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  La presenza della Vergine nella «Traditio Apostolica» 
CultoDalle dispense di P. Ignazio Cababuig, Pontificia Facoltà Teologica Marianum - Roma


Maria nell'Anafora eucaristica e nel rito battesimale

ANAFORA EUCARISTICA
Nella “Traditio Apostolica”, documento del 215 lungamente attribuito a Ippolito di Roma, figura la più antica anafora eucaristica finora conosciuta. Nel “rendimento di grazie” la Vergine è menzionata due volte:
“[….] Ti ringraziamo, o Dio, per mezzo del tuo diletto Figlio Gesù Cristo […..] che hai mandato dal cielo nel seno di una vergine ed è stato concepito, si è incarnato e manifestato come Figlio tuo, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine”
Il motivo della menzione è chiaramente cristologico: glorificare Dio per il dono di Gesù, suo Figlio, nato dalla Vergine. La menzione tuttavia mette in risalto la funzione essenziale che Maria ha svolto nella Storia della Salvezza. Questa presenza di Maria non scomparirà più dall’anafora, ma sarà un elemento che acquisterà progressivo rilievo cultuale.

LITURGIA BATTESIMALE
La Vergine è pure ricordata nel rito del conferimento del Battesimo nella notte di Pasqua e precisamente nell’interrogazione relativa alla fede in Cristo:
“Credi in Gesù Cristo, Figlio di Dio che è nato per mezzo dello Spirito Santo dalla Vergine Maria, è morto e risorto il terzo giorno?”

Se si riflette bene sull’impostazione della prece eucaristica e del rito battesimale si nota l’assenza di altre menzioni oltre quella della Vergine, per cui si può concludere che per la Chiesa antica erano proprio la celebrazione eucaristica domenicale e il sacramento del Battesimo gli spazi naturali per la menzione di Maria, in un contesto strettamente cristologico ed ecclesiale. Si può affermare che la venerazione di Maria è sorta in ambiti pasquale, presso l’altare e il fonte battesimale.

Commento all’Anafora eucaristica

- Maria prende posto nell”azione di grazie (Anamnesi) della Chiesa, per il suo legame con l’Incarnazione del Figlio. Il testo si ispira a Luca perché parla di “Vergine” secondo il racconto dell’Annunciazione. Cristo, la sua origine eterna dal Padre, la sua reale Incarnazione nel seno della Vergine, è il mistero centrale della preghiera della Chiesa. Non si può rendere grazie a Dio per il sacrificio, senza associarvi Maria, perché in Maria è concentrata l’economia della salvezza.
- “Per il tuo diletto Figlio Gesù Cristo”: Allontanandosi dai modelli giudaici delle Berekà e della Birkat, dove Dio viene ringraziato per i beni della Creazione e gli interventi salvifici a favore del popolo eletto, l’Anafora ringrazia Dio per aver inviato nel mondo suo Figlio come Salvatore. La centralità di Cristo è totale: in lui la storia della salvezza è riassunta, in lui le profezie si sono avverate e si sono compiute le figure.
- Dipendenza dell’Anafora dal Preconio Pasquale di Melitone di Sardi: questo preconio composto tra il 160 e il 170, veniva pronunciato nella veglia pasquale che, secondo la Traditio Apostolica si celebrava il 14 di Nissan. Melitone menziona ben quattro volte Maria, mettendo in risalto la sua condizione di Vergine e chiamandola la “Bella Agnella”. L’affermazione “si incarnò da una vergine” qui è dovuta a motivazioni dottrinali contro le ricorrenti calunnie sulla concezione verginale. Da allora “Vergine” indicherà semplicemente e direttamente la Madre di Gesù in relazione alla straordinaria maternità di Cristo. Interessante è la proiezione sulla Vergine delle caratteristiche di “agnello pasquale” di Cristo, agnello senza macchia e senza peccato, per cui Maria è la “bella Agnella”. Proprio nel cuore della celebrazione pasquale la Madre di Gesù è ricordata in forme esplicite di venerazione e in termini pasquali.
- “Hai mandato dal cielo nel seno di una Vergine”: L’espressione riflette una concezione tipica della teologia dell’Asia Minore: l’Incarnazione è un invio. Il Padre invia il Figlio: c’è una netta distinzione tra i due, contro l’eresia monarchiana. Nella Traditio, l’invio è un percorso di kenosis: dal cielo al grembo di una vergine, cioè all’uomo; dalla luce celeste all’oscurità di un utero allo scopo di realizzare la salvezza.
- “nel seno di una vergine”: Letta nel contesto storico in cui fu scritta questa espressione:
o attesta la fede della Chiesa nella reale umanità di Cristo contro il docetismo che riduce il corpo del Signore a semplice apparenza
o rivela la singolarità dell’evento e la sua origine divina: il fatto, cioè, inaudito di una Vergine che diventa madre non può essere opera umana. Questo contro gli ebioniti che affermavano essere Gesù nato da Giuseppe e Maria come un bimbo normale
o allude alla purezza e alla santità di Maria contro i libelli in circolazione in ambiente giudaico che affermavano essere Gesù Cristo figlio illegittimo di un’adultera.
- ..nel seno di una vergine…..è stato concepito: viene riaffermata la realtà dell’Incarnazione che qui non viene indicata come “discesa dal cielo” ma in abitazione nell’utero materno
- “nato dallo Spirito santo e dalla Vergine”: l’espressione riecheggia la formula del simbolo battesimale della stessa Traditio. La domanda se si crede alla concezione – nascita verginale di Cristo, appartiene al nucleo della fede.

L’autore dell’Anafora e del Rito battesimale ha composto un testo essenzialmente cristologico. Ci chiediamo se componendo l’anafora ha avuto un sentimento esplicito di venerazione verso la Madre di Dio. Non lo sappiamo. Da notare come egli sostituisca con naturalezza il nome di “Maria” con “Vergine” senza l’aggiunta di altri aggettivi. Da ora in poi, comunque, la menzione della Vergine, diventerà un elemento fisso nella prece eucaristica di tutti i tempi e di tutti i riti.

Inserito Domenica 13 Settembre 2009, alle ore 17:20:52 da latheotokos
 
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DOTTORE IN S. TEOLOGIA CON SPECIALIZZAZIONE IN MARIOLOGIA
DOCENTE ALL'ISSR "SAN LUCA" DI CATANIA

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