Nozze di Cana: Maria ascolta i gemiti del mondo
Data: Sabato 19 Ottobre 2019, alle ore 0:33:45
Argomento: Società


Un articolo di Sr. Marcella Scarantino in Myriam LXIX (2019) n. 1., pp. 18-22.



Il brano molto noto delle Nozze di Cana inizia con le parole: «Il terzo giorno». Con questa espressione Giovanni mette il segno di Cana in relazione con altri due eventi, entrambi datati al «terzo giorno»: la rivelazione di Dio sul Sinai e il mistero pasquale di Cristo.
Sul Monte Sinai, Dio rivela la sua gloria ad Israele e gli dona, tramite Mosè, la legge con la quale sancisce l’Alleanza. Cana è la replica di quanto è avvenuto al Sinai: l’acqua, con la quale Gesù fa riempire le giare, è simbolo dell’Antica Alleanza, o più precisamente di quella Legge che, essendo scritta sulla pietra e non sui cuori, non poteva fondare un’alleanza interiore, ma solo esteriore. L’acqua viene trasformata in vino, simbolo del sangue di Cristo e quindi di quell’ora che dà inizio a quella comunione profonda per cui l’umanità intera viene assorbita nella vita stessa di Dio. Cana è il segno anticipatorio della Pasqua di Cristo, che sancisce la Nuova Alleanza, la comunione intima e profonda tra Dio e l’umanità.
Nella Bibbia, poi, al tema dell’alleanza è continuamente legato quello delle nozze, per cui si parla, in modo metaforico, di alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo. Anche a Cana il contesto è quello di uno sposalizio, dove è presente Maria, la Madre di Gesù. Per l’evangelista, la figura di Maria è centrale ed è da lei che l’attenzione si proietterà poi su Gesù. Giovanni lo fa notare dicendo: «Fu invitato alle nozze anche Gesù» (v. 2).
Durante la festa viene a mancare il vino e Maria si accorge di questa mancanza, per cui interviene presentandola al Figlio. La Madre si avvicina al Figlio e gli dice semplicemente: «Non hanno vino…». Non si tratta di una richiesta, ma di una semplice constatazione: Maria non chiede nulla, non esige nulla, non si impone. L’interesse della Madre va a coloro che non hanno, a coloro il cui grido è sommesso o per incapacità di esprimerlo o per impossibilità di manifestarlo. Maria lo percepisce, anche in mezzo al frastuono della festa.
A Cana, probabilmente, altri si erano accorti che il vino veniva a mancare, ma non sapendo cosa fare hanno preferito far finta di non vedere, di non sapere, di non ascoltare.
Un primo atteggiamento che ammiriamo in Maria è proprio la sua capacità di ascolto.
Non è facile ascoltare. Per ascoltare, è necessario fare silenzio. Ma anche il silenzio è qualcosa che fa paura e che non è abituale nella vita quotidiana. Abbiamo paura del silenzio. Guardiamo allora a Maria. Una donna di poche parole e di tanti silenzi, di tanta contemplazione: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Nei Vangeli Maria parla appena quattro volte: all'annuncio dell'angelo; quando intona il Magnificat; quando ritrova Gesù nel tempio; e a Cana di Galilea. Poi, dopo aver raccomandato ai servi delle nozze di dare ascolto all'unica parola che conta, lei tace per sempre.
Maria ci insegna che ascoltare, in silenzio, è lasciare che la Parola abiti nei nostri cuori e li trasformi in amore. La Parola ascoltata, meditata, custodita si fa carità, si traduce in gesti concreti di prossimità e di condivisione. È ciò che succede a Cana. Maria vede la difficoltà del momento perché ha saputo mettersi in ascolto e quindi ha potuto percepire ciò che è inascoltato, inavvertito, addirittura inespresso.
Quanti gemiti inespressi restano ogni giorno non percepiti, quanti gemiti inespressi di persone vicine a noi, ma che non vediamo, non ascoltiamo, non capiamo! Eppure ancora oggi l’umanità geme, non ha vino, le sue giare sono vuote. È sempre Maria che presenta al Figlio le carenze che impediscono di vivere la gioia nuziale della vita. La mancanza di vino rappresenta tutte le carenze esistenziali, che suscitano numerosi gemiti. Pensiamo al gemito che invoca benessere. Siamo, purtroppo, abituati a vedere, lungo le vie delle nostre città, i “senzatetto” che dormono per strada avvolti da cartoni; uomini, donne e bambini che chiedono l’elemosina in condizioni miserevoli. 
A questi gemiti sommersi si contrappone, spesso, una cultura di indifferenza e di scarto, secondo quanto affermato da Papa Francesco nel suo primo viaggio, a Lampedusa.
Un altro gemito inespresso è la solitudine che molte persone soffrono, quasi sempre a causa di relazioni ferite, non autentiche, egoistiche, poco profonde, fondate spesso sull’apparenza e sul tornaconto, che portano le persone a non fidarsi, creando condizioni di disagio, di insicurezza e quindi di distacco da tutto e da tutti. 
Sempre più soffocato è il gemito degli indifesi quali i bambini maltrattati, abusati, abortiti; o delle donne vittime di violenza domestica. 
Gemito del mondo odierno è la grande crisi esistenziale, che conduce a non percepire più il vero senso della vita, creando un vuoto profondo, privo di entusiasmo e di speranza nel futuro. Anche in questo caso, per attenuare questo disagio, le persone ricorrono, spesso, ad ogni mezzo: il cibo, le droghe, la televisione e internet, il sesso o relazioni “usa e getta”; tutti mezzi che si rivelano prima o poi inefficaci, quando non generano serie problematiche di dipendenza che conducono a vere patologie. Non è da sottovalutare il gemito di chi ha smarrito Dio e vive una profonda crisi religiosa. È significativa, a questo proposito, l’espressione coniata da Giovanni Paolo II: «apostasia silenziosa, un’apostasia che veste oggi, soprattutto, l’abito dell’indifferenza o del relativismo religioso» (Ecclesia in Europa, 9). Molti uomini oggi vivono come se Dio non ci fosse, illudendosi di aver trovato un “paradiso” senza di Lui, ma l’esperienza insegna che il mondo senza Dio diventa un “inferno”, poiché prevalgono le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di pace, di gioia e di speranza.
Ho menzionato solo alcuni dei gemiti del mondo contemporaneo, ma sono molti di più, alcuni percepiti e altri no. Se il cuore dell’uomo è spesso indifferente o sordo di fronte ad essi, il cuore di Maria è attento, percepisce e s’immedesima, facendosi tutt’uno con chi soffre e piange in silenzio, perché il Cuore di Maria è un cuore materno.
Una meraviglia tra le meraviglie create da Dio è proprio il cuore delle madri, colmo di amore grande e sempre pronto a tutti i sacrifici. Ricorrere alla madre è un istinto della vita: è il primo grido del bambino nella culla, l’ultima invocazione del malato sul letto di morte. Dio non ha voluto che la vita spirituale fosse meno umana di quella naturale e così ha creato il cuore di Maria, mettendovi dentro l’infinito amore, l’immensa tenerezza e compassione del suo Cuore divino. Maria, come Dio, nutre quell’amore viscerale che è pronto a chinarsi su chi ha bisogno e a fare proprie le sofferenze, i gemiti della povera gente. Maria lo fa in modo discreto. A Cana, infatti, non provvede personalmente, ma mette in luce e affida il problema al Figlio, lasciandogli l’iniziativa, perché ha fede in Lui, sa di poter contare su di lui. A questo punto avviene un fatto a prima vista sconcertante. Alla constatazione della Madre: «Non hanno vino…», Gesù risponde: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (v. 4). Quella di Gesù è per tutti una reazione inattesa. Un noto biblista, il cardinale Vanhoye, ne dà una profonda spiegazione e precisa innanzitutto, che il testo greco dice letteralmente: «Che cosa a me e a te, donna?». È un’espressione frequente nell’AT ed indica sempre la messa in discussione di una relazione tra persone. Gesù usa la stessa espressione verso la Madre, perché vuole mettere in discussione la sua relazione familiare con Lei. Quello di Gesù, dunque, non è un rifiuto, al contrario. Gesù ha un rapporto specialissimo con la Madre, entrambi sono inseparabili.
Quindi, se a Cana si ha l’impressione che Gesù voglia marcare la distanza tra lui e la madre, in realtà, chiamandola Donna, la proclama Nuova Eva, cioè inizio di una nuova umanità di cui lei è Madre. Con la sua espressione, Gesù vuole far capire che, poiché sta per iniziare la nuova alleanza, occorre un cambiamento di relazione. Niente può più essere come prima: Le cose di prima sono passate, dice il Signore: Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,4-5). Anche Maria deve accettare un cambiamento nei propri rapporti con il Figlio. Gesù usa un’altra espressione, che di solito viene tradotta in forma negativa: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Continua a precisare il cardinale Vanhoye che nei manoscritti più antichi non si mettevano segni d’interpunzione. Pertanto la frase di Gesù può essere interpretata o come negativa o come interrogativa: Non è forse ancora giunta la mia ora? Secondo quest’ultima forma, Gesù vuole sottolineare che è già giunta la sua ora. Adesso non è più l’ora di Maria, cioè il tempo in cui la madre deve guidare il figlio, ma è l’ora di Gesù, l’ora in cui Gesù deve prendere l’iniziativa e realizzare il piano di Dio, compiere la volontà del Padre.
Pertanto, l’intervento apparentemente brusco del Figlio non è un rimprovero alla Madre, ma l’invito ad un cambiamento di relazione. Che cosa fa Maria? Si sottomette perfettamente all’invito di Gesù, acconsente alle parole di Gesù, accetta un cambiamento di relazione e diviene così doppiamente madre, in quanto Madre di Gesù e Madre dei discepoli del Figlio. Gesù affida a Maria questa nuova missione: essere Madre dei suoi discepoli, Madre della Chiesa. Maternità che raggiungerà il suo apice ai piedi della croce: «Donna, ecco tuo figlio», «figlio, ecco tua madre» (Gv 19,26-27). Si tratta dell’ultimo atto che il Figlio di Dio ha compiuto qui sulla terra e che è il dono estremo del Suo amore: ci dona Maria come Madre.
Cana è un’anticipazione di questa maternità. Gesù vedeva già in lei la Donna che con fede, speranza e carità sconfinate, dava il suo apporto indispensabile alla missione redentrice del Figlio. (...)
In quanto Madre, Maria invita i suoi figli a sottomettersi anch’essi alla volontà di Dio: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5).
L’ascolto dei gemiti dell’umanità diventa esortazione a fidarsi di Dio e ad affidarsi a Lui, ad accogliere la Parola e a lasciarsi plasmare da Essa. A Cana, Maria esorta i figli ad avere fede nel Figlio, in Colui che ha dato la vita per tutti noi, morendo sulla croce. È questo dono di Sé che costituisce il fondamento della nostra fede e del nostro affidamento al Signore Gesù. L’esortazione di Maria a fidarsi di Dio non esula dall’impegno: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». I servi sono spronati a fare, ma in docile sottomissione al volere di Dio, in obbedienza alla sua Parola. A Cana Maria ci insegna che ciò che conta non è cercare la soluzione ai problemi – e a questo proposito echeggiano alle mie orecchie le parole di Gesù: «Senza di me non potete fare nulla» e «Io sono la Via, la Verità e la Vita» - ma ciò che conta è avere fede in Lui e assumere un atteggiamento di accoglienza operosa, che consente a Dio di fare storia insieme a noi, al di là delle nostre umane possibilità, Qualsiasi cosa vi dica, fatela. Sono le ultime parole di Maria, una sorta di testamento spirituale. Da Cana in poi, Maria non parla più, ha detto l’essenziale.
Come Madre della Chiesa e nella Chiesa, ella prega e intercede perché i suoi figli aprano il loro cuore alle «parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Vorrei dire due parole su Fatima, dove, come a Cana, Maria ha un posto centrale.
Gli anni in cui sono accaduti gli eventi di Fatima sono anni di grande sofferenza, di distruzione e di morte (Prima Guerra Mondiale), l’inizio di un secolo (XX sec.), che è andato caratterizzan-dosi per l’affermarsi di regimi totalitari, lo sfaldarsi di certezze e di valori solidi, l’affermarsi dell’esperienza dell’assenza e della lontananza di Dio fino ad arrivare a negare la sua esistenza.
In questo contesto storico, drammatico, in cui i gemiti dell’umanità sono numerosi ed angoscianti, Dio si fa presente ed operante attraverso Maria.
In Lei traspare la tenerezza e la misericordia di Dio, che non è indifferente alla situazione delle sue creature, che non abbandona il peccatore nella sua colpa, che non dimentica i miseri nella loro sofferenza e che apre la porta alla speranza, indicando la via che conduce a Lui: il Cuore Immacolato di Maria. Immacolato perché radicalmente e pienamente abitato da Dio mediante il suo Spirito. Un cuore che sente il dolore dei figli e offre loro materna protezione.
Il «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» riecheggia a Fatima, dove la Vergine Maria esorta a mettere Dio al centro della nostra vita, a fare di Lui e della sua volontà la ragion d’essere della nostra esistenza.
A Fatima, Maria ci insegna, inoltre, ad avere compassione verso chi soffre, ad «aprire il cuore all’universalità dell’amore» (Benedetto XVI), ad essere solidali con i fratelli e le sorelle che sono nel bisogno.
Fatima è veramente un messaggio di speranza per i gemiti inconsolabili. E ancora una volta è la fede della Madre che comunica coraggio ai deboli cuori umani, lasciando una promessa confortante: «Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà».







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