Dal libro del Card. Anastasio Ballestrero, Madre che ci accompagni, Elle Di Ci, Leumann 1988, pp. 49-56.


Consacrati con Gesù, il Consacrato
La prima considerazione che mi pare di poter fare è che la consacrazione radicale di Maria, espressa nell'Immacolata Concezione, non si può esprimere con un aggettivo: la Madonna è una persona consacrata. La Madonna è consacrata a livello di un'azione divina ben precisa e radicale, tanto da essere costitutiva dell'essere di lei; è consacrata per l'iniziativa di Dio che liberamente l'ha scelta, gratuitamente l'ha eletta e riservata a sé, dando pienezza di consacrazione ai gesti e ai fatti successivi. L'ultima consumazione di questa consacrazione è l'assunzione. In questo senso Maria è intimamente legata alla consacrazione del Verbo incarnato. Nell'incarnazione Cristo ha consacrato la sua umanità e ha fatto di essa la sua persona divina, la sua identità totale. É talmente radicale questa consacrazione che, pur essendo vero che Gesù è Dio e uomo, è altrettanto vero che è una persona sola: quella divina. Ebbene, questa consacrazione di Cristo, così intimamente unita a quella di Maria nella logica e nella coerenza di uno stesso mistero salvifico, è la consacrazione che la vita religiosa è chiamata a partecipare. Tutti i cristiani sono chiamati a parteciparvi, sia chiaro, ma nella vita religiosa questa consacrazione diventa speciale per alcune speciali ragioni. La prima è l'iniziativa di Dio che chiama, che sceglie, che concede vocazione, che concede grazia per comprendere e dire di si. In secondo luogo, nella vita religiosa il mistero della consacrazione di Cristo e di Maria può essere vissuto al grado più perfetto possibile in questo mondo e nelle condizioni terrene. Si è consacrati, si diventa consacrati - dove «essere» è la condizione radicale e «divenire» il dinamismo di questo essere condizione terrena - per partecipare alle ragioni della consacrazione di Cristo e della chiamata di Maria a condividerla. É chiaro quindi che la Madonna diventa modello della consacrazione religiosa. É la creatura nella quale le anime consacrate possono specchiarsi di più, vedersi meglio realizzate e dalla quale devono sentirsi precedute e accompagnate nella loro fedeltà, nel loro dire di sì alla vocazione e nel loro partecipare alla missione del consacrato per eccellenza che è Gesù. La consacrazione intesa in questo modo è molto di più che un atteggiamento affettivo o morale, diventa una qualità ontologica dell'essere.
Consacrati per vivere in novità di vita
Sapendo di essere convocati in questo mistero di consacrazione, il nostro impegno deve essere quello di capire sempre di più ed esplicitare sempre meglio le istanze e le valenze inesauribili dell'essere consacrati. Tutti i tentativi di ridurre la consacrazione ai minimi termini per scomodare il meno possibile la vecchia creatura che è in noi, devono scomparire. A volte si ha l'impressione che vorremmo che la consacrazione fosse una specie di vernice che però lascia intravedere la superficie dell'uomo vecchio, spolverata bene, un po' disinquinata, ma quella. Una restaurazione di umanità e niente più. Ma la verità non è questa: la consacrazione è una vocazione e un dinamismo di trascendenza di tutto ciò che è umano; è un superamento, è un andare oltre. La persona consacrata deve assomigliare sempre più a Gesù, che è vero uomo, ma talmente assunto dal Verbo da non essere persona umana. Questa non è un'alienazione, perché l'uomo è stato creato a immagine di Dio e quanto più siamo questa immagine, quanto più siamo sostanziati di Dio, quanto più arriviamo a confonderci quasi con lui, tanto meno siamo «umani», nel senso caduco della parola, e tanto più siamo creature di risurrezione, di vita eterna, di immortalità. Essere fedeli alle esigenze della consacrazione non è qualcosa che si consuma con la professione perpetua. Un tempo - e parlo ancora di questo secolo - la professione perpetua era l'unica professione che i religiosi facevano e significava precisamente la consapevolezza, la volontà e la scelta di consumare la vita come evento di consacrazione. Ora, fra un prolegomeno e l'altro, siamo precoci se facciamo la professione a 26, 27 anni. Con questo criterio abbiamo l'aria di credere che siamo noi che ci consacriamo, che facciamo tutto noi ed è naturale che per fare tutto, ci vuole tempo. E allora un anno e poi ancora un anno e poi un altro anno... Quando ci siamo logorati tutte le risorse di entusiasmo, di novità, di capacità di sognare, allora facciamo la professione perpetua! La Madonna è stata da sempre una consacrata e la vita religiosa ha bisogno di ritrovare questa giovinezza, questa precocità, questa puntualità agli appelli di Dio. Il Signore - l'ha detto lei - fa cose grandi con le creature piccole (cf Lc 1,46-48). Lasciamo che ci ingrandisca lui con le sue iniziative divine, senza avere la presunzione di presentarci dicendo: «Ecco, Signore, adesso sono pronta». Lui è da tanto che ci conosce, è da tanto tempo che ci aspetta e ci ha prevenuto. Questa radicale iniziativa di Dio che ci consacra, ha bisogno di riemergere, di diventare coscienza dentro di noi e sarà una grande risorsa, perché quando mi troverò a confronto con la grandezza dei miei ideali, dei miei doveri e delle mie responsabilità di creatura consacrata, non dirà sgomento: «Mamma mia, che cosa ho fatto», ma dirò: «Signore mio, che cosa hai fatto?». E il discorso cambia, la serenità rinasce, la speranza viene, e anche la fiducia, l'entusiasmo, la generosità e lo stimolo della fedeltà.
Consacrati per amare
La radicalità della consacrazione di Maria è data dalla sua verginità. La parola di Dio sottolinea la condizione verginale di Maria. Che cosa significa questo scandire la verginità della Madonna? lo credo che significhi soprattutto la pienezza, l'esclusività e la totalità dell'amore. La Madonna è stata amata da Dio con una onnipotente gelosia e lei ha risposto con un amore totale, esclusivo, pieno. Il Concilio, parlando di questa consacrazione d'amore nella vita religiosa, parla di cuore indiviso. In Maria questo cuore indiviso è davvero qualcosa di perentorio, di assoluto: la Madonna, come essere d'amore, come nata dall'amore, come vivente d'amore, come testimonianza d'amore, ha nella verginità il suo segno, la sua continuità perenne e anche la sua condizione di realizzazione piena. É una verginità che non limita l'amore ma lo rende sconfinato, che non raffredda il cuore ma lo accende di un fuoco che non si estingue mai perché è il fuoco di Dio. A me pare di notare in certi filoni della spiritualità di oggi, un fenomeno che vorrei esprimere così: l'amore umano, in tutte le sue variazioni, è la vera realtà; l'amore di Dio è una figura ispirata dall'amore umano. Si comprende bene quale capovolgimento di valori, quale stravolgimento della verità e del mistero sia questo? Perché, si dice, l'amore è l'equilibrio della persona, garantisce la serenità della psicologia, mette in ordine i grovigli dei sentimenti... E l'amore di Dio non fa tutto questo? É una domanda che ci dobbiamo fare, perché se l'amore di Dio è solo una figura - sia pure nobilissima - dell'amore umano, siamo perduti. L'amore di Dio deve diventare quella realtà così plenaria che illumina poi ogni altro amore, lo qualifica, lo redime, lo rende capace di dedizioni senza fine e mette ordine anche in questa umana natura, creata a immagine di Dio, ma poi stravolta dalle vane idolatrie. Imitare Maria significa anche questo, e non nei dettagli, ma in una maniera completa, totale, esaustiva. La Madonna è la prima religiosa, la prima consacrata a Dio e al suo Cristo con una preveniente radicalità, e non c'é quindi da stupire che questa creatura non abbia conosciuto altre attrattive, senza tante mediazioni. Se questo è vero per lei e per noi, si comprende allora quali sono le esigenze di una consacrazione che diventa anche purificazione del cuore e di tutto l'essere. I Santi davano tanta importanza a questa purificazione, come acquisizione di trasparenza, per superare tutte le opacità, le pesantezze, le pigrizie della nostra natura. Era un itinerario di verginità che non finiva mai.
Consacrati per la sequela
Ma c'è un altro aspetto di cui Maria è esempio luminoso e profezia compiuta. Lei è discepola, la prima discepola; ha ascoltato Dio, ha ascoltato il Figlio di Dio e in questo discepolato è stata piena e perfetta. Non ha fatto altro e ne ha penetrato tutte le esigenze con una illimitata profondità. Il Concilio ha rivalutato, oltre al concetto di consacrazione, anche quello della sequela di Cristo: su questa strada la Madonna è esempio da imitare e, prima ancora, da contemplare. Gesù ha insegnato a Maria ad essere figlia di Dio e le sue parole la Madonna le ascolta, le vive e così diventa discepola attenta, umile, sottomessa e fedele. Allora per noi religiosi essere discepoli di Cristo, mi pare che debba significare, in modo particolare, fare attenzione a come lo è stata Maria, perché il nostro essere discepoli venga reso evangelico nella maniera più semplice e più totale. Abbiamo caricato la sequela di tante esigenze, che poi in pratica sottintendono le cose essenziali ed enfatizzano quelle secondarie, periferiche e soprattutto contingenti. «Chi vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» (Lc 9,23): non c'è altro da fare. E qui vorrei spendere una parola per mettere in luce che la sequela di Cristo che caratterizza la vita religiosa in modo singolare ed esemplare, per il popolo di Dio è soprattutto inquadrata in questa esigenza di cui Cristo ha parlato. Le austerità, la semplicità, la generosità, la coerenza della vita, «l'unico necessario» di cui Gesù ha parlato ad un'altra Maria, non sono parole, ma realtà con le quali ci dobbiamo confrontare. Può inserirsi un certo equivoco nella nostra vita religiosa, per cui crediamo che sia nostro dovere vivere come tutti, rinunciando a quella esemplarità di Cristo e di Maria, che non hanno vissuto come noi. Hanno condiviso tutta la condizione umana, ma sono vissuti in una attenzione alla verità, in una testimonianza di povertà, in una generosità di amore davvero inesprimibili. Tutto questo ci interroga, perché con certi modi di intendere il condividere la vita di tutti corriamo il rischio di condividere i comodi di quelli che contano molto e di non condividere la condizione di quelli che contano poco. É un discorso grosso, anche perché in questo discorso si introduce spesso una variabile che è quella della modernità, attraverso la quale la civiltà dei consumi, il costume del benessere, l'orgoglio della vita ritrovano diritto di cittadinanza e... il resto viene da sé. Ne rimaniamo creature svigorite, ridimensionate e, molte volte, creature che rinunciano alla loro vocazione di generosità estrema, di dedizione totale, di immolazione fino all'effusione del sangue.
Consacrati per dare vita
Aggiungerei ancora una considerazione ed è che questa consacrazione radicale, questa imitazione di Cristo di cui la Madonna ci dà l'esempio, deve maturare in una dedizione apostolica che è giusto chiamare maternità. Quella armonizzazione tra verginità e maternità nella vita della Madonna, rimane esemplare per la vita religiosa. La perenne tradizione della Chiesa che chiama le anime consacrate padri e madri, introduce ad un mistero di grazia e la nostra dedizione apostolica deve caratterizzarsi per una effusione di carità, per dare vita, far nascere o rinascere, che è appunto il ministero della paternità e della maternità; Se il nostro impegno apostolico non nasce da una passione d'amore e non vuole essere fecondità di vita ed espressione di carità, esso degenera e noi scopriamo che, senza questa caratteristica, nella società moderna abbiamo troppi concorrenti. Tutte le opere di carità nello stato moderno sono diventate prestazioni professionali. Ma voi vi caratterizzate per questo o per la carità di Cristo che urge nei vostri cuori e vi ha fatto inventare per tutto il mondo e per tutte le epoche queste dedizioni? Siete arrivati prima, il cristianesimo è arrivato per primo; le opere di misericordia le ha ispirate Cristo e tali devono rimanere. Ammettiamo che debbano anche rivestirsi strumentalmente di una competenza professionale, ma guai se perdono l'anima della carità, se diventano subordinate ai canoni della professionalità! Quando la Madonna è andata da Elisabetta che aspettava Giovanni non c'è andata come infermiera o come ostetrica; quando a Cana di Galilea ha fatto quello che ha fatto non era lì come esperta di organizzazione di nozze o come professionale di cucina. Lei era presente con la sua ricchezza materna, con la sua intuizione e la sua prevenienza di madre. Dobbiamo restare delle anime consacrate prese dal Signore al suo servizio, che diventano nel mondo presenza incarnata del suo mistero di carità, di misericordia e di amore. Contemplando Maria nascono anche le intuizioni nuove, le ispirazioni profetiche. Il Concilio dice che la vita religiosa è il segno di una profezia che fermenta la storia. Stiamo attenti a non diventare le retroguardie di una società in ritardo: sarebbe davvero paradossale.
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