Caratteristiche della devozione mariana in Africa
Data: Sabato 19 Settembre 2009, alle ore 18:35:29
Argomento: Società


Articolo dell' Agenzia Fides

Maria ci insegna a vivere cristianamente; ogni vita mariana è, dunque, essenzialmente cristocentrica. La devozione mariana, dunque, non attenua minimamente il nostro attaccamento a Cristo; essa non vi si sostituisce, quasi a renderlo più facile. Non consideriamo dunque Maria come un surrogato per le nostre mancanze, senza far nulla per rimediarvi; poiché una simile pratica mariana non potrebbe che sviluppare in noi né lo spirito di fede né la speranza nell’onnipotenza redentrice di Cristo, né lo spirito di carità; e non sarebbe che una sostituzione illusoria e inefficace.


Crescere nella santità significa far sì che Dio abiti sempre più intimamente nell’anima; ciò presuppone un impegno veramente personale, libero, ed esistenzialmente più religioso da parte dei credenti, al quale potremo dedicarci tanto più facilmente quanto più vi saremo spinti dal nostro amore mariano. Maria, però, non sarà mai il rimedio per le nostre mancanze, né assumerà un ruolo di supplenza qualora noi siamo privi d’una vera vita religiosa. Ciò che è umanamente impossibile diventa una possibilità divina soltanto se di Maria imitiamo il suo abbandono a Dio in uno spirito di pura fede.

Molto si è scritto e detto sull’inculturazione di Maria nel Nuovo Mondo e in Europa, ma poco nei confronti dell’area africana. Ma non così per la devozione, che nel continente nero ha trovato, seppur in epoca recente, un grande sviluppo e accoglienza. Parlando della devozione mariana in Africa dobbiamo a rigore distinguere il contesto del nord Africa, in particolare l’Egitto e l’Etiopia, dove esiste fin dagli albori dell’era cristiana, una solida presenza di fedeli e di segni della devozione a Maria. Infatti non si può non dimenticare il suo ‘viaggio’ con Giuseppe in Egitto, come espressamente menzionato dei Vangeli, gesto originario del culto mariano, e di tutti gli altri segni legati alla vita delle prime comunità cristiane presenti in quelle terre dagli inizi, come ci attestano i testi sacri e altri antichi documenti. L’Africa sub-sahariana, invece, ha vissuto in parallelo alle fasi storiche della colonizzazione europea, la nascita e la crescita della devozione mariana, così come l’opera di evangelizzazione. La gran parte degli ordini missionari hanno posto, fin dagli esordi, la loro opera sotto la protezione della Vergine. Questo vale sia per l’epoca coloniale - quando ci fu la ‘corsa all’Africa’ che dette nuovo e grande impulso all’attività missionaria delle varie confessioni cristiane - sia per i secoli precedenti, quando si ebbero i primi, ma infruttuosi, contatti culturali con la popolazioni africane. La materna e compassionevole figura della Madonna fu proposta immediatamente dai missionari cattolici ai catechizzandi come centralissima e qualificante della religione da loro predicata, non di rado in aperto antagonismo con l’evangelizzazione condotta dai concorrenti missionari protestanti. Generalmente, tenendo conto della formazione dei missionari, il culto a Maria fu veicolato secondo i parametri e gli schemi della devozione popolare occidentale europea.

Secondo alcuni studiosi, sembra che i sistemi religiosi tradizionali, a prima vista, non abbiano trovato una precisa risonanza nel culto della Madonna. Le apparizioni mariane ci sono, ma iniziano a verificarsi tra i nativi assai tardivamente rispetto agli esordi della cristianizzazione.

Cronologicamente la prima apparizione documentata mariana su suolo africano risale al 1955 a Nongoma, in Sudafrica, ad una suora missionaria. Invece la prima apparizione documentata ad un africano è del 1980 e riguarda un certo Felix Emeka Onah, cui la Vergine sarebbe apparsa ad Ede-oballa, in Nigeria. Ci sono numerosi casi di apparizioni mariane in Africa, ma spesso sollevano dubbi e problemi di carattere ‘inculturativo’, ovvero antropologico–religioso in chiave cristiana, e chiamano quindi in causa la teologia e la gerarchia cattolica, per esprimere criteri autentici e autorevoli di giudizio.
Secondo il recente studio di Danila Visca, sono stati raccolti sette casi di mariofanie: nel 1980 ad Ede-Oballa, in Nigeria; nel 1982 in Ruanda a Kibeho; nel 1984 a Mushasa, in Burundi; nel 1984 a Mubuga, in Ruanda; nel 1985 a Yagma e a Louda , in Burkina Faso; nel 1987 a Muleva, in Mozambico; nel 1998 a Tseviè, in Togo.

Di queste manifestazioni ci sono pochissime informazioni, solamente su Kibeho si possono attestare numerosi documenti e soprattutto l’approvazione canonica della Santa Sede avvenuta il 29 giugno 2001. Questo ha accresciuto ulteriormente la fama e l’interesse per Kibeho, anche per essere legato alla vicenda drammatica del genocidio tra Hutu e Tutsi del 1994.

La devozione mariana in Africa, e la fede in generale, si è incontrata, ma spesso scontrata, con la realtà delle religioni tradizionali. Le mariofanie rivelano questa dialettica dell’inculturazione, anche se spesso sembra più un adattamento. Alcuni aspetti presentano un chiaro contesto africano, come “soprattutto la loro estrema spettacolarità e durata, i canti intonati dai veggenti nel corso delle visioni, le benedizioni da loro impartite, l’imposizione terapeutica delle mani, alcune formule di saluto”, mentre nelle loro grandi linee restano saldi negli schemi e nelle formule del modello europeo: “l’apparizione di una Donna vestita completamente di bianco, o di bianco col velo ‘blu come il cielo’, che tiene le mani giunte o sul petto, o come ‘distese com’è rappresentata nella medaglia miracolosa’. L’estasi è dialogica, l’acqua benedetta riveste un ruolo centrale, la recita del rosario è vivamente raccomandata (nella sua forma tradizionale della ‘coroncina dei sette dolori’), i veggenti sperimentano la visione dell’inferno, Maria si qualifica con ‘titoli’ noti (‘Madre del Verbo’, il nome della parrocchia stessa, ‘Immacolata Concezione’), la Vergine rivolge pressanti esortazione alla preghiera, alla mortificazione, al pentimento, alla sopportazione delle sofferenze, affida messaggi.”

Sembra che, secondo la teoria dell’assimilazione, la “Vergine miracolosa in Africa deve apparire biancovestita e circondata di stelle, deve chiedere l’edificazione di un santuario, deve sollecitare alla recita del rosario, deve ammonire i peccatori, invitare al digiuno e alla penitenza e predire la fine dei tempi: deve, in una parola, essere la Vergine ‘canonica’ – quella codificata dal Concilio di Trento – perché sia riconosciuta.” Il cammino dell’evangelizzazione è lungo e non facile. Il culto e la devozione alla Madonna sembra possa esprimere bene il processo di inculturazione e la necessità di superare il criterio ‘eurocentrico’.

Un dato ci aiuta a comprendere la necessità di approfondire le strategie dell’evangelizzazione, soprattutto nei confronti del culto mariano. Le chiese dedicate a Maria sono estremamente numerose fin dagli esordi dell’azione missionaria, ovvio segno della forte devozione mariana dei portoghesi, ma anche della “presa che questa devozione deve aver avuto immediatamente sui nuovi convertiti.” Tutta la evangelizzazione del continente era stato posto sotto la protezione di Maria, ma possiamo distinguere il periodo fino al Concilio Vaticano II, quando ella era presentata come “la Mediatrice di tutte le grazie, la Madre di tutti gli uomini e la vergine umile”, e il post-concilio, quando si cerca di “declinare la sua figura e il suo ruolo con maggiore attenzione al sostrato socio-culturale locale, cercando di recuperare alla Vergine tutta una serie di elementi portanti della tradizione religiosa, e più in particolare nei suoi aspetti comunitari, delle popolazioni cristianizzate.” La cultura tradizionale africana ha aiutato a comprender ed accettare la figura della Madonna, in quanto secondo la visione popolare, “tutti i membri della società africana devono concorrere all’unità di vita e a incrementare la discendenza che procede dagli antenati, e quindi anche dalla propria: a ciò stesso serve la famiglia, fatta d’uomini e donne, o piuttosto di padri e di madri, perché nel matrimonio africano l’aspetto genitoriale prevale nettamente su quello coniugale. Di fatto essere al servizio della vita – che è il compito assegnato da Dio all’uomo e alla donna – vuol dire essere al servizio della fecondità.” Le donne sono “l’orgoglio del gruppo, perché sono coloro che portano la vita, la linfa d’amore e d’unità. La loro maternità non è che un servizio reso alla comunità; ed è anche per Dio ch’esse adempiono la loro missione di madri.” Ma la donna africana non è solo la sede della vita e non ha solo il ruolo essenziale dell’educazione dei figli. Ella è anche “la consigliera privilegiata dell’uomo, la protettrice della pace, la nutrice della famiglia ed è in rapporto privilegiato con la spiritualità”. Ancora oggi, infatti, la donna-madre ha un ruolo vitale nell’equilibrio e nella struttura della società tradizione africana.

Si comprende bene, allora, come il culto mariano, la Madre per eccellenza, abbia attecchito immediatamente nella religiosità dei locali, pur in un dialogo non sempre facile tra religione tradizionale e approccio eurocentrico. La maternità spirituale e fisica di Maria ci permette di cogliere le reali e profonde somiglianze con l’idea di madre propria della cultura africana. Ecco perché nella ‘comparazione’ con la madre africana, la Madonna, in generale, è “più madre che sposa”, anche lei educa il figlio, accetta i sacrifici e le sofferenze della maternità, vive nel silenzio, è guardiana della pace; anche Maria è prima figlia della famiglia, della Chiesa e poi Madre e unità di tutti i credenti.” Le strade per una ulteriore e feconda evangelizzazione e inculturazione ci sono e andranno percorse con coraggio e fedeltà evangelica.






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