Un articolo di Fr. Ricardo Pérez Márquez.
In un periodo in cui la questione “immacolista” era particolarmente difesa dai francescani e propugnata anche attraverso la committenza di iconografie relative all’argomento, il pittore romagnolo Girolamo Marchesi di Cotignola (1472–1531) eseguì, nel 1512, questa Immacolata Concezione tra i santi Agostino e Anselmo per una chiesa francescana del sammarinese. Nel dipinto, ora alla pinacoteca di San Marino, si riconosce la sagoma della città-repubblica con i monti della Romagna nello sfondo. L’autore ha voluto, inoltre, lasciare un segno tangibile della sua opera, scrivendo il suo nome in un bigliettino sul piedistallo marmoreo su cui è inginocchiata la Vergine.
Il soggetto iconografico ha un forte carattere apologetico e le diverse sentenze, assegnate ai principali personaggi raffigurati nel dipinto, si pronunciano a favore dell’immacolato concepimento di Maria. In primo luogo è Dio stesso a reggere sulla mano sinistra un filatterio dove si legge “non enim prote sed pro omnibus hec lex constituta est”, versetto tratto dal commento di San Girolamo al Libro di Ester (Est 15,3 Vulg.), con il quale si applica a Maria l’esenzione della legge universale della morte. Due padri della chiesa occidentale, inginocchiati a entrambi i lati della Vergine e riconoscibili dai loro nomi, portano nelle rispettive mani altre sentenze. Sant’Anselmo, sul lato sinistro, contempla Maria additandola con l’indice della mano destra, da cui pende il filatterio con la scritta: “non es verus amator virginis qui respuit celebrare festu sue conceptionis”, frase presa da uno dei suoi sermoni (De Conceptionibus Beata Maria), in cui egli difende la festività dell’Immacolata, in linea con la devozione popolare e in contrasto con le disquisizioni teologiche che negavano il fondamento di tale ricorrenza. Dall’altra parte, sulla destra, Sant’Agostino indica Maria e attira l’attenzione su di lei, mentre regge anche lui sulla mano sinistra un altro filatterio contenente un suo famoso pensiero: “cum de peccatibus agitur nullam de Maria Virginis propter honorem Domini volo haberi questionem”. Nella sua opera De natura et gratia, Agostino sostiene che, “per l’onore del Signore”, Maria “non entri assolutamente in questione quando si parla di peccati”. Queste sentenze sono come un dialogo scritto che rimane fisso nel tempo, una sacra conversazione priva di parole, ma ugualmente eloquente nel contemplare il mistero.
Altre due scritte campeggiano alla base di due alberi, un cedro e un cipresso che si innalzano sulla cima di un colle. Attorno al cedro si legge “Mons Libani”, mentre il cipresso reca la scritta “Mons Sion”. Questi due monti fanno riferimento a particolari vicende dell’AT, riguardano la gloria del popolo d’Israele e lo splendore della presenza di Dio. Il cedro e il cipresso, legni pregiati in quanto immuni della decomposizione, furono due piante usate da Salomone per la costruzione del tempio di Gerusalemme (1 Re 6,9.15), e il loro riferimento simbolico a una vita perenne sarà poi applicato alla carne di Cristo, che non subì la corruzione, e a quella di Maria quale nuova arca dell’alleanza. Alberi e monti sono allegoria del divino e della vita che da esso emana; il pittore inserisce questi elementi simbolici, appartenenti al patrimonio dell’antica alleanza, per indicare che la nuova dimora di Dio non risiede più sulla cima di un monte, ma nella carne umana, resa immacolata dalla potenza del suo amore. Nella persona di Maria si adempie la volontà del Padre, che cerca adoratori in “spirito e verità” (Gv 4,23) e che vede nel prolungamento del suo amore l’unico culto a lui gradito (Gv 4,24). Così è raffigurata la Vergine, in atteggiamento adorante, testimone di un amore fedele che, senza il peso della colpa, la rende pienamente disponibile ad accogliere il disegno divino. Il Padre eterno, sostenuto da una schiera di angeli, posa su di Lei il suo sguardo di amore ed effonde la sua benedizione, mentre dalla nube che l’accompagna scende la potenza della sua grazia, raggi di luce e di calore per avvolgere la Vergine. In Maria si genera il nuovo Israele, per questo le figure del cedro del Libano e del cipresso sul Sion si riferiscono alla sua persona, non per la loro grandezza e maestosità, ma per il significato simbolico di fecondità e di forza incorruttibile che essi contengono. Con l’incarnazione del Verbo, Dio non riconosce altra dimora ove manifestare la sua gloria all’infuori dell’essere umano.
Nella lettura del quadro desta attenzione il modo in cui l’artista ha situato i personaggi nella scena pittorica. I due santi vescovi inginocchiati e appoggiati sui loro pastorali, formano con essi una piramide capovolta, un triangolo il cui vertice tocca per terra, mentre la base si apre in alto verso il cielo. La Vergine è contenuta in questa figura geometrica, una cornice adatta per mostrare l’Immacolata Concezione come annuncio di un’umanità sulla quale non pesa la macchia del peccato ed è innalzata al cospetto di Dio. In Maria si prefigura la società nuova del Regno del Padre, in cui gli ultimi diventano primi (Mc 10,31) e dove i rapporti di dominio e di sottomissione sono sostituiti da quelli del servizio e dell’uguaglianza. Nell’Immacolata il Verbo trova accoglienza, il Dio inaccessibile si fa vicino e solidale con la persona umana. Presentandosi come la serva del Signore (Lc 1,38), Maria scoprirà la grandezza di questo Dio che è venuto a servire e non a essere servito (Mt 20,28). Anche i santi padri, inginocchiati, manifestano un atteggiamento di docilità e di umiltà, nonostante le sontuose vesti che sono segno del loro rango ecclesiastico. Contemplando Maria essi lodano insieme il Padre, la cui presenza si può esperimentare solo impegnando la propria vita per il bene degli altri, in un servizio generoso svolto per amore che libera da ogni peccato e rende, come la Vergine, santi e immacolati (Ef 1,4).