Maria Assunta, icona perfetta di umanità compiuta
Data: Domenica 14 Agosto 2016, alle ore 18:05:19
Argomento: Dogmi


Da Michele Giulio Masciarelli, Maria icona perfetta dell'umanità pervenuta per grazia al suo compimento, in AA. VV., L'Assunzione di Maria Madre di Dio. Significato storico-salvifico a 50 anni dalla definizione dogmatica, PAMI, Città del Vaticano 2001, pp. 415-431 (tutto il testo 376-431).



I. Maria, icona di umanità compiuta, quale creatura glorificata nella sua personalità trinitaria

1. Un 'esistenza avvolta dal mistero trinitario

L'affermazione antropologica fondamentale in prospettiva trinitaria è quella che pensa l'uomo come creatura Trinitatis: questa verità è multidimensionale e pretende perciò un molteplice discernimento che ne faccia emergere tutte le dimensioni misteriche, fra le quali - dovrà essere dimostrato - è prevedibile vi sia anche quella mariana. L'esistenza umana è avvolta dalla Trinità. La creazione, atto del Dio trinitario, implica in modo irrinunciabile tale 'avvolgimento': e, fra l'altro, un'implicazione della creazione intesa come atto continuo. L'avvolgimento necessario, dunque, eppure esso non distrugge la libertà di essere della creatura, ma piuttosto la fonda, rendendola possibile e sostenendola di fatto. Quell'avvolgimento trinitario si intrapone, pertanto, fra necessità e dono: due parole opposte ma simmetriche e omogenee, da non intendere, la prima nell'ordine ontico-metafisico, e la seconda nell'ordine etico-personologico: l'una e l'altra dicono costitutivamente chi sia I'uomo.
        1) Maria e il suo incontro ineludibile con la Trinità
        «Dio ci viene incontro ineludibilmente come esigenza, dono e invito efficace perché egli è "anzitutto in se stesso" colui che puà venire incontro in questo modo; perché egli è da sempre, dall'eternità persona non nell'accezione finita in cui lo è un uomo ma nel suo modo proprio, specifico, infinito»125. Esigere, donare, invitare: queste tre operazioni esprimono la trinitarietà dell'operare divino. «Dunque, Dio come esigenza, Dio come dono, Dio come "invito efficace" sono i modi in cui incontra l'uomo, così che l'uomo non può sottrarsi a lui e che nessun'altra realtà diventa per l'uomo inevitabile, essendo egli libera persona e come tale avendo in sé il rifugio ultimo di fronte a tutto e a tutti nel mondo»126. Il Padre è colui che esige, cioè colui che ha diritto sull'esistenza umana e non è tenuto a fare di sé il dono per noi. In termini mariani: la Vergine-Madre è creatura Trinitatis, ma, attivando l'appropriazione, possiamo dire che essa fontalmente ha ricevuto dal Padre quanto ha come creatura umana, come creatura elevata alla dignità filiale, come madre e socia del Salvatore. Il Figlio è Dio come dono per noi. Ma colui che esige, o l'esigenza stessa, è Dio tutt'intero; come pure colui che dona, o il dono stesso, è Dio tutt'intero. Questo significa che il Padre e il Figlio sono una cosa sola. Ebbene, al Padre che si pone come esigenza Maria risponde col radicalismo dell'obbedienza; al Figlio che si pone come dono si rapporta col radicalismo dell'accoglienza; allo Spirito che si pone come libertà o come «invito all'incontro» corrisponde col radicalismo della disponibilità. Il Dio trinitario entra creazionalmente in rapporto con le due coordinate ontiche: la sua dimensione necessaria e la sua dimensione libera: egli esige l'uomo e dona se stesso all'uomo: questa situazione complessa di esigenza-dono significa che non ci si può sottrarre a Dio, proprio mentre si è chiamati ad un rapporto di liberissimo amore con Lui. «Dio non solo esige, ma anche dona ciò che esige; anzi dona la libertà di accogliere il suo dono. Se questo è vero, allora vuol dire che egli stabilisce con l'uomo un incontro ineludibile, quale non può verificarsi con nessun'altra persona»127. Maria ha due implicazioni in questo incontro ineludibile e trinitario che Dio intrattiene con l'uomo:
- a livello oggettivo essa ha contribuito al formarsi dell'economia dell'incontro trinitario di Dio con gli uomini, poiché questa economia è incarnazionale, ed avendo partecipato, con mediazione materna al farsi dell'evento Cristo;
- al livello soggettivo Maria è entrata in maniera intima, con attrazione particolarissima della grazia e con disponibilità totale nel circolo de tale dialogo trinitario.
        2) La personalità trinitaria di Maria
        Parlare di creatura Trinitatis e di personalità trinitaria significa porre la Trinità al centro dell'antropologia, intesa come verità esistenziale dell'uomo128, come verità religiosa dell'uomo129, come verità etica dell'uomo130, come verità escatologica dell'uomo131. La trinitanietà la si intende porre come principio fondamentale dell'esistenza di ogni uomo, evidentemente anche del non credente, per il convincimento di fede, che certamente non può essere fatta valere con una procedura integralistica132.
                a) Un Dio trinitario per un uomo trinitario.
                Benché possiamo dirlo solo grazie alla Rivelazione, la trinitarietà ci appare come l'unico modo di pensare Dio e l'uomo133. Vista da questa angolazione, la Trinità è una delle visioni più profonde e più universali che l'uomo può avere di se stesso e di Dio, della Creazione e del Creatore. Rappresenta una delle istanze basilari alla radice della nostra situazione umana, in stretto rapporto con l'esigenza di una società più giusta e di una personalità più integra134. La realtà dell'uomo si realizza per intero tra unità e diversità; conseguentemente, la sua peggiore contraffazione si pone ancora tra gli stessi poli, che si alterano quando s'allenta o si spezza la forza unitiva dell'«e». Un uomo concepito all'insegna della sola unità cadrà nelle trappole dell'isolamento narcisistico; un uomo concepito nell'ottica della sola diversità finirà irretito nelle trappole della dispersione alienante. La prospettiva trinitaria tiene lontani da queste due mortali cadute ed apre all'uomo la strada del pieno dispiegamento delle sue virtualità di creazione e di grazia, le sue dotazioni carismatiche, le sue consegne vocazionali, i suoi doveri ministeriali. «La varietà degli esseri, inclusa la differenza teologica fra in divino e il "creato", o tra Dio e il Mondo, non dovrebbe eclissare l'unità fondamentale della realtà. E nell'esperienza umana della persona che noi troviamo una chiave per questo mistero dell'unità e della diversità ed e la Trinità che ci offre un modello ottimo di questa onnipenetrante costituzione della realtà. La persona non è né una unità monolitica né una pluralità disarticolata. Parlare di una persona singola, isolata, è una pura contraddizione. Il termine "persona" implica una relazione costitutiva: la relazione espressa nelle persone pronominali»135.
                b) Maria e la sua personalità trinitaria.
                Sulla premessa di fondo che «la personalità una e trina di Dio è 1...] il costitutivo ultimo della personalità umana, finita»136, Si può operare il passaggio al tema mariano. Dio ha disegnato la sua icona trinitaria nella persona e nell'opera di Maria. Quest'affermazione impegnativa, per essere e restar vera, ha bisogno di venir contestualizzata rigorosamente e costantemente all'interno della verità creazionale, che è anch'essa verità trinitaria. Maria, dunque, è creatura trinitaria e, perciò, ha personalità trinitaria, i cui segni distintivi sono l'unità, la profondità, la capacità di trascendenza, l'apertura comunionale. Maria è creatura in cui la Trinità ha lavorato per trasformarla a sua immagine e somiglianza: e stata «dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura»137. L'effetto di questa plasmazione e di questa creazione nuova è trinitario: «Santificata dallo Spirito e da lui intimamente dedicata a Dio, Maria divenne tempio del Signore, talamo riservato a! Verbo, sacrario dello Spirito»138.

2. Maria dentro la gloria trinitaria

L'evento Maria, in nessun passaggio della sua esistenza e della funzione materna, e comprensibile senza riferimento alla Trinità e ad ognuna delle tre divine Persone. In positivo, il mistero mariano, pur essendo un frammento della salvezza, si mostra così denso da rivelare con larghezza e profondità di senso la gloria trinitaria, poiché l'autorivelazione di Dio, che è l'imperscrutabile unità della Trinità, e contenuta nelle sue linee fondamentali nell'Annunciazione di Nazaret. Al massimo, però, la trinitarietà dell'esistenza di Maria si ha nella gloria pasquale pentecostale, esperimentata nella fede sia pure come punto apicale del dinamismo misterico139 e, poi, nella gloria del Cielo trinitario, quando il legame filiale con il Padre, il rapporto materno con il Figlio, la comunione sponsale con lo Spirito si dilatano, si accrescono e si illuminano al massimo nelle larghezze, nei vertici, nell'intensità della gloria trinitaria, ormai svelata e manifesta.

3. La grazia dell'inizio e la grazia della fine
Maria, con I'Assunzione, ha ricevuto dal Padre la gloria meritatagli dal Figlio Risorto, ponendosi come permanente icona del Cielo trinitario; ha ricevuto la consegna della mediazione materna, che esercita anche in Cielo, ponendosi come permanente icona della creatura Trinitatis, che imita il movimento eterno dell'amore nella sua sorgività (Padre), nella sua recettività (Figlio), nella Sua reciprocità (Spirito).
                a) La Madre messianica nella Casa del Padre.
                Il Padre è all'origine di tutta l'opera salvifica e deIl'inserimento di Maria in essa. Di quella storia egli è il vertice e il fine: la grazia di Maria, perciò, viene dal Padre e porta al Padre. Maria è stata assunta: non si è autoelevata in cielo; non è ascesa al cielo per forza propria. Occorre perciò indicare il soggetto attivo dell'Assunzione, se vogliamo comprendere e spiegare, nella fede, l'ultimo privilegio mariano. Quel soggetto attivo è il Padre. E' lui che ha chiamato e portato in cielo la Madre del Figlio. L'Assunzione è tema immediatamente mariano, ma fondamentalmente è tema teologico, nel senso che è una delle iniziative del Padre su Maria. La Vergine riceve la grazia deIl'Assunzione, come aveva ricevuto quelle dell' Annunciazione, dell'Immacolata Concezione, della maternità divina. L'Assunzione, iniziativa del Padre, conferma in modo plastico che nel cristianesimo non esiste 1'autoredenzione e, perciò, neppure 1'autoglorificazione. Maria non si è autoredenta (è il senso delI'immacolata Concezione); perciò non si è neppure autoglorificata (è il senso dell'Assunzione). L' Assunzione, perciò, contiene un' affermazione radicale: il cristianesimo è dono.
                b) Al fianco del Figlio glorificato.
                Con l'Assunzione, Maria raggiunge il Figlio nella gloria, dopo che l'aveva seguito nell'umiltà della condizione storica, il cüi limite estremo era stata la vicenda della crocifissione. Maria va in cielo a congiungersi al Messia glorioso, poiché essa è per sempre la Madre messianica. Entra in cielo come primizia deli' evento pasquale-pentecostale, come primo frutto della redenzione, come anticipo della glorificazione di tutta la Comunità ecclesiale. La logica dei misteri spiega perché Maria è con il Cristo alla destra del Padre: perché la kenosi si risolve nella gloria conservando i rapporti che aveva espressi nel tempo della salvezza: l'unione inseparabile fra Maria e Cristo. La presenza di Maria al fianco del Cristo in cielo e, perciò, il segno estremo della fedeltà caritativa di Cristo a sua Madre e della disponibilità della Madre a seguire il Figlio.
                c) L'abbraccio sponsale dello Spirito.
                Con l'Assunzione Maria porta a perfezione il suo rapporto d'intimità con lo Spirito, proprio perché lo Spirito completa la sua opera in lei. Riscattata dallo Spirito che animava suo Figlio, Maria è trasformata in un'immagine sempre più gloriosa del Signore, «come conviene all'azione del Signore che è Spirito» (2 Cor 3,18). Lo Spirito, che ha vivificato il corpo di Maria per renderla madre, ha continuato a vivificarla e a produrre in lei la glorificazione. In tal modo lo Spirito che ha suscitato la maternità in Maria, 1'espande e la completa, fino a farle raggiungere, dopo la forma martiriale, la forma gloriosa della maternità. L'Assunzione conclude la maternità di Maria, lasciando che lo Spirito informasse pienamente quel corpo che aveva fecondato. Lo Spirito, pertanto, non è l'agente occasionale dell'Incarnazione; egli agisce in tutta l'opera della redenzione e perciò anche in ogni ora della Maria icona perfetta deIl'umanità

IL. Maria, icona di umanità compiuta, quale donna messianica glorificata nel triplice «munus» di vergine, sposa e madre

    1. la Glorificata è imitabile
   
Come per tutti gli altri privilegi mariani, anche per l'ultimo che ha connotato l'esistenza della Vergine-Madre vale la stessa considerazione: ciò che è di Maria in modo eminente deve diventare anche di noi, sia pure in forma solo parziale. La nostra «assunzione» sarà la nostra glorificazione finale. Ma da ora fino ad allora, questa grazia mariana ci trova estranei? In altre parole: che significa, oggi, essere «assunti» a imitazione di Maria?
        1) L'invito a guardare «in alto»
        L'Assunzione è l'elevazione di Maria al cielo, e si capisce allora che essa ci chiama a guardare «in alto»: là dove è Dio, là dove è Cristo, là dove è anche Maria. L'Assunzione è, pertanto, invito pressante alla contemplazione: a puntare lo sguardo al monte su cui Dio abita, anzi al «Dio-monte», al «Dio dei monti» (cfr 1 Re 20, 23.28). Questo certamente non significa un contestuale invito a disimpegnarci dall'agire per animare cristianamente il mondo; tuttavia dalla contemplazione dell'Assunta discendono almeno tre conseguenze.
                a) Vincere la febbre dell'attivismo.
                L'uomo d'oggi si sente ansiosamente responsabile della propria vita e del mondo che lo circonda; trova inutile il silenzio, fastidioso il distacco dall'agire frenetico, superfluo e ingenuo i'esercizio della ricerca interiore, mentre proprio l'attività sulle cose, senza l'attività di ricerca interiore pericolosa e fuorviante. L'Assunzione ci chiama a staccare lo sguardo basso dalle opere della nostre mani perché esse non diventino idoli.
                b) Superare il terrestrismo.
                L'uomo d'oggi vive pressoché ingolfato nelle realtà terrestri, dimenticando che esse sono realtà penultime e provvisorie; egli le tratta come se fossero realtà ultime e definitive, mentre opera una specie di sacralizzazione della storia e del mondo. Per lui è l'ironia di Michele Federico Sciacca (1908-1975): «Io con la storia mi accendo la pipa»140; per lui è anche l'ammonizione di Jacques Maritain (1882-1973): quella di non piegarsi mai ad un sacrilego «inginocchiamento al mondo»141. L'Assunzione ci chiama a coltivare desideri che oltrepassino i recinti opachi dei cimiteri.
                c) Guarire l'antropologia unidimensionale.
                L'uomo d'oggi coltiva spesso una concezione unilaterale dell'uomo; lo pensa per solito a una sola dimensione, che, poi, è quella corporea; da qui la cultura dell'effimero, l'edonismo, il vitalismo che formano come i fili forti (o meglio i fili unici) di un'antropologia unilaterale e, potremmo dire, tanto spropositata da apparire mostruosa. L'Assunzione ci chiede di pensarci come uomini interi, ossia come spiriti incarnati e come corpi spirituali.
        2) L'Assunzione invita a guardare «avanti»
        E' dalla fine che si capisce tutto il cristianesimo. E' dalla fine che si capisce quale proposta di salvezza è proporzionata all'uomo e quale invece non lo è. L'uomo è un essere di futuro: tutto lo spinge in avanti: la dinamica inarrestabile dei suoi desideri, il misterioso «principio speranza», il suo inguaribile «inquietum cor», su cui finemente riflette S. Agostino142.
                a) L'Assunzione provoca at futuro il cristiano e la Chiesa.
                L'Assunzione ci aiuta a discernere, fra le molte dimensioni del cristianesimo, quelle che sono essenziali: tra queste, c'è il decisivo evento escatologico. Tutta la verità cristiana, infatti, è concentrata nel futuro, è in vista del futuro ultimo; in estrema sintesi, solo ciò che è vero fino alla fine, cioè come soluzione dei nostri problemi definitivi, merita di essere coltivato con carità radicale, con fedeltà piena, con spirito martiriale. L'Assunzione ci presenta il cristianesimo come religione del futuro assoluto. Perché tale, il cristianesimo è capace di rispondere all'interrogativo estremo dell'uomo: Dove andremo a finire? La risposta cristiana a questa domanda non è ideologica o teorica e, meno ancora, verbosa; essa è concreta. Suona così: Andremo a finire dove è finito il Risorto, cioè alla destra del Padre; andremo a finire dove è finita Maria di Nazareth, cioè alla destra del Risorto. Secondo la bella e ormai assimilata espressione di L. Bouyer, la Chiesa è icona escatologica della Chiesa. Nella Vergine glorificata con Cristo, la Chiesa in marcia verso la parusia realizza già il compimento del suo mistero. In questo primo membro, che non ha cessato di precederla, essa raggiunge il suo termine, il suo riposo e la sua pienezza: la presenza corporale definitiva presso Cristo risorto. Definendo il dogma dell'Assunzione, Pio XII ha voluto proporre alla Chiesa un pegno rinnovato di speranza.
                b) L 'Assunzione provoca al futuro 1 'uomo senza radici.
                L'uomo d'oggi consuma la sua esistenza nel quotidiano; egli pone ormai le sue scelte nella breve terra dell' oggi, senza pretendere che esse debbano venir da lontano (assenza della tradizione) o debbano portar lontano (assenza di escatologia). All'uomo d'oggi basta il presente, con il suo piccolo carico di gioie e di dolori, con quant'altro entra nelle stette stive di una nave che solca un mare senza orizzonti lunghi. Ora il cristianesimo, anche con 1'Assunzione, dinanzi all'uomo d'oggi che ama raccontarsi come un essere senza radici e senza promesse, mostra il coraggio di chiamare a non aver paura del futuro, a riassumerlo con fiducia, a interrogarlo con radicale rigore. In tal modo il cristianesimo pensa che si potranno smascherare:
- la pretesa di un futuro senza passato e senza presente, che non spiegherebbe ne da dove nasce ne come si nutre la forza propulsiva della sua speranza e, meno ancora spiegherebbe il perché della proiezione della vita verso un futuro che, a queste condizioni, non pub non mostrarsi che indeterminato e anonimo;
- la pretesa di un passato senza presente e senza futuro, che reca con sé l'equivoco irrisolto di aver mitizzato un brano del tempo (il passato, appunto) mentre non rende conto di aver operato lo svuotamento valoriale nei confronti del presente e del futuro;
- la pretesa di un futuro solo utopico, il cui troppo debole vettore di speranza non può che conficcarsi, con caduta assai infelice, nei cimiteri degli uomini;
- la pretesa di un presente senza passato e senza futuro, la cui condizione «verginale», ossia di tempo incontaminato (perché senza legami né con il passato compromesso e fallito né con il futuro ritenuto ormai impossibile), non giustifica il suo valore e non lascia intendere quanto possa durare.
Su quest'ultimo punto, in un modo del tutto speciale, la riproposizione da parte del cristianesimo dei suoi misteri intrisi di escatologia (tra questi è 1'Assunzione) vuol far sentire la sua stimolazione, ad un tempo critica e incoraggiante.
                c) L'Assunzione provoca al futuro l'uomo senza promesse.
               
L'uomo d'oggi, convinto di disporre e di poter far uso solo di un «pensiero debole», non crede alla possibilità di futuro. Egli coltiva il presente, quale unico tempo di per sé possibile, quale unico tempo di cui è capace. Oggi - nel convincimento di tanta cultura dominante - saremmo alla fine delle grandi narrazioni, alla fine dei grandi progetti, alla fine stessa della storia: saremmo capaci dell' amministrazione pura e semplice del presente, mentre null'altro sarebbe possibile ideare, volere, sognare. E' un fatto che gran parte degli uomini d'oggi sono scivolati dentro l'anello del nichilismo, che è filosofia debole, ma che purtroppo ha certamente la forza di stringere al collo la «bambina speranza», di cui Maria icona perfetta dell'umanità parlava Peguy, e di soffocarla. Ma nemmeno agli uomini di questa generazione la Chiesa ha smesso di parlare; lo fa in più modi: con il magistero articolatissimo e sfumato del Concilio e degli ultimi Pontefici; lo fa, soprattutto, con la riproposizione dei misteri cristiani, che hanno una interiore forza di convincimento dovuta alla loro straordinaria carica di grazia. Così, lo fa anche per mezzo dell'ostensione di fede dell'Assunta.
        3) L'Assunzione ci interroga sullo stato della nostra gioia
        C'è una vena di tristezza che connota la nostra ora storica, ed è così profonda da non poter essere nascosta dal frastuono del suo vitalismo. L'epoca contemporanea, malgrado tutto e nonostante tutto, è un'epoca triste. La sua è una tristezza che ne segna vistosamente il volto fino a contraddistinguerla. La nostra epoca, fra l'altro, sara ricordata come un'epoca che ha conosciuto la tentazione della disperazione.
                a) I segni della tristezza sul volta del mondo.
                C'è nell'Occidente del Novecento una venatura amara nella vita privata, nella vita sociale e politica, e perfino nella cultura: Bodelaire, Mallarmd, Camus, Gide, Berbanos, Pavese, Tomasi di Lampedusa sono solo alcuni nomi di quel filone nerastro della sua letteratura che tinge di tristezza il frontespizio del tempio della cultura contemporanea. Senza dire delle correnti malinconiche, tristi, disperanti della filosofia, che in tanta parte è filosofia nichilista o comunque della crisi della ragione. Tristissimo, poi, è lo scenario se guardiamo all'ambito socio-politico su scala planetaria: sono vistosi i segni di tristezza causati dalla fame e dalla guerra sul volto dei popoli, specie su quello dei cosiddetti «popoli ultimi». C'è oggi una «difficoltà a dir di si», affermava qualche anno fa J. B. Metz. Si constata una marcata indisponibilità alla gioia, e ciò nonostante le ostentazioni vitalistiche del nostro tempo, e nonostante le grandi vittorie che l'uomo d'oggi indubbiamente si è date in campo scientifico e tecnologico. Ma, paradossalmente, tanta parte della tristezza patita dall'uomo contemporaneo dipende proprio da quelle «vittorie»: basti il solo cenno al guasto ecologico per intenderci.
                b) L'Assunzione sfida alla gioia.
                La Chiesa osserva ed è preoccupata. Essa sa che nel lungo elenco dei «prodotti» dell'Homo faber di oggi non si trova la gioia. Si constata, fra l'altro, una tacita confessione di debolezza e d'impotenza da parte di una civiltà che pure mostra di poter tanto; basti pensare all'incapacità della nostra civiltà a fronteggiare serenamente la morte, intorno a cui non sa fare altro che organizzare una specie di congiura del silenzio. Scriveva Paolo VI oltre vent' anni fa: «La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d' altronde. E' spirituale»143. Ora, di fronte a questa profonda e vasta tristezza che permea dei suoi neri umori un'intera epoca, la Chiesa sente di dover reagire: presenta, anzitutto dinanzi ai suoi occhi, ma anche in faccia al mondo, un segno di speranza, ed è Maria Assunta: «La solennità del 15 agosto celebra la gloriosa Assunzione di Maria al cielo: è, questa, la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla Chiesa e all'umanità l'immagine e il consolante documento dell'avverarsi della speranza finale: ché tale piena glorificazione è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli»145.

ILI. La Glorificata chiama a reponsabilità escatologiche
Il dedicarsi alla ricostruzione dell'orizzonte escatologico non significa imboccare la strada di un «escatologismo inoperoso», che è «l'atteggiamento tipico di chi sul piano religioso, vive solo di attesa delle realtà ultime, stanco e contrariato dalle lotte contro il male, sia interno che esterno ala cuore umano»146. La realtà escatologica va testimoniata nella storia a livello singolare e a livello comunitario. Maria, donna di futuro perché vive l'escatologia della gloria, richiama anzitutto i cristiani a riassumere l'escatologia come 'oggetto' di contemplaziône e come orizzonte di azione, in altre parole a riporre l'escatologico nell'ordine di ciò che è essenziale; in estrema sintesi, solo ciò che è vero fino alla fine, cioè che è soluzione definitiva dei problemi, merita di essere coltivato con carità radicale, con fedeltà piena, con spirito martiriale. Lo stato di glorificazione escatologica in cui Maria si trova - notava p. Meo - «non è una realtà alienante per il popolo di Dio in cammi, ma uno stimolo ed un punto di riferimento che lo impegna nella realizzazione del proprio cammino storico verso il perfezionamento escatologico finale»

        1. Dimensioni mariane della testimonianza escatologica

Da Maria, quale donna di futuro, i cristiani, oltre a ricevere una forte sollecitazione a rianimare la grazia escatologica per se stessi, traggono impulso anche per testimoniarla dinanzi al mondo: in concreto, da tre dimensioni maggiori dell'esistenza mariana (verginità, sponsalità, paternità) deducono tre speciali modi di essere presenti nella storia.
            a) Vivere la storia in modo verginale (o nell'affidamento).
            C'è uno stile verginale d'impegnarsi nella storia: è caratterizzato dalla fede che porta a concepire la Storia anzitutto come un tempo di grazia e di provvidenza, come un'intrapresa di salvezza guidata da Dio. Tale stile privilegia la sobrietà intellettuale, la povertà dei mezzi, il distacco ascetico, la contemplatività, I'esperienza del deserto. Come la persona vergine non si affida ad appoggi umani, così il cristiano che adotta il modulo verginale- mariano interpreta la storia dalla parte di Dio e vi agisce confidando anzitutto su di lui. Vivere la storia in modo verginale significa viverla come luogo e tempo delle promesse divine. Concepire la presenza nella storia in modo verginale corrisponde ad averne una concezione kairotica, cioè come tempo per l'esercizio della carità del Dio tninitario148: come tempo della provvidenza del Padre, come tempo della signoria pasquale del Figlio, come tempo della consolazione pentecostale dello Spirito. Solo chi considera l'intera storia come kairotica, può starvi in modo verginale, nella coscienza di fede di far parte della storia in cui altri è Signore.
            b) Vivere la storia in modo sponsale (o nella reciprocità).
            Il modo sponsale con cui il cristiano può essere presente nella storia si esprime attraverso un approccio positivo alla realtà mondana e temporale, vista come segno di una carità gratuita di Dio e come un grande luogo di comunione creaturale. Lo stile sponsale di vivere la storia si esprime attraverso le virtù della convivialità, del dialogo, della creatività, della partecipazione. La sponsalità significa anzitutto ricerca e cura della reciprocità. Entrare nello spazio della reciprocità significa essersi salvati da due trappole: da quella della differenza e da quella dell'uguaglianza, ma prima ancora dalla fissazione egolatrica per rendere possibile il primato dell'altro. Il venire dopo 1 'Altro non significa solo venire dopo Dio: significa venire dopo ogni altro uomo; comporta il 'far ritardo' rispetto ad ogni uomo. Si tratta, in modo particolare, d'impegnarsi a creare un'antropologia e una cultura della convivialità che realizzino la fecondazione reciproca delle differenze149.
            c) Vivere la storia in modo materno (o nella responsabilità).
            La forma materna di vivere la storia si fa riconoscere da alcuni segni: chi la pratica accosta le opere e i giorni degli uomini con amore partecipe e fattivo, con volontà di promuovere e allevare la vita in ogni forma, in ogni fase, in ogni condizione del suo esistere e manifestarsi. Anche questo modo di essere e di vivere si e realizzato in modo perfetto in Maria. Anche questo fa ritenere che Maria si pone nel cristianesimo nell'ordine del principio, ossia non in un modo generico, come personificazione del femminile (almeno non solo a questo livello), ma nei sensi che la sua concreta condizione di donna esprime. In Maria, fra l'altro, si è espresso il principio della «maternità»: dal mistero della sua esistenza emerge, di conseguenza, l'essenzialità della dimensione materna in ogni esperienza umana, anche nell'impegno storico.

NOTE
125 H. Orr, Il Dio personale, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983, p. 321-126
126 Ibid., p. 318.
127 Ibid., p. 316. Nell'esigere e nel donare il Dio trinitario non opera a livello delle cose, ma di persone: egli non esige dall'uomo qualcosa ma l'uomo stesso, come non dà all'uomo qualcosa, ma se stesso. Siamo di fronte a tre movimenti: all'esigere, al donare, al coinvolgersi dell'uomo nell'agire del Dio trinitario: «Ma ecco che, insieme con l'esigenza e il dono, si manifesta il terzo movimento: nell'atto in cui esige e, insieme, dona, Dio attiva l'uomo. L'uomo viene inserito nell'atto di Dio come persona libera, responsabile di sé, quale egli effettivamente è; viene inserito in ciò che Dio fa al suo posto, in maniera da esservi egli stesso coinvolto nella sua libertà» (Ibid., p. 317).
128 La verità trinitaria è verità dell'uomo e del suo aprirsi comunionale verso gli altri uomini: «E' il credente che sperimenta l'esistenza umana come esistenza di fronte al Dio uno e tnino; ma questa sua esperienza non riguarda soltanto l'esistenza propria, ma l'esistenza di tutti gli uomini. Tale esperienza fiorisce nel credente, nel suo rapporto con se stesso e nel suo rapporto con il prossimo» (H. Orr, Il Dio personale, p. 322).
129 La teologia della Trinità, a motivo della sua irrinunciabile struttura esistenziale, descrive l'esistenza dell'uomo coram Deo. «La dottrina trinitaria interpreta quindi l'uomo, ed esattamente in quel punto e in quella situazione in cui viene alla ribalta il mistero ultimale della sua esistenza. Ed è il punto, e la situazione in cui Dio pone l'uomo dinnanzi a sé in maniera tale che questi diventa cosciente del suo stare da sempre dinnanzi a Dio, e ne fa l'esperienza» (Ibid., p. 323).
130 S'inizia oggi a curare il rapporto morale-antropologia non solo dal punto di vista comportamentale, ma anche dal punto di vista della ricerca del senso dell'uomo passando per la via dell'etica: cfr. Mancini, Torino i volti, Marietti, Torino 1989, pp. 68-69.
131 «Effettivamente la teologia trinitaria, se vuol essere interpretazione esistenziale, deve illustrare il mistero della Trinità come il mistero ultimale dell'uomo (questo è precisamente il suo compito), e inoltre come un mistero che in certo modo (naturalmente non nel modo dell'esperienza quotidiana) può essere esperito dall'uomo in questa stessa realtà» (H. Ott, Il Dio personale, p. 323). La conclusione della vita dell'uomo coincide con la sua origine: l'uomo è essere trinitario perché proviene dalla Trinità ed e destinato a sfociare nel cuore della Trinità.
132 «Fondamentalmente ogni uomo esiste alla presenza di Dio, e precisamente alla presenza di Dio uno e trino, che è il giusto nome di Dio. L'esperienza trinitaria è quindi rilevante anche per l'esistenza dei non credenti, e la riflessione teologica trinitaria deve aver presenti anche loro. Ma d'altra paste, ciò che definisce la più profonda condizione dell'essere anche del non credente è dischiuso e illuminato soltanto nell'esistenza del credenti, che fanno 1esperienza del loro essere coram Deo, così che in base a quest'illuminazione, questa condizione può essere riflessamente articolata e "realizzata' nella vita. Perciò la condition humaine di tutti gli uomini dinnanzi al Dio uno e trino va letta e teologicamente dispiegata sulla base dell'autocomprensione dell'esperienza di fede» (Ibid., p. 324). Il riporre la Trinità nell'ordine del principio in teologia tocca, certamente, il nodo antropologico in modo urgente, ma non esclusivo. Si evince subito, ad esempio, che l'affermazione della trinitarietà come dimensione essenziale dell'identità umana e, di per sé, ci immette già nel territorio della teologia fondamentale. Non essendo la teologia fondamentale una pre-teologia, ma una vera teologia, non può non incontrare in modo essenziale il mistero trinitario, giacché questo e il massimo mistero (inglobante ogni altro mistero cristiano) su cui la teologia riflette. La teologia fondamentale, come riflessione sull'automanifestazione o rivelazione di Dio, ha per oggetto il mistero trinitario: «un'analisi teologica dell'autorivelazione di Dio ci porta nel cuore della Trinità» (J. O'DONNELL, Trinità e Rivelazione, in Dizionario di teologia fondamentale, diretto da R. Latourelle e R. Fisichella, Cittadella, Assisi 1990, p. 1457). Non tenere conto dell'aspetto trinitario nella riflessione sull'autorivelarsi di Dio è fare un'azione di sempliflcazione inaccettabile che non permette di capire e decifrare la molteplice ricchezza di sensi, di dimensioni e di problemi in essa implicati: «La complessità della rivelazione non si comprende se non si inserisce nella teologia delle missioni trinitarie e nella dottrina della appropriazione. [ ... l Il movimento d'amore con il quale il Padre si svela agli uomini per mezzo del Cristo è il ritorno di questo amore che gli uomini gli porgono con la fede e la carità, sembrano come immersi nel flusso e nel riflusso damore che unisce il Padre al Figlio nello Spirito» (R. LATOURELLE, Teologia della Rivelazione, Cittadella, Assisi 1967, pp. 513. 114).
133 Questa simmetria trinitaria tra concezione di Dio e concezione dell'uomo è espressa in modo molto complesso ed elaborato da p. Panikkar: «Un Dio non trinitario non puà "mescolarsi' e tanto meno unirsi con l'uomo senza distruggere se stesso. Dovrebbe rimanere separato, isolato. Non sarebbe possibile nessun tipo di incarnazione, discesa o vera manifestazione. Cesserebbe di essere Dio se diventasse Uomo. Un uomo non trinitario non potrebbe uscire dal suo piccolo 'se stesso", non potrebbe essere quello che cerca e ardentemente anela senza autodistruggersi. Dovrebbe restate distaccato, isolato. Nessun tipo di divinizzazione, glorificazione o redenzione sarebbe possibile. Cesserebbe di essere Uomo se diventasse Dio. L'uomo soffocherebbe entro se stesso, proprio come Dio morirebbe di auto-consunzione, se non esistesse la struttura trinitaria della realtà» (R. PANIKKAR, Trinità ed esperienza, p. 21).
134 Ibid., p. 21.
135 Ibid., p. 25.
136 H. Orr, il Dio personale, p. 327.
137 Concilio Ecum. Vat. II, Cost. domm. Lumen gentium, n. 56.
138 210 Capito Generale dei Servi di Maria, Servi del Magnficat, p. 27.
139 Se 1'Incarnazione è I'inizio del cristianesimo, la Pentecoste ne è l'apice misterico: oltre Pentecoste non si va nel climax salvifico. E' a Pentecoste che egli mostra la pienezza della sua signoria pasquale, sostiene e difende l'unicità della sua mediazione salvifica: realizza al massimo la profeticità perché solo lui è in grado d'inviare lo Spirito; esprime in modo unico la sacerdotalità, di nuovo perché solo lui e in grado d'inviare lo Spirito; attua in modo insuperabile la regalità, sempre perché solo lui è in grado d'inviare lo Spirito. I misteri cristiani scandiscono la storia redentiva e salvatrice, la quale si sviluppa in un movimento ascensivo che trova il suo punto più alto nella «destra del Padre», cioè nel «punto» da cui ha origine la Pentecoste: «Abbiamo appena celebrato le feste della Passione, Risurrezione e Ascensione del Signore at cielo; oggi finalmente abbiamo raggiunto il  culmine di tutti i beni, siamo giunti alla metropoli delle feste» (Giovanni Crisostomo, Omelia II per la Pentecoste, 1-4).
140 Cfr. Come si vince a Waterloo, Marzorati, Milano 1957.
141 Cfr. Il contadino della Garonna, Bruges-Paris 1969.
142 Cfr. Confessioni, I, 1.
143 Esort. ap. Gaudete in Domino, 9. 5. 1975.
144 Cfr. Lumen Gemtium, n. 68
145 Esort. ap. Marialis cultus, n. 6.
146 S. Palumbieri, L'uomo e il futuro, I, p. 10.
147 S. Meo, Assunta, in Nuovo Dizionario di Mariologia, p. 297.
148 Il cristianesimo concepisce il tempo come interamente kairotico, anche se gli riesce più facile individuare alcuni momenti particolari come tali; tuttavia, dopo l'incarnazione e la Pasqua, non è possibile dividere la storia in tempi cronologici e kairotici, dal momento che tutto è grazia, anche se questa si esprime solo in modo progressivo e con discontinuità a motivo della resistenza che il peccato le crea.
149 Cfr. A. Nanni, Educare alla convivialità. Un progetto formativo per I'uomo planetario, EMI, Bologna 1994, pp. 168-170.

 







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