, la norma di fede della Chiesa richiede che, dappertutto, si sviluppi rigogliosa la sua norma di preghiera nei confronti della Madre di Cristo» (MC 56).

 

 

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Inserito Martedi 8 Giugno 2021, alle ore 10:22:06 da latheotokos
 
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IDEATO E REALIZZATO DA ANTONINO GRASSO
DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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