La teologia mariana dell'Akathistos
Data: Mercoledi 8 Marzo 2017, alle ore 0:40:08
Argomento: Ortodossi


Dal libro di Ermanno Maria Toniolo, La Vergine Maria, icona della spiritualità dell'Oriente, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2004, pp. 75-80.



1. La teologia mariana dell'Akathistos

L’Akathistos non è un trattato dommatico, né un’apologia delle fede: è un canto sacro, una celebrazione liturgica di lode. Segue dunque le norme generali della poesia in canto: usa le immagini, le acclamazioni, sottintende i riti, i cori, le risposte dell’Assemblea, ecc. Eppure la «teologia», nel senso più vero del termine, è supporto all’Inno e al suo svolgimento. La lex credendi è fondamento a questa privilegiata espressione della lex orandi: privilegiata anche per il momento storico in cui fu composto l’Akathistos: il periodo immediatamente postcalcedonese, fervido di adesioni e di contrasti alla cristologia definita a Calcedonia. Proprio da qui prendo l’avvio per presentare non tutta la teologia dell’Inno, ma dei flash centrali, limitandomi alla pista della teologia dogmatica.

1.1. La «sequenza» dogmatica
Parto non dalle acclamazioni, che hanno bisogno di essere interpretate, perché racchiuse entro involucri di asserzioni, di figure e di immagini, ma dalle esplicite dichiarazioni contenute nei versi propositivi della seconda parte dell’Inno; cioè nei 5 primi versi espositivi delle stanze 13, 15, 17, 19, 21, 23. Si tratta di una ordinata sequenza dogmatica, ma proposta nel contesto con diverso valore. Tre dogmi innanzitutto:
1) il primo (stanza 13), che è basilare per tutti e sempre: il verginale concepimento;
2) il secondo, (stanze 15) che non tutti accettano (i nestoriani ad esempio), recentemente definito ad Efeso e Calcedonia, e che è gloria e vanto dei fedeli ortodossi: la divina Maternità;
3) il terzo, (stanza 17) che la ragione umana stenta ad accettare, ma che la fede dei Padri propone: il parto verginale.
Tre verità cristocentriche: concepimento, divina maternità, parto verginale. Quindi altre tre verità enunciate nell’ultima sezione – ecclesiocentrica – dell’Inno:
1) la verginità di Maria, (stanza 19) consacrata dall’inabitazione del Verbo, quindi verginità perpetua, è inizio e modello della verginità ecclesiale, che in lei trova rifugio e difesa.
2) La presenza materna spirituale della Theotokos nei misteri dell’iniziazione cristiana, (stanza 21) che trovano il loro culmine nella notte pasquale, quando i catecumeni rinascono alla vita divina con i sacramenti della «Illuminazione» (così soprattutto è chiamato il battesimo). Si tratta di una «maternità spirituale di Maria», congiunta intimamente con la sua Maternità divina, ma prolungata e operante nella maternità della Chiesa.
3) La celeste protezione della Vergine, (stanza 23), paragonata a un tempio santificato o all’Arca, quindi segno e caparra dell’aiuto divino sul cammino della Chiesa visibile (Chiesa e stato) militante contro i nemici.
Tre temi che comportano tre tipi di presenza ecclesiale di Maria: di fronte ai vergini, di fronte a tutti i fedeli rinati nel battesimo, di fronte alla Chiesa in cammino. Sono tre verità accolte e vissute da tutti: appartengono all’insegnamento pastorale della Chiesa e sono insite nell’anima dei fedeli.

1.2. La «historia salutis»
Il tracciato storico-salvifico è l’alveo su cui si snoda tutto l’Inno. Si parte dalla creazione del cosmo, inclusi gli angeli e le realtà visibili, e più particolarmente dalla creazione dell’uomo, che è l’oggetto centrale della historia salutis, soprattutto dopo la sua caduta in Adamo. Creazione e caduta, profezie e prefigurazioni dell’AT, conducono necessariamente a Cristo redentore e alla Chiesa dei salvati. Anzi, la metodologia dell’Inno è quella di una sapiente lettura degli eventi: non si parte da Adamo per giungere a Cristo, né dall’antico popolo di Dio per giungere alla Chiesa: Cristo è ricapitolazione di Adamo, la Chiesa ricapitola Israele. Il cuore pertanto della historia salutis, che tutto e tutti compendia, è Cristo e la sua Chiesa: evento tuttavia non già chiuso, ma aperto al compimento fino all’ultimo giorno della storia umana. È sintomatico notare come la prima stanza dell’Akathistos si apra con l’annuncio dell’angelo, l’ultima si chiuda con l’intercessione di Maria davanti a Cristo giudice: annunciazione e deisis, inizio storico e compimento escatologico. Ci pare di trovarci davanti ad una iconostasi: la porta regale, che nei due battenti raffigura l’annunciazione (angelo e Maria), il triangolo superiore di chiusura che rappresenta Cristo in trono e la Vergine avvocata alla sua destra.

2. Maria nel mistero di Cristo

Entriamo così nel primo tema fondamentale dell’Inno: Maria nel mistero del Verbo incarnato, salvatore dell’uomo.
1) Il mistero del Verbo incarnato «per noi uomini e per la nostra salvezza» (simbolo Niceno) percorre tutto l’Inno, anche nelle parti più propriamente ecclesiocentriche: lo conferma un semplice sguardo alle stanze pari e alla struttura binaria dell’Inno. Il numero 2 è numero primario e strutturale di tutto l’Akathistos: numero essenzialmente costitutivo tanto nelle stanze, quanto nei versi e nelle sillabe, nelle loro somme e nei loro multipli. Ad esempio, 2 sono le parti dell’Inno, 2 le sezioni di ogni parte; tutto l’Inno procede a unità binaria di stanze, unità binaria sia concettuale che metrica (stanza pari e dispari formano un blocco unitario, per cui l’Inno è scandito a blocchi binari); 2 gli efimni; a 2 a 2 procedono i versi, da cima a fondo, sia nella parte espositiva di tutte le stanze, sia soprattutto nelle acclamazioni mariane, che si snodano congiunte a due a due con identità di metro e rigido parallelismo di contenuti: parallelismo o sinonimico o antitetico o complementare. Si tratta però di un 2 convergente all’unità, all’1. Blocchi binari o «unità binarie» scandiscono tutto l’Inno. Come fondamento alla struttura e all’esposizione dottrinale dell’Inno indubbiamente sta la definizione cristologica del Concilio di Calcedonia: due le nature del Verbo incarnato, una la persona; due rimangono «senza confusione e senza mutazione», ma anche «senza divisione e senza separazione», nell’unico e identico «Figlio, Unigenito, Dio, Verbo, Signore nostro Gesù Cristo». Abbiamo quindi un solo Signore, un solo Gesù Cristo, ma sussistente in due nature: le quali convergono o «concorrono verso» la sua persona. Quindi il numero 2, ma convergente all’1, come nell’Inno Akathistos. In tal modo il mistero del Verbo incarnato, secondo la dottrina di Calcedonia, è alla base di tutta la dottrina mariana.

2) Dalla struttura passiamo ai contenuti: il mistero del Verbo incarnato e l’efficacia salvifica della sua incarnazione (stanze 1-6; 13-18).
a. Il primo aspetto dell’incarnazione del Verbo è quello di essere un evento di salvezza, che compie le predizioni e cancella la maledizione. Ora, dove si situa la Vergine Madre in questo evento? Maria è la filigrana su cui esso si snoda; ne è interamente partecipe. Vi partecipa col suo essere Theotokos, con la sua persona e con le opzioni che l’hanno resa degna di essere assunta a strumento dell’incarnazione: prima fra tutte, la sua verginità oblativa, con la quale si è intimamente unita come «sposa» al Verbo di Dio e ha perorato davanti a lui la causa dell’umanità.
b. Secondo aspetto. Non va mai dimenticato, specialmente in teologia orientale, che l’evento-Cristo rimane un mistero, che trascende la comprensione di ogni creatura e viene accolto e vissuto solo per fede. Ora Maria (stanza 3), vera scala di Giacobbe per la quale Dio discese, ponte per il quale i mortali salgono al cielo, è la prima iniziata al mistero, per diventarne lei stessa mistagoga agli altri. Giova notare che la salvezza portata da Cristo non consiste solo nel cancellare il peccato e annullare la condanna, ma più ancora nell’entrare in comunione con lui, Verbo eterno che dà la vita: entrare nella sua conoscenza e nella sua esperienza. Salvezza infatti è il Verbo. Maria, proprio perché Theotokos (stanza 15), è la porta che introduce a questo mistero, essa stessa chiave del regno di Cristo. Il mistero attraverso Maria si apre ai credenti (stanza 17), diventando scienza vera e vita vera.
c. Vi è un terzo aspetto dell’incarnazione salvifica o, parallelamente, della divina maternità: grazia e misericordia si effondono su tutti dal Cristo per mezzo di lei, perché è lei campo, pascolo, incenso e propiziazione, mensa ricca di grazie e di perdoni, strada per la quale, riconciliati, gli uomini possono accostarsi e dialogare come figli con Dio (stanza 5). Anche in questo caso Maria non è strumento passivo, né chiusa nell’ambito della sua funzione materna: la misericordia che il mondo ottiene è stata impetrata da lei, dalla sua vita, che salì come incenso di supplica davanti al trono di Dio, che diede al mondo per mezzo suo il Salvatore e la salvezza.

3. Maria nel mistero della Chiesa

La seconda sezione di ambedue le parti dell’Akathistos (cioè le stanze 7-12 e 19-24) è più direttamente ecclesiale: riguarda il mistero di Cristo-Capo che si estende a tutto il suo Corpo mistico e lo fa vivere. Si tratta però di un solo mistero, visto sotto un duplice aspetto: Cristo- Chiesa, Capo e Corpo, Sposo e Sposa. L’accenno alla Chiesa come «Sposa» richiama l’importanza dell’efimnio che, in certo modo, definisce Maria: «Ave, Vergine e Sposa». Maria è chiamata «Sposa». Per esplicitarne il contenuto, ritorno ancora una volta al telaio numerico, alla planimetria dell’Inno. Se infatti il numero 2 convergente all’unità è numero primario, il 12 è il numero portante e più appariscente di tutto l’Akathistos. Cito solo qualche esempio: 12 stanze della prima parte, 12 della seconda, 12 cristocentriche, 12 ecclesiocentriche; 12 efimni di un tipo, dodici di un altro; 12 le acclamazioni inserite per 12 volte nelle stanze dispari; 12 al quadrato (144) i versi della prima parte, altrettanti quelli della seconda; 12 al quadrato (144) la media delle sillabe di ogni stanza, ecc. Chiave interpretativa di questo aspetto ecclesiale e il capitolo 21 dell’Apocalisse, la celeste Gerusalemme, che poggia su 12 fondamenti su cui sono i 12 nomi dei 12 apostoli dell’Agnello, ecc. Maria è l’immagine simbolico- escatologica della «Sposa dell’Agnello»: «Vidi la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo Sposo» (Ap. 21, 2). Ora, l’efimnio dell’Akathistos mostra Maria quale «Sposa verginale» dell’Agnello, quale Gerusalemme celeste, icona escatologica della Chiesa, presenza viva ed operante in essa. Dunque:

1) Maria è presenza viva nell’assemblea dei fedeli raccolta per nutrirsi della divina Parola trasmessa dagli Apostoli e nella grazia effusa dai sacramenti (stanza 7); così come è presente in quanto Madre del Signore o anche col suo esempio di verginale fedeltà a Cristo, alla testimonianza dei martiri (stanza 7) e alla vita dei vergini (stanza 19).

2) Maria è misteriosamente presente, come stella dell’evangelizzazione, sull’itinerario dei catecumeni (simboleggiati dai magi), che cercano il vero Dio (stanza 8) e nel momento in cui termina la loro strada al fonte battesimale (stanza 9 e 21). 3) Maria è soprattutto e constantemente presente sul lungo cammino ecclesiale, che attraverso i tempi e la storia, giungerà alla Gloria (stanze 11 e 23): esodo pasquale dalla terra di schiavitù verso la Patria.
In definitiva, la maternità di Maria in prospettiva ecclesiale si può ben definire una «maternità pasquale», che apre e sostiene il cammino del Popolo di Dio verso l’ultima terra promessa.

L’Inno Akathistos è un inno liturgico, perché segue le linee della teologia liturgica dei Padri. In essa, passato e presente si fondono: cioè, anamnesi e attualizzazione. Ciò che ieri si compì nell’evento, oggi (in questo «oggi» liturgico) si commemora e rivive nel sacramento. Così nell’Akathistos vengono celebrate le tre dimensioni della storia della salvezza – passato, presente e futuro – convergenti nell’incarnazione redentrice che annuncia già il mistero pasquale; e Maria è cantata come convergenza alla comprensione di tutta la storia.

 







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