Dal libro di Vincenzo Francia, La Tenda dell'incontro. Maria di Nazareth nella fede dei cristiani, Edizioni Viverein, Monopoli 2014, pp. 117-123.
La maternità verginale di Maria come partecipazione al mistero di Cristo comporta un grado sommo di santità. Ciò implica anzitutto l'assenza del peccato sia originale che attuale. L'espressione di Paolo «figli dell'ira» (Ef 2,3) in alcun modo può essere applicata alla madre di Dio, come ben vide Sant'Agostino: «Eccettuata la santa vergine Maria, della quale, per l'onore del Signore, non voglio assolutamente che si faccia questione quando si parla di peccato... ». L'assenza del peccato, tuttavia, è solo un primo aspetto, il meno importante. Ciò che conta nella Vergine di Nazareth è soprattutto la pienezza della grazia.
Nell'esperienza della santità bisogna distinguere due dinamiche. La prima è la santità oggettiva, cioè la presa di possesso da parte di Dio di una realtà creata, ad esempio, i sacramenti. La seconda è la santità soggettiva, che è la libera risposta delle creature al disegno del Creatore. In Maria questi due aspetti si realizzano in pienezza. Nessuna creatura è più santa di lei, perché Dio l'ha riempita della sua presenza: «ricolma di grazia», come la salutò l'angelo dell'annunciazione. E nessuna creatura più di lei ha saputo corrispondere all'azione della grazia. La sorgente della sua santità è la sua preparazione ad essere madre di Cristo e dei discepoli. Ancora una volta, è la sua maternità che rende ragione anche della santità della sua persona.
Queste affermazioni sulla santità della madre di Gesù lungo i secoli hanno fortemente sollecitato sia l'esperienza di fede del popolo cristiano, sia la riflessione dei teologi e dei Pastori e sono culminate nella dichiarazione del dogma del suo immacolato concepimento da parte di Pio IX nel 1854: «La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale» (DH 2803).
Un fondamento biblico è in Gen 3, 15: l'inimicizia fra la donna e il serpente comporta un'assoluta distanza fra il peccato e la donna che sarà madre del vincitore. In Lc 1, 28, inoltre, Maria viene salutata dall'angelo (e, di conseguenza, da Dio) come «piena di grazia» e in Ap 12,1 la «donna vestita di sole» è nemica di Satana. Ma è soprattutto la rilettura della Bibbia alla luce della piena rivelazione in Cristo che fa emergere una grande ricchezza mariologica: se Maria, nel simbolismo biblico, è la donna-popolo, la madre-Sion, la tenda-tempio, la nuova Eva, ne consegue un'assoluta santità in lei, una limpidissima purezza già diffusa da Dio nella sua persona. Maria è il vertice dell'alleanza antica, nel cui grembo nasce il mediatore della nuova, colui che dà origine ad una nuova creazione. Come l'antica Eva, anche Maria entra nel mondo senza alcuna ombra di peccato, per essere la madre dell'uomo nuovo.
Proprio il paragone con Eva sollecita i credenti a riflettere sulla possibilità che Maria sia stata purificata prima ancora della nascita, mentre ognuno di noi nasce nel peccato originale e viene successivamente purificato dall'acqua del battesimo. Il primo ad avanzare questa proposta è Sant'Efrem il Siro: «Davvero, Gesù, tu e tua madre siete i soli ad essere bellissimi in tutto. In te, infatti, o Signore, non esiste difetto alcuno né macchia nella madre tua». Lo seguono Gregorio Nazianzeno, che parla di Maria «previamente purificata dallo Spirito nell'anima e nel corpo»; Andrea di Creta, che la presenta come «la prima liberata dalla primitiva caduta dei nostri progenitori»; Teotèkno di Livia, per il quale Maria «è nata come un cherubino, lei che è formata di un fango puro e immacolato». Con Giovanni Damasceno la riflessione teologica diventa più precisa: «Siccome da Anna sarebbe dovuta nascere la Vergine Madre di Dio, la natura non osò precedere il segno della grazia, ma rimase infeconda fino a quando la grazia stessa non fruttificò». Maria, dunque, è figlia della grazia fin dal primo istante del suo esistere. Alle soglie del Medio Evo, Pascasio Radberto affermerà: «Maria è stata esente da ogni peccato originale». Gli farà eco Roberto Grossatesta:
«La Vergine, nella stessa infusione dell'anima razionale, sarebbe stata purificata e santificata. Quindi purificata non dal peccato già contratto, ma dal peccato che avrebbe contratto se, nella stessa infusione dell'anima razionale, non fosse stata santificata».
I più grandi contributi alla teologia dell'Immacolata Concezione furono offerti dal benedettino Anselmo d'Aosta e dal francescano Giovanni Duns Scoto. Il primo sostenne che Maria è, tra le creature, la più perfetta che si possa pensare: questa perfezione implica la sua assoluta santità fin dal primo istante della sua esistenza, altrimenti Eva e gli angeli sarebbero stati più perfetti di lei. Duns Scoto, invece, insiste su un'idea di straordinaria bellezza: Dio ha inviato il Figlio nel mondo per salvarlo dal peccato; ma, anche se l'umanità non avesse peccato, Cristo si sarebbe incarnato lo stesso, come re dell'universo; nell'unico atto di decisione, Dio ha stabilito da tutta l'eternità l'incarnazione del Verbo e la presenza della donna che la avrebbe resa storicamente possibile; una volta stabilita l'incarnazione indipendentemente dal peccato, Maria è stata voluta da Dio indipendentemente dal peccato e precedente ad esso; questa donna, perciò, è immacolata, perché, prima ancora di essere concepita nel grembo della madre Anna, è stata concepita nella mente e nel cuore di Dio; in lei Dio ha iniziato a realizzare nel tempo ciò che aveva stabilito fin dall'eternità, cioè affermare il primato di Cristo su tutte le creature (Col l,15-20).
Alla luce dell'immacolato concepimento di Maria si comprende come la sua santità illumini anche la realtà della redenzione compiuta da Cristo, mettendone in risalto non solo la forza curativa, ma anche la potenza preventiva. La salvezza, in sostanza, produce effetti diversi: tutti vengono liberati, Maria viene preservata. Con un'espressione popolare, dalla forte intensità espressiva, potremmo dire: prevenire è meglio che curare. Questo tipo di cura è stato compiuto da Dio in Maria: perciò lei è la più perfetta tra le creature ed è la più salva tra i redenti.
Come si vede, la Chiesa nel suo insieme, fin dai primi secoli, non ha mai dubitato della santità di Maria. Mai nessuna ombra di peccato personale si è posata su colei che, come la tenda dell'incontro, era stata coperta dall'ombra dell'Altissimo. Perciò le ha attribuito il titolo di «tutta Santa» (in greco: «panaghia»). La salvezza dell'uomo consiste nel raggiungere quella «statura perfetta», sul modello di Cristo, che ognuno è chiamato a realizzare. Maria l'ha raggiunta al massimo grado: «piena di grazia». Il suo ingresso immacolato nel mondo è il punto luminoso dell'incontro fra Dio e l'universo. Maria è lo «specchio» nel quale il Creatore può contemplare con gioia la propria immagine pienamente riuscita. Dio si specchia in tutte le creature, ma incontra sempre specchi deformati e, di conseguenza, deformanti: solo in questa creatura si può cogliere la realtà originaria e fontale dell'immagine di Dio.
Il cammino della santità è stato fortemente sintetizzato da Gesù nel celebre Discorso della montagna. Egli, racconta il Vangelo di Matteo (5,1), sale sul monte non per allontanarsi dal popolo, ma per poter essere visto e ascoltato meglio, per potersi rivolgere a tutti e a ciascuno. Allo stesso modo, prima di lui, aveva fatto Mosè: era salito su una montagna, per ricevere dalle mani di Dio i dieci comandamenti e da quella montagna li aveva proposti al popolo di Israele e all'umanità tutta. Gesù, dunque, affida ai cristiani suoi discepoli una nuova legge e con essa insegna il segreto della santità. É il regno di Dio, il Santo per eccellenza, che irrompe nella nostra vita e suscita in noi una Santità di risposta, che consiste nel realizzare alcune scelte e nel concretizzarle in precisi comportamenti, per poter essere disponibili all'azione che il Signore vuol compiere in noi. Quelle frasi cosi dense e sintetiche che provengono dalla intimità più profonda del cuore di Gesù, sono conosciute con il nome di «beatitudini», perché il Maestro, premettendo la parola «beati», indica delle condizioni umane e le proietta sullo sfondo di una promessa che si sta già compiendo o che si compirà nel futuro. Queste situazioni comprendono la povertà di Spirito e la purezza di cuore, cioè l'umiltà che ci fa riconoscere che tutto dipende da Dio e ci aiuta a superare la tentazione dell'autosufficienza e della superbia; la disponibilità ad accogliere la sofferenza, sia quando dipende dalla nostra vulnerabilità sia quando è dovuta a circostanze esterne, quali la persecuzione o l'ingiustizia; la mitezza, la misericordia e l'impegno per la pace come scelta di fondo nei rapporti con il prossimo; la costante ricerca della giustizia come orizzonte del comportamento nei confronti di Dio e degli uomini. Coloro che vivono in questo modo, dice Gesù, sono beati, cioè felici: non perché la nostra felicità consista in queste scelte, ma per il fatto che queste scelte ci preparano all'ingresso di Dio nella nostra vita e ci permettono di accogliere la sua presenza.
Ebbene, dopo Gesù, Maria è precisamente descritta dalle beatitudini. Anzi, nelle parole del Vangelo di Luca, ella è inserita nell'atmosfera dei valori definitivi del Regno: «Beata colei che ha creduto... »; «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Maria è l'umanità perfettamente compiuta, perché perfettamente santa: «L'uomo che si volge verso Dio» - ha ribadito il Santo Padre Benedetto XVI - «non diventa più piccolo, ma più grande [ ... ] diventa divino, diventa veramente se stesso. L'uomo che si mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa una persona sensibile e perciò benevola ed aperta. Più l'uomo è vicino a Dio, più vicino è agli uomini».
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