L'arcano linguaggio delle lacrime di Maria
Data: Domenica 20 Settembre 2009, alle ore 1:03:35
Argomento: Mariofanie


Un articolo di Stefano de Fiores su Madre di Dio del 10 ottobre 2006

Il pianto di Maria, espressione della sua maternità universale, è una manifestazione eccezionale della sua continua presenza materna nella vita dei suoi figli.

 Il saggio antico-testamentario Siracide tra i suoi consigli propone anche questo: "Non dimenticare i dolori di tua madre" (Sir 7, 29). Egli si riferisce alle doglie del parto sofferte da ogni madre, ma noi possiamo applicarlo al dolore della Madre del Popolo di Dio, che ha sperimentato sul Calvario le angosce della partoriente partecipando al mistero pasquale di Cristo, fonte della nostra rigenerazione spirituale.

Nel corso dei secoli ella ha espresso nelle sue Apparizioni o nelle sue icone le sofferenze materne dinanzi ai pericoli e affanni che non mancano nel cammino della Chiesa. Ricordare i dolori di Maria significa prestare attenzione ad essi, conservarli nella memoria individuale e collettiva, interpretarli dal punto di vista delle scienze umane e della teologia, e infine tradurli in lezioni di vita.

Originariamente, le autorevoli voci di Pio XII, del Card. Ildefonso Schuster e dell’Arcivescovo Ettore Baranzini convergono nell’additare come causa della lacrimazione della Vergine a Siracusa [29 Agosto – 1 Settembre 1953] il distacco o apostasia dei singoli o delle masse dalla fede cattolica, per aderire alle schiere dei nemici di Dio e della Chiesa [storicamente, chiara allusione al pericolo comunista]. Si tratta, per i nostri tempi, di una lettura storico-socio-politico-religiosa che ha la sua consistenza e non può essere trascurata in quanto rappresenta il significato originario e primigenio dell’evento. Essa non può essere considerata chiusa e definitiva, poiché l’approfondimento dell’evento deve continuare secondo varie prospettive.

Significato mariologico

In prima istanza si cerca il significato mariologico del pianto siracusano, sia perché chi piange attira innanzitutto l’attenzione sulla sua persona, sia perché l’evento non si può staccare dai precedenti interventi di Maria a Lourdes, La Salette, Fatima, in cui ella si mostra triste o addirittura in lacrime.

Qualcuno, come Y. Chiron, contesta l’organicità di tali Apparizioni, ritenendole ognuna un caso particolare da esaminare in se stesso: "Sarebbe eccessivo considerare le 15 Apparizioni dal 1830 al 1933 come un grande ciclo europeo che avrebbe una propria coerenza, per cui il messaggio si precisa e si completa da un’Apparizione all’altra. Non c’è continuità tra i messaggi delle grandi Apparizioni mariane del XIX secolo e dell’inizio del XX secolo, non c’è una specie di "rivelazione" progressiva. C’è piuttosto un identico messaggio diversamente formulato, secondo i bisogni dell’epoca e del luogo".

Tesi a sua volta eccessiva, che rischia di omologare le Apparizioni nell’identico messaggio, non cogliendo le convergenze e le divergenze, e tanto meno l’evoluzione. In particolare, non c’è chi possa chiudere gli occhi di fronte alla diversità delle Apparizioni di Lourdes e di Fatima, soprattutto quanto al messaggio che nel 1917 assume una dimensioni storico-salvifica, politica, spirituale e perfino apocalittica che non aveva nel 1854. Nello stesso tempo permangono alcuni punti fondamentali, come la preghiera e la penitenza.

Si può dunque, con Philippe Séveau, parlare di coerenza dei messaggi di Maria e insieme della loro escalation fino all’evento siracusano: "Maria ha parlato tante volte invitandoci alla penitenza, alla conversione del cuore: ora ella piange. Le sue lacrime sono un messaggio, e insistiamo su questo punto, un messaggio rivolto agli uomini del nostro tempo. Il suo pianto è la continuazione del messaggio materno di Maria che chiama gli uomini alla penitenza e alla conversione. [...] A Siracusa, Maria ha parlato senza parlare. A differenza degli altri messaggi tanto luminosi come quelli di Lourdes e Fatima, questa volta Maria ha taciuto completamente. Ma nessuna parola poteva superare l’eloquenza del suo silenzio unito al pianto. Nessuna sollecitudine, per chi sa capire con intelligenza d’amore, può superare le sue mute lacrime. Quando una madre vede respinti ostinatamente i suoi ammonimenti, quando vede i suoi figli ingannati incamminarsi verso la rovina perché non credono più in lei, ella trasforma il suo linguaggio in pianti che sono la più vibrante espressione del suo amore, la denuncia della impotenza in cui l’hanno ridotta, la resistenza dei suoi figli, il riflesso quasi sperimentale e il ricordo del male dove sono orientati".

Manifestazione eccezionale di una presenza materna abituale

Nelle ultime mariofanie la Vergine ha rivelato una profonda umanità, delicatezza e partecipazione psicologica alle sorti del mondo. In lei non è assente talvolta il sorriso, come quando Bernadette la asperge con acqua benedetta, tuttavia una più netta espressione di serietà, dolore, tristezza e perfino di pianto predomina sul volto di Maria nell’arco delle sue Apparizioni. La Madre di Gesù piange per i peccati e i mali del mondo e invita alla conversione. Ma, mentre nelle suddette Apparizioni Maria si mostra afflitta e piangente ed insieme lancia pressanti inviti e chiari messaggi, a Siracusa ella non parla se non attraverso "l’arcano linguaggio delle lacrime" (Pio XII).

In base al nostro studio teologico-biblico del pianto di Maria, espressione della sua maternità universale, possiamo applicare a Siracusa quanto A. Bossard discerne nelle Apparizioni come elemento che le accomuna al di là delle loro specifiche finalità: "…ogni Apparizione di Maria può essere letta come una manifestazione eccezionale della sua presenza materna e abituale nella vita della Chiesa e dei suoi figli".

La "scena di rivelazione" ha mostrato per sempre l’identità storico-salvifica e teologica di Maria, che da Madre di Gesù diviene Madre del discepolo amato, figura tipologica rappresentativa di tutti i discepoli del Signore. Questa prerogativa la rende presente nella vita della Chiesa, sia direttamente nelle Apparizioni, sia indirettamente nei segni ordinari e straordinari. In questo senso si esprime Giovanni Paolo II: "Le lacrime della Madonna appartengono all’ordine dei segni: esse testimoniano la presenza della Madre nella Chiesa e nel mondo. Piange una madre quando vede i suoi figli minacciati da qualche male, spirituale o fisico".

Un problema posto sul tappeto da Pio XII riguarda la compresenza nella persona glorificata di Maria della gioia escatologica e insieme di una sensibilità alla situazione difficile dei Cristiani e delle loro Comunità. Il Pontefice lo aveva risolto negando a Maria assunta in Cielo qualsiasi sofferenza, incompatibile con il suo stato glorioso, ma anche escludendo in lei ogni insensibilità e affermando amore e pietà per i suoi figli ancora pellegrinanti. Senza dubbio Maria è in Cielo eternamente felice e non soffre dolore né mestizia; ma Ella non vi rimane insensibile, ché anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre, allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della Croce, ove era affisso il Figliolo.

La figura di Maria cessa in tal modo di essere considerata come rutilante di gioia per la visione e il possesso beatifico di Dio Uni-Trino, ma chiusa nella sua letizia inalterabile e congiunta ad un’impassibilità di tipo stoico.

Pio XII modifica questa immagine gloriosa, ma impassibile di Maria. Nega a lei il dolore e la tristezza come sono sperimentate nella vita terrena e perpetua in lei, secondo l’effato scolastico della gloria che perfeziona la grazia, la sua situazione di "Madre… dolorosa e lacrimante… ai piedi della Croce". Maria, pur felice, è compassionevole nei riguardi del "misero genere umano, cui fu data per Madre". La riflessione teologica ha cercato di spiegare questa condizione paradossale della Vergine glorificata ricorrendo ai vari strati compresenti nella psicologia umana e alla felicità più piena correlata alla fase finale dell’escatologia. Per il Card. Martini, "la felicità dei Santi non è così imperfetta da non accettare di coinvolgersi nell’umana infelicità".

Significato cristologico e antropologico delle lacrime

A 25 anni dall’evento siracusano, durante la prima settimana di Studi mariani a Siracusa [19-24 giugno 1978], l’Arcivescovo Calogero Lauricella insisteva sul significato cristologico della lacrimazione siracusana, la quale va inserita "anzitutto ed essenzialmente nel mistero del dolore di Maria, coinvolta alla Croce di Gesù nel modo più intimo": "Le lacrime di Maria a Siracusa sono il segno di uno straordinario richiamo agli uomini peccatori e di una ripresentazione del dolore redentore di Cristo e di sua Madre".

Nella stessa occasione si approfondiva il necessario legame delle lacrime della Vergine con il pianto di Gesù, documentato dal Nuovo Testamento in tre circostanze: con vero sussulto davanti alla tomba dell’amico Lazzaro (Gv 11, 35), con profonda emozione o "veemente pathos" alla vista di Gerusalemme (Lc 19, 41), e infine "con forti grida e lacrime" durante la sua Passione (Eb 5, 7). In particolare, il motivo delle lacrime versate da Gesù sulla Città Santa è la sua infedeltà e futura rovina. Essa non ha compreso la via della "pace", cioè dell’insieme dei beni messianici, della salvezza piena e totale [cfr. Is 57, 19; 66, 12; Ger 33, 6], e non ha riconosciuto "il tempo della sua visita", in quanto non ha colto il momento decisivo della salvezza offerta dalla venuta regale di Gesù. Di fronte a tale chiusura e rifiuto, Gesù reagisce con un pianto d’impotenza e con l’annuncio della sorte tremenda di Gerusalemme.

In questa prospettiva cristologica, le lacrime di Maria rivelano la sua umanità, che non rimane indifferente di fronte alle sorti del mondo, ma anche la sua impotenza di fronte al gioco della libertà e responsabilità degli uomini, che si chiudono alla salvezza e alla pace messianica offerte da Cristo. Maria piange, come ha fatto Gesù, per lanciare alla società un ultimo monito a non rifiutare il Regno di Dio e a non respingere ostinatamente il messaggio evangelico. Il suo è un pianto estremamente serio, pregno di tristi presagi, un richiamo a non respingere gli inviti divini onde non incorrere nella rovina.

Si è voluto inserire il pianto di Maria nell’esperienza universale dell’umanità, studiandone il significato antropologico. La Vergine di Nazaret è infatti "figlia di Sion" e "figlia di Adamo" [cfr. LG 55 e 56], appartiene al popolo di Israele, ma fa parte della stirpe di Adamo e del genere umano. Il suo pianto realizza la definizione della lacrima, simbolo universale.

In questo contesto si colloca pure lo studio dei bisogni psichici e sociali, cui rispondono le Apparizioni e le altre manifestazioni dell’amore materno di Maria nel mondo: esigenza di fatti constatabili e concreti, materializzando realtà ultraterrene altrimenti distanti, bisogno di protezione e sicurezza di fronte all’angoscia per il presente malvagio e per il futuro oscuro, ricerca di una madre accogliente che garantisca il valore dell’amore e della comunione.

 

 

 

 







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