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  Sancta Maria Elemosinae 
Devozione Brevi riflessioni sull’icona della Madre di Dio di Biancavilla1 di Antonio Mursia, in Laós 20 (2013) 1, pp. 95-101 - ISSR «S. Luca» - Catania.

Introduzione

Sulla Madre di Dio di Biancavilla, icona post-bizantina riferita spesso al XIV-XV secolo, è stata prodotta un’ampia serie di studi, quasi tutti però di ambito non accademico, fatto salvo per alcuni contributi acclusi all’Annuario 2004 Beni Culturali del Comune di Biancavilla e per il lavoro di Ambrogio Monforte, maturato in occasione dei suoi studi teologici.2 Il lavoro di Monforte così, oltre a essere molto interessante per le fonti documentarie riportate, è carico di una forte valenza scientifica, tramite la quale sono state decifrate i processi di sviluppo del culto della Madonna di Biancavilla, dal punto di vista storico, da quello della fede e, in ultimo, da quello della pietà popolare.
Il presente saggio, lungi dal ripercorrere ambiti di ricerca già esplorati, vuole invece proporre alcune brevi riflessioni sull’icona della Madre di Dio di Biancavilla, in particolar modo sull’ambiente di realizzazione e di fruizione dell’icona post-bizantina, riservando grande attenzione al probabile periodo di esecuzione dell’opera.

Fig. 1. Anonimo, s. Maria dell’Elemosina, icona, seconda metà del XVI sec., Biancavilla, Basilica Collegiata s. Maria dell’Elemosina. Fig. 2. Andra Ritzos, Madonna della Passione, icona (part. del trittico), seconda metà del XV secolo, Bari, Basilica di s. Nicola di Mira.

Fig. 3. Andrea Ritzos, Madonna della Passione, icona, metà del XVI-prima metà del XVII secolo, Trani, chiesa di Ognissanti.

Fig. 4. Anonimo, circolo di Andrea Ritzos, Madonna dell’Eleousa, icona, seconda metà del XVI secolo, Atene, Alexander Onassis Foundation.

L’icona della Madre di Dio di Biancavilla

Sull’icona della Madonna dell’Elemosina (Fig. 1) si sono pronunciati diversi studiosi che hanno ora convalidato ora smentito la sua datazione al XIV-XV secolo, essendo stata portata, secondo la tradizione, dai padri fondatori albanesi, giunti nella contea di Adernò intorno al 1480.3 L’assenza però di alcuna menzione dell’icona nei documenti del XVI secolo, non giova di certo ad avvalorare la tesi della sua assegnazione al periodo in questione, ovverosia alla seconda metà (inoltrata) del ‘400. Di un culto riferibile alla Madonna dell’Elemosina a Biancavilla si iniziano ad avere le prime notizie certe solamente nel 1552, allorquando il sacerdote Bernardino de Castelli presentò un’istanza al Vescovo di Catania, con l’intenzione di poter mutare il titolo della chiesa da s. Caterina d’Alessandria a s. Maria dell’Elemosina, accordata dall’Ordinario già nel 1555, così come è desumibile dalla visita pastorale di quell’anno. Il documento steso nel 1555 però, benché attesti la presenza di varie suppellettili, tra cui una «crux lignea cum imagine crucifixi», non riferisce della presenza di alcuna icona mariana.4
Gli studiosi che si sono occupati del culto dell’Elemosina, tra i quali Michelangelo Greco (1849),5 Placido Bucolo (1953)6 e da ultimo Ambrogio Monforte (2008),7 per ovviare a questo problema, hanno supposto che l’icona fosse appartenuta in un primo momento non alla collettività albanese, bensì a una singola famiglia, che solo in seguito avrebbe donato il prezioso cimelio, a beneficio dell’intera comunità. La soluzione così proposta non solo avrebbe chiarito l’assenza nei documenti ufficiali del tempo della menzione della tavola mariana, ma avrebbe preservato pure l’antichità della stessa, riportabile dunque a un momento precedente all’arrivo degli esuli albanesi in Sicilia, forse agli anni ’60-’70 del XV secolo, salvando pure la tradizione del miracolo del fico.8
Ciononostante la suddetta spiegazione non chiarirebbe del tutto e in modo esaustivo il problema relativo alla presenza in loco della tavola mariana: perché mutare il nome di un edificio sacro, se i presunti proprietari dell’icona, non solo non ne fecero dono alla collettività negli anni immediatamente dopo il 1552, ossia nel 1555, anno della visita pastorale, ma non ne fecero dono neppure cinquant’anni dopo, visto che la relazione della visita pastorale del 1602 non menziona l’icona tra le varie suppellettili, conservate nella «Majorem Ecclesiam Terrae Albaevillae».9
Il primo documento che riferisce in maniera incontestabile l’esistenza della tavola mariana è un documento datato 12 agosto 1742, nel quale si attesta l’avvenuto restauro del «tolaro di dietro […] di Nostra Sig.a S. M. dell’Elemosina»10. In verità, questo resoconto non è l’attestazione più antica della sussistenza dell’icona mariana in Biancavilla. Un importante terminus ante quem ci è fornito da un luogo del Registro di frate Francesco Rametta Puglisi, il quale nel primo capitolo del suo lavoro, riferisce che «certi greci […] qui portarono l’immagine in un quadro di Maria Verg.e di Gallicari, or chiamata della Limosina».11 Il dato riferito da frate Francesco Rametta Puglisi è molto interessante, in maggior ragione se si considera che egli, essendo nato nel 1684,12 poteva avere cognizione degli eventi relativi alla sua patria, o per lo meno a quegli avvenimenti riferibili alla seconda metà del XVII secolo, per via di contatti diretti con persone nate in quegli anni, i quali certamente rappresentavano una fonte storica autoptica. Il passo del Registro è particolarmente interessante per due motivi: in primis perché cita il quadro (l’icona) con il titolo di Madonna di Gallicari, attributo, questo, certamente che si riferiva al nome della contrada della contea di Adernò, dove si fermarono gli esuli albanesi, così come riscontrabile pure dalla licentia habitandi rilasciata dal conte Giovan Tommaso Moncada nel 1488;13 in secondo luogo perché riferisce che la denominazione di Limosina fu data all’icona solamente in un secondo momento, addirittura, secondo il cronista, in quegli anni (prossimi alla fine del XVII secolo), volendo così interpretare l’avverbio temporale «or», allorquando egli dice «or chiamata della Limosina».14
Il quadro generale sull’esistenza dell’icona della Madonna dell’Elemosina nel primitivo centro abitato etneo è certamente molto fosco. I documenti proposti in questa sede sembrano dare l’impressione che la presenza della tavola dell’Elemosina in Biancavilla sia piuttosto tarda, forse riconducibile alla seconda metà del XVI secolo. Di fatto, quantunque un culto per la Madonna dell’Elemosina sia attestato a Biancavilla già a partire dal 1552, anno in cui si presenta istanza al Vescovo di Catania per il mutamento del titolo dell’unico tempio sacro «di lu Casali nominato di Callicari»,15 non è affatto detto che fosse pure esistita una icona bizantina, portata dagli esuli albanesi. Esaminando poi gli eventi di quegli anni, risultano strani una serie di atteggiamenti riferibili sia agli albanesi sia alle gerarchie ecclesiastiche locali di rito latino.
Che Bernardino de Castelli non fosse appartenuto alla cerchia degli epiroti, questo sembra essere un dato piuttosto chiaro. Eppure egli si dà molto da fare per mutare l’intitolazione del tempio sacro da s. Caterina a s. Maria dell’Elemosina, in un periodo in cui però gli albanesi sono molto interessati ad abbandonare il «Casale ed abitare altro loco»,16 tanto che il conte don Cesare Monaca, molto preoccupato di questo fenomeno, deliberò che i greci non potessero «vendere loro case e possessioni […] e che detti beni restino e debbano restare»17 a servizio della propria corte.
Tutto ciò sembra essere sintomatico di un periodo di agitazione, forse scaturito in seguito a importanti cambiamenti per il substrato demico del Casale, dove tra l’altro nel 1556 non era più concesso al papas greco Paolo di celebrare messa, se non solamente nel mese di aprile.18 Dunque perché Bernardino de Castelli, esponente della chiesa latina, avrebbe dovuto favorire un culto bizantino, in un momento in cui la politica ecclesiastica catenese diveniva palesemente aggressiva nei confronti della comunità albanese di rito greco?19 Forse perché il culto dell’Elemosina in effetti non era stato importato dagli albanesi, così come si è stati soliti pensare sino a ora e forse perché l’icona fu commissionata e realizzata in un periodo posteriore al cambiamento del nome della chiesa di s. Caterina, e cioè dopo il 1555.
Innanzitutto però sarebbe molto opportuno inquadrare l’ambito di produzione dell’icona di Biancavilla. La tavola appartiene a una variante (Eleousa) della cosiddetta Madonna della Passione (comunicazione personale di Michele Bacci),20 prototipo codificato nell’isola di Creta durante la seconda metà del XV secolo da Andrea Ritzos da Candia. Un esemplare della Madonna della Passione si trova tutt’oggi conservato presso la Basilica di s. Nicola a Bari, il quale fa parte di un trittico insieme alle icone di s. Giovanni Teologo e a quella di s. Nicola di Bari (Fig. 2). Grazie alle sperimentazioni di Andrea Ritzos e di suo figlio Nicola, Candia divenne ben presto un importante centro di produzione di icone del mondo orientale, tanto che gli iconografi del circolo di Ritzos, operanti in quella città, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, si costituirono attorno a una corporazione di pittori, denominata Scuola di s. Luca.21 Il rapporto di dipendenza dell’isola dalla città di Venezia e le continue incursioni su Creta da parte dei turchi, non solo costrinsero gli iconografi a ritagliarsi una importante fetta di mercato in Italia e in Europa occidentale, anche con l’aiuto di piccoli accorgimenti pittorici nei propri lavori, tramite un’accorta mediazione tra stile occidentale e stile orientale, ma in un secondo momento furono costretti essi stessi a emigrare in questi ultimi territori, dove poterono continuare a esercitare la loro arte.22
Una testimonianza di commistioni di elementi bizantini e di elementi latini è offerta ancora una volta dall’icona della Madonna della Passione conservata nella Basilica di Bari, dove oltre alle consuete lettere greche MP QΥ – IC XC, compare pure un brano in lingua latina, per essere maggiormente comprensibile ai fruitori di lingua romanza.23
Grazie alle sperimentazioni dei Ritzos e alla Scuola di s. Luca, ben presto, durante il XVI secolo, fiorì un grande scambio di icone in tutta Italia e segnatamente in Veneto, in Puglia e in Sicilia. I mercanti veneziani furono di certo il motore trainante di questo fenomeno commerciale e religioso a un tempo che coinvolse parecchi artisti, i quali a causa della loro specializzazione furono soprannominati madonnieri.24 Per comprendere in maniera ottimale la portata di questo evento, basta citare alcuni dati rilevati dai documenti veneziani del tempo, dai quali si sono riscontrati un altissimo numero di commissioni di icone, tra cui una in particolare che richiedeva ben settecento icone, raffiguranti la Madre di Dio, da rivendere evidentemente al vasto mercato italiano e non dunque solo ed esclusivamente alle relativamente esigue comunità di rito bizantino, trapiantate nel sud della penisola italiana e in Sicilia nel corso del XIV e XV secolo.25
Da quanto sin qui detto due sono i dati che emergono in particolare per intendere in maniera ottimale la tavola della Madonna dell’Elemosina di Biancavilla: in primo luogo, che essa molto verosimilmente fu prodotta da un iconografo che guardava molto da vicino ai prototipi ideati presso la Scuola di s. Luca, forse persino a un artista molto vicino a Emmanuel Lambrados o a Emmanuel Tzanfournaris, così come è desumibile da un confronto dell’icona di Biancavilla con quella di Trani (Fig. 3), oppure molto vicino a un iconografo del circolo di Andrea Ritzos che realizzò l’icona dell’Eleousa conservata presso l’Alexander Onassis Foundation di Atene (Fig. 4); in secondo luogo, che dunque la tavola di Biancavilla sia da datarsi alla seconda metà del XVI secolo.26
Per quanto riguarda poi il problema della presenza delle lettere latine sul fondo dorato dell’icona, che alcuni vorrebbero spiegare come un’interpolazione posticcia rispetto al quadro, l’esempio della tavola della Madonna della Passione della Basilica di s. Nicola di Bari, che presenta una scritta in latino, basta per smentire del tutto tale teoria, poiché, come è stato detto, la loro apposizione rispondeva alle esigenze di una nuova committenza, non più di lingua greca, ma di lingua latina.
Per concludere: l’icona della Madonna di «Gallicari»,27 ossia dell’Elemosina, conservata all’interno dell’omonimo santuario di Biancavilla, resta senza alcun dubbio un’opera d’arte di altissimo pregio e anzitutto e soprattutto una manifestazione tangibile della preghiera e per la preghiera, essendo arte vera della chiesa, anche se essa molto plausibilmente dovrà essere riferita a un periodo più tardo rispetto alla
sua abitale data di attribuzione del XV secolo, molto verosimilmente ora alla seconda metà del XVI.

NOTE

1 Il presente lavoro è maturato in occasione di un soggiorno di studio svolto presso l’Università di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, nel mese di marzo 2012.
2 Vd.: A. Lo Curto, «L’icona della Madre di Dio dell’Elemosina di Biancavilla», in V. Petralia, (ed.), Annuario 2004 Beni Culturali, Comune di Biancavilla, Biancavilla 2005, pp. 73-75; V. Mutu, «Un’icona bizantina a Biancavilla», in V. Petralia, (ed.), Annuario 2004 Beni Culturali, Comune di Biancavilla, Biancavilla 2005, pp. 77-78. Ancora: A. Monforte, Il culto di Maria ss. dell’Elemosina a Biancavilla: tra fede, devozione e pietà popolare, Comune di Biancavilla, Biancavilla 2008.
3 Cf. P. Bucolo, Storia di Biancavilla, Grafiche Gutenberg, Adrano 1953, pp. 39-53. Vd. ancora: G. Messina – N. Distefano, Storia di un’icona mariana che si venera nella Basilica di Biancavilla, Ed. Callicari, Biancavilla 1989.
4 Visite pastorali 1555, in Archivio Storico Diocesano di Catania (da qui in poi ASDCt).
5 M. Greco, Cenni sul vero sito di Inessa. E per incidenza si parlerà di Biancavilla…, ms. 1849, ora edito in A. Lanaia (ed.), Il manoscritto di Michelangelo Greco, Comune di Biancavilla, Biancavilla 2009.
6 P. Bucolo, Storia di…, cit., pp. 39-53.
7 A. Monforte, Il culto di Maria…, cit.
8 La leggenda narra che gli albanesi giunti nella contea di Adernò si fermarono nelle contrade di Callicari e Pojo Russo per riposare dal lungo viaggio, iniziato in Albania. Durante la sosta, riposero l’icona sui rami di un albero di fico. L’indomani, volendo riprendere il viaggio, si accinsero a recuperare il quadro, il quale tuttavia era stato completamente avvolto dai rami dell’albero. Gli albanesi dunque interpretarono quell’evento come un volere della Madonna di desistere dal cammino e fermarsi in quei luoghi. Così si dice nacque Biancavilla, in quel tempo detto Casalis Graecorum (1488). Per quanto riguarda i miracoli connessi con le icone, vd. M. Mandel, «L’arte Russa dei secoli X e XI. L’architettura, la pittura e le arti applicate», in Storia dell’Arte. L’arte bizantina e russa, vol. VIII, Electa, Milano 2006, pp. 532-533, dove lo studioso afferma che «il miracoloso è nelle icone una costante».
9 Visite Pastorali 1602, in ASDCt.
10 Croce di Malta Russa di minio di dietro vi si ritrova, in Archivio storico Basilica Collegiata di Biancavilla (da qui in poi ASCB). All’incirca degli stessi anni (4 giugno 1754) è una relazione che attesta l’esistenza dell’icona della Madonna dell’Elemosina, firmata da quaranta sacerdoti, in presenza del notaio Filippo Palazzolo. Per questo vd.: P. Bucolo, Storia di…, cit., pp. 39-41.
11 F. Rametta Puglisi, Registro, ovvero raccolta di tutte le scritture del convento S. Francesco di Biancavilla, ms. 1723, in Archivio storico del convento s. Francesco di Biancavilla, sine inventario, p. 7.
12 Ibidem, p. 5.
13 G. Raffiotta, I Capitoli di Biancavilla e di altre comunità albanesi di Sicilia nei secoli XV e XVI, in «Annali della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Palermo», II (1948), n. 2.
14 F. Rametta Puglisi, Registro, ovvero…, cit., p. 7.
15 Cf. Privilegio per la fondazione di Biancavilla, in P. Bucolo, Storia di…, cit., pp. 174-179.
16 Ibidem, p. 178.
17 Ibidem, p. 178.
18 Vol. Tutt’Atti 1566, p. 322, ASDCt.
19 G. Zito, Presenza benedettina nel catanese e devozione a s. Placido in Biancavilla, in V. Petralia (ed.), San Placido a Biancavilla. IV Centenario 1602-2002, Atti del convegno di studi, Biancavilla 29-30 aprile 2002, pp. 19-25.
20 Professore Associato di Iconologia e Iconografia presso l’Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti.
21 M. Chatzidakis, «The icons of the Balkan peninsula and the Greek Islands», in K. Weitman (ed.), The icon, Evans Brothers Ltd, London 1982, p. 310. Da notare che la tavola dell’icona dell’Elemosina di Biancavilla è stata spesso erroneamente considerata durante il XIX secolo opera dell’evangelista Luca.
22 M. Constantoudaki-Kitromilides, «Taste and the Market in Cretan Icons in the Fifteenth and Sixteenth Centuries», in From Byzantium to El Greco, Athens 1987, pp. 51-52.
23 Vd. M. S. Calò Mariani, «Beni Culturali e territorio. Tra ricerca e didattica», in A. S. Carrino (ed.), Territorio e identità regionali. La storia della Puglia, Edipuglia 2002, pp. 198-199, dove è possibile visionare pure un’ampia selezione bibliografia sull’icona in questione.
24 S. Bettini, La pittura di icone cretese – veneziane e i madonnieri, Padova 1933. Vd. anche:  M. Constantoudaki-Kitromilides, «L’arte dei pittori greci a Venezia nel cinquecento», in M. Lucco (ed.), La pittura nel Veneto: il cinquecento, Electa, Milano 1996, pp. 1205 e sgg.
25 C. Pirovano, Percorsi del sacro: icone dai musei albanesi, catalogo dell’esposizione di Vicenza, Palazzo Leone Montanari, Electa, Milano 2002, p. 171.
26 Per l’icona della Madonna della Passione di Trani, cf.: M. S. Calò Mariani, La pittura del cinquecento e del primo seicento in terra di Bari. Contributi alla storia dell’arte in Puglia, Università degli Studi di Bari, Bari 1969, pp. 21-22.
27 F. Rametta Puglisi, Registro, ovvero…, cit., p. 7
.

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