La ''Madonna del Latte'' nell'arte di alcuni secoli
Data: Giovedi 30 Giugno 2016, alle ore 11:28:28
Argomento: Arte


Dal volumetto del Ministero della Salute, La Madonna del Latte. L’allattamento attraverso le immagini dell’arte, con temi iconografici e testi a cura della prof.ssa Aurora Russo Liceo Artistico ISA Roma.



All’immagine di Maria “Regina dei Cieli” o “Basilissa” (direttamente derivata dal cerimoniale della corte dell’impero romano d’oriente), si affianca quella della “Madonna del Latte”. Del resto S. Luca aveva da sempre sottolineato questa caratteristica tutta umana di Maria quando dice: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno che ti ha allattato” (Luca 11, 27). Questa iconografia si diffonde a partire dal XII secolo e molti artisti ne hanno dato varie versioni. Con l’immagine della Madonna del Latte il mondo cristiano si arricchisce di una connotazione più popolare, meno aulica che, rappresentando Maria nel momento più intimo del rapporto con suo Figlio, la rende più confidenziale, più terrena e quindi più vicina ai fedeli. Il culto della Madonna del Latte si diffonde soprattutto nelle campagne, dove le donne più umili sentivano più forte la necessità di allattare e crescere i propri figli. Tra le dame benestanti questa pratica invece era avversata, si preferiva mandare i figli a balia, sia per non perdersi gli svaghi della vita di corte, sia per non affezionarsi ad un bimbo che, all’epoca, aveva poche possibilità di arrivare all’anno di vita. Il gran numero di gravidanze servivano proprio per “rimpiazzare” quelli che non ce la facevano. La necessità di un erede vedeva le donne relegate al ruolo di semplici fattrici, proibendo di fatto loro la possibilità di essere anche madri. Certo non era così per tutte, ma la stragrande maggioranza delle donne benestanti seguiva questa prassi.

1. La "Madonna del Latte" nel Trecento



Nel Trecento, tra gli artisti che meglio hanno interpretato il ruolo di Maria come madre va ricordato Ambrogio Lorenzetti. Pittore senese, attivo nella prima metà del ‘300, con il suo stile, lontano dal realismo giottesco, ha creato le Madonne più affettuose e tenere dell’epoca. Ambrogio è riuscito a cogliere il momento più tenero ed originale del rapporto madre-figlio, come si può vedere ammirando la sua Madonna del Latte dipinta intorno al 1320 ca. Tipica dell’arte di Ambrogio è proprio questa personale rielaborazione iconografica dei temi sacri, con composizioni nuove dove cercherà sempre di evidenziare l’atteggiamento sentimentale dei personaggi.

Nello stesso periodo lavora anche lo scultore Nino Pisano, figlio di Andrea, l’autore dei rilievi del campanile di S. Maria del Fiore e capomastro del Duomo di Orvieto. Nino, diversamente dal padre più interessato al linguaggio giottesco, segue le formule convenzionali dello stile gotico creando figure sinuose, manierate. Convenzionali appaiono anche gli atteggiamenti e le espressioni che rendono superficiali il rapporto patetico delle sue numerose Madonne. Tra queste si distingue però la Madonna del Latte della chiesa di S. Maria della Spina a Pisa. Forse la novità del soggetto ha dato all’artista lo spunto per una più profonda indagine psicologica, tanto che alcuni studiosi la ritengono opera del padre. Le linee sinuose del panneggio, insieme alla colorazione del marmo, danno all’insieme un effetto quasi pittorico, che mette in risalto il bimbo aggrappato al seno materno. Sul seno e sulla suzione si accentra l’attenzione dello spettatore. Suzione che avviene sotto lo sguardo tenero e amorevole di Maria.

2. La "Madonna del Latte" nel Quattrocento



Il culto della Madonna del Latte si fa meno presente in città, mentre rimane vivo nelle campagne. Ne sono un esempio i vari santuari che nascono o che si ampliano, tra i quali quello recentemente restaurato della Chiesa della SS. Annunziata a Magliano (Grosseto). La chiesa fu costruita ampliando un piccolo oratorio dedicato alla Madonna del Latte. Qui, nel XV secolo, il senese Neroccio di Bartolomeo realizzò una serie di affreschi. Suo è anche il dipinto dell’altare maggiore con la Madonna del Latte. La tavola oggi conservata è un frammento di un polittico di dimensioni maggiori, come testimonia la mano che offre un pomo d’oro che si vede a sinistra della Vergine. Qui l’artista, con la scelta di collocare la figura su uno sfondo architettonico, dimostra di aver appreso le novità fiorentine. Il dialogo madre-figlio non risulta assolutamente evidenziato, la Madonna non ricambia lo sguardo del figlio, forse perché conscia del sacrificio che l’attende.



 In un altro contesto si muove invece la “Madonna Lucca” di Jan van Eyck (Museo di Francoforte). La Madonna viene detta Lucca perché nel XIX secolo faceva parte della collezione di Ludovico di Borbone, duca di Parma e Lucca. La critica data l’opera al 1436 e viene considerata una delle ultime opere realizzate dal pittore fiammingo. La scena è ambientata all’interno di una stanza. Maria guarda amorevolmente il figlio che la ricambia. Il gesto affettuoso però passa quasi in secondo piano, perché l’occhio dell’osservatore è catturato da tutti i particolari che l’artista ha inserito: il tappeto e il manto rosso della Vergine. Il tappeto e la gran quantità di stoffa usata per il manto sono sinonimi di ricchezza, qui non si vuole far risaltare la mamma bensì la Regina. Inoltre, il mantello e il trono su cui la Madonna siede sono i mezzi che l’artista usa per comunicare che conosce le regole prospettiche, allora poco diffuse nei Paesi Bassi.

Tra le Madonne del Latte del XV secolo, va annoverata anche l’opera dell’unico artista degno di nota che il Lazio ha avuto in quegli anni, Antoniazzo Romano. Attivo soprattutto in patria, ha lasciato molte opere tra le quali appunto La Madonna del Latte di Rieti , databile alla fine del XV sec. Nella realizzazione del trono, nelle dimensioni dei corpi, l’autore ha messo in pratica le regole compositive del Quattrocento, ma quando ritrae il fedele in preghiera, di dimensioni minuscole rispetto alla Vergine, dimostra di essere ancora legato a convenzioni medioevali.

Di tutt’altro livello appare invece la Madonna del Latte di Andrea Solario (Milano 1470 ca. – 1524). L’artista in età giovanile aveva studiato a Venezia le opere del Bellini, per interessarsi poi al lavoro di Leonardo. Nella sua opera, meglio conosciuta come “La Madonna dal cuscino verde” (1507-Museo del Louvre), assistiamo ad una scena che fa tornare in mente Ambrogio Lorenzetti. Madre e Figlio sono soli, il loro legame è sottolineato dall’intenso scambio di sguardi. Il bimbo, ritratto mentre gioca tranquillamente con il suo piedino, toglie al dipinto ogni sacralità e rende partecipi del momento che sta vivendo. L’aver utilizzato poi un cuscino come base d’appoggio per il neonato risulta una novità per l’arte italiana e consente all’artista di sfoggiare la sua bravura nella resa dei tessuti, bravura ereditata sicuramente dalla scuola veneta. Il sottile chiaroscuro che abbraccia le figure ricorda le atmosfere leonardesche.

Allo stesso Leonardo è stata attribuita una Madonna del Latte, la “Madonna Litta” (Figura n.7), che per una parte della critica sembrerebbe però essere più opera di un allievo, il Boltraffio.

3. La "Madonna del Latte" nel Cinquecento



Nel Cinquecento continua la produzione di Madonne del Latte, basti pensare alla Madonna del Durer, morbida e “burrosa” dei primi del ‘500 del Kunstistoriche Museum di Vienna o all’imponente trittico del Giovenone del 1516 a Vercelli.



Anche Michelangelo si cimentò con questo tema, dandone però un’interpretazione personalissima. Nel 1521, l’artista riceve l’incarico di decorare la Sacrestia Nuova della Chiesa di S. Lorenzo per realizzare la cappella medicea. Tra le sculture da lui progettate ed iniziate, troviamo una Madonna che allatta suo Figlio, detta “Madonna Medici”. Nel 1534, quando Michelangelo si trasferisce definitivamente a Roma, l’opera non è ancora finita e così appare ancora oggi. Qui l’artista dà all’insieme una nuova impaginazione, niente rapporto madre-figlio, niente sentimentalismo estremo. Il blocco presenta due figure avvinghiate: Maria, con lo sguardo fisso davanti a sé, a stento regge un bimbo possente che si rivolta verso di lei per afferrarle il seno. Con lo scatto del bimbo l’artista sembra quasi voler evidenziare il tentativo del Bambino di fuggire alla sua sorte, sorte ben chiara purtroppo alla Madre. Le cronache raccontano che Michelangelo, mandato a balia dalla moglie di uno scalpellino, amava dire che la passione per la scultura probabilmente l’aveva appresa succhiando il latte di quella donna e che con esso, aveva assorbito anche un po’ di quella polvere di marmo che tutte le sere suo marito riportava a casa.

4. La "Madonna del Latte" nel Seicento

Con il Seicento la Chiesa Cattolica ha nuovamente riaffermato la sua autorità in quasi tutta l’Europa, grazie al lavoro dei missionari è arrivata anche nei nuovi territori scoperti in quegli anni. È nuovamente trionfante e all’immagine della madre affettuosa si preferisce quella della Regina dei Cieli. Le Madonne seicentesche tornano in cielo, avvolte da nubi dorate ed angeli. Esistono comunque delle eccezioni, la devozione popolare richiede ancora questo soggetto, ne sono un esempio le Madonne dipinte da Orazio Gentileschi, tra le quali ricordiamo la Madonna che amorevolmente allatta il suo Bambino durante Il Riposo della fuga in Egitto (1625-26 Kunsthistoriches Vienna). Il quadro è organizzato come una rappresentazione teatrale: S. Giuseppe stremato dalla fatica dorme profondamente. La sua presenza non disturba ciò che accade tra Madre e Figlio. La Madonna, rilassata, guarda il figlio che tiene amorevolmente tra le braccia. Soggetto principale della scena è il Bambino, l’unico che, come se si rendesse conto di essere guardato, ricambia il nostro sguardo.

 







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