Dal Saggio Introduttivo di Samuele Pinna, La figura di san Bernardo e la contemplazione della Vergine nella Commedia di Dante, pp. 56-69.
Dopo il lungo viaggio, Dante si trova dinnanzi alla Maestà divina, potrà fissare il suo sguardo contemplando la Trinità, grazie all'intercessione di Maria: «la preghiera alla Vergine, che si innalza, pura ed assoluta, all'apertura del canto, e si stende poi con più disteso respiro quasi ad avvolgere l'intera vicenda umana, passata e futura, dell'uomo che per mezzo altrui la formula, introduce alla visione ultima, cioè la rende possibile, come al personaggio nell'immaginato racconto, così al Poeta nel verso scritto sulla pagina »57. La «santa orazione» (Paradiso, XXXII, v. 151) di san Bernardo, «l'estatico della contemplazione amorosa di Dio»58, è «l'inno più bello che sia mai stato composto in onore della “Vergine Madre”, dove, con rara genialità, una teologia, e precisamente una mariologia dottrinalmente perfetta si compone con una altissima e insuperata ispirazione poetica»59. Siamo, infatti, di fronte al «profilo più luminoso e più completo della Vergine nella Commedia»60. Ogni parola di questa preghiera sembra rivestirsi di un valore particolare, quasi unico, ma se invero ciò vale per tutto il componimento dantesco, qui risulta ancora più evidente: poesia e teologia, bellezza e contemplazione, si fondono insieme, generando una lirica di raro splendore.
L'invocazione è divisa in due parti: «nella prima, l'inno alla Vergine vero e proprio; nella seconda, la richiesta a Maria di esaudire il desiderio di Dante»61.
Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio (vv. 1-3).
L'Inno inizia con una terzina ossimorica di singolare incanto: Maria è Vergine e allo stesso tempo Madre. In modo stupendo, il Poeta in un verso riesce ad accomunare due caratteristiche di Maria: ella vive nella verginità eppure sperimenta la maternità. Una delicatezza letteraria e insieme una potenza teologica che principiano in modo sublime questa preghiera. Per essere Madre di Gesù, Maria riceve, dunque, un dono inaudito: rimanere in uno stato verginale. A tal proposito, sono molto interessanti le precisazioni di Charles Journet: come infatti si può credere che il Verbo si è fatto carne e nel contempo dubitare della verginità di Maria?
«La Verginità di Maria è il sigillo della sua totale consacrazione a Dio. Ella non solo ne ha ricevuto la rivelazione, ma ha vibrato interiormente per la sua verginità corporea ante, in e post partum, nella coscienza di tutto il suo essere. Il miracolo che L'ha sigillata fisicamente era innanzitutto per Lei, che ne aveva bisogno in una tale avventura. E se cominciate a contestare il racconto di san Luca io vi dirò: credete sì o no che Gesù è il Verbo fatto carne? Che è il Figlio unico di Dio incarnato in una natura umana composta di anima e di corpo? Se dubitate, nessun argomento terrà. Se io non credo al Verbo fatto carne considererò tutto quello che si dice della verginità di Maria (e degli Angeli che appaiono a Maria e a Giuseppe) come semplici leggende, sia pure interessanti. Tutto ciò che racconta il Vangelo sarà per me impossibile»62.
La verginità di Maria è, quindi, conseguente alla sua missione, che la rende esente da ogni peccato, originale e personale. Infatti, «se avesse fatto il più piccolo peccato, non sarebbe stata veramente piena di grazia, non sarebbe stata degna Madre di Dio»63.
«L'ordine della natura – scrive ancora Journet – è l'amore sensibile di Maria per un figlio che, rendendola madre, non ha infranto bensì consacrato la sua verginità; lo ha messo al mondo senza dolore, senza essere lesa da questa procreazione, proprio come il vetro è lasciato intatto dal raggio che l'attraversa. L'ordine della grazia è l'amore di un cuore soprannaturalmente puro: esso non ha conosciuto la lordura di alcun peccato, il suo primo battito fu per Dio, la sua carità sempre piena, come un ruscello fluente che s'allarga per diventare un fiume»64.
Maria, preservata dalla colpa del peccato originale, è, dunque, l'Immacolata Concezione: al suo concepimento, cioè al momento in cui la sua anima è stata creata e unita al suo corpo, ella è stata immacolata, ossia preservata dal peccato. È la presenza costante di Dio accettata in totale libertà a permettere alla Madonna una vita nella grazia. Nelle omelie In laudibus Virginis Matris il Dottore Mellifluo si sofferma a spiegare le parole il Signore è con te rivolte dall'Arcangelo a Maria, la piena di grazia:
«“AVE, PIENA DI GRAZIA: IL SIGNORE È CON TE”. E con te non è solamente il Signore Iddio Figlio, che tu rivesti della tua carne, ma anche il Signore Iddio Spirito santo, dal quale tu hai concepito, e il Signore Iddio Padre, che ha generato colui che tu concepisci. Il Padre stesso, dico, è con te, lui che genera il Figlio suo e tuo. È con te il Figlio, che per costituire il suo mirabile mistero, aprì miracolosamente per sé la porta segreta della tua fecondità, e conservò per te il sigillo della verginità. È con te lo Spirito santo, che con il Padre e il Figlio santifica il tuo utero. Perciò “IL SIGNORE È CON TE”»65.
Non priva d'interesse è, inoltre, una sottolineatura di Nembrini, il quale ricorda che Maria è nostro modello, non inavvicinabile, ma che al contrario – ella è, infatti, «primizia dell'umanità nuova»66, come l'ha definita Benedetto XVI – apre la strada a una vita secondo lo Spirito, che non trattiene unicamente per sé, ma che desidera si realizzi in ogni figlio di Dio. Certo, non deve essere dimenticato che in lei tutto è vissuto in pienezza, poiché è la piena di grazia, ma, allo stesso tempo, ci suggerisce come quella “grazia” sia riversata abbondantemente anche su ciascun credente e che il suo amato compito e servizio è di intercedere per ogni uomo.
«L'aspetto più commovente di tutto l'inno è la scoperta che “Vergine Madre” è detto di tutti, è una caratteristica di tutti, perché tutti siamo chiamati a una fecondità dentro una verginità: non c'è possesso vero dell'altro, non c'è rapporto, non c'è generazione se non dentro un distacco che riconosce tra sé e l'altro una distanza infinita. Ma una verginità che fosse infeconda sarebbe una condanna a morte: non c'è verginità che non sia per una paternità, per una fecondità grande, quella per cui la Chiesa ci ha abituati a chiamare “padre” e “madre” i preti e le suore. Quindi è vero che “Vergine Madre” è detto di Maria, ma dato che Maria “è primizia dell'umanità nuova” [Benedetto XVI], è il prototipo dell'umanità santa, allora è detto di tutti. Descrive l'inizio del cristianesimo»67.
I versi «Vergine Madre, figlia del tuo figlio» (v. 1), definiscono, dunque, Maria a partire dalla divina e verginale maternità: «essa è Madre del Figlio di Dio, e insieme, a motivo della sua divinità, ne è figlia»68. Figlia del tuo figlio è il completamento del primo verso: Maria è figlia di Dio e, quindi, anche di suo figlio, il Figlio, a motivo della divinità del Verbo incarnato. Nell'Incarnazione, poi, assumendo il Figlio la natura umana e nascendo da donna, fa sì che Maria diventi sua madre. Questi versi di incredibile bellezza, influenzeranno (bellezza richiama bellezza) – per esempio – Michelangelo nell'ideazione e nella conseguente attuazione di uno dei suoi più grandi capolavori. È il 1498, quando il Buonarroti, a soli 22 anni, per conto del Cardinale francese di San Dionigi, inizia la realizzazione di una Pietà di marmo.
«Il volto della Vergine – commenta Antonio Paolucci – è quello di una donna assai giovane, quasi di una bambina, certo assai più giovane dell'uomo che tiene sulle ginocchia e che pure è suo figlio. A chi gli faceva notare l'incongruenza (come poteva essere che il Cristo apparisse più vecchio della madre?) Michelangelo rispondeva – la testimonianza è ancora del Vasari – che giovinezza è specchio e figura di verginità e che nel dare a Maria l'immagine di una fanciulla adolescente, egli voleva sottolineare l'incontaminata purezza della Madre di Dio […]. Essa è, del resto, la traduzione in figura dei celebri versi di Dante che Michelangelo conosceva bene»69.
Il Poeta, proseguendo con gli ossimori, definisce Maria umile e, nello stesso tempo, con forte lirismo, alta più che creatura. La Vergine è la creatura più umile tra le creature e, insieme, supera, per dignità e perfezione, qualsiasi creatura. Risuonano le parole del Magnificat: «ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1, 48-50). Nel De gradibus humilitatis et superbiae, in cui «sono presenti segni evidenti di quella profonda consapevolezza mariologica che è all'origine dei grandi temi della maturità di Bernardo»70, egli scrive rispetto al ruolo di Maria alle nozze di Cana di Galilea, a dire la sua umiltà e grandezza: «apprendi anche dalla Madre del Signore ad avere una grande fede nel miracolo, a conservare in questa grande fede la riservatezza. Impara ad abbellire la fede con rispetto, a reprimere la presunzione»71.
Maria è, inoltre, «termine fisso d'etterno consiglio»: predestinata per eterno decreto di Dio, è il punto fermo, nel fluire della storia, a cui Dio affida dall'eternità la salvezza degli uomini mediato dal mistero dell'incarnazione divina.
«“Termine fisso d'etterno consiglio”. In quattro parole – afferma Nembrini – dice l'idea che Dio dall'eternità tenesse d'occhio Maria, contemplasse la propria grandezza nella grandezza di Maria. Straordinario! È come se Dio avesse fatto il mondo, Adamo ed Eva, pensando a lei, per custodire lei, perché arrivasse lei. Attesa da Dio dall'eternità»72.
Il progetto del Padre, infatti, è eterno, poiché da sempre vuole che il suo Figlio entri nella storia e, pertanto, attende un termine – il “sì” di Maria –, che invero riecheggia dall'eternità. Quel “sì”, ancora una volta, riguarda la Vergine, ma anche ciascun uomo. Del resto – scrive Luigi Giussani –,
«fattore fondamentale dello sguardo di Gesù Cristo è l'esistenza nell'uomo di una realtà superiore a qualsiasi realtà soggetta al tempo e allo spazio. Tutto il mondo non vale la più piccola persona umana; questa non ha nulla di paragonabile a sé nell'universo, dal primo istante della sua concezione fino all'ultimo passo della sua decrepita vecchiaia. Ogni uomo possiede un principio originale e irriducibile, fondamento di diritti inalienabili, sorgente di valori […]. Il problema dell'esistenza del mondo è la felicità del singolo uomo»73.
Tale felicità o gioia piena, ossia la realizzazione dell'uomo, si dà quando ci si conforma all'immagine del Figlio. Dio sceglie, in modo assoluto, come prototipo e «prima della creazione del mondo» (Col 1, 4) Gesù Cristo, il Crocifisso risorto e glorioso e, successivamente, tutta l'umanità che a lui si conforma: Maria ne è la primizia. Pertanto,
«l'umanità voluta dal Padre per il Figlio non è un'umanità “neutra”, ma una umanità che abbia lo splendore proveniente dalla risurrezione da morte, o la gloria irraggiante dal Crocifisso, e che sia immagine di ogni umanità […]. E questo equivale ad affermare che l'uomo, a sua volta, è stato compredestinato con Gesù risorto da morte, che è “preveduto” – ma Dio non “pre-vede”, bensì vede – e voluto per avere la medesima sorte»74.
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura (vv. 4-6).
Maria è colei che ha tanto nobilitato l'umana natura (nobilitasti sì), che il Verbo, il quale l'aveva creata ('l suo fattore), non si è sdegnato di farsi creatura della stessa natura (sua fattura). Pertanto, «in Maria, a motivo della sua grazia e della sua divina maternità, la natura umana deturpata dal peccato raggiunge il vertice della nobilitazione, per cui il Creatore non disdegna di prendere carne da lei, e di diventarne la creatura»75.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore (vv. 7-9).
Per l'Incarnazione, compiutasi nel seno di Maria (nel ventre tuo), si è riacceso l'amore tra Dio e l'uomo, per il cui calore nella pace eterna del cielo è venuta sbocciando la mistica rosa: «è la nuova creazione cui dà inizio Gesù. Per la tenerezza, l'obbedienza e la carità che hai custodito nella vita, e perciò nel tuo ventre, è potuto germinare “questo fiore”, ovvero la “candida rosa” [Paradiso, XXXI, vv. 1-3], l'insieme dei beati, cioè la salvezza del mondo, il mondo salvato»76. Sicché – scriveva sant'Ambrogio –, «in questo utero della Vergine crescevano insieme il mucchio di grano e la grazia del fiore del giglio, perché ella generava sia il chicco di grano che il giglio»77. «Nella persona di Maria – commenta la Chiavacci Leonardi – nacque il germe da cui è fiorito nell'eterno il grande fiore della umana beatitudine: quella rosa è nata dall'amore che in lei compì il supremo miracolo di Dio, l'incarnazione di Cristo»78. È – secondo Inos Biffi – il cristocentrismo di Dante, il quale «pone Gesù nel cuore della storia di salvezza, della santità cristiana e della sua beatitudine»79. L'amore tra l'uomo e Dio, ridestato nel ventre di Maria, permette il compimento delle profezie dell'Antico Testamento che si realizzano in Gesù Cristo. Ogni battezzato partecipa di questa salvezza, poiché vive già nel tempo ultimo, è già annoverato tra i salvati dal Signore Risorto, membro del suo Corpo, sua Chiesa. Un Prefazio della Liturgia ambrosiana canta così questo mistero dell'Incarnazione e della divina misericordia: «mosso a compassione per l'umanità che si era smarrita egli [Gesù Cristo] si degnò di nascere dalla Vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunicò la vita immortale » (IV domenica del tempo di Pasqua).
Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace (vv. 10-12).
In Paradiso, per i beati, Maria è un sole splendente di carità in pieno meriggio (meridïana face), e per i mortali, sulla terra, è viva fonte di speranza (fontana vivace). Anche in questi versi, quasi fossero una istantanea, Dante rileva come Maria è davvero un sole splendente in pieno giorno: è il sole della carità che scalda l'anima dei beati, i quali se ne rallegrano. È un amore così grande e pieno che nessuno gli resiste. Sulla terra è, invece, una fontana di acqua che zampilla rinfrescante. Chi ha provato l'arsura sa bene come si è rinfrancati quando si può attingere finalmente anche a una sola goccia d'acqua. Maria è, dunque, la sicurezza della nostra speranza, ecco perché a lei ci si può rivolgere – e si deve, come vedremo nella terzina successiva – mediante la preghiera di intercessione.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz' ali (vv. 13-15).
La terzina si apre con l'appellativo «Donna», lo stesso usato da Gesù nel Vangelo di Giovanni durante le nozze di Cana (2, 4) e sotto la Croce, quando affida la Madre al discepolo che egli amava (19, 26). Questo titolo – spiega Gianfranco Ravasi – «non è segno di distanza scortese ma è l'appellativo normale sulle labbra del Cristo durante il suo dialogo con le donne (Gv 4, 21; 8, 10; 20, 13)»80.
«L'appellativo “donna” (o “signora”) – scrive a sua volta Alfred Wikenhauser – è assai usato in greco, nei confronti di persone distinte, ed anche umili, e non ha nulla di non riguardoso o di sprezzante. Esso però non si trova mai nell'Antico Testamento, e neppure nella letteratura rabbinica. Di questo titolo si serve sia Edipo nei confronti della sposa Giocasta [Sofocle, Edipo Re 642], sia Augusto rivolgendosi a Cleopatra [Dione Cassio 51, 12, 15]. Ciò che invece è fuori di ogni consuetudine senza riscontro è che Gesù si rivolga così a sua madre, qui [durante le nozze di Cana] e sulla croce (19, 26). Egli ha chiaramente coscienza di esserle estraneo, e proprio per questo vuol mettere in risalto, affinché sia ben chiaro che nell'esercizio della sua missione obbedisce ad un'altra legge»81.
Il rimando immediato a un altro passo è il ritrovamento del tempio, narrato nel Vangelo di Luca, quando Maria e Giuseppe cercano angosciati Gesù, mentre lui risponde che doveva occuparsi delle cose del Padre suo (cfr. 2, 49). «Il verbo deomai (oportet, “è necessario”) – spiega Ortensio da Spinetoli – che appare la prima volta nel Vangelo di Luca comanda tutta la vita di Gesù. Egli compie liberamente le sue scelte, ma su un cammino segnato dall'alto. L'accenno al Padre implica una personale relazione con lui»82. Non è, dunque, sminuita la figura della madre e in questo caso del padre terreno, ma si vuole ricordare come prioritaria la missione affidatagli dal Padre. Lo stesso vale per il brano giovanneo: «Gesù, quindi, con quella risposta essenziale si sottrae alla richiesta di Maria ma solo per indicare, subito dopo, la condizione indispensabile del suo intervento, quella cioè della sua “ora” (“Non è ancora giunta la mia ora”)»83. Il Dottore Mellifluo scrive, a tal proposito, come
«pur manifestando le sue parole una viva emozione, nondimeno la pia Madre prese in disparte il suo potente Figlio, non per mettere alla prova la sua potenza, ma per indagare sulla sua volontà. “Non hanno più vino”, ella dice. Quali parole più rispettose, quali parole più fiduciose di queste? La fede non viene meno alla bontà del suo animo, non mancò il tono grave alla sua voce, non rimase senza affetto il suo desiderio»84.
A dire che l'intercessione di Maria è davvero influente, Dante lo sottolinea perfettamente in questa terzina: Maria è tanto grande e potente che chiunque desidera una grazia e non ricorre a lei per averla è come se sperasse di poter volare senza avere le ali. Nembrini rileva qui la differenza dell'Ulisse cantato nell'Inferno. Egli, autentico uomo del desiderio si ritrova punito, ma non può essere per questo, come risulta debole il pensarlo negli inferi a motivo del “cavallo di Troia”, che sicuramente permette a Dante di assegnargli un posto nel girone dei fraudolenti, ma non a giustificarne la cagione. Ulisse è colui che «né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né 'l debito amore / lo qual dovea Penelopè far lieta» (Inferno, XXVI, v. 94-96) gli permettono di vincere l'ardore «a divenir del mondo esperto » (ibid., v. 98), cioè di partire per un avventura – l'ultima – con i suoi compagni. Neanche un fine tracciato e invalicabile, le colonne d'Ercole, impedisce di perseguire il desiderio di ambire all'infinito, di osare per superare i limiti. È in questa occasione che Ulisse proclama agli amici quei versi stupendi e famosi: «considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza» (ibid., vv. 118-120). Fallisce la sua spedizione e, soprattutto, il suo destino, perché
«Ulisse a differenza di Dante non è umile. Non riconosce un'ultima dipendenza dal Mistero, pretende di farcela lui, da solo. In fondo – forse detto così è un po' forte, ma uso questa formula per brevità e per intenderci – il peccato di Ulisse, la ragione per cui Ulisse è all'inferno, è che tradisce il suo desiderio: non va all'inferno per aver desiderato troppo, va all'inferno per aver tradito il suo desiderio. Quando l'uomo tradisce il suo desiderio? Quando lo vive con un ultimo orgoglio, con una misura stabilita in ultima istanza da lui stesso, con un'ultima assenza di umiltà, di dipendenza dal Mistero»85.
Ecco la ragione per cui davanti a questa terzina del Paradiso «ritorna alla mente Ulisse, “de' remi facemmo ali al folle volo”: perché è folle il volo di Ulisse? Perché – risponde ancora Nembrini – vuole raggiungere Dio usando come ali i remi, cioè le sue sole forze, le sole forze umane. È impossibile: per raggiungere Dio occorre una grazia, e questa non si può ottenere senza il soccorso di Maria»86. Un altro riferimento biblico immediato, dove con le proprie forze l'uomo vuole in qualche modo scalzare Dio, è il brano della “Torre di Babele” (Gen 11, 1-9). Questo racconto dà una spiegazione della diversità dei popoli e delle lingue: «essa è il castigo di una colpa collettiva che, come quella dei progenitori (cap. 3), è ancora una colpa di superbia (cfr. v. 4). L'unione sarà restaurata solo nel Cristo Salvatore: miracolo delle lingue a Pentecoste (At 2, 5-12), assemblea delle nazioni in cielo (Ap 7, 9-10)»87.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre (vv. 16-18).
Continuando, quasi in un crescendo, si afferma non soltanto che nessuna grazia si può chiedere a Dio senza passare per l'intercessione di Maria (sarebbe, infatti, come si è osservato, tentare di volare senza avere le ali), ma Dante – per bocca di Bernardo – aggiunge che la bontà della Vergine non solamente (pur) soccorre chi domanda la sua intercessione, ma spesso (molte fïate) con sua liberalità previene la stessa preghiera. Del resto, il Poeta ha vissuto questo precorrere di Maria nel Primo canto dell'Inferno, quando si trovava nella selva oscura: «è la Madonna che, prima che Dante gridi il suo “Miserere”, gli è andata incontro attraverso le “tre donne benedette” e poi Virgilio: per questo Dante può gridare “Miserere”. Stupendo!»88.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate (vv. 19-21).
La preghiera, cosiddetta canonica, si conclude con una terzina meravigliosa: in Maria c'è misericordia (in te misericordia), pietà (in te pietate), splendore (in te magnificenza); in lei si assomma quanto c'è di buono nelle creature (quantunque in creatura è di bontate): Maria è il “superlativo” della creazione, poiché vive in maniera cristoconformante, ove la sua fisionomia è conformata sul Figlio. Nella Gaudium et spes si afferma che il vero uomo è Gesù Cristo, poiché «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (n. 22). «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (ibid.). «In questa linea – spiega Inos Biffi –, l'umanesimo è, per sua definizione e consistenza storica, “cristiano”: un cristianesimo non “umano” significa dissoluzione di uno dei termini del mistero di Cristo, del realismo stesso della sua natura umana »89. Non si è, pertanto, “veri uomini” quando si è dissomiglianti a Cristo, ovvero quando si è a lui difformi, a causa del peccato; si è, al contrario, schiavi del peccato e succubi del male e della morte. Ecco perché, per ritornare a uno stato conforme a Cristo, si necessita la “grazia” rinnovatrice mediata dai Sacramenti. In Maria – e Dante l'ha espresso plasticamente in questa terzina – il peccato non ha mai fatto presa su di lei, perché non ne ha mai avuto esperienza: in lei c'è solo bellezza!
NOTE
57 A.M. CHIAVACCI LEONARDI, Paradiso, p. 907.
58 É. GILSON, Dante e la filosofia, p. 218.
59 I. BIFFI, La poesia e la grazia nella Commedia di Dante, p. 80.
60 Ibid.
61 F. NEMBRINI, Dante, poeta del desiderio, vol. III, p. 131.
62 C. JOURNET, La Vergine Maria e la Chiesa, in ID., Maria corredentrice, Edizioni Ares, Milano 1989, pp. 75-117: pp. 91-92.
63 ID., Catechesi sulla Santa Vergine, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1953, p. 23.
64 ID., Mater Dolorosa, in ID., Maria corredentrice, pp. 11-74: p. 16.
65 BERNARDO, Lodi alla Vergine Madre, III, 4, in Opere di san Bernardo, vol. II, Scriptorium Claravallense. Fondazione di Studi Cistercensi - Città Nuova, Milano - Roma 1990, p. 97.
66 BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, 15 agosto 2008.
67 F. NEMBRINI, Dante, poeta del desiderio, vol. III, p. 132.
68 I. BIFFI, La poesia e la grazia nella Commedia di Dante, p. 81.
69 A. PAOLUCCI, Perfezione infranta. Una giornata di studio ripercorre la storia del restauro del capolavoro, «L'Osservartore Romano», 21 maggio 2013, p. 6.
70 I. DEUG-SU, Introduzione, in Opere di san Bernardo, vol. I, Scriptorium Claravallense. Fondazione di Studi Cistercensi - Città Nuova, Milano - Roma 1984, pp. 3-35: p. 14.
71 BERNARDO, I gradi dell'umiltà e della superbia, XXII, 53, in Opere di san Bernardo, vol. I, p. 113.
72 F. NEMBRINI, Dante, poeta del desiderio, vol. III, p. 133.
73 L. GIUSSANI, Alla origine della pretesa cristiana. Volume secondo del PerCorso, Rizzoli, Milano 2001, pp. 104-105.
74 I. BIFFI, Per ritrovare il Mistero smarrito. Riflessioni su Gesù il Signore, l'intelligenza della fede, la scuola dei maestri, Jaca Book, Milano 2012, p. 20.
75 ID., La poesia e la grazia nella Commedia di Dante, p. 81.
76 F. NEMBRINI, Dante, poeta del desiderio, vol. III, p. 133.
77 AMBROGIO, L'educazione della Vergine, 91, in Opera Omnia di sant'Ambrogio, vol. 14/II, Biblioteca Ambrosiana - Città Nuova Editrice, Milano - Roma 1989, pp. 174-175: «in quo Virginis utero simul acervus tritici et lilii floris gratia germinabat, quoniam et granum tritici generabat, et lilium».
78 A.M. CHIAVACCI LEONARDI, Paradiso, p. 909.
79 I. BIFFI, La poesia e la grazia nella Commedia di Dante, p. 82.
80 G. RAVASI, L'albero di Maria. Trentun «icone» bibliche mariane, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1993, p. 251.
81 A. WIKENHAUSER, L'Evangelo secondo Giovanni, Morcelliana, Brescia 1968, p. 106.
82 O. DA SPINETOLI, Luca. Il Vangelo dei poveri, Cittadella Editrice, Assisi 19943, p. 131.
83 G. RAVASI, L'albero di Maria, p. 251.
84 BERNARDO, I gradi dell'umiltà e della superbia, XXII, 53, in Opere di san Bernardo, vol. I, pp. 114-115.
85 F. NEMBRINI, Dante, poeta del desiderio, vol. I, pp. 172-173.
86 ID., Dante, poeta del desiderio, vol. III, p. 134.
87 La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1985, p. 54.
88 F. NEMBRINI, Dante, poeta del desiderio, vol. III, p. 135.
89 I. BIFFI, Fede, intelletto e prassi, Jaca Book, Milano 2014, pp. 418-419.
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