Maria, donna di misericordia
Data: Martedi 9 Giugno 2015, alle ore 12:03:49
Argomento: Mariologia


Un approfondimento di Monica Dal Maso, in Santa Maria "Regina Martyrum", XII (2009), n. 1, pp. 56-61.



1. Misericordia, un termine di difficile comprensione

In uno dei suoi racconti più belli, lo scrittore milanese Luigi Santucci narra la straordinaria vicenda del giovane spagnolo Ramon, figura liberamente ispirata al barcellonese san Raimondo, fondatore dell'Ordine della Mercede (XIII secolo), votato alla liberazione degli schiavi. La vita di Ramon è caratterizzata da una scelta di vita che può apparire, ai nostri occhi, assurda, paradossale: egli, infatti, si fa schiavo volontariamente, sostituendosi concretamente alle persone che vuole riscattare. La strada a cui si sente chiamato, è quella di salvare quante più creature possibile, mettendo la sua forza fisica al servizio di chi è stato incatenato e schiavizzato da padroni brutali e crudeli, che pur accettando lo scambio, non saranno mai in grado di comprendere il senso profondo ditale gesto. Per tutta la vita, Ramon si dedica con impegno e coraggio alla sua vocazione, si sostituisce a donne, fanciulli, vecchi, sopporta senza lamentarsi percosse, frustate, rimproveri, derisioni, si spezza la schiena spaccando pietre e remando insieme ai galeotti sulle navi spagnole, conosce la paura, il dolore la solitudine, l'amaro senso di disillusione di poveri esseri umani che hanno perduto tutto, ma soprattutto non cessa mai di diffondere la speranza, di donare un sorriso e un po' di calore ai suoi sfortunati compagni, ricordando loro che esiste Qualcuno in grado di amare al di là di ogni limite e di perdonare anche il delitto più atroce, persino la brutalità gratuita degli aguzzini, creature forse ancora più infelici, spinte alla crudeltà dall'insicurezza e dalla loro stessa insensata esistenza. Ramon non può fare a meno di continuare nel suo cammino, lui, che potrebbe essere libero e vivere serenamente la propria vita, indifferente alle mille grida d'angoscia che s'innalzano ogni giorno dal cuore di un mondo spesso ingiusto e privo di senso. La pietà, la compassione, il desiderio di condividere la sofferenza degli ultimi della terra, la consapevolezza di riuscire ad incarnare, soltanto in questo modo estremo, radicale, gli insegnamenti di Cristo, lo spingono a trasformarsi in un "mercenario", un eroe semplice, privo di poteri, che riscatta con il proprio corpo la vita altrui. La rapida e sintetica presentazione di un racconto in realtà lungo e abbastanza complesso, di cui si raccomanda vivamente la lettura, può aiutarci a riflettere sul senso della misericordia. Ma che cos'è, la misericordia? Che valore ha nella società contemporanea? Come accade per molti altri termini teologici, il significato della parola misericordia appare sfuggente, variegato, di non immediata comprensione. Cercando in un qualsiasi dizionario, la definizione corrente del termine misericordia è la seguente: "sentimento di profonda compassione e pietà che induce all'aiuto e al perdono, virtù che inclina l'animo a tale sentimento". Poche proposizioni per identificare una realtà infinita. Analizzando la definizione, lo sguardo si sofferma su due termini che, da soli, richiederebbero fiumi di parole, pagine e pagine di riflessione ed approfondimento: compassione e pietà. Basta un piccolo sforzo intellettivo per rendersi conto che essi non hanno più, oggi, il significato ed il valore che avevano un tempo. Pensiamo alla pietà, per esempio. Presso gli antichi romani, la pietas era uno dei valori fondanti della società, uno di quei capisaldi che non si osava mettere in discussione, pena la perdita della propria identità culturale e di popolo. La pietas era rappresentata iconograficamente con l'immagine di Enea, secondo la leggenda antenato dei Romani, che sfugge da Troia in fiamme portando sulle spalle il vecchio padre Anchise, incurante della sorte del figlioletto e soprattutto della moglie, che infatti non sopravviverà alla distruzione della città. Con questa scena drammatica e sfuggente nello stesso tempo, i Romani sottolineavano quel sentimento di amore e di profondo rispetto che il figlio doveva al proprio padre per avergli donato la vita e, per ampliamento, la devozione sincera che il popolo doveva agli dei, e la grata fedeltà per il mos maiorum, la tradizione, fondata dagli antenati e tramandata intatta nei secoli. Mettere in discussione la pietas poteva dare inizio ad un processo inarrestabile, capace di scuotere la struttura della società romana e di mandarla irrimediabilmente in crisi. Se ne rese conto il saggio Cicerone, che, pur ammirando l'eleganza e la ricchezza della tarda cultura ellenistica, giunta a Roma dopo la conquista della Grecia, metteva in guardia i concittadini sui potenziali pericoli di un allontanamento dalla tradizione, e si opponeva alle giovani generazioni, capitanate dal "trasgressivo" Catullo, che scalpitavano nei bei palazzi della città, smaniose di "aria nuova". Oltre il significato che la pietas aveva per i Romani, con l'avvento dell'era cristiana essa ha assunto nuove sfumature di significato, assumendo toni analoghi all'altro termine, compassione. Pietà e compassione designano la capacità di condividere, profondamente, intimamente, le sofferenze altrui, di patire-con, di soffrire con chi sta di fronte e ci chiede aiuto. Il rivoluzionario messaggio offertoci dal vangelo, in fondo, si concretizza nella figura di un Dio che si fa uomo per amore dell'uomo, per condividerne il dolore, la solitudine, la paura, la morte. Ciò che più colpisce in Gesù Cristo, è la sua straordinaria capacità di immedesimazione, di compassione sincera per i poveri, gli ammalati, gli afflitti, il desiderio di alleviarne l'angoscia, i gesti d'amore e tenerezza per i rifiuti del mondo, il rispetto e l'accettazione per le prostitute e i lebbrosi, la volontà di non giudicare mai, di non segnare con un dito neppure chi se lo sarebbe meritato, la pazienza senza fine, il desiderio di perdonare e di comprendere che spesso, dietro le debolezze umane, il peccato, forse persino i delitti, ci sono uomini e donne che soffrono e hanno perduto la virtù di compatire se stessi. Gesù ha veramente patito-con, ha pianto con i suoi simili, si è commosso per le loro pene, si è lasciato toccare, metaforicamente ma anche realmente, dai lamenti e dalle grida di dolore dell'umanità, giungendo fino al dono estremo della sua vita. Queste sue grandi qualità, suscitano ammirazione anche in altre religioni, e persino in quegli atei che preferiscono pensano come una sorta di Che Guevara ante litteram, ma che infine non possono fare a meno di essere colpiti dalla sua incredibile e disarmante umanità. Seguendo la rotta da lui tracciata, più o meno consapevolmente molti altri hanno saputo condividere le mille sofferenze dell'uomo e, mossi dalla pietà, hanno dedicato la propria esistenza ai deboli. Pensiamo a Madre Teresa, a padre Kolbe, alle centinaia di anonime persone che si prodigano, giorno dopo giorno, per aiutare chi soffre. Eppure, a volte si ha l'impressione che oggi pietà e compassione siano valori un p0' defilati, o addirittura falsamente interpretati. Talora, è fortissimo il dubbio che essi si riducano a quel fastidioso sentimento di indifferente comprensione che si dedica, per un attimo, a chi è più sfortunato di noi. Qualche pacca sulla spalla, un sorriso di circostanza, banali consigli elargiti più per dovere che per reale convinzione, ed uno sguardo imbarazzato all'orologio, nella speranza di potersene andare al più presto, di tornare alle proprie occupazioni, soffocando nella parte più nascosta dell'anima il senso d'inadeguatezza, la sottile inquietitudine che nasce dalla consapevolezza di essere fortunati senza sapere perché. Certo, non è facile condividere il dolore altrui; bisognerebbe averlo provato sulla propria pelle per riuscire davvero a capirne la portata devastante, e soprattutto per sapere come aiutare chi se lo sente addosso come un peso insopportabile. Ma se patire-con è quasi impossibile... anche se la vocina della coscienza suggerisce che essere cristiani significa impegnarsi per riuscirci.. .bisognerebbe rivalutare la pietà, da intendersi soprattutto come rispetto dovuto verso chi soffre.

2. Uno sguardo alla Bibbia

Si sarà forse notato che in queste riflessioni è poco usato il termine "misericordia". Esso appare infatti forse un po' riduttivo, o meglio, poco comprensibile. Non traduce in modo adeguato il corrispondente ebraico hesed e il greco eleos, più ricchi di significato. Nell'Antico Testamento, il termine hesed descrive un atteggiamento divino fondamentale. Con esso, spesso abbinato ad altri concetti di grande importanza, si indica la benevolenza di Dio verso il suo popolo, la generosità gratuita con cui si prodiga per le sue creature, senza chiedere nulla in cambio e soprattutto senza nessun obbligo. Si usa inoltre per indicare uno degli attributi che caratterizzano il rapporto con gli uomini, la giustizia, la funzione legislatrice del giudice che, tuttavia, esercita il suo ruolo con la chiara volontà di salvare il giudicato, dunque di presentarsi come liberatore. La Sapienza loda l'atteggiamento di hesed, suggerendo che chi segue la giustizia e la misericordia troverà vita e gloria (Pr 21, 21). Con hesed si descrive il sentimento di amore per chi ha dovuto sopportare rovesci di fortuna, e soprattutto per i bambini indifesi, un amore viscerale, intimo, che si traduce in un atteggiamento di pietà e misericordia verso il prossimo. Lo hesed, infine, è legato all'Alleanza; se da un lato, in alcuni passi sembra che la misericordia di Dio verso Israele sia condizionata dall'obbedienza alla legge mosaica (Es 20,6; 34,6; 1 Re 8,23; Is 55,3), in generale emerge la consapevolezza che Dio, in virtù della sua immensa misericordia, perdonerà ogni infedeltà, perché sa comprendere la debolezza delle sue creature ed è disposto a condividerne i limiti (tanto, si potrebbe aggiungere, da inviare il suo unico Figlio per la loro salvezza). Lo hesed di Dio, infatti, è assai più duraturo di quello dell'uomo, e gli consente di mantenersi misericordioso anche quando gli uomini fanno di tutto per distruggere il loro rapporto con Lui (Es 34,6; Nm 14,19; Gr 3,12s). In ultima analisi JHWH stesso è hesed. Il greco eleos, usato nella LXX e soprattutto nel Nuovo Testamento, mantiene più o meno gli stessi significati del termine ebraico, ma sottolinea con maggiore forza la necessità che anche l'uomo assuma un atteggiamento misericordioso. Con eleos si descrive infatti il dovere verso il prossimo, la disponibilità verso i peccatori (Mt 9,13), la rettitudine e la fedeltà nei confronti della legge, pur nella consapevolezza di una necessaria libertà di interpretazione che elimini il rischio dell'intolleranza e dell'intransigenza fondamentalista, l'atteggiamento positivo per il prossimo, simile a quello che ci si può attendere da Dio (Mt 5,7; 18,33); l'amore per gli altri che si traduce in offerta di assistenza (Lc 10,37); la prontezza ne perdonare (di nuovo Mt 5,7; 18,33); l'amore che spinge Dio a dare la vita in Gesù Cristo (Ef 2,4; 1 Pt 1,3). Sintetizzando, si può affermare che se in Dio la misericordia descrive soprattutto l'amore assoluto per il cerato che si concretizza nella volontà salvifica, spinta così "oltre" da produrre l'incarnazione e la morte del suo unico Figlio, nell'uomo essa serve a designare il desiderio di fare del bene, di perdonare, di aprirsi all'accoglienza e all'aiuto dell'altro. Come si può notare, il semplice "misericordia" è una traduzione un po' povera e, forse, il valore immenso di questo concetto rischia di esser un tantino oscuro. Non spetta soltanto a Dio di essere misericordioso. Anche a noi è chiesto di intraprendere la strada della pietà e della compassione, per essere veri cristiani e, soprattutto, veri uomini. Come Maria.

3. Maria, donna di misericordia

«Salve regina, madre di misericordia». Salutiamo così la Vergine, in una delle preghiere più note e recitate del repertorio mariano. Che ne comprendesse o meno il reale senso, di fatto la pietà popolare ha saputo focalizzare fin da subito uno degli aspetti più caratteristici della Madre di Cristo, la sua misericordia, dunque, alla luce di quanto è stato detto finora, la sua capacità di provare compassione e pietà per le persone. Già i vangeli ce la descrivono come una donna che sa condividere; fanciulla da poco in attesa di un figlio, concepito per opera di una potenza più grande di lei, si mette in viaggio verso la montagna per stare vicina alla cugina Elisabetta. Dopo la nascita di Cristo, spartisce con lui le ansie e le difficoltà per una missione difficile e destinata ad una tragica conclusione, condivide con i discepoli le preoccupazioni per un cammino irto di ostacoli, l'incomprensione degli Israeliti, la diffidenza dei parenti, le derisioni, si dona senza remore, accettando di assistere impotente alla morte del suo unico figlio, restando accanto ai suoi seguaci anche dopo che se n'è andato per sempre. Maria ha saputo esser colma di misericordia e ha conosciuto la misericordia di Dio. Medita le Scritture, riflette su ciò che accade e sa che il Padre non dimenticherà le promesse fatte al suo popolo e non farà mancare il suo intervento misericordioso (Lc 1,46-55). Maria sa comprendere e condividere la sofferenza dell'uomo, perché ha sofferto lei stessa il dolore più atroce che possa toccare ad una donna, la morte di un figlio. Per questo i cristiani l'hanno sempre sentita molto vicina.
Oltre ogni discorso teologico, Maria è prima di tutto, nella mente e nel cuore delle persone, una donna, una semplice ebrea apparentemente al di là delle sue forze, una donna coraggiosa che non si è mai arresa e ha saputo affrontare con fiducia e fede tutte le sfide che la vita le ha posto innanzi, diventando così un modello, un esempio da imitare e a cui rivolgersi per chiedere aiuto. Se la compassione è la capacità di patire-con l'altro, di condividerne le sofferenze più profonde, è altrettanto necessario che chi è oggetto di tale sentimento si senta veramente capito, altrimenti l'aiuto non serve a nulla, cade nel vuoto. Ebbene, nei momenti di dolore il cristiano che si rivolge a Maria, si sente davvero capito, compreso, compatito nel senso più vero del termine, perché sa di avere accanto a sé una donna reale, un essere umano che ha saputo destreggiarsi in situazioni complicate usando solo le proprie forze, una persona che ha dovuto affrontare dubbi, incertezze, interrogativi inquietanti, momenti di sconforto e pena..., che ha toccato da vicino il mistero, e si è abbandonata con fede nelle mani di Dio, consapevole che le risposte tanti attese sarebbero infine giunte. Maria non è soltanto la Vergine del manto che accoglie sotto di sé i fedeli impauriti; è, come la definisce Tonino Bello, la donna del primo passo che anticipa ogni nostro gemito e ci soccorre prima ancora che la invochiamo, donandoci così uno stupendo esempio di come la pietà e la compassione debbano precorrere gli eventi, non intervenire dopo che si sono verificati; è una donna di parte, che lotta accanto ai poveri, esaltando la misericordia di Dio, cantata nel Magnificat, insegnandoci la strada per liberarci dall'indifferenza di fronte all'ingiustizia; è una donna di frontiera, perché condivide la sorte di chi vive ai margini della società, nei confini della segregazione e della discriminazione, indicandoci la via per superare la paura del "diverso" ed imparare ad amarlo e rispettano... Maria, donna di misericordia e donna meravigliosa. Che forse dovremmo cominciare a "togliere" dalle icone, pure bellissime, per portarla nella nostra vita, come compagna di viaggio. E forse riusciremmo a capire, di nuovo, il senso profondo della compassione.
 







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