Armonizzare pietà popolare e Liturgia
Data: Mercoledi 16 Settembre 2009, alle ore 17:49:26
Argomento: Devozione




Oggi si è compreso che la "religiosità del popolo" fa parte di una cultura in senso antropologico, che non è lecito a nessuno sopprimere o disprezzare.  Mentre normalmente dal Concilio in poi si tendeva a sottolineare non solo il primato della liturgia, ma anche la sua autosufficienza, oggi si riconosce la possibilità e l’utilità di un reciproco influsso. La sintesi ufficiale circa questo rapporto è codificata dal Direttorio su pietà popolare e liturgia (2002), dove si riconosce che «liturgia e pietà popolare sono due espressioni legittime del culto cristiano, anche se non omologabili. Esse non sono da opporre, né da equiparare, ma da armonizzare» (n. 58). Certamente la liturgia ha molto da dire alla pietà popolare, riempiendola di Parola di Dio e conducendola al mistero pasquale e alle sue implicanze vitali. Il pellegrinaggio, per esempio, deve considerare la confessione o riconciliazione come tappa importante, in quanto incontro con Cristo che perdona, e riconoscere alla Messa e Comunione eucaristica il carattere di culmine o traguardo. Ma anche la pietà popolare, con le sue forme espressive portatrici di valori creativi, intuitivi, significanti ed eloquenti, può apportare nuova linfa alla liturgia. Questa guarderà ad esse per recuperare il senso della festa, della comunità, della partecipazione cordiale.

Significativo cambiamento

Circa la presenza di Maria nel mistero pasquale, espressa dalla pietà popolare, bisogna cedere la parola al Direttorio che opera al proposito un significativo cambiamento. Al contrario dei vescovi che assunsero dopo la seconda guerra mondiale una posizione negativa circa le funzioni popolari del Venerdì santo e della Pasqua, il Direttorio le interpreta in chiave positiva come rappresentazioni di asserzioni liturgiche: «La pietà popolare ha intuito che l’associazione del Figlio alla Madre è costante; nell’ora del dolore e della morte, nell’ora del gaudio e della risurrezione. L’affermazione liturgica, secondo cui Dio ha riempito di gioia la Vergine nella risurrezione del Figlio, è stata, per così dire, tradotta e quasi rappresentata dalla pietà popolare nel pio esercizio dell’Incontro della Madre con il Figlio risorto: la mattina di Pasqua, due cortei, l’uno recante l’immagine della Madre addolorata, l’altro quella del Cristo risorto, si incontrano per significare che la Vergine fu la prima e piena partecipe del mistero della risurrezione del Figlio» (n. 149).

«Spazi bianchi»

In realtà non è difficile sottoscrivere quanto afferma dopo «osservazione partecipante» lo studioso Ignazio Schinella: «La pietà popolare della Settimana santa concentra tutta la sua attenzione sul Vangelo di Giovanni, di cui intende essere una traduzione popolare e una specie di lectio molto simbolica e profonda da un tono spirituale quanto mai marcato, con un approfondimento degli aspetti cristologici ed ecclesiali contenuti nella presenza di Maria nei punti cruciali della morte e della risurrezione del Signore […]. La presenza di Maria in Occidente durante il periodo pasquale è un’azione congiunta tra lo Spirito e la Chiesa per supplire al silenzio con cui il Vangelo ha avvolto la presenza di Maria. Dal punto di vista ermeneutico si potrebbe dire che la pietà popolare occupa e scrive gli spazi bianchi del testo evangelico».

Un sogno

Dalla valorizzazione alla luce della Bibbia, si può passare ad un’integrazione liturgica di queste rappresentazioni popolari, che segnano i partecipanti per tutta la vita? È quanto propone con opportune motivazioni lo stesso Ignazio Schinella, dopo aver dedicato all’argomento alcuni corposi studi. Egli non si contenta di una «commemorazione sobria», da introdurre nella liturgia del Venerdì santo, cioè di «una memoria sobria, densa, desunta dalla considerazione del contenuto cristologico ed ecclesiologico di Gv 19,25-27», quindi «non suggerita dal sentimento o da una pietà deteriore». Lo studioso preconizza in prospettiva più allargata l’entrata nella liturgia di tutte le espressioni mariane popolari, specie quelle attinenti alla Settimana santa, sia la Chiamata della Madonna nella predica di passione, sia l’Affruntata il giorno di Pasqua: «Per questo il mio sogno, che è anche la mia battaglia, è che tutte le manifestazioni della pietà popolare, specie quelle della Settimana santa, un giorno facciano parte della liturgia viva della Chiesa». La proposta, con tutte le necessarie decantazioni del caso, è coerente con l’interpretazione culturale della pietà popolare, anche se bisogna vegliare a non operare un trapianto materiale e indiscriminato di tutte le devozioni del popolo nella liturgia.

Tre obiettivi

Giungiamo al punto più delicato e difficile: come operare nuovamente un’inculturazione del messaggio biblico nella vita del popolo? Non partiamo dal nulla, poiché la pietà popolare è considerata una prima forma d’inculturazione del cristianesimo. Ma poiché tale operazione è stata automatica e non consapevole, occorre una nuova evangelizzazione questa volta consapevole e quindi in grado di evitare l’eccesso, cioè l’infeudazione in cui la cultura ha il sopravvento e condiziona l’accettazione integrale della Rivelazione, e il difetto, ossia un’inculturazione labile in cui prosperano il sincretismo e la magia. Si dovrebbe mirare a tre obiettivi.

1 Potenziare i valori popolari attinenti a Maria.
Perché un’inculturazione riesca nei suoi intenti è necessario andare alle radici culturali, o meglio alla maniera organica di vivere del popolo. Si incontreranno dei valori dove l’inserimento di Maria è naturale quanto benefico. Perché un’inculturazione riesca nei suoi intenti è necessario andare alle radici culturali, o meglio alla maniera organica di vivere del popolo. Si incontreranno dei valori dove l’inserimento di Maria è naturale quanto benefico.  Si pensi al senso della famiglia, al valore della vita da proteggere dal primo istante alla fine, all’importanza della donna soprattutto in quanto madre, all’accettazione anche se talvolta rassegnata della sofferenza e della sventura, all’ospitalità, al senso dell’onore, della giustizia, della libertà, dell’amicizia... In ognuna di queste radici s’innesta il cristianesimo e il suo riferimento a Maria. Anche nel campo della devozione mariana, tutt’altro che falciare l’abbondante vegetazione, vanno valorizzate le intuizioni del popolo circa Maria: la sua umanità, la sua presenza viva, la sua bellezza, i suoi interventi nel territorio.

2 Purificare la pietà mariana popolare.
Non tutto va bene nella cultura popolare. Basta leggere la seconda lettera mariana del vescovo Francesco Tortora per percepire le cinque piaghe della Chiesa calabrese, cui Maria offre una decisiva terapia in ordine al loro risanamento. In forma più generale oggi la Calabria si trova a combattere contro forme abnormi di coesistenza della devozione alla Madonna con la malavita. Qui bisogna richiamare l’insegnamento di san Luigi Maria di Montfort (1673-1716) che tuona contro quanti abusano della devozione mariana per continuare imperterriti nella loro vita peccaminosa: «I devoti presuntuosi sono peccatori in balia delle loro passioni e amanti del mondo [...]. Dormono tranquillamente nelle loro cattive abitudini, senza farsi molta violenza per correggersi, sotto pretesto di essere devoti di Maria [...]. Nulla nel cristianesimo è più condannabile di questa diabolica presunzione [...]. Affermo che un simile abuso della devozione alla Vergine santa [...] costituisce un orribile sacrilegio...». Qui è il caso di richiamare l’insegnamento profetico ed evangelico circa la natura del vero culto, che è quello unito all’impegno della vita, all’esercizio della carità e della giustizia. Questa catechesi libererà la pietà mariana popolare da ogni tendenza magica, che è passivo abbandono a forze cieche, mentre promuoverà l’atteggiamento mistico del popolo che coesiste con l’impegno cristiano e con la creatività nelle espressioni devote.

3 Promuovere nuove espressioni di pietà mariana
Memori della splendida indicazione della Marialis cultus (1974) che spinge non solo al rinnovamento della pietà mariana, ma anche all’«impulso creativo» di nuove espressioni, occorre essere convinti della necessità di nuove forme come frutto naturale di una pietà rinnovata secondo i criteri e gli orientamenti della stessa Marialis cultus, cioè il riferimento trinitario, cristologico, ecclesiologico, l’ispirazione biblica, liturgica, ecumenica e antropologica. Facendo attenzione anche alla via pulchritudinis e alla narratologia, dovranno sorgere nuovi titoli e invocazioni, nuovi canti, nuovi racconti e nuova iconografia. È un campo aperto dove la fede matura e la fantasia popolare sapranno trovare segni e proposte devote non immaginabili a tavolino.







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