Maria nei Concili di Calcedonia (451) e Costantinopolitano II (553)
Data: Lunedi 21 Luglio 2014, alle ore 10:36:17
Argomento: Magistero


Dallo studio di Luigi Gambero, Maria negli antichi Concili, in Enrico dal Covolo e Aristide Serra (a cura di), Storia della Mariologia. Vol. 1 dal modello biblico al modello letterario, Marianum - Città Nuova, Roma 1998, pp.479-487.



4. Il CONCILIO DI CALCEDONIA (451)

Nel periodo postefesino si andava bensì costituendo un'adesione crescente intorno alla Formula di riunione, ma d'altra parte perduravano e andavano pure crescendo la difficoltà di conciliare modi tanto diversi di intendere l'unione delle due nature nel soggetto Cristo, in un dibattito dottrinale aggravato da un ambiente ecclesiale irrequieto e talvolta tumultuoso, specialmente nel cristianesimo orientale. Una conseguenza di questa situazione è stato lo pseudo-concilio tenutosi ad Efeso nel 449, non riconosciuto dalla Chiesa e passato alla storia con il nome di "latrocinio di Efeso". L'imperatore Marciano, successore di Teodosio II, nel tentativo di superare una situazione piuttosto imbarazzante, decise la convocazione di un altro concilio da tenersi a Calcedonia (l'attuale Kadiköy), sul Mar di Marmara, nella chiesa di S. Eufemia. L'imperatore ottenne l'approvazione del papa Leone Magno, che inviò i suoi legati, e cosi l'8 ottobre 451 i 600 vescovi partecipanti poterono iniziare i loro lavori assembleari43. La questione fondamentale al centro delle discussioni continuava ad essere quella dell'unità della persona del Verbo Incarnato. Forte era la pressione dei seguaci della dottrina del defunto patriarca alessandrino Cirillo, molti dei quali erano monaci e insistevano per una soluzione di carattere apertamente monofisita. Essi infatti seguivano la guida e la dottrina di uno di loro, un certo Eutiche, influente egumeno di un grande monastero costantinopolitano di 300 monaci e divenuto il principale esponente della dottrina monofisita. Si professava convinto seguace di Cirillo; ne aveva sposato le tesi a proposito del Verbo Incarnato, ma le aveva spinte su posizioni radicali, che nella sostanza si opponevano antiteticamente alle tesi della cristologia nestoriana, ma negavano altresì la realtà della natura umana di Cristo dopo l'unione
ipostatica. Eutiche era dotato di notevole abilità nel difendere e propagandare le sue idee e nell'appellarsi all'autorità del defunto patriarca Cirillo. Il primo provvedimento del concilio fu quello di annullare le decisioni dello pseudo-concilio efesino del 449, a causa della sua illegittima convocazione e delle sue conclusioni cristologiche inficiate da evidenti forme di monofisismo. Questa dottrina pretendeva bensì di opporsi alla cristologia di Nestorio, che tendeva ad affermare nel Verbo Incarnato una distinzione netta delle due nature, tanto da rischiare la tesi eretica della separazione totale tra il Cristo uomo e il Cristo Dio. Ma Eutiche accentuava talmente l'unione della natura umana con quella divina, da sostenere in conclusione la tesi dell'assorbimento totale della prima da parte della seconda. Su questa base, l'Incarnazione non poteva più essere considerata l'unione di due nature, quanto piuttosto la cancellazione di una di esse. Era evidente che la teoria proposta da Eutiche per spiegare il mistero dell'Incarnazione appariva gravemente lesiva della dottrina della salvezza insegnata dalla Chiesa, nonché assolutamente contraria alla tradizione dei santi Padri. Alcuni di questi avevano insegnato che soltanto ciò che è stato asssunto dal Cristo redentore può essere salvato . Se Cristo non avesse assunto una vera natura umana, come potrebbe esservi salvezza per l'uomo? L'Incarnazione sarebbe svuotata della sua finalità ed efficacia soteriologica. Il concilio ha preso in esame la seconda lettera inviata dal papa Leone Magno al patriarca di Costantinopoli Flaviano, nota come Tomus ad Flavianum, e ha deciso di adottare la lettera come documento dogmatico basilare per i suoi lavori. Ma il dibattito sul Tomus non ha praticamente avuto luogo perché, dopo la lettura del testo pontificio, i padri conciliari lo hanno unanimemente approvato per acclamazione.

4.1. La cristologia del Tomus ad Flavianum45

Praticamente il Tomus riassume la cristologia della Chiesa occidentale, da Tertulliano ad Agostino, e non esita a propendere per una linea espositiva più aperta alla posizione degli Antiocheni. È un testo geniale che può valere quale esempio tipico di chiarezza e di precisione, qualità connaturali al pensiero latino. Dopo aver confutato le tesi monofisite di Eutiche, Leone non fa dichiarazioni dogmatiche nuove, ma con grande vigore e autorevolezza ripropone la cristologia che i santi Padri hanno insegnato e affidato alla viva tradizione della Chiesa. I contenuti dogmatici relativi alla persona del Verbo Incarnato comprendono sia gli errori da condannare che le dichiarazioni concernenti la dottrina della fede. Si ribadisce la condanna di alcune dottrine eretiche ben note: quella dei due soggetti o due figli nel Verbo Incarnato, di marca nestoriana, quelle sulla passibilità del Figlio, sulla mescolanza delle due nature e sulla provenienza celeste della carne di Cristo, tutte di origine apollinarista. Infine viene anatemizzata l'eresia monofisita delle due nature prima dell'unione ipostatica e di una sola natura dopo l'unione. Alla confutazione degli errori fa seguito una magistrale sintesi della dottrina ortodossa su Cristo, che contribuisce a rafforzare ulteriormente il prestigio e l'autorità del Simbolo niceno-costantinopolitano. Inizia con la riaffermazione della realtà e integrità della natura umana del Verbo Incarnato il quale, anche dopo l'unione, mantiene la distinzione delle due nature, unite tuttavia nella sua unica persona, e precisamente in una unione senza confusione, senza mutazione, senza divisione e senza separazione. Si precisa inoltre che l'unione ipostatica non reca nessun pregiudizio alla differenza delle due nature, le quali mantengono ognuna le sue proprietà, sebbene le due nature siano unite in una sola persona (πρüσωπον) o sussistenza (υπüστασις). Quindi uno solo e identico è il Figlio unigenito, Dio, Verbo, Signore Gesù Cristo46.

4.2. Riferimento alla Madre di Gesù

Siccome il concilio era tutto impostato sulla confutazione del monofisismo di Eutiche, per il quale la funzione materna di Maria nell'Incarnazione e l'attribuzione a lei del titolo di Theotokos non facevano problema, i padri conciliari nella Definitio fidei non ebbero motivo di insistere più di tanto sulla dottrina che la riguardava. Tuttavia il concilio ha in primo luogo adottato il Tomus del papa Leone Magno come suo documento principale e pertanto ne ha accolto pienamente i contenuti dottrinali, nei quali si fanno dei riferimenti alla Madre del Signore, a motivo del suo rapporto con la persona del Figlio. Vi si legge: «L'eterno Unigenito dell'eterno Padre è nato per opera dello Spirito Santo e della Vergine Maria. Questa nascita temporale non reca nessun pregiudizio alla generazione divina ed eterna e non le aggiunge nulla, ma è totalmente indirizzata all'obiettivo di procurare la salvezza dell'uomo, che era stato tratto in inganno. Cosi (Cristo) ha vinto la morte e ha distrutto il potere del demonio che teneva la morte sotto il suo dominio (cf. Eb 2, 14)»47. Il Tomus aggiunge, a commento di questo passo, due precisazioni che vogliono dare ulteriore chiarezza alla professione della fede. L'intervento dello Spirito Santo nell'Incarnazione ha solo causato ma non cambiato le modalità umane del concepimento e della nascita. Perciò il Verbo Incarnato ha tutte le qualità e le prerogative della natura umana. Si aggiunga che il Verbo ha assunto la natura umana in Maria fin dal primo istante del concepimento e che la sua umanità fu immediatamente e ipostaticamente unita alla divinità cosi da costituire con questa una sola persona. La seconda precisazione riguarda la relazione esistente tra la funzione di Maria, come Madre del Verbo fatto uomo, e la finalità soteriologica del mistero dell'Incarnazione, che è la salvezza del genere umano. Tale finalità era già stata esplicitata nel Simbolo niceno-costantinopolitano48.

4.3. La Definitio fidei

Oltre ad assumere il Tomus ad Flavianum come documento ufficiale e principale del concilio, i padri hanno voluto aggiungere un loro documento, che è una specie di sintesi delle verità di fede. In esso si legge un paio di volte il nome della Vergine; ma il richiamo a lei avviene in modo puramente occasionale. I padri conciliari erano alle prese con certi errori dogmatici che occorreva necessariamente censurare; errori nei quali la Madre del Signore non poteva non essere coinvolta. Un richiamo si trova nel passo in cui viene condannato il rifiuto degli antiocheni di chiamare Maria Theotokos; il secondo riguarda l'errore dei monofisiti i quali, pur accettando il termine Theotokos, mancavano di chiarezza nel descrivere il rapporto della Madre con il Figlio divino, a causa della scarsa considerazione da loro attribuita alla natura umana di Cristo50. Il concilio riesce quindi ad evidenziare un fatto evidente ed importante: un errore contro la verità della Madre ha come conseguenza l'eresia circa la persona del Figlio o viceversa. Nella parte conclusiva e riassuntiva della Definitio, la generazione di Cristo da Maria è messa in parallelo con la generazione eterna del Verbo dal Padre. Ambedue le generazioni offrono un'assoluta garanzia: l'una della perfetta umanità del Figlio della Vergine, l'altra della sua consostanzialità con il Padre e pertanto della sua piena divinità51. Per fare un breve bilancio dell'apporto dogmatico di questo concilio, dobbiamo ammettere che Calcedonia non sembra aver introdotto nella storia della teologia cristiana nuovi sviluppi o chiarimenti in relazione alla funzione della Vergine nei confronti del Verbo Incarnato. Un contributo può essere tuttavia individuato nella decisa affermazione della definitiva unione personale della natura umana di Cristo con la sua divinità. Solo in questo caso anche la condizione e la funzione materna della Theotokos possono essere considerate una realtà definitiva; altrimenti, se fosse vero che l'umanità di Cristo sia stata assorbita dalla divinità e quasi cancellata nel mistero dell'unione ipostatica, come potrebbe il termine Theotokos indicare una realtà tuttora presente nella persona della Vergine? Si tratterebbe di una semplice allusione ad un evento ormai appartenente alla storia passata.


5. Il Concilio Costantinopolitano II (553)

La celebrazione di questo concilio è una dimostrazione eclatante della politica cesaropapista esercitata dalla corte bizantina nei confronti della Chiesa. Su pressione dei vescovi occidentali, specialmente africani, papa Vigilio aveva ritrattato lo Iudicatum dell'11 aprile 548, con il quale aveva condannato i Tre Capitoli, ossia la dottrina cristologica di tre vescovi della Chiesa orientale, Teodoro di Mopsuestia ( 428), Teodoreto di Ciro (466ca) e Ibas di Edessa ( dopo 457), teologi di formazione antiochena. L'imperatore Giustiniano, preoccupato di trovare un compromesso con i monofisiti, reagì minacciosamente, cercando di costringere il papa a tornare sulle sue decisioni. In un primo momento Vigilio si oppose alle pretese di Giustiniano, non ritenendo giusto condannare tre vescovi ormai defunti da oltre un secolo e perché in ultima analisi la loro cristologia non sembrava cosi eterodossa come gli ambienti monofisiti volevano far credere. Col tempo tuttavia non seppe resistere alle pressioni di Giustiniano e finì per chiedere egli stesso all'imperatore la convocazione di un concilio al quale demandare la soluzione dell'annoso problema dei Tre Capitoli. Giustiniano accolse il suggerimento, ma costrinse il papa a recarsi a Costantinopoli, nell'intento di esercitare una più forte pressione su di lui.

5.1. La controversia dei Tre Capitoli

E stato questo dunque il motivo primordiale per la convocazione del concilio. La controversia si trascinava da oltre un secolo intorno alla dottrina dei suddetti tre famosi autori orientali sullo statuto ontologico del Verbo Incarnato; ma l'accusa di eresia nei riguardi della loro cristologia sembrava per lo meno discutibile, per cui papa Vigilio continuava a mostrarsi restio a pronunciare una condanna. Invece il concilio giudicò eretica e pericolosa per la fede la loro posizione teologica in tema di cristologia, specialmente quella di Teodoro di Mopsuestia, ritenuta infetta di nestorianesimo. Su pressione di Giustiniano, che mirava ad una soluzione di compromesso accettabile anche da parte dei monofisiti, papa Vigilio dovette confermare la condanna di Teodoro, Teodoreto e Ibas, condanna gradita ai monofisiti, ma ingiustamente comminata contro i tre vescovi. In realtà tutta questa controversia e le sue soluzioni conciliari non offrivano nessun elemento di novità, per cui la condanna del Costantinopolitano II nei contronti dei Tre Capitoli non poté far altro che colpire la vecchia dottrina di sapore antiocheno dei due soggetti in Cristo, già indirettamente esclusa dalla definizione di Calcedonia.

5.2. La posizione della Madre di Dio

La vecchia eresia dei due soggetti in Cristo, esplicitamente o implicitamente, chiamava in causa anche la persona della Madre sua, perché riduceva il suo ruolo a madre di un semplice uomo. Su questo punto il concilio non ha fatto altro che ribadire la definizione di Calcedonia e, per conseguenza, anche la posizione della Vergine Maria veniva a trovarsi nuovamente intesa nel suo significato ortodosso di Theotokos. Infatti nella Sententia adversus Tria Capitula, il documento conciliare vero e proprio ratificato anche da Vigilio l'8 dicembre 554, si incontrano un paio di passi che fanno riferimento a lei. Nel primo passo Maria non viene nominata, ma le verità cristologiche in questione la riguardano direttamente, perché vi si ribadisce l'unicità della persona di Cristo, che è il presupposto fondamentale della sua maternità divina. Il testo, molto esteso e dettagliato, è redatto in uno stile fortemente polemico contro i teologi dei Tre Capitoli: «Anatematizziamo coloro che dicono esservi due figli e due Cristi. Uno infatti, come si è affermato, è il Cristo che noi e voi predichiamo, il Figlio, il Signore, unigenito in quanto uomo»52. Evidentemente neppure i teologi antiocheni avrebbero mai affermato che vi sono due Cristi; ma, secondo gli alessandrini, la loro tendenza a sottolineare forse eccessivamente la distinzione delle due nature, poteva facilitare il rischio di indurre i credenti a cadere in tale gravissimo errore. Nel secondo passo, in cui si condannano i negatori della realtà dell'Incarnazione e in particolare Ibas di Edessa, Maria viene esplicitamente nominata quale prova testimoniale della realtà del mistero del Dio fatto uomo: «Anatematizziamo l'empia lettera che, si dice, Ibas avrebbe scritto a Peri il Persiano, nella quale si nega che il Verbo Dio si sia incarnato e fatto uomo nella santa Madre di Dio e semprevergine Maria»53. Si precisa inoltre che una simile dottrina non farebbe altro che ripristinare l'eresia di Apollinare di Laodicea, il quale avrebbe sostenuto l'origine celeste della carne di Cristo. Si può osservare come i due testi dimostrino il sostegno che la cristologia e la mariologia sono in grado di scambiarsi reciprocamente. Nel primo testo si può vedere come l'unità della persona del Verbo Incarnato stia alla base del carattere divino della maternità della Vergine, mentre nel secondo è la maternità reale di Maria a garantire la verità dell'Incarnazione del Verbo. Segue l'esposizione di 14 anatemi, tre dei quali nominano la Vergine e trattano di lei. Nel secondo si condanna l'errore di chi nega la duplice generazione di Cristo, quella eterna dal Padre e quella temporale dalla Madre, dalla quale ha preso veramente la carne. Può essere che il concilio intendesse bandire il noto vecchio errore secondo il quale Cristo sarebbe soltanto passato attraverso la Madre, senza prendere nulla da lei 54. Il terzo anatema ritorna sulla condanna della teoria dei due figli, ossia del Verbo divino generato dal Padre e del Cristo uomo nato dalla madre55. Il sesto anatema condanna coloro che rifiutavano la dichiarazione efesina su Maria vera ed autentica Theotokos. La condanna è indirizzata direttamente a Teodoro di Mopsuestia, che avrebbe preteso di sostituire il termine con anthropotokos o christotokos56. Comunque sull'ortodossia dell'appellativo christotokos si potrebbe anche convenire, perché il termine di per sé non è esclusivo di theotokos, dal momento che indica la persona del Verbo Incarnato, vero Dio e vero uomo. Il Concilio Costantinopolitano II non sembra aver introdotto delle novità nella dottrina e nel dibattito teologico allora in corso. Unica novità può essere considerato il tentativo di Giustiniano di eliminare gli attriti tra le due celebri scuole teologiche che da secoli si avversavano e che erano causa di divisioni e di polemiche nella cristianità.

NOTE
43
Sugli eventi e i lavori del concilio, cf. ACO 2, 1-6; soprattutto l'opera monumentale di A. GRILLMEIER e H. BACHT, Das Konzil von Chalkedon. Geschichte und Gegenwart, 3 vol., Echter-Verlag, Wurzburg 1951-1954; B. SESBQUÉ, Storia dei dogmi, I, cit., pp. 309-376.
44 Origene aveva già scritto che l'essere umano non sarebbe stato salvato tutto intero se Cristo non avesse assunto l'uomo intero (Dialogo con Eraclide 7, 5-7; SC 67, 70). Ispirandosi ad Origene, Gregorio Nazianzeno fu il primo a formulare l'assioma: «Quello che non viene assunto (da Cristo), non può essere deificato» (Ep. 101, PG 37, 181).
45 Il testo latino di Leone è stato presentato ai padri conciliari in versione greca, la cui edizione critica è stata pubblicata da Schwartz in ACO, l, l, I, pp. 10-20. Cf. G. L. PRESTIGE, The Greek Translation of the Tome of St. Leo, in «Journal of Theological Studies» 31 (1929-1930), pp. 183-184.
46 COD, p. 80.
47 ACO, 2,2, I, p. 25.
48 Ibid., pp. 26-27.
49 COD, p. 84.
50 Ibid., pp. 85 e 86.
51 lbid., p. 62.
52 Ibid., p. 110.
53 Ibid., p. 113.
54 Ibid., p. 114.
55 Ibid.
56 Ibid., pp. 116-117.

 

 







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