Di Antonio Palmese in A. Langella - G. Falanga (a cura di), La figura di Maria nella predicazione e nella pietà oggi, Verbum Ferens, Napoli 2013, pp. 31-50.
Lo scambio di idee sulla tematica mariologica, durante la celebrazione del Concilio Vaticano II, diede origine a un agitato dibattito, in cui venne a riflettersi la situazione della teologia degli anni immediatamente precedenti, dibattito che contribuì d’altronde notevolmente alla sua maturazione. La discussione si centrò attorno alla questione circa l’opportunità di redigere un documento autonomo sulla Vergine Maria o, piuttosto, includere il tema nella costituzione sulla chiesa1.
1. IL DIBATTITO CONCILIARE: MARIA PER LA SALVEZZA DEL MONDO
La domanda non riguardava una mera questione formale, ma rifletteva diverse posizioni esistenti tra i partecipanti al Concilio, che generalmente sono schematizzate nel modo seguente. Alcuni di essi, qualificati come “massimalisti”, affermavano la necessità di esaltare sempre di più la figura della Madre di Gesù con un documento a se stante e anche, se fosse possibile, dichiarando nuovi dogmi mariani oltre quelli già esistenti (maternità divina, verginità, concezione immacolata, assunzione). Altri, invece, insistevano sulla necessità di centrarsi maggiormente su Cristo, distogliendo l’attenzione da Maria, attenzione che negli ultimi decenni sarebbe stata eccessiva e perfino deviante per la fede. Erano perciò qualificati come “minimalisti”. Vi era anche una posizione intermedia, la quale sosteneva che, pur senza sminuire l’importanza di Maria nella fede della chiesa, occorreva evitare l’impressione che essa costituisse come un tassello separato e isolato nel suo insieme e che, perciò, era necessario includere la trattazione mariologica nel documento sulla chiesa. Finì per prevalere quest’ultima prospettiva e, così, il tema mariologico diventò il capitolo ottavo della costituzione dogmatica sulla chiesa, approvata il 21 novembre 1964: Lumen gentium. Una conoscenza, pur sommaria, di quanto contiene tale capitolo può aiutare a cogliere come venne delineata la figura di Maria all’interno di questo ripensamento decisivo che la chiesa fece di se stessa nel Vaticano II. Un elemento di fondamentale importanza fu la nuova prospettiva in cui venne inserita la figura di Maria. Dalla lettura della costituzione emerge una prima constatazione: elaborando questo capitolo mariologico, il Concilio non pretese di favorire un progresso quantitativo nella dottrina sulla Vergine Maria, ma piuttosto di produrre un cambiamento qualitativo. Volle cioè ripensare e riformulare tutta l’eredità mariologica ricevuta dalla Bibbia e dalla tradizione viva della chiesa, in una prospettiva soteriologica, ossia nell’ottica della salvezza. Non volle, quindi, riflettere su Maria e le sue prerogative in quanto tali, ma in rapporto al progetto divino di salvezza dell’umanità. Detto in “parole più tecniche”: non volle proporre una mariologia ontologica, che prendesse di mira l’essere di Maria, ma una mariologia storico-salvifica, che focalizzasse la sua funzione nella storia della salvezza2. Ciò influì anche sul linguaggio utilizzato, un linguaggio molto vicino a quello della Bibbia, degli antichi padri della chiesa e dei testi liturgici, come si può desumere da una sia pur veloce lettura del testo, nel quale abbondano sia le citazioni scritturistiche che quelle dei santi padri3. Quest’ottica salvifica si coglie in tutte le pagine della costituzione Lumen gentium, ma appare più nitidamente in alcune di esse: nel proemio (nn. 52-54), nel quale si include subito Maria nel quadro di riferimento della redenzione voluta da Dio per l’umanità e operata da Gesù; in tutto il punto II (nn. 55-59), dedicato espressamente a illuminare il rapporto storico di Maria con la persona e l’opera di Gesù Cristo; e nel punto III (nn. 60-65), che si riferisce alla condizione attuale di Maria. Raccogliendo i diversi dati qui presenti, possiamo tratteggiare la figura di Maria delineata da essi in queste poche ma dense frasi: Maria è una donna della famiglia umana, bisognosa di salvezza come tutti i suoi membri, la quale, prevenuta gratuitamente fin dalla sua concezione dalla grazia di Dio, durante la sua umile vita mortale ebbe a camminare con grande fiducia in lui tra le luci e le ombre proprie della fede e collaborò generosamente con lui nella salvezza del mondo, anzitutto dando alla luce Gesù, il Messia Salvatore, e poi consacrandosi totalmente alla sua persona e alla sua opera; al presente, una volta raggiunta con lui la pienezza della vita, continua a cooperare con Dio aiutando con sollecitudine e amore materno i fratelli del suo Figlio, gli uomini tutti, affinché anch’essi raggiungano la salvezza.
2. LA MADRE DEI POVERI NELLA TEOLOGIA POSTCONCILIARE
Com’è naturale, nella riflessione su Maria proposta dalla Lumen gentium non sono ancora presenti le istanze che nel post- Concilio, invece, sono andate maturando. La centralità dei poveri nella preoccupazione di Gesù e, conseguentemente, della comunità dei suoi discepoli, non vi è neanche accennata. Dopo il cammino che abbiamo percorso precedentemente, essa può invece essere presa in considerazione anche per ripensare la sua figura di “membro singolare” della chiesa (cf. LG 53). Se si tiene conto che, nel suo impegno per dare vita ai morti (cf. Gv 5,20-21), Gesù diede sempre la preminenza a coloro che erano i più “moribondi”, ossia i più piccoli e deboli, si può anche intendere in quale luce possa venir ripensata la figura della sua Madre. Ella, oltre a «primeggiare tra gli umili e i poveri del Signore», come attesta ancora il n. 55 della costituzione conciliare, essendo consacrata totalmente all’opera del suo Figlio condivide con lui anche la sua preoccupazione per la vita in pienezza degli uomini, a cominciare dai più umili e poveri. Si può, quindi, supporre che tra “i fratelli del suo Figlio”, coloro che sono più privi di vita costituiscano l’oggetto primo e privilegiato della sua sollecitudine materna. Essa è, in maniera del tutto particolare, la Madre dei poveri. In questo contesto può risultare illuminante la presentazione della figura di Maria nella Terza Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano di Puebla. L’aspetto più caratteristico del suo Documento finale, da questo punto di vista, è il riferimento fatto al Magnificat o Cantico della Madonna (cf. Lc 1,47-55) come «specchio della sua anima» (n. 297)5. La Conferenza privilegiò tale testo scritturistico mariano, facendone una rilettura a partire dalla situazione di estrema e ingiusta povertà generalizzata in cui si trovavano i popoli del continente. Lo fece appellandosi espressamente a idee abbozzate da Giovanni Paolo II e tenendo come sfondo ciò che, qualche anno prima, aveva scritto Paolo VI nella Marialis cultus6. In quest’ultima, il papa, consapevole delle notevoli ripercussioni che le mutate circostanze storicoculturali avevano avuto sul culto mariano, affrontò il compito di riproporre in maniera rinnovata la figura di Maria agli uomini e donne d’oggi. Lo fece, tra l’altro, appellandosi precisamente al Magnificat. Sono queste le sue testuali parole: «Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo (cf. Lc 1,51-53)»7. E continuò poi affermando, in base ad altri testi evangelici: «Fu una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio (cf. Mt 2,13-23): situazioni che non possono sfuggire all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell’uomo e della società»8. Risulta illuminante rilevare il contesto in cui Paolo VI tratteggiò la sua figura: è quello delle “attese profonde degli uomini del nostro tempo”, ai quali Maria viene offerta come «modello compiuto del discepolo del Signore: artefice della città terrena e temporale, ma pellegrino solerte verso quella celeste ed eterna; promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, testimone operoso dell’amore che edifica Cristo nei cuori»9. Quest’indicazione programmatica venne ripresa dal Documento di Puebla. Rifacendosi a sua volta a un’omelia pronunciata da Giovanni Paolo II nel Santuario di Zapopán (Guadalajara, Messico, 1979), esso afferma: «Nel Magnificat [Maria] si presenta come “modello per coloro che non accettano passivamente le circostanze avverse della vita personale e sociale, né sono vittime della alienazione”, come si dice oggi, bensì proclamano con lei che Dio innalza gli umili e, se è il caso, “rovescia i potenti dal trono”» (n. 297)10. Il collegamento di questo testo con quello della Marialis cultus è palese. Qui, però, la presentazione di Maria quale modello ha acquistato ancora maggiore concretezza. Infatti, la donna “tutt’altro che passivamente remissiva”, menzionata da Paolo VI, si è convertita nell’omelia di Giovanni Paolo II in “una donna che non accetta passivamente le circostanze avverse della vita personale e sociale”; e la donna “di religiosità tutt’altro che alienante”, in “una donna che non è vittima dell’alienazione”. Già questi due mutamenti sono significativi, specialmente se si tiene conto dell’aggiunta dell’aggettivo “sociale” all’aggettivo “personale” che viene adoperato per qualificare le “avverse circostanze della vita”. Il risultato di tali mutamenti è che Maria viene presentata come modello di una non-passiva- accettazione di ciò che nella vita personale e sociale risulta avverso e contraddittorio. È questa sua “ribellione” a liberarla dall’essere una vittima dell’alienazione. Siamo così lontani da una certa presentazione della figura di Maria che può contribuire a mantenere i fedeli in condizioni di passività e rassegnazione, pensando che tutto ciò che li spoglia della vita e della dignità è “volontà di Dio”. La Madonna del Magnificat li sollecita a cercare di rimuovere tutto ciò che li tiene in condizioni inumane, sia di origine personale che sociale. Ma vi è ancora di più. Appellandosi allo stesso versetto del Magnificat riportato da Paolo VI, nell’omelia sopra citata Giovanni Paolo II vi aggiunge un inciso breve, ma molto carico di significato. Dice, infatti, che il Dio qui “cantato” da Maria è un Dio che “innalza gli umili e, se è il caso, rovescia i potenti dai troni”. È di nuovo il contesto in cui il papa faceva tale affermazione che sollecita a dare all’inciso una portata storica molto concreta. Egli parlava in un continente e in un momento nei quali dei regimi ingiusti e oppressori erano insediati in “troni potenti”, e nei quali i poveri e gli umili erano schiacciati e calpestati nella loro più elementare dignità umana da dittatori che si avvalevano del potere per meschini interessi personali, familiari o di gruppo11 (cf. nn. 507-511). Il fatto di aver aggiunto questo piccolo inciso – “se ne è il caso” – al versetto del Cantico di Maria, gli conferisce una tonalità particolare, poiché mette in rapporto Dio e Maria con il rovesciamento di questi potenti dai loro troni di ingiustizia. Orienta, cioè, la sua interpretazione in una direzione di grande realismo storico. Così Maria, la Madre dei poveri, appare, tramite il Magnificat letto in questa luce, come modello di una fede attiva e storicamente impegnata per tutti coloro che vogliono seguire Cristo in un mondo bisognoso di fraternità e di giustizia; di una fede che si sforza di non venire a patti con nessun tipo di alienazione, né personale né sociale, che non è per niente remissiva, ma viceversa “evangelicamente ribelle” a tutti i livelli in cui si gioca la vita e la dignità degli uomini e delle donne, e soprattutto dei più poveri.
3. LA QUESTIONE POVERI, OGGI
Gustavo Gutiérrez, in un testo molto importante, nel quale spiega la differenza fondamentale che rileva, in ragione dell’interlocutore, tra la teologia “progressista europea” – sono parole sue – e la teologia latinoamericana della liberazione, afferma: «Buona parte della teologia contemporanea sembra che sia partita dalla sfida lanciata dai non-credenti. Il non-credente mette in questione il nostro mondo religioso ed esige da questo una purificazione e un rinnovamento profondi […]. Comunque, in un continente come l’America Lati na la sfida non proviene in primo luogo dal non-credente, ma dal non-persona, cioè, da colui che non è riconosciuto come tale dall’ordine esistente, il povero, lo sfruttato, colui che sa appena appe na di essere una persona. Il non-persona innanzi tutto mette in questione non il nostro mondo religioso, ma il nostro mondo economico, sociale, politico, culturale, per questo rappresenta un invito alla trasformazione rivoluzionaria delle stesse basi di una società disumanizzante»12. Alla base di questo progetto teologico c’è, o dev’esserci perché sia autentica, una profonda esperienza spirituale. Spirituale non nel senso greco della parola, bensì nel suo senso biblico. Per il mondo culturale greco, infatti, lo spirituale si oppone al materiale; per quello biblico, invece, lo spirituale ha a che fare con lo Spirito di Dio e di Cristo. La tematizzazione, ossia la riflessione rigorosa e sistematica che vuole essere la teologia nell’ottica della liberazione, implica una previa “esperienza instauratrice”, un’“esperienza spirituale intensa”, un’“esperienza mistica”. Essa consiste in un incontro con il Signore Gesù nella persona del prossimo; ancora più concretamente, nella persona degli umiliati e offesi di questo mondo, degli oppressi. In altre parole, consiste in quell’esperienza evangelica decisiva enunciata nel conosciuto testo, di Mt 25,31ss. Quindi, l’esperienza di Cristo, la conversione a lui passa, concreta mente, attraverso la conversione ai poveri13. Senza questa conversione la teologia della liberazione “in atto secondo” non è possibile, o si converte in qualcosa di puramente artificiale. In altre parole, se la riflessione rigorosa sulla fede non va preceduta e accompagnata da questa concreta esperienza spirituale, non potrà mai costituire un’autentica teologia della liberazione.
4. MARIA, MODELLO PER UN AUTENTICO AGIRE SOCIALE
L’operatore sociale, ovverossia chiunque opera nel sociale, è la donna nuova, l’uomo nuovo del mondo. Nasce nel patto di civiltà del vecchio secolo tra le forze del lavoro e quelle del capitale. Oggi deve resistere in quel patto per poter legare assieme, in modo indissolubile, libertà e giustizia. Oltre ogni norma, ogni religione, ogni ideologia la persona operatore sociale s’impegna e dà la vita, per servire il mondo: per il lavoro e la libertà come garanzia di cittadinanza; per l’indivisibilità e l’effettivo esercizio dei diritti; per la giustizia e l’etica della responsabilità; per la democrazia e la partecipazione; per la pace e l’accoglienza. La vita di Maria, può essere modello per un agire sociale autentico e “provvidenziale” per coloro che servono le antiche e nuove povertà. Pertanto, prenderemo in considerazione alcuni “momenti” della vita di Maria, la Madre di Gesù, per confermare la necessità salvifica nell’impegno concreto a favore di una società più giusta e più vera. Insomma, sembra importante dire che Maria realizza a pieno l’espressione tanto cara a sant’Ireneo: «La gloria di Dio è l’uomo che vive»14.
4.1. Maria ascolta l’impossibile
Maria vede oltre il visibile. Sente oltre le parole. L’essenziale è visibile con il cuore. Maria media e intercede perché il mistero dell’annunciazione le ha dato la capacità di pronunciare davanti a ogni creatura la seguente espressione: “Questa persona è sempre, comunque e dovunque tutt’altro che”, evitando, così, la costruzione di quella grande muraglia che separa i buoni dai cattivi, i salvati dai perduti. Come cantava Fabrizio De André, “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”: l’immagine di Maria giunse a Pompei con un carretto carico di letame. La persona operatore sociale impara ad ascoltare ciò che non si è capaci di dire. I bisogni profondi e negati sono spesso nascosti dai comportamenti devianti, dalla rimozione, semplicemente dalla vergogna o dall’inconsapevolezza del proprio diritto alla felicità e all’amore. Il bisogno inconsapevole, il bisogno nascosto, il bisogno negato, il bisogno inespresso costituiscono l’obiettivo dell’ascolto autentico. Ascoltare il possibile vuol dire ascoltare l’opinione, ciò che è comodo dire e sapere. Ascoltare l’impossibile vuol dire saper ascoltare il disagio e la verità. La verità del bambino violato. La verità della donna stuprata. La verità del soldato che getta le armi. La verità del cieco che vuol vedere, del sordo che vuol sentire e parlare.
4.2. Maria serve il prossimo
La “chiesa del grembiule”, tanto esaltata da don Tonino Bello, ha le sue origini nella casa di Elisabetta e si sistematizza nella lavanda dei piedi. Maria proclamata regina dell’umanità, anziché porre sulla sua testa la corona della regalità, indossa immediatamente il grembiule che la vedrà impegnata presso sua cugina Elisabetta, la quale attende un figlio. E la vita va comunque difesa e promossa. Il grembiule di Gesù, pertanto, è riconducibile a quello che indossò la Madre per servire sua cugina. Dal grembo della madre, Gesù ebbe modo di vedere il mondo attraverso il “filtro” di quel grembiule. Chi vuole operare per amore e giustizia deve sistematicamente formare il proprio impegno attraverso alcune memorie: quando ha visto i poveri? Quando ha servito i poveri? Quando si è lasciato educare e amare dai poveri? Marta e Maria sono l’icona di tale incontro. La persona operatore sociale è servo dello stato sociale, della comunità umana. Serve per farsi dimenticare. Servire non per una generica solidarietà o peggio per spirito di elemosina, né per l’occasione, ma per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. È di servizio. Non per aiutare ma per emancipare. L’operatore sociale serve rendendo l’altro libero dal servizio. L’operatore sociale prova a diventare inutile nel tempo. Questa è la sua missione. Serve, dunque, a sostenere l’umiliazione della povertà, l’incertezza del vagabondo, l’ambiguità dell’alcolista, la solitudine del depresso, la rabbia del carcerato. L’operatore sociale serve non la certezza, ma la possibilità della vita.
4.3. Maria difende la vita
Difende il Bambino Dalla presentazione al tempio allo smarrimento durante il viaggio. Mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce. Fine dell’educazione è: tutto ciò che unisce e tutto ciò che libera. Accoglienza, soprattutto in ambito di conflitto sociale come spesso accade tra società civile e criminalità: bisogna creare situazioni sempre atte a superare le barricate. Accoglienza è accogliere l’altro così com’è. L’accettazione è altra cosa. In ognuno di noi c’è il forte e insopprimibile desiderio di sentirsi accolto per quello che si è. Per far sì che ciò avvenga è necessario che dentro ogni coscienza educativa siano curate o rimosse alcune sofferenze (laddove potrebbero esserci). Tra tutte, scelgo una patologia presente “diabolicamente” in tantissime realtà, dove l’insoddisfazione e la competizione superano perfino l’amore innocente o la sacralità della propria esistenza in relazione con Dio: l’incapacità di gioire del “successo” dell’altro. Se non c’è questa libertà interiore di un proprio appagamento, non si riuscirà a gioire nemmeno per i propri figli e del loro andare avanti con la propria dignità. Perciò, occorre, prima di tutto, che la sorgente d’amore dentro di noi sia sufficientemente abbondante. Amare e accogliere le persone che non sono state necessariamente generate dalla carne significa conoscere e amare le loro potenzialità, la loro “bellezza” creativa, ma per arrivare a questo occorre essersi incontrarti con la bruttura e la bellezza che abita in noi stessi. Più si progredisce nel cammino dell’evoluzione personale, più si è in grado di amare profondamente gli altri. La persona operatore sociale è, innanzitutto, osservatore del bambino quando nasce. È il portatore del primo dono: l’accoglienza della comunità. Dev’essere il primo a sapere della natività, della voglia di natività, deve proteggerla, difenderla con discrezione. L’operatore sociale s’impegna primariamente a stare dalla parte di quella famiglia, a difenderla, a garantire loro uguali opportunità: una casa degna, una scuola degna, un lavoro degno. L’operatore sociale va a casa della mamma del villaggio Rom quando nasce il suo bambino. L’operatore sociale vi ritorna in quella casa per assicurarsi che ci vada anche il pediatra, l’insegnante, il sindaco. Per una volta. L’operatore sociale custodisce e accompagna i bambini sociali.
4.4. Maria rende possibile la festa
Maria a Cana è certa della sua intercessione: «Fate quello che vi dirà». Maria rende possibile la trasformazione della condizione di insignificanza (sei giare), di bruttezza (di pietra) e di inutilità (acqua), in una vera e propria condizione gioiosa. La persona operatore sociale rende possibile l’incontro. Rendere possibile la felicità delle nozze. Rendere possibile la felicità della coppia. Come la madre di Gesù osserva l’assenza del vino alla festa di Cana, così l’operatore sociale osserva la qualità possibile della relazione di coppia. L’operatore sociale non rappresenta Gesù, ma la madre di Gesù che si rende conto: Non hanno vino. La persona operatore sociale che partecipa alle nozze, guarda/osserva che ci siano gli ingredienti ma solo se è invitato. Accompagna le nozze e i loro simboli. Per una festa che sia autentica con vino buono fin dall’inizio. L’acqua può diventare vino buono nel miracolo della fede nelle relazioni. La sobrietà, l’autenticità, dunque, la fede diventa la qualità delle nozze e dell’incontro. Il miracolo dell’acqua in vino buono è il miracolo di tutte le mense povere che danno cibo soddisfacente e che rendono sazi di relazione. È il miracolo di tutti gli incontri autentici con una tazza di tè realmente offerta. La felicità dell’incontro è nella sobrietà e nell’autenticità. Ma oltre a rendere possibile la festa, l’operatore sociale si siede al tavolo della mensa. Non sceglie il tavolo del governo, non quello degli aristocratici, tantomeno il tavolo dei “palazzi”. Ogni epoca ha conosciuto la presenza di “palazzi”, dove la logica del potere si basa sulle sofferenze altrui e il mantenimento nell’ignoranza del popolo. Espressione forte del segno del potere. La partecipazione di Maria alla festa di due giovani sposi rappresenta invece l’opposto: il “potere dei segni”. Quel potere che trasforma il trittico rappresentato da quelle sei giare di pietra piene d’acqua: sei giare, numero imperfetto; di pietre, perciò brutte; piene d’acqua. Dunque, inutile per l’allegria che determina un buon bicchiere di vino. Ecco il senso di quella presenza di Maria con suo Figlio a Cana: la consapevolezza che tutto ciò che appare imperfetto, brutto e inutile, posto nelle mani di Gesù e di Maria, diventa il preludio essenziale per la festa. Perciò, facciamo nostra l’ipotesi che l’operatore sociale siede al tavolo degli ultimi per rendere lieta la loro comunione. Non parla di Dio; lo testimonia. Usa il pane e il vino essenziale. Compie il rito della comunione come atto di civiltà del futuro, dell’umano sostenibile e autentico, dell’umanesimo sociale possibile. L’operatore sociale siede al tavolo della mensa nel rispetto di tutte le preghiere, di tutti i riti, di tutte le civiltà. La mensa della cittadinanza è la mensa della civiltà. L’operatore sociale mangia alla mensa dei poveri, alle mense scolastiche, alle mense dei lavoratori. Partecipa alle colazioni dei muratori. Beve il latte con la persona senza dimora e risparmia l’acqua per chi non si disseta.
4.5. Maria sotto la Croce
Chi opera nel sociale deve nutrire la speranza che la croce è provvisoria: da mezzogiorno fino alle tre. Ci ricorda don Tonino Bello: «C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da mezzanotte fino alle tre di pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane»15. La persona operatore sociale è di servizio per il violato e il violento. Abbraccia la croce di entrambi. Sostiene il peso del dolore della vittima e quello dell’errore e della violenza del persecutore. Sa bene che la croce portata da soli è per tutti il preludio della morte e della disperazione. Abbracciata insieme è motivo di salvezza. L’operatore sociale è ai piedi delle croci sociali di tutti non per chiedere pietà, ma per comprendere le ragioni, la comprensione dei fatti e dei vissuti. L’operatore sociale non perdona e non assolve, non giudica e non condanna. Costruisce verità e responsabilità. Chiede restituzione di doveri e di diritti. La croce invisibile dell’oppresso senza libertà, la croce invisibile del consumatore senza dignità, la croce invisibile della donna nella schiavitù, la croce invisibile del bambino senza scuola, del giovane senza futuro. Le croci invisibili sono le croci dell’operatore sociale quanto quelle visibili. L’operatore sociale non sceglie la croce. Abbraccia quella del suo cammino, del suo territorio, del suo quartiere, della sua comunità, del suo servizio, della sua competenza. 4.6. Maria, donna del piano superiore Al termine di questa riflessione, ci sembra utile porre lo sguardo sulla collocazione ultima che la Scrittura ci offre di Maria. Negli Atti degli Apostoli incontriamo l’ultima volta Maria, dopo l’ascensione, in attesa dello Spirito Santo. Ella, insieme ai membri della chiesa nascente, «salirono al piano superiore, dove abitavano» (At 1,12). Un efficace commento a tale condizione di Maria ci viene presentato da don Tonino Bello: «Dall’alto di questa postazione. Dal piano superiore. Quasi per indicarci i livelli spirituali su cui deve svolgersi l’esistenza di ogni cristiano […]. Ci sono due punti strategici, nella vita di Maria, che ci danno la conferma di come lei fosse inquilina abituale di quel piano superiore che lo Spirito Santo l’aveva chiamata ad abitare: l’altura del Magnificat e l’altare del Golgota. Donale, pertanto, l’ebbrezza delle alture, la misura dei tempi lunghi, la logica dei giudizi complessivi. Prestale la tua lungimiranza. Non le permettere di soffocare nei cortili della cronaca. Preservala dalla tristezza di impantanarsi, senza vie d’uscita, negli angusti perimetri del quotidiano. Falle guardare la storia dalle postazioni prospettiche del Regno. Perché, solo se saprà mettere l’occhio nelle feritoie più alte della torre, da dove i panorami si allargano, potrà divenire complice dello Spirito e rinnovare, così, la faccia della terra. Santa Maria, donna del piano superiore, facci contemplare dagli stessi tuoi davanzali i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi della vita: la gioia, la vittoria, la salute, la malattia, il dolore, la morte. Sembra strano: ma solo da quell’altezza il successo non farà venire le vertigini, e solo a quel livello le sconfitte impediranno di lasciarsi precipitare nel vuoto. Affacciàti lassù alla tua stessa finestra, ci coglierà più facilmente il vento fresco dello Spirito con il tripudio dei suoi sette doni. I giorni si intrideranno di sapienza, e intuiremo dove portano i sentieri della vita, e prenderemo consiglio sui percorsi più praticabili, e decideremo di affrontarli con fortezza, e avremo coscienza delle insidie che la strada nasconde, e ci accorgeremo della vicinanza di Dio accanto a chi viaggia con pietà, e ci disporremo a camminare gioiosamente nel suo santo timore. E affretteremo così, come facesti tu, la Pentecoste sul mondo»16. L’operatore sociale, uomo tra gli uomini, esprime la prospettiva dei valori e dei principi, del senso del legame con l’idea che ci sopravvive. E se non risorge? Anche se non risorge. È lì la forza del Dio umano. Il Cristo degli uomini si sente abbandonato e perdona. Ogni uomo morto per coerenza si sente abbandonato. Ogni uomo che muore per la solidarietà, per la civiltà, per la democrazia, per la pace, per la giustizia viene abbandonato. Dentro questo consapevole abbandono quale piano superiore ci attende? Quello della forza dell’Umanità che si fa specie responsabile della vita, di ogni forma di vita della natura, del futuro. Nella ricerca del Dio responsabile, del Noi nel futuro del mondo. Maria madre di Dio, qual è l’altra verità? Questo figlio tuo, divenuto figlio del mondo, non più tuo, quale missione compie? Partorire un figlio non nostro per il popolo, per il futuro sarà possibile ancora. Per risorgere nel futuro del mondo. Questo è il piano superiore sociale.
NOTE
1 Cf. G. BARAUNA, La SS.. Vergine al servizio dell’economia della salvezza, in ID., La Chiesa del Vaticano II, Firenze 1965, 1137-1155; G. PHILIPS, Il mistero della chiesa, Milano 1982, 183-257; G. BESUTTI, Note di cronaca sul Concilio Vaticano II e lo schema De Beata Maria Virgine, in Marianum 26 (1964) 1-42.
2 Sul tema cf. G. GUALERNI, Maria nella storia della salvezza, Bologna 1972; R. LAURENTIN, Maria nella storia della salvezza, Torino 1975; G. ROSCHINI, Maria Santissima nella storia della salvezza, Isola del Liri (Frosinone) 1969; R. TOZZI, Maria nella storia della salvezza, Roma 1966. 3 Sono 25 le citazioni bibliche (particolarmente del Nuovo Testamento), che costellano il capitolo; i riferimenti in nota ai padri della chiesa sono 13 (in alcune note vengono citati diversi padri).
4. Cf. I. GEBARA - M. C. BINGEMER, Maria madre di Dio e madre dei poveri, Assisi (Perugia) 1989.
5 Puebla. Documento finale, parte seconda: Maria, Madre e modello della chiesa 2846, in Puebla. Comunione e partecipazione, a cura di P. Vanzan, Roma 1979, 559. Cf. pure L. A. GALLO, Il Magnificat nel Documento di Puebla: un caso emblematico di contestualizzazione dell’annuncio evangelico, in Theotokos 5 (1997) 551-563; A. LAROCCA, La mariología del documento de la III Conferencia Episcopale de Latinoamerica: Puebla a los 25 años, in Ephemerides Mariologicae 55 (2005) 79-94. 6 Cf. PAOLO VI, Esortazione apostolica Marialis cultus (2-2-1974): EV 5, 13- 97. Per approfondimenti, si veda C. ROMEO, Promozione del femminile nella funzione storico-salvifica e nei privilegi di Maria alla luce del cap. VIII della costituzione dogmatica Lumen gentium e dell’esortazione apostolica Marialis cultus, Roma 1989.
7 PAOLO VI, Marialis cultus 37: EV 5, 68.
8 Ivi.
9 Ivi.
10 Il testo originale si trova in GIOVANNI PAOLO II, Omelia a Zapopán (30- 1-1979): AAS 71 (1980) 230.
11 Cf. Documento finale, parte seconda: Che cos’è evangelizzare? 3058-3062, in Puebla. Comunione e partecipazione, 602. Cf. pure GALLO, Il Magnificat nel Documento di Puebla; LAROCCA, La mariología del documento de la III Conferencia Episcopale de Latinoamerica.
12 G. GUTIÉRREZ, La forza storica dei poveri, Brescia 1981, 71-72. 13 Cf. al riguardo le dense pagine di J. SOBRINO, in Resurreccion de la verdera Iglesia. Los pobres, lugar teologico de la ecclesiologia, Santander 1981, 102- 170.
14 IRENEO DI LIONE, Adversus haereses IV,20,7: PG 7, 105.
15 A. BELLO, Alla finestra la speranza, Milano 1988, 54.
16 A. BELLO, Maria donna dei nostri giorni, Milano 1993, 101-104.