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  Il Vangelo di Luca e «la devozione a Maria nella Chiesa Apostolica» 
Bibbia

Il Capitolo primo del libro di Oscar Battaglia, La Madre del mio Signore. Maria nei vangeli di Luca e Giovanni, Cittadella Editrice, Assisi 1994, pp. 17-42.



Prima di introdurci nello studio esegetico dei testi mariani del Vangelo di Luca gettiamo uno sguardo panoramico sull'intero scritto. Anche una superficiale panoramica ci rivela la presenza di Maria solo nei primi due capitoli (Lc 1-2). in essi l'evangelista ci presenta sette quadri narrativi con i quali compone artisticamente una serie di quattro dittici. Il vangelo si apre con due annunciazioni: quella di Zaccaria nel Tempio di Gerusalemme (1,5-25) e quella di Maria nella sua casa di Nazaret (1,26-38). Segue poi una scena riassuntiva intermedia, dove Luca compone il suo secondo dittico: l'incontro delle due madri (Maria ed Elisabetta) in un paesino imprecisato delle montagne della Giudea, nelle vicinanze di Gerusalemme e a circa 150 km da Nazaret (1,39-56). I racconti riprendono con altri due quadri paralleli: quello della nascita e circoncisione di Giovanni Battista (1,57-80) e quello della nascita e circoncisione di Gesù (2,1-21). La narrazione delle origini si conclude con due pellegrinaggi della famiglia di Gesù al Tempio di Gerusalemme: il pellegrinaggio della presentazione del bambino quaranta giorni dopo la nascita (2,22-40) e il pellegrinaggio dell'iniziazione con Gesù dodicenne conclusosi con lo smarrimento e il ritrovamento di Cristo (2,41-52). Si ha subito l'impressione che questi testi, dove Maria è protagonista, siano nati in ambiente liturgico e rispecchino una liturgia giudeo-cristiana nell'inquadratura, nello schema, nel contenuto.
La comunità cristiana di Palestina ci parla di Maria dall'interno delle sue assemblee sature di preghiera e di riflessione, dove lo Spirito Santo suscita carismi e proclamazioni profetiche, dove gli apostoli raccontano gli eventi delle origini alla luce delle Scritture, con la maggiore comprensione dovuta alla Pasqua e alla Pentecoste. La presenza della Madre del Signore (At 1,14) stimola a ricordare, a narrare, a ripensare, a confrontare.

a. Il contesto liturgico

L'inquadratura storico letteraria è chiaramente di tipo liturgico. Infatti si può facilmente osservare che i racconti lucani si aprono e si chiudono con una liturgia nel Tempio a modo di inclusione. Essi si aprono con la liturgia dell'incenso celebrata dal sacerdote Zaccaria (1,5-25) e si chiudono con il pellegrinaggio pasquale di Gesù a dodici anni quando l'adolescente faceva il suo ingresso ufficiale nella vita sociale e veniva considerato adulto, cioè soggetto di diritti e doveri (2,41-50). Insomma i racconti ci descrivono il passaggio dalla liturgia strettamente giudaica, che ha per protagonista un sacerdote (Zaccaria) dell'Antico Testamento, alla nuova liturgia cristiana inaugurata da Gesù divenuto ormai adulto e indipendente. La prima liturgia si conclude con la perdita della parola da parte del sacerdozio antico, la seconda liturgia si conclude con la nascita delle prime parole nuove e solenni sulla bocca di Gesù. Ormai il vero culto inaugurato da Gesù è il fedele compimento della volontà del Padre, quello che si celebrerà nella Pasqua cristiana. Per Luca infatti questo primo viaggio pasquale di Gesù a Gerusalemme anticipa simbolicamente l'ultimo viaggio, quello del triduo pasquale di morte (perdita) e risurrezione (ritrovamento). Tutto questo risente del clima della liturgia giudeo-cristiana, quella che ancora veniva celebrata anche nel Tempio (At 2,46), ma con lo spirito nuovo portato dalla Pasqua. Era un legame che univa al passato della storia della salvezza messa in opera da Dio nel popolo d'Israele, ma sempre con la consapevolezza della novità cristiana espressa con la celebrazione dell'Eucaristia nelle case (At 2,42-48). Il Tempio era pur sempre la casa del Padre finché rimase in piedi. Era il legame con il passato, con le radici del nuovo Israele che non si potevano recidere bruscamente fino a quando l'albero nuovo non si fosse sviluppato. Non c'è da meravigliarsi che insieme a questi cristiani che frequentavano il tempio di Gerusalemme ci fosse anche Maria. Essa rappresentava il legame con l'antico Israele, ma anche la novità nata dall'antica radice. Maria costituiva il ponte umano tra l'antico e il nuovo culto. Apparteneva all'antico popolo di Dio, ma era la nuova Sion dei tempi messianici, la nuova Tenda dove Dio aveva abitato venendo sulla terra e dove si era posata la nube della «shekinah» (Presenza divina), colei che aveva adempiuto perfettamente la volontà di Dio, accettando con fede piena la maternità divina. Prima che il Cristo si presentasse ufficialmente nel Tempio di Gerusalemme come «luce per la rivelazione delle genti e gloria del suo popolo Israele» (2,32), si era presentato al mondo nelle braccia di sua madre a Betlemme (2,16). Maria e il Tempio di Gerusalemme si richiamavano simbolicamente nella prima liturgia cristiana. Le loro funzioni erano viste in analogia nel passaggio tra l'antico e il nuovo. La presenza di Maria nelle antiche liturgie della Chiesa di Gerusalemme ricordava la novità cristiana della presenza di Dio fra gli uomini e relativizzava l'antico culto del Tempio ancora praticato. Essa indicava che il culto voluto da Dio era quello nuovo «in spirito e verità» (Gv 4,21-24), cioè quello che nasce dallo spirito disposto, come Maria, a fare la volontà del Padre, quello che è frutto dello Spirito che rese feconda Maria e quello che si attua nella sincerità del cuore puro come il suo, che fu sede della Verità. Perciò la sua presenza di Madre è inquadrata da Luca in un contesto liturgico che risente, come tutto il vangelo dell'infanzia, dell'ambiente giudeo-cristiano da cui i racconti provengono. La stessa inquadratura liturgica, ma questa volta più esplicitamente cristiana, abbraccia tutto il Vangelo di Luca. Esso infatti si apre nel tempio di Gerusalemme con il sacrificio offerto da Zaccaria (1,5-25) e si chiude nel tempio di Gerusalemme con la partecipazione al culto dei primi cristiani dopo l'ascensione di Gesù in cielo (24,53). Là dove Zaccaria era rimasto muto, i cristiani lodano Dio per i grandi benefici compiuti. Il mistero che Zaccaria non aveva in un primo tempo compreso, i cristiani lo avevano vissuto fino in fondo con esperienza personale. E come Zaccaria, dopo la nascita del suo bambino, aveva lodato Dio per la sua visita di salvezza (1,64.68), così i primi credenti, a conclusione di quella lunga visita di Dio in Gesù, cantavano la loro riconoscenza (24,53).

b. Lo schema liturgico

Lo schema più antico della liturgia risultava dalla combinazione di due elementi essenziali: il racconto e la lode. Questo ha adottato il cristianesimo dall'antica liturgia sinagogale. Fondamentalmente la liturgia era una «haggadah», cioè un racconto accompagnato dal canto che ne sottolineava l'importanza e ne segnalava la carica di gioia. Il racconto descriveva l'azione potente di Dio, il canto descriveva la reazione di riconoscenza dell'uomo. Non si poteva rimanere indifferenti davanti a ciò che Dio aveva fatto a favore del suo popolo. Il canto era riconoscimento, gioia e ringraziamento per l'agire di Dio appena descritto. Proprio in questo consisteva «il fare memoria» (Zikkaron), cioè il celebrare per sentirsi partecipi dell'azione di Dio accaduta nel passato, per sentirsi contemporanei degli eventi narrati. Proprio questa consapevolezza di partecipare all'avvenimento divenuto presente con la narrazione faceva sentire il bisogno di benedire, cioè di lodare e ringraziare. I racconti dell'infanzia nel Vangelo di Luca risentono proprio di questo clima liturgico del «Memoriale». Le narrazioni centrali, dove Maria svolge il suo ruolo di Madre del Signore, risentono di questo alternarsi liturgico di racconto e di canto. Nell'incontro di Maria con la parente Elisabetta, come a commento e contrappunto alle due annunciazioni appena narrate, esplode il canto di riconoscenza delle due madri. Alla comparsa di Maria nella sua casa, è Elisabetta a intonare il canto di benedizione: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). La prima benedizione è per «la Madre del Signore» che è appena giunta inaspettata e gradita, ma poi il canto descrive la reazione gioiosa e riconoscente della madre e del figlio che porta in grembo (1,44). Ora è chiaro che Dio ha visitato il suo popolo con il frutto del grembo delle due donne. È l'aurora dei tempi messianici annunciata dall'incontro del Precursore con il suo Signore. È anticipata qui la scena del riconoscimento tra i due sulle rive del Giordano, quando Luca non annoterà altre emozioni particolari che del resto ha già descritto qui (3,16-17.21-22). L'avvenimento non poteva essere solo ricordato, esso andava celebrato per la sua grande importanza. L'ambiente giudeo cristiano da cui Luca aveva attinto i racconti lo aveva fatto, non solo con il canto di Elisabetta, ma anche con il canto di Maria che lo segue (1,46-55). Al racconto della nascita di Giovanni Battista segue come contrappunto il canto di riconoscenza di Zaccaria, il «Benedictus» (1,68-79). Ma c'è un particolare interessante: quasi tutto il canto è una benedizione per la visita del Signore, di cui la nascita del precursore è anticipo e annuncio. I canti liturgici dei racconti dell'infanzia sono sempre ed esclusivamente commento alla venuta di Gesù, Figlio dell'Altissimo. La liturgia cristiana è e rimane celebrazione di Dio per Cristo, con Cristo e in Cristo. Non si disperde in altri interessi particolari.La nascita di Gesù a Betlemme ha incastonato, come una perla, il canto degli angeli che nella notte appaiono ai pastori (2,14). Non è difficile immaginare che esso sia il canto liturgico dei giudeo-cristiani che celebravano la memoria del Natale nei luoghi dove esso era avvenuto. Il bambino nella mangiatoia, insieme a Maria e Giuseppe che gli sono vicino, era al centro della celebrazione che dava gloria a Dio e annunciava la pace, come pienezza di ogni bene, agli uomini amati da Dio.Il canto di Simeone fa da commento al racconto della presentazione del bambino al tempio di Gerusalemme (2,29-32). Davanti a Maria e con Maria il profeta dà voce piena alla riconoscenza di tutto un popolo che ha atteso il suo Messia per secoli.

c. Il contenuto liturgico

Anche la tipologia dei racconti del vangelo dell'infanzia ci riporta alla liturgia giudeo-cristiana, che usava la figura letteraria del «midrash» utilizzato specialmente nelle celebrazioni sinagogali. «midrash» significa «esposizione», «spiegazione». in modo particolare il «midrash haggadah» era il racconto-spiegazione di un fatto. Si raccontava un fatto della Bibbia e si inseriva già nel racconto la spiegazione e l'applicazione di esso al presente. La spiegazione spesso era già nelle frasi del racconto che richiamavano fatti e avvenimenti analoghi della Bibbia e ne facevano risaltare il legame. Si componeva una specie di mosaico di citazioni e allusioni che spiegavano il significato religioso dell'avvenimento narrato inserendolo nella storia della salvezza guidata da Dio. Insomma si spiegava il significato di un fatto della Bibbia servendosi della stessa Bibbia. I testi richiamati davano spunti e riferimenti per una vera meditazione religiosa. Risaltava così tutta la ricchezza di significato dell'avvenimento narrato perché dentro si vedeva realizzato l'insieme del piano di Dio. I racconti di Luca non sono racconti cronistici di pura storia, sono racconti liturgici ricchi di allusioni e citazioni dell'Antico Testamento. Quasi inavvertitamente con queste narrazioni ci troviamo immersi nel mondo della Bibbia. Sentiamo che il vocabolario, la fraseologia sono quelli dell'Antico Testamento. Sono racconti arricchiti dalla meditazione e dalla predicazione cristiana e non si possono capire e interpretare in tutta la loro ricchezza di contenuto, se non con questo richiamo continuo a fatti e parole biblici. Il racconto dell'annunciazione dell'angelo a Zaccaria (1,5-25) richiama le figure di Abramo e di Sara che sono agli inizi della storia dell'antico popolo di Dio. Anche essi sono avanzati negli anni e sono sterili, ma la promessa di Dio rende possibile ciò che era umanamente impossibile (Gn 18,9-14). La comparsa dell'angelo Gabriele durante il sacrificio dell'incenso, richiama l'avvento dei tempi ultimi della salvezza predetti dallo stesso angelo al profeta Daniele (Dn 9,20-27). La figura di Giovanni è descritta dall'angelo in modo tale da richiamare la persona di Elia che si pensava tornasse nel mondo come precursore del Messia, come aveva predetto il profeta Malachia (M1 3,23-24). Queste sono solo alcune delle potenzialità interpretative che il racconto contiene. L'annuncio dell'angelo Gabriele a Maria (1,26-38) mette in continuità le due annunciazioni fatte dallo stesso messaggero celeste e contiene numerose allusioni bibliche che ne fanno una miniera di insegnamenti. Esso richiama la gioia della nuova Gerusalemme visitata da Dio come avevano predetto il profeta Sofonia (3,1418) e il profeta Zaccaria (9,9-10), la gioia che ora è di Maria. Richiama la promessa fatta da Dio a Davide per mezzo del profeta Natan e riguardante il futuro suo discendente che siederà sul suo trono in eterno (2Sam 7,12-16), promessa ora realizzata nel figlio di Maria designato come figlio di Davide. Fa allusione alla nube che copriva il santuario di Dio durante l'esodo e che indicava la presenza del Signore in mezzo al suo popolo (Es 40,34-38), nube che ora ricopre Maria e la indica come nuovo santuario di Dio. Fa riferimento alla fede obbediente di Abramo che apri la storia del popolo d'Israele e che ora in Maria apre una nuova fase della storia salvifica e compie le promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza. La visita di Maria ad Elisabetta (1,39-56) ricorda il cammino dell'Arca di Dio verso Gerusalemme, quando Davide l'accompagnò con canti e danze e poi si senti indegno di introdurla nella sua casa, e la lasciò tre mesi in casa di Obed Edom (2Sam 6,1-11). La benedizione di Elisabetta a Maria richiama le figure delle donne eroiche del popolo di Dio, quelle che avevano salvato la loro gente in situazioni disperate. Maria, più di quelle, era la nuova donna salvatrice del suo popolo. La coscienza che ha Maria di essere al centro della storia del suo popolo, le suggerisce un canto che è la sintesi di tutti gli eventi operati da Dio nella storia d'Israele. Il racconto della nascita del Battista (1,37-79) è composto in modo da richiamare la nascita dei figli dei patriarchi ebrei descritti dalla Bibbia. Proprio la consapevolezza di questo legame ideale con il passato, ispira il canto di Zaccaria che è un grande mosaico di citazioni bibliche, come il Magnificat di Maria. Dio non fa nulla a caso, tutto è da lui preparato con cura da molto lontano. La storia della salvezza lega in filigrana eventi anche lontani per mostrare che è sempre lo stesso Dio ad operare con ripetitività voluta per far scoprire i suoi piani e i suoi criteri di guida. La nascita di Gesù a Betlemme (2,1-21) coinvolge inconsapevolmente l'imperatore Augusto e le autorità romane, ad indicare che il Salvatore nasce per tutti e non solo per i giudei. Il viaggio da Nazaret a Betlemme, dal nord al sud, porta la santa famiglia sulla via dove camminarono i patriarchi, Abramo e Giacobbe, che vissero nel desiderio di vedere il Messia. Non lo videro ma gli prepararono la strada. Betlemme, che aveva sentito Davide pastore cantare i primi salmi di Dio, ora ode il canto degli angeli che annunciano la nascita del suo figlio tanto atteso. Sono proprio i pastori, lontani discendenti del pastorello divenuto re a venerare per primi l'agnello di Dio e il Buon Pastore appena nato. La campagna di Davide si riempie di gioia, come al tempo in cui il figlio di Iesse divenne re d'Israele. Il racconto della presentazione di Gesù al Tempio (2,22-38) riassume tutta la storia di un popolo al quale Dio risparmiò i primogeniti al momento della liberazione dall'Egitto (Es 13,1.11-16), come aveva risparmiato Isacco, figlio di Abramo dall'essere sacrificato (Gn 22,11-18). Da quel giorno i primogeniti giudei erano stati sempre ricomprati da Dio a cui appartenevano di diritto. Solo Gesù non fu riscattato perché destinato a quel sacrificio che era stato risparmiato ad Isacco. S'incarica Simeone di preannunciare quel lontano sacrificio che attende Gesù e che colpirà al cuore la madre. Le figure poi di Simeone e Anna richiamano i personaggi, uomini e donne, che lungo i secoli hanno sperato di poter vedere il Messia con i propri occhi e morirono sazi di giorni trasmettendo questo loro ardente desiderio. Il primo pellegrinaggio ufficiale di Gesù a Gerusalemme (2,41-50) è composto in modo da far risaltare 1'inserimento di Cristo nella vita liturgica del suo popolo. Egli è uno dei tanti pellegrini che lungo i secoli sono saliti a Gerusalemme per cercarvi il volto di Dio. Ma solo Gesù può vedere pienamente il volto del Padre nella casa del Padre suo, solo lui viene a cercavi quella divina volontà che lo guiderà alcuni anni dopo fino a Gerusalemme, a celebrarvi la Pasqua definitiva. Già quella Pasqua è però anticipata dai tre giorni di assenza dalla sua famiglia e dal ritrovamento del terzo giorno. Questo modo di raccontare, che congiunge l'oggi con il passato e con il futuro, ha lo scopo di illustrare come la vita di Gesù sia al centro del tempo, tra il già e il non ancora. Egli realizza quanto è stato profetizzato di lui con parole, gesta e personaggi tutti preordinati da Dio. Questo racconto è un «midrash» cristiano che è nato e si è sviluppato nelle prime celebrazioni liturgiche. Maria è personaggio privilegiato di questo racconto liturgico che la contiene. Ciò indica che la venerazione per la Madre del Signore è più antica dello stesso Vangelo di Luca. Maria era venerata e celebrata nelle più antiche liturgie giudeo-cristiane. Queste ne illustravano la ricca figura con i «midrashim» che la ponevano a confronto con le profezie, i simboli, i fatti e i personaggi più significativi della storia biblica. Si attuava ciò che lei aveva predetto nel canto: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (1,48). La liturgia cristiana aveva ereditato da Elisabetta la lode e la venerazione per lei.

d. La rilettura pasquale degli eventi

La catechesi liturgica di questi capitoli è ancora sottolineata dal fatto che tutti questi avvenimenti che riguardano l'infanzia di Gesù sono letti alla luce della Pasqua. Il Natale cristiano, cioè, non ha un'origine indipendente, non è nato come festa a se nella tradizione cristiana. Il Natale cristiano è nato come richiamo storico-liturgico partendo della Pasqua, come rilettura pasquale delle origini di Cristo. Fu un'esigenza liturgico - catechetica dei credenti in Cristo risorto rivisitare l'incarnazione e la nascita e l'infanzia di Gesù per scoprirvi e celebrarvi la sua umanità glorificata, nascosta ancora nell'umiltà e nel silenzio misteriosi di Nazaret o di Betlemme. Il Gesù risorto il terzo giorno, prima di essere annunciato dagli angeli davanti alla tomba, era stato annunciato da un angelo a Maria nel piccolo paese di Nazaret. Quel Gesù comparso nel Cenacolo la sera di Pasqua era lo stesso portato da Maria nella casa di Zaccaria, lo dicevano chiaramente le stesse manifestazioni di gioia che lo avevano accolto in ambedue i momenti. Quello stesso Gesù uscito dal grembo della terra la mattina di Pasqua era lo stesso Gesù venuto alla luce a Betlemme. Là furono i pastori ad adorarlo per primi, qui sono le donne accorse per prime alla sua tomba quando ancora era buio. Erano sempre gli umili a trovarlo per primi. Quel Gesù che la sera di Pasqua si era accompagnato come anonimo pellegrino ai due discepoli di Emmaus, era quello stesso portato bambino a Gerusalemme e riconosciuto da Simeone e Anna. In ambedue i casi servono solo gli occhi della fede per scoprirlo nella liturgia. Lo stesso Gesù, che era stato ritrovato, dopo tre giorni di assenza a causa della morte, dai discepoli angosciati, era stato ritrovato da Maria angosciata dopo tre giorni di smarrimento a Gerusalemme. Questa era stata la misteriosa volontà del Padre in ambedue i casi. Il Gesù che era salito al cielo dal Monte degli Ulivi lasciando i suoi discepoli, era quello stesso che era rientrato a Nazaret dopo lo smarrimento a Gerusalemme. Era venuto nel mondo ed era vissuto con sua Madre nella casa di Giuseppe suo padre adottivo, ora era rientrato nella casa del suo vero Padre proprio a Gerusalemme. Questa proiezione della Pasqua sul vangelo dell'Infanzia è visibile in modo chiaro anche nei titoli cristologici che sono disseminati in questi racconti. Nell'annuncio dell'angelo ai pastori a Natale (2,11) Gesù è chiamato «Cristo» (Messia, Christòs), un titolo divenuto come un secondo nome chiaramente nel tempo post-pasquale. È chiamato «Salvatore» (sotèr) con evidente riferimento alla sua opera di salvezza realizzata nella Pasqua. È indicato come «Signore» (kyrios), il nome proprio di Dio «Jahweh», nome impronunziabile che gli ebrei sostituivano con «Adonai» (Signore) e i traduttori greci della Bibbia (i LXX) appunto con «Kyrios». Sono questi infatti i titoli che ricorrono nei discorsi di Pietro dopo Pentecoste e che esprimono la fede acquisita dopo l'esperienza del Gesù risorto (At 2,36; 4,12; 5,31). Nel racconto dell'annunciazione (1,32.35) Gesù è detto «il Santo» e chiamato «Figlio di Dio», o «Figlio dell'Altissimo». Questi tre titoli, pur nel loro sapore arcaico, risentono della rilettura più consapevole della persona di Gesù che i cristiani hanno fatto dopo la Pasqua. Sono letture retroattive operate con quella maggiore comprensione che venne loro dagli avvenimenti pasquali e dalla luce dello Spirito Santo di Pentecoste. Ricordando e rivisitando gli eventi passati nelle celebrazioni liturgiche essi li hanno capiti in tutto il loro valore e ricchezza e li hanno espressi in questi titoli che sono tante piccole professioni di fede cristologiche. Proprio in questo contesto liturgico di celebrazione della fede, Maria è già chiamata «la madre del mio Signore» ('e mèter tou kyrìou mou: Lc 1,43) con largo anticipo sul Concilio di Efeso del 431. Il che è tutto dire, perché indica la grande venerazione che si aveva per lei fin dall'epoca apostolica. La devozione alla Madre di Dio è dunque antica quanto la tradizione apostolica e ha lasciato le sue tracce nei testi liturgici dei racconti dell'infanzia. Ma tutti i racconti mariani dell'infanzia sono visti in Luca anche in prospettiva pasquale, essi sono proiettati in avanti ad anticipare la conclusione del Vangelo. Già abbiamo detto sopra quali sono i richiami specifici tra gli avvenimenti dell'infanzia e quelli della risurrezione di Gesù in lettura retrospettiva. Ci basti qui ricordare e notare una specie di itinerario pasquale che attraversa tutto il Vangelo di Luca e che è iniziato subito dopo l'annunciazione. Questo vangelo ha come idea teologica centrale un grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Gesù è sempre in viaggio verso la città santa degli ebrei vista come il luogo designato della salvezza definitiva. L'idea risente l'influsso delle profezie che accompagnarono la ricostruzione di Gerusalemme dopo l'esilio babilonese e presentavano questa città come la capitale di un mondo convertito e rinnovato (Is 60,1-22; 62,1-12; Sof  3,14-20; Zc 9,917). In questa visione teologica lucana ha un grandissimo valore il fatto che subito dopo l'annunciazione Maria si metta in cammino verso la montagna della Giudea. La meta non viene precisata, non tanto perché Luca non conoscesse il paese di origine di Giovanni Battista (la tradizione cristiana l'aveva Probabilmente individuato) ma
perché gli serviva questo orientamento generico per insinuare che Maria si era messa in cammino verso Gerusalemme. Indicando infatti «la montagna della Giudea» come meta del viaggio, faceva pensare spontaneamente alla città santa che si trovava proprio in quella regione. Questo gli permetteva di dire che il Figlio di Dio, non fa in tempo a porre i piedi in terra che subito mette sua madre in cammino verso quella che sarà la meta di tutta la sua vita. Con l'incarnazione Gesù è già in cammino verso Gerusalemme; e non potendo camminare con i suoi piedi che ancora non possiede, si serve delle gambe di sua madre. «In tutta fretta», aggiunge Luca (1,39), come se il bambino fosse preso da un'irrefrenabile impazienza e volesse accelerare i tempi del grande cammino di salvezza che lo attende. Cammino verso Gerusalemme è anche il cammino che precede la nascita (2,1-5). La giovane coppia di Nazaret in attesa del Bambino Gesù che sta per nascere è messa in cammino verso il Sud della Palestina, verso la montagna della Giudea dove si trova Betlemme. Questa è stranamente chiamata «la città di David» (2,4) per il fatto che qui Davide era nato. In realtà, nella Bibbia è chiamata «la città di David» Gerusalemme, perché fu Davide a conquistarla, a farne sua proprietà di famiglia e a proclamarla capitale del suo regno (2Sam 5,9; 6,10.12.17; 1Cron 11,7-9). Viene il sospetto che Luca abbia voluto indicare con questa allusione un'altra tappa di avvicinamento di Gesù a Gerusalemme, dopo quella della visitazione. Si scopre insomma dietro questa indicazione l'intenzione cristiana di vedere già il Cristo in cammino verso la vera meta della sua vita che è Gerusalemme. Del resto avvalora questa ipotesi il fatto che gli unici due episodi dell'infanzia narrati in seguito da Luca, sono due pellegrinaggi a Gerusalemme (2,22-40.41-52). Il primo è il pellegrinaggio non previsto né richiesto dalla legge mosaica per la presentazione al tempio del primogenito in vista del riscatto. È un pellegrinaggio che anticipa la Pasqua, perché ha il tenore di una offerta senza ritorno in vista della passione e della morte che lo attende da adulto. Si incarica il vecchio Simeone di spiegare il senso pasquale di quella offerta dicendo a Maria: «Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano rivelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima» (2,3435). E proprio sul filo di questa spada dolorosa che trafiggerà l'anima della madre è raccontato il secondo pellegrinaggio di Gesù a dodici anni. Esso è ancor più caratterizzato come pellegrinaggio pasquale perché è introdotto così da Luca: «I suoi genitori erano soliti andare tutti gli anni in pellegrinaggio a Gerusalemme per le feste di Pasqua» (2,41). É l'episodio che conclude i racconti della nascita e dell'infanzia e introduce il grande cammino della missione evangelizzatrice di Gesù. Esso anticipa proprio il viaggio conclusivo di lutto il Vangelo di Luca che inizia molto presto e interessa più della metà della vicenda evangelica (da 9,51 a 24,53). E si dà il caso che esso sia narrato secondo lo schema degli eventi pasquali della fine: Gesù si allontana dai genitori in modo misterioso ed è ritrovato da loro solo il terzo giorno dopo una lunga e angosciosa ricerca (2,41-50). Anche a Pasqua Gesù sarà sottratto dalla morte ai suoi discepoli sconvolti e angosciati, saliti con lui in pellegrinaggio nella città santa, e ricomparirà il terzo giorno risorto in mezzo a loro.
Quello stesso Gesù che dodicenne aveva discusso sui testi sacri con i dottori del tempio, dopo la sua risurrezione spiegherà ai discepoli le Scritture che lo riguardavano. In ambedue i casi è fatto rilevare il suo ruolo di Maestro delle Scritture. Tutto rispondeva al misterioso disegno rivelato da Dio nella Bibbia e che Gesù rivendicava davanti a sua Madre proprio nel Tempio di Gerusalemme: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2,49) che corrisponde al rimprovero rivolto da Gesù ai discepoli sconvolti sulla via di Emmaus: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (24,26). In questo contesto di rilettura liturgico - pasquale degli eventi delle origini, Maria era vista e venerata come la madre che aveva dato inizio al cammino della Pasqua con la sua fattiva e necessaria collaborazione. Essa era «la serva del Signore» (1,38) che aveva portato in grembo «il Servo del Signore» (Is 53), gli aveva dato quel corpo che sarebbe stato offerto sulla croce per la redenzione di tutti e che risorto sarebbe diventato fonte e luogo del nuovo culto cristiano. Aveva anticipato l'offerta del Figlio con la sua disponibilità a fare la volontà di Dio in modo totale e incondizionato (Eb 10,5-10). Per questo si era messa in cammino con lui senza indugio verso «la montagna della Giudea», lo aveva portato a nascere «nella città di David», lo aveva offerto nel Tempio di Gerusalemme come futura vittima nelle mani di Simeone, lo aveva condotto e guidato nel primo pellegrinaggio ufficiale in occasione della Pasqua. Era stata la guida, la maestra, la compagna di Gesù nel muovere i primi passi verso Gerusalemme e la Pasqua. Tutto questo non poteva passare inosservato ai primi cristiani e in realtà su questo hanno riflettuto e pregato. La celebrazione di questi eventi li ha fatti sentire in sintonia con la Madre del risorto, guida, maestra e compagna loro nelle prime riunioni liturgiche di Gerusalemme. La liturgia del Cristo risorto non poteva far dimenticare ed escludere la riconoscenza e la venerazione per la Madre sua che ne era all'origine storica. I racconti di Luca ci rivelano questa ricca e intensa devozione per la Madre del Signore all'interno della liturgia cristiana delle origini. I racconti lucani della nascita e dell'infanzia di Gesù risentono dunque l'influsso della liturgia pasquale cristiana dentro la quale sono nati e sono stati tramandati. E non poteva essere altrimenti, perché la Pasqua era già la festa centrale cristiana celebrata ogni settimana. Non esistevano altre feste se non il «dies dominica», la nostra «Domenica», «il giorno del Signore» (Ap 1, 10), giorno di riunione comunitaria e di catechesi. In questo contesto liturgico pasquale si faceva memoria di tutti i misteri della storia di Cristo risorto, si rivivevano e si rimeditavano le tappe della sua vita terrena, quindi anche gli avvenimenti delle origini quali erano i fatti dell'incarnazione, della nascita e dell'infanzia di Gesù.

e La presenza dello Spirito Santo

Un altro indizio di composizione e di rilettura liturgica di queste narrazioni è dato dalla presenza insistente e continua dello Spirito Santo. Sappiamo che la liturgia cristiana antica era celebrata in un clima dominato dall'azione carismatica dello Spirito. Molto spazio era dato ai carismi e ai ministeri, cioè alle manifestazioni particolari dello Spirito per l'utilità comune, ma molto spazio era anche riservato alla guida interiore dello Spirito per la preghiera e l'illuminazione personale. Sono questi i due ambiti descritti dalle Lettere di Paolo. L'ambito dei carismi a carattere comunitario è descritto dalla prima lettera ai Corinzi in questi termini: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri. ma uno solo è il Signore: vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (12, 4-7). L'elenco dei carismi è vario nei tre testi Paolini che lo riportano (lCor 12,28; Rm 12,6-8; Ef 4,11-13), ma essi coprono gli ambiti classici dell'attività della Chiesa: la liturgia, la catechesi, la carità. In modo particolare però sono sottolineati i carismi che interessano la vita liturgica della Chiesa: la profezia, il dono delle lingue per la lode, il dono dell'interpretazione delle lingue (lCor 14), l'insegnamento, l'esortazione (Rm 12; Ef 4). L'ambito dell'azione interiore e personale interessa la fede, la carità e la preghiera. Ecco come lo descrive Paolo: «I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio che conosce tutto ciò che Dio ci ha donato» (lCor 2,11-12). «Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (lCor 12,3). «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio... Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8, 16.26). Tutto questo ci mostra che lo Spirito Santo era considerato il grande protagonista della vita liturgica oltre che pastorale-missionaria della Chiesa delle origini. Non meraviglia dunque ritrovarlo come attore principale nei racconti delle origini della vita di Gesù. Lo stesso Spirito che dalla Pentecoste guidava gli inizi della vita della Chiesa, aveva guidato dall'incarnazione gli inizi della vita di Gesù. C'è uno stretto parallelismo tra l'incarnazione e la Pentecoste. Luca mette in risalto la presenza di Maria, la madre di Gesù, al momento della venuta dello Spirito Santo sugli apostoli: «Tutti questi (apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui» (At 1,14). Sembra dire così che la presenza della madre è necessaria sia per la nascita di Gesù che per la nascita della Chiesa. In ambedue i casi c'è una nascita per opera dello Spirito Santo. Sia il Vangelo che gli Atti degli Apostoli si aprono con una promessa dello Spirito Santo. Lo Spirito era «disceso» su Maria per renderla Madre di Gesù, secondo quanto aveva promesso l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, ti coprirà con la sua ombra la potenza dell'Altissimo» (1,35). Lo stesso Spirito era «disceso» sugli apostoli per dare inizio alla Chiesa secondo la promessa di Gesù: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (At 1,8). Con lo stesso appellativo con cui l'angelo aveva designato lo Spirito nell'annuncio a Maria, egli viene designato nell'annuncio di Gesù agli apostoli. L'angelo lo indica come la «Potenza dell'Altissimo» nell'annunciazione (1,35); Gesù lo indica come la «Potenza dall'alto» nella promessa di Pentecoste, dicendo: «Restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall'alto» (24,49). Nel vangelo dell'infanzia lo Spirito si comunica a tutti coloro che Maria avvicina e credono nel bambino che lei porta. Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna sono «pieni di Spirito Santo» e di gioia che esplode nel canto (Lc 1,42.67; 2,26-27.36). A Pentecoste gli apostoli furono tutti «pieni di Spirito Santo» che si estende a tutti coloro che credono nel Gesù che essi predicano (At 2,4.38; 4,31; 6,3.5). Questa presenza e questa pienezza dello Spirito all'inizio della vita di Gesù e all'inizio della vita della Chiesa indica che tutto ciò che si svolge in questi due ambiti e in questa cornice storica è opera dello Spirito Santo. Tutto quello che ha fatto Maria, quello che ha fatto Gesù, quello che hanno fatto gli Apostoli è dovuto all'iniziativa e all'azione dello Spirito Santo. È un concetto che Luca sottolinea più volte e sul quale ritorna con insistenza sia nel vangelo che negli Atti degli Apostoli. Lo Spirito che è disceso su Gesù, in apparenza corporea come di colomba, al momento del battesimo al Giordano (3,21-22), conduce Gesù, «pieno di Spirito Santo», nel deserto dove sarà tentato dal diavolo (4,2). A Nazaret, dove era cresciuto, Gesù proclama di essere stato consacrato dallo Spirito, attribuendosi una profezia di Isaia che diceva: «Lo Spirito del Signore è su di me, perciò mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri» (Lc 4,18). Lo stesso accade nella vita della Chiesa dove lo Spirito che la anima si manifesta in ogni sua iniziativa e azione (At 5,3; 6,3; 9,17;13,2;15,28). Maria è stata la prima collaboratrice dello Spirito in questa opera di salvezza inaugurata proprio da lei. Lo Spirito Santo che discenderà su Gesù e sulla Chiesa, è disceso prima su di lei e ne ha fatto la sua dimora, il suo tempio, il primo tempio non fatto da mani umane, dove si rende il vero culto spirituale dell'obbedienza a Dio. Così l'ha indicata l'angelo Gabriele: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo» (1,35); così la veneravano i primi cristiani, che sapevano di essere anche loro tempio vivo dello Spirito (lCor 3,16-17; 6,19), per un culto spirituale gradito a Dio (Rm 12,1). Lo Spirito disceso su Gesù e gli apostoli era lo Spirito profetico che li aveva resi portatori della parola di Dio. Quello stesso Spirito era presente nelle assemblee cristiane delle origini a proclamare attraverso i profeti la parola di Dio. Luca ci rivela che lo stesso Spirito profetico aveva consacrato Maria come prima portatrice della Parola viva di Dio. Questo aveva sperimentato Elisabetta, quando alla voce del suo saluto aveva sentito il bambino sussultarle in grembo e si era ritrovata piena di Spirito Santo, pronta a profetare. Come ogni buon profeta, Maria aveva cessato di parlare quando aveva preso la parola direttamente lo stesso Gesù, nel Tempio di Gerusalemme (2,48-50). Le prime parole della Madre corrispondevano alle prime parole del Figlio, come a passarsi un messaggio essenziale. «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga a me secondo la tua parola», aveva detto la Madre; «Non sapevate che io dovevo occuparmi delle cose del Padre mio?», aveva detto il Figlio. Ambedue avevano espresso la disponibilità assoluta del profeta a compiere la volontà del Signore. Nell'ambiente saturo della presenza e dell'azione dello Spirito in cui è nato il vangelo dell'infanzia raccolto da Luca, non poteva mancare la valorizzazione del carisma così originale e unico della maternità di Maria. Era stato il primo carisma, condizione per tutti gli altri venuti in seguito. È vero che esso non si ritrova in nessuno degli elenchi fornitici da Paolo, ma ciò è dovuto alla sua singolarità irrepetibile. Maria era diventata madre per opera dello Spirito Santo, come gli apostoli e i profeti erano tali per opera dello Spirito. Questo non poteva mancare di suscitare ammirazione, venerazione e lode nella prima comunità cristiana che annoverava Maria tra i suoi membri più eletti.  Specchio di tale valorizzazione e devozione sono le gridate alla maniera profetica da Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (1,42-43). Dietro queste espressioni non è difficile immaginare la gioiosa ammirazione e la rispettosa accoglienza di cui era circondata la madre di Gesù ogni volta che partecipava alle assemblee cristiane di Gerusalemme, dove i nostri racconti sono nati. Solo così si spiega il canto profetico di lode conservatoci nel «Magnificat» che, nella sua attuale composizione, è di chiara origine comunitaria. La comunità esprime qui ed interpreta i sentimenti e il ruolo della madre del Signore e, insieme a lei, loda Dio coinvolta dalla stessa azione dello Spirito che mosse Maria. In tutta verità potevano insieme prevedere, dall'interno dell'esperienza ecclesiale: «D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (1,48). La prima manifestazione dello Spirito a Pentecoste era stato il proclamare ad alta voce «le grandi opere di Dio» (tè megalèia tou Theou: At 2,11); lo stesso Spirito aveva già iniziato quella proclamazione nel canto della Madre del Signore subito dopo l'incarnazione: «L'anima mia magnifica il Signore...» (megalynei 'e psychè mou ton kyrion: Lc 1,47). In tutto questo non possiamo mancare di rilevare l'accostamento ideale operato dai cristiani del tempo apostolico tra Maria e la Chiesa. Maria è già vista, sia pure in maniera ancora germinale, come tipo e madre della Chiesa. In lei infatti la Chiesa si rispecchia per scoprirsi e per comprendersi pienamente, in lei si vede già prefigurata, in lei scopre la sua fede e i suoi sentimenti, nella sua maternità contempla la sua radice più lontana.

f. Un primo abbozzo di teologia mariana

Se quanto abbiamo detto fin qui è vero, allora abbiamo nei testi di Luca la prima descrizione della devozione cristiana a Maria, ma insieme abbiamo anche il primo documento di teologia mariana. La teologia è riflessione e sviluppo della rivelazione divina. Quella di Luca non è solo narrazione storica ma, come abbiamo visto, è già meditazione e sviluppo dei dati della tradizione apostolica sulle origini di Cristo. La teologia mariana è inserita e sviluppata dentro la cristologia, ad essa strettamente legata in modo inscindibile. Ambedue nascono dalla celebrazione eucaristico - pasquale delle assemblee apostoliche. Costatiamo che non è la teologia a produrre la liturgia, ma è la liturgia a far nascere la teologia. La liturgia ha avuto bisogno della riflessione teologica e l'ha espressa nella predicazione, nella meditazione, nel commento delle Scritture. Così la teologia ha oscillato dalla celebrazione alla riflessione e dalla riflessione alla celebrazione. Proprio questo passaggio dalla celebrazione alla riflessione e dalla riflessione alla celebrazione noi abbiamo trovato nei racconti mariani dell'infanzia riportati da Luca. La teologia mariana di questi capitoli è nata dalla liturgia, e ciò è avvenuto molto presto. Luca nota che proprio nel contesto della liturgia eucaristica il Gesù risorto inizia e educa gli apostoli a rivisitare gli eventi della sua vita alla luce delle Scritture. Le prime lezioni di teologia biblica furono impartite da Gesù ai discepoli di Emmaus, che poi lo riconobbero allo spezzare del pane (Lc 24,25-32), e agli apostoli raccolti nel Cenacolo mentre mangiava con loro (24,41-48). Che la teologia mariana del vangelo dell'infanzia sia nata anch'essa molto presto sembra indicarcelo lo stesso Luca quando sente il bisogno di notare due volte, in modo enfatico, che tale riflessione inizia già con la madre del Signore. Infatti subito dopo il racconto della nascita di Gesù a Betlemme, ci riferisce: «Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). E alla fine di tutto il Vangelo dell'infanzia dice: «Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (2,51). Alla luce di quanto abbiano notato sopra, non è difficile pensare che alla base dei racconti mariani, ci sia proprio questa prima riflessione della madre del Signore esposta a qualcuno degli apostoli o da lei stessa riferita nelle assemblee che la ebbero compagna dei preghiera e meditazione. Proprio da questo sviluppo teologico delle origini sono nati «i titoli mariani» presenti implicitamente o esplicitamente nei racconti. Il racconto dell'Annunciazione mette in risalto già il titolo umanamente impensabile di «Vergine-Madre» attribuito a Maria (1,26-37). Esso è spiegato con l'intervento miracoloso dello Spirito Santo e con l'affermazione che «nulla è impossibile a Dio». La conferma è data dalla notizia strepitosa che Elisabetta vecchia e sterile è al sesto mese di gravidanza. La stessa scena insinua un altro titolo mariano, quello di Maria «Figlia di Sion», cioè «Nuova Gerusalemme» dei tempi messianici prevista dai profeti. Maria non è soltanto vista al culmine dei grandi annunci messianici dell'Antico Testamento, ma anche al compimento di tutte le promesse escatologiche. È la continuità del piano salvifico di Dio che lo esige. Quando l'angelo invita Maria a rallegrarsi, la invita a considerarsi destinataria della profezia di Sofonia che iniziava con un grido: «Gioisci Figlia di Sion» (Sof 3,14). Lo stesso vale per il titolo usato tanto frequentemente di «Piena di grazia» che nel greco suona «kecharitomène». Lo utilizza l'angelo come appellativo caratterizzante Maria nell'annunciazione, quasi un suo secondo nome (1,28). È spiegato poco oltre con l'espressione: «hai trovato grazia (chàrin) presso Dio» (1,30), ma appare chiaro che Maria è oggetto tutto particolare della benevolenza divina che in lei si manifesta in modo pieno ed esclusivo. Nella visitazione Maria è vista come «l'arca di Dio» in cammino verso la montagna della Giudea (1,39). Su di lei si era posata la gloria del Signore al momento dell'Annunciazione (1,35). Era venerata così come il luogo più sacro di tutta la terra, perché luogo privilegiato dell'abitazione del Figlio dell'Altissimo in lei fatto carne. Nell'incontro di Maria con Elisabetta, Maria è salutata come «Madre del Signore» in una proclamazione che ha lo stile di una professione di fede (omologesi) perché fatta a gran voce e nella pienezza dello Spirito (1,42-43!. Si ha l'impressione di essere di fronte ad un titolo mariologico già consolidato nella fede e nel culto cristiano. Tanto più che il titolo è preceduto e seguito da altri attributi, come «Benedetta fra le donne» e «Beata la credente», che ne rafforzano l'ammirazione e la venerazione in ambito ecclesiale (1,42.45). L'episodio della natività conferma, specificandolo ulteriormente, il titolo di «Madre del Signore», perché qui gli angeli presentano il bambino nato da Maria come «Salvatore che è Cristo, Signore» (2,11). Doveva apparire implicito e immediato allora considerare Maria come «la madre del Salvatore», «la madre di Cristo», «la madre del Signore». Il titolo di «Benedetta tra le donne», pone Maria in relazione con le grandi donne che avevano portato salvezza al popolo di Dio, come Giaele (Gdc 5,24) e Giuditta (Gdt 15,10) salutate appunto con lo stesso appellativo. L'accostamento contiene implicitamente il titolo mariano di «Madre del Salvatore». Infine il titolo «Beata la credente» enuncia la prima beatitudine del vangelo e pone Maria all'interno della Chiesa come madre di tutti nella fede, alla maniera di Abramo nostro padre nella fede agli inizi del popolo di Dio; e costituisce Maria tipo e modello di ogni credente cristiano. A conclusione di queste riflessioni possiamo dunque dire che Maria, pur non essendo la figura centrale dei Vangeli dell'infanzia, è presentata da questi con grande ricchezza di elaborazione teologica. I racconti sono nati in ambiente liturgico dove si alternava il racconto commemorativo con la lode. La liturgia narrativa ha come primo oggetto Gesù risorto, che è al centro del culto cristiano. Ma accanto a Gesù, celebrato come Salvatore, Cristo e Signore, era posta in evidenza Maria, indispensabile figura materna per la sua origine umana, per la sua infanzia e giovinezza. Traspare allora dai testi evangelici l'ammirazione, l'amore, la venerazione per la Madre del Signore, riflesso dell'adorazione e dell'amore per il Figlio. Maria non è mai posta alla pari con Gesù nella liturgia cristiana delle origini. Il suo non è culto di adorazione dovuto solo al Cristo Dio, è solo un culto di venerazione legato alla sua funzione di madre, all'ammirazione per la sua vita di fede e di dedizione a Cristo, per l'esempio di virtù cristiane da lei incarnate. Questa ammirazione e venerazione sincera hanno stimolato la riflessione teologica e hanno fatto nascere una robusta mariologia. Così questi testi liturgici cristiani delle origini sono anche testi di teologia mariana intesa come riflessione sulla fede celebrata ricevuta dalla tradizione apostolica. La mariologia e il culto mariano non sono nati dal devozionismo cristiano dei secoli più recenti, dal medioevo in poi. Essi appartengono al genuino patrimonio della chiesa apostolica, addirittura alla «lex orandi e alla lex credendi» (alla norma di culto e di fede) della prima chiesa giudeo-cristiana di Palestina. Dobbiamo essere riconoscenti a Luca che ha raccolto questa tradizione lasciando intatto il colore e lo stile semitico dei testi e conservando lo stretto legame che essi hanno con la vita liturgica dei tempi apostolici.

Inserito Lunedi 25 Novembre 2013, alle ore 10:50:02 da latheotokos
 
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