Un articolo di Cettina Militello in Theotokos XIX (2011), n. 1, pp. 103-120.
Quasi venti anni fa mi è stato richiesto di leggere gli scritti di Chiara d'Assisi nella prospettiva del femminile.1 Lo feci senza allargare l'orizzonte, ossia senza confrontarmi con la vasta letteratura clariana,2 attingendo unicamente alle Fonti francescane.3 Tomo ad accostare Chiara, senza una specifica competenza, mossa piuttosto da quella sympatheia che mi rende presente lei e le altre donne, protagoniste alla grande di un progetto di Chiesa profetico-testimoniale.4 Torno dunque alla metodologia già messa in atto, pur nell'accresciuta consapevolezza della complessità del problemi critico-testuali che rimetto a studiosi assai più adusi di me alle fonti francescane e al loro messaggio. La mia indagine insomma, comunque debitrice alla loro ricerca,5 si circoscrive all'immagine, alla comprensione che della vergine Maria ha Chiara, nella scansione obbligata della Regola, del Testamento e della Benedizione, delle Lettere. Attingo altresì alla testimonianza del Processo e della Leggenda di Santa Chiara Vergine.6 L'una e l'altra nella prossimità/distanza mostrano già una ricezione "culturata".
I materiali in questione sono esigui. Si tratta di ricorrenze scarne, modulate su pochi steriotipi verbali. Tuttavia emerge in Chiara - lo anticipo - un'evidente ricezione della madre del Signore7 nella sua ovvia paradigmaticità. Ella si adegua nella sua scelta di vita alla Madre del Signore. Ne compartisce l'orientamento fondamentale. Ed è proprio questa essenzialità a rendere preziosa un'attenzione a Maria sobria e senza enfasi, ma profonda e tenace nello scoprire l'adeguarsi della Vergine al Figlio e nel porsi alla sua sequela. La forma di vita scelta da Chiara non distingue tra i due, ma strettamente li connette e unisce, assumendo come proprio il loro percorso.
1. Maria negli scritti di Chiara
1.1. La Regola
Non diciamo cosa nuova rilevando come quella di Chiara sia in assoluto la prima regola di vita religiosa scritta da una donna.8 Chiara scrive in prima persona, non evoca - modulo poi largamente diffuso per dare autorità a parola di donna - un intervento dall'alto, una dettatura dovuta a Cristo stesso, a sua Madre, a un intermediario angelico.9 Né tanto meno ricorre a qualcuno che le sia referente spirituale o amicale, come pure aveva fatto la grande Eloisa chiedendo ad Abelardo di redigere la regola monastica del Paracleto.10 Questa consapevole soggettualità ci avverte già sulla statura di una donna che incrina le regole di una femminilità acquiescente o rispettosa. E, forse, è anche questa la ragione del differimento dell'approvazione della regola. La vicenda della Regola è complessa, a ragione delle disposizioni del Concilio Lateranense IV. Nel contesto della vivace esplosione di nuove forme di vita religiosa, Onorio III incarica nel l118 il card. Ugolino, vescovo di Ostia, di assumere la cura di alcune comunità femminili che non aderiscono a moduli tradizionali. L'anno seguente la nuova realtà riceve una specifica "forma di vita", le cosiddette Costituzioni ugoliniane. Il cardinale, eletto papa con ii nome di Gregorio IX, venuto in Assisi per la canonizzazione di Francesco, tenta di convincere Chiara ad uscire dalla precarietà della povertà assoluta. E, vistane la caparbietà, concede a lei e alle sorelle il Privilegio della povertà. Qualche anno dopo (1230) le disposizioni della sua lettera Quo elongati suscitano la ferma opposizione di Chiara. Nel 1247 Innocenzo IV promulga una nuova "forma di vita" per i monasteri dell'Ordine di San Damiano. Nel 1252, il cardinale Rainaldo d Jenne concede con la lettera Quia vos la sua approvazione alla Regola di Chiara. L'anno seguente, il 9 agosto, Innocenzo IV ne darà conferma con la lettera Solet annuire, solo due giorni prima della morte della santa, vissuta per quasi trent'anni sotto l'ombrello per lei insoddisfacente della modalità di vita benedettina.11 La prima menzione di Maria nella Regola appartiene alla Bolla di Papa Innocenzo.12 Vi si dice che le sorelle povere, disprezzati le vanità e i piaceri del mondo «seguendo le orme dello stesso Cristo e della sua santissima Madre» hanno scelto di abitare rinchiuse e di dedicarsi al Signore «in povertà somma». Seguire le orme di Cristo è evocazione della 1 Pt 2, 21. Collegare intimamente la scelta "religiosa" alla forma di vita della Madre del Signore è modulo tradizionale che sin dal IV secolo addita Maria alle vergini come modello.13 A fare la differenza è il porsi sulla scia della povertà di lei e del Figlio. Non a caso, nel testo della Regola vera e propria, la prima evocazione di Maria è strettamente connessa al tema della povertà. Chiara ammonisce e prega le sorelle «per amore del [ ... ] Bambino avvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio e della sua santissima Madre a indossare sempre "vestimenti vili».14 Non si tratta di una scelta penitenziale. Il divieto d'usare panni nobili non scaturisce da un disprezzo di sé, da un'insana forma di autopunizione.15 É la kenosi del Figlio di Dio, sono le povere fasce che lo ricoprono infante nella greppia, le stesse di cui lo riveste la Madre, nell'immaginario del tempo impossibilitata a dargli una copertura più degna, a giustificare una scelta che è dunque imitativa. La povertà non è amata in sé e per sé ma in quanto è l'habitat, la condizione originaria dell'incarnazione. In ciò ella è in piena sintonia con Francesco, il quale afferma che il Verbo fu annunciato da Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria, dalla quale «ricevette la carne della nostra fragilità»; e prosegue: «Lui, che era ricco [ ... ], volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà».16 La povertà è la scelta fondamentale di Francesco. E Chiara la fa sua, inserendo nella Regola quella che viene detta Ultima volontà del santo d'Assisi: «Io, frate Francesco, piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell'altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino alla fine. E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà».17 La sequela di Cristo insomma è sequela di lui, povero e nudo. É sequela di lui in povertà. Maria, la madre, in ciò gli è intimamente associata. Ella è il luogo della kenosi del Figlio e proprio perciò le è propria la povertà di lui. Povertà che è condizione indispensabile alla sequela. Infatti - ed è contro un mondo ipotecato dalla ricchezza e dal potere nella transizione dalla cultura feudale a quella comunale che Chiara e Francesco polemizzano18 - senza di essa non c'è autentica libertà. La ricchezza obbliga, condiziona, costringe. Pone in essere meccanismi violenti e feroci. Inclina a sopraffare il proprio simile, a dominarlo. La povertà, invece, libera, mette le ali. Ancora una volta notiamo che non soggiace un paradigma di umiliazione gratuita. Se così fosse, non avremmo il paradosso di quell'epiteto "cortese" - «mie signore» - che sempre vediamo usato da Francesco allorché apostrofa le «povere dame».19 E anche questo ossimoro apre scenari altri di valori. Il tema della povertà20 ritorna più e più volte nella Regola. Di nuovo lo ritroviamo riferito a Maria nella disposizione «che le sorelle non si approprino di nulla»;21 qui le si esorta, aderendo all'altissima povertà, di non «avere altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre». Ancora, dunque, una connessione immediata e diretta tra Maria e il Figlio, seguire il quale comporta acquisirlo, inseparabilmente dalla Madre, nella comune esperienza della povertà. Il tema s'intreccia con quello dell'umiltà. Infatti nel contesto dell'obbedienza al cardinal protettore, garanzia del permanere «salde nella fede cattolica», Chiara ribadisce il proposito di osservare «in perpetuo la povertà e l'umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre».22
1.2. Il Testamento
Malgrado di tanto in tanto ne venga negata l'autenticità, non ci sono ragioni definitive per mettere in discussione il Testamento. Occorre collocarlo ai primi di agosto del 1253, allorché Chiara malata ammonisce e benedice le sorelle. Il Testamento e la Benedizione costituirebbero la memoria scritta di quest'evento, testimoniato peraltro al Processo. Maria non vi è appellata «santissima madre» ma «gloriosa vergine sua madre», «Vergine sua madre», «gloriosa vergine santa Maria, sua madre». L'inserimento del termine "vergine" diversamente aggettivato ci si offre nel quadro di riferimento della povertà come scelta di vita. Chiara si affida alla santa Chiesa, perché abbia cura di fare osservare alle «sorelle, che sono e che verranno», «per amore di quel Dio che povero fu posto nella mangiatoia, povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo», la santa povertà. Di più chiede alla santa Chiesa d'infervorarle e conservarle in detta povertà. Ci interessa l'inciso. In esso Chiara chiama piccolo gregge quello scaturito dall'altissimo Padre grazie alla parola e all'esempio del beato padre Francesco e lo dice generato proprio «per seguire la povertà e l'umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa vergine sua Madre».23 Dunque la ragion d'essere delle sorelle povere è l'imitazione di Cristo, l'imitazione della sua povertà e umiltà, tutt'uno con quelle della Madre di lui, povera ed umile anch'essa. Gli aggettivi "diletto" e "gloriosa" rispettivamente riferiti al Figlio e alla Madre contrastano retoricamente con il binomio povertà-umiltà e si iscrivono in quel rovesciamento di valori che fa delle sorelle povere «eredi e regine del regno dei cieli [ ... ] povere di cose, ma sublimate di virtù».24 La consapevolezza della grandezza del cammino intrapreso induce Chiara ad esortare le sorelle a mai abbandonarlo «per colpa o ignoranza». Recherebbero «offesa a così grande Signore, alla Vergine sua madre, al padre nostro beato Francesco, alla Chiesa trionfante e anche militante».25 L'incoerenza, dunque, il peccato come offesa resa alla Chiesa tutta, peregrinante o già gloriosa, come offesa a Cristo e alla Vergine di nuovo in forza del legame indissolubile che lega la Madre al Figlio. Da ultimo, Maria appare nella funzione di intercessione propria della Chiesa celeste. Chiara infatti invoca il Padre del Signore nostro Gesù Cristo affinché, per i «meriti della gloriosa vergine santa Maria, sua Madre»26 e di Francesco e dei santi, sia concesso alla sua comunità di crescere e di perseverare sino alla fine. Riecheggiano nel dire di Chiara stereotipi biblici e liturgici. Soprattutto, però, emerge la consapevolezza della communio sactorum. C'è un'unica comunità a cui appartengono gli ancora peregrinanti e i beati. Vige un legame solidale tra gli uni e gli altri. Se Chiara appella all'istituzione ecclesiale a garanzia e tutela della propria scelta di vita - senza tuttavia dimenticare la lotta che intraprende contro quanti in essa in qualche modo vogliono vanificarla e snaturarla,27 - la colloca altresì nel circolo che lega Dio, la Vergine, i santi. Alla loro intercessione affida il buon esito del suo piccolo gregge iscritto nella sequela di Cristo e della Vergine Madre in povertà e umiltà, ossia in quella forma di vita che ne significa il totale affidamento a Dio Padre.
1.3. La Benedizione
Lo stesso stereotipo «per l'intercessione della sua santissima madre santa Maria»28 ritroviamo quasi all'inizio di questo scritto di Chiara. Vi manca il termine "vergine"; per contro "santa" è stato maggiorato in "santissima".29 La formula è liturgica perché invoca anche l'arcangelo Michele e tutti gli angeli, i santi tutti e le sante. La domanda d'intercessione è diretta a che le sorelle siano confermate in benedizione in cielo e in terra, sicché si moltiplichino in virtù nella Chiesa militante e vengano esaltate e glorificate nella Chiesa trionfante.30 Notiamo per inciso che l'ecclesiologia di Chiara si avvale degli stereotipi propri del tempo. Il mistero della Chiesa è stretto nella polarità militante-trionfante e le figure istituzionali, papa, cardinal protettore e le altre prossime, vi vengono recepite, in apparenza, acriticamente. In apparenza, ma solo in apparenza, il progetto di riforma, il ritorno alla evangelica vivendi forma, e dunque il primato della povertà non sembrano comportare mutazioni istituzionali. Sembrano correre lungo una linea interiore che non ne mette in discussione il modello mondano-sacrale. Che le cose non stiano così lo dice, invece, l'accanimento, ad esempio, nell'imporre a Chiara, e a quante ne seguono l'utopia, una regola che le iscriva nelle strettoie monastiche. Nella resistenza di Chiara c'è indubbia traccia di un'altra visione ecclesiologica. C'è, ed esplicita, la priorità non negoziabile dell'obbedienza a Dio, che nessuno, nemmeno il suo rappresentante in terra, può mettere in discussione: ci riferiamo al ben noto rifiuto di essere esonerata dal privilegium paupertatis. A Gregorio IX che voleva scioglierla dal voto, Chiara avrebbe obiettato che nessuno poteva dispensarla dalla sequela di Cristo.31
1.4. Le Lettere
Le Lettere ad Agnese di Boemia32 (la I Lettera viene datata tra il 1236 e il 1237; la II è collocata nella seconda metà del 1237; la III prima del maggio 1238) ripropongono con accentuazioni diverse il tema sponsale. Nella prima ben due volte il richiamo a Maria stabilisce innanzi tutto un paragone tra le nozze regali, a cui Agnese si sottrae, e le nozze ben assai più nobili che la legano a Cristo nel segno di quella povertà che egli ha scelto «quando venne nel grembo verginale» e apparve «nel mondo disprezzato, bisognoso e povero».33 Chiara innalza un vero e proprio inno alla povertà, in forza della quale si acquisisce quel tesoro che né la ruggine né le tarme possono distruggere. In particolare poi, in forza della sua scelta, Agnese vede attuarsi le parole evangeliche, quelle che riconoscono al/la discepolo/a le nuove relazioni parentali proprie della famiglia escatologica. Può così dire ad Agnese: «a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell'altissimo Padre e della gloriosa Vergine».34 Nella terza delle lettere alcuni passaggi ci consentono di accostare il simbolismo nuziale in chiave mariale, certamente aggiungendo qualcosa di nuovo a quanto sin qui detto. Scrive, dunque, la santa alla sua nobile corrispondente: «La cui bellezza ammirano il sole e la luna, le cui ricompense sono di preziosità e grandezza senza fine: parlo del Figlio dell'Altissimo, che la Vergine partorì e dopo il cui parto rimase vergine. Stringiti alla sua dolcissima Madre, che genera un Figlio tale che i cieli non potevano contenere, eppure lei lo raccolse nel piccolo chiostro del suo sacro seno e lo porte nel suo grembo di ragazza».35 Il lessico e quello tipico della mistica nuziale. Chiara non diversamente da altri scrittori patristici e medievali si appropria della metafora sponsale, interpreta cioè il proprio rapportarsi a Cristo vedendo in lui lo "sposo" e perciò, analogamente, legge il rapporto di Agnese a Cristo sposo attingendo ampiamente al Cantico dei Cantici.36 L'encomio, la lode dello sposo, nel passaggio citato, lo precisa quale Figlio dell'Altissimo che la Vergine ha partorito restando tale. La verginità di lei, che la maternità non ha lesa, suggerisce d'assumerla quale referente. Stringersi a lei attiva così il parallelismo tra il seno di lei e la «celia inebriante» (Ct 2, 4), tra la vita di lei e la vita fatta propria da Chiara ed Agnese. É il termine «chiostro», la metafora paradisiaca del chiostro, a offrirci qui il punto di contatto tra le due diverse flessioni della verginità. Si, il chiostro, la cella, esprimono la condizione ottimale per accogliere l'amato. Sono, il primo soprattutto, evocazione del paradeisos, del giardino che fa da sfondo all'incontro con l'amato - si tratti del giardino edenico, di quello del Cantico dei Cantici, di quello del mattino di Pasqua, di quello ancora dell'Apocalisse (e non a caso il chiostro monastico recepisce tutti e quattro gli alberi che li simbolizzano: il fico, il melograno, l'ulivo, la palma); si tratti della «cella inebriante» nella quale si introduce l'amato.37 Chiostro, cella evocano una riservatezza, un'intimità ben più imperativa d'ogni disposizione canonica relativa alla clausura, prassi che Chiara è costretta ad accettare anche se la parola come tale non trova spazio nelle disposizioni della sua Regola, tranne che nel titolo del capitolo XI, che declina poi, di fatto, il riserbo obbligato a cui sono tenute le sorelle.38 Non diversamente da Maria, la vergine consacrata è analogamente invitata ad accogliere nella piccolezza, nello spazio ristretto che ella è, Colui che i cieli non possono contenere. Ritorna il modulo patristico dell'accogliere/portare39 il Verbo che tocca certamente Maria nella sua singolarità di Madre del Creatore, ma tocca altresì ogni credente e, a maggior ragione, colui/colei che di Cristo ha scelto una sequela radicale. Non a caso Angelo Clareno fa dire a Francesco che «la Religione [dei Frati Minori] è [ ... ] designata spiritualmente ad accogliere e partorire Cristo Gesù nel caravansenaglio della Chiesa [...], come in spirito altra vergine Maria».40 Comprendiamo dunque perché Chiara scriva ad Agnese: «Come dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini lo portò [Cristo] materialmente nel suo seno, così anche tu, seguendo le sue orme, specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale, contenendo Colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute, possedendo ciò che si possiede più saldamente rispetto agli altri possessi transitori di questo mondo».41 ll rapporto nuziale che stringe il Creatore alla creatura e Cristo sposo alla Chiesa sposa42 ha certamente in Maria una flessione paradigmatica. É lei la sposa, è lei «la Vergine fatta Chiesa»43 secondo la stupefacente espressione di Francesco. L'esemplarità di Maria - come ben ci risulta dalle letture coeve del Cantico dei Cantici - nella distinzione dell'esser sposa singulariter (Maria), specialiter (l'anima), universaliter (la Chiesa),44 la fa specchio di colei che sceglie di votarsi alla sequela del Signore. E di Maria, leggiamo, che occorre seguire le orme. Qui il discorso si sviluppa secondo un paradigma di intimità che ha il suo specimen nell'incarnazione. E nell'accoglierlo e nel portarlo in grembo che Maria consuma le sue nozze con il Verbo.45 La modalità unitiva del Creatore alla creatura ha in lei il suo vertice. E se l'unicità di Maria sta nell'averlo portato «corporalmente», Agnese può «spiritualmente» portarlo nel suo corpo «casto e verginale». Il gioco del corporalmente - spiritualmente sembrerebbe introdurre una modalità diversissima. Di fatto si tratta solo di un gioco retorico. Che senso infatti avrebbe l'espressione che segue: «contenendo Colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute», se la modalità «spirituale» non fosse altrettanto tangibile e reale? Forse, il corporalmente evoca la concretezza univoca della storia, il compiersi nella pienezza dei tempi del farsi carne del Figlio di Dio. Lo spiritualmente evoca probabilmente la modalità non meno concreta, ma certamente non unica nel senso dell'accadere temporale, che è propria alla sintassi dello Spirito e perciô alla vita sacramentale, grazie a cui il Verbo toma a farsi came e a parteciparci la sua vita e la sua grazia. Forse - e la provocazione riconduce al tema dello Spirito nella teologia e spiritualità di Francesco e di Chiara46 - bisogna prendere atto che «spirituale» (e derivati) nella grande tradizione cristiana non hanno il senso povero e spiritato che abbiamo finito con l'attribuirgli, ma evocano sempre l'azione dello Spirito, la sua presenza attiva nelle membra tutte del corpo del Signore. Il paradosso dunque del contenere l'incontenibile, mistero che la Vergine Madre ha sperimentato nel suo grembo di donna, accade e riaccade ancora solo che al Verbo stesso, come Maria, ci si offra nella radicalità di una scelta, appunto, casta e verginale. Potremmo obiettare che in verità la scelta casta e verginale rievoca il paradigma nuziale così come è chiamata a viverlo la Madre del Signore. Nozze sacramentali - ossia, nello Spirito, concrete e reali - sono per il/la credente quelle che lo conformano a Cristo nell'acqua battesimale e nel banchetto dell'eucaristia. La radicalità del paradigma nuziale, corporeità inclusa, nell'orizzonte di umiltà e povertà fatto proprio da Chiara stessa e da Agnese, comporta anche il possesso dell'Amato e dunque il conseguimento del bene pin grande che possa darsi al mondo. Come Chiara stessa scrive, non ci sono nozze regali che possano stare a pari; non ci sono potere, dignità, ricchezza che possano eguagliarle. Nell'epistolario clariano, in verità esiguo, la quinta ed ultima lettera a noi giunta, quella diretta a Ermentrude di Bruges, che peraltro non è di Chiara,47 anche se presenta pensieri affini a quelli delle lettere indubbiamente autentiche, ripropone l'ultimo riferimento a Maria con un modulo a se stante. L'indole parenetica dello scritto pone al centro la sequela del Cristo sofferente. L'invito è a prendere la croce e seguire lui che ci precede portando la sua, a tenere sempre a mente lui crocifisso per i nostri peccati. La scrivente così esorta Ermentrude: «Medita continuamente i misteri della croce e i dolori della Madre ritta sotto la croce».48 É l'unica volta che Maria viene associata al dolore del Figlio. I termini per lo più usati, non molto ma di certa tradizione, ne additano l'esemplarità sul piano della sequela nello spettro ampio della povertà-umiltà, come già detto stile di vita. Nessun tema doloristico, nessuna nota unilateralmente ascetica si incrocia negli scritti clariani con il tema mariale. Direi, dunque, che ci troviamo dinanzi a un tema estraneo all'attenzione prestata a Maria, e questa è, a mio giudizio, un'ulteriore conferma del fatto che ci troviamo di fronte ad un testo apocrifo.
2. Chiara e Maria nel Processo di Canonizzazione49
Il genere letterario del Processo e poi della Bolla di canonizzazione è notevolmente diverso da quello degli scritti della santa. Annotiamo ancora una volta la presenza del riferimento a Maria per trarne poi le valutazioni. É la settima testimone, sora Balvina de messere Martino da Coccorano, a nominare per prima Maria. Non si tratta però di far luce sul rapporto di Chiara con la Madre del Signore, quanto di affermare perentoriamente che «da la vergine Maria in qua, niuna donna fusse de maggior merito che essa madonna».50 Per quel che ci riguarda, la testimonianza è diretta ad affermare la straordinaria santità di Chiara più che a indicarne la qualità della imitazione della Madre del Signore. Siamo dunque dinanzi a una iperbole che attesta la qualità inusuale della santità di Chiara. Testimonianza analoga, quasi alla lettera, rendono coralmente le monache radunate insieme il 28 novembre nel chiostro di-San Damiano: «madonna sora Benedetta, allora abbadessa, con le altre monache del preditto monasterio de Santo Damiano, dissero de una voluntà ... che tutto quello che se trovava de santità in alcuna santa, che sia dopo la Vergine Maria, se po' veramente dire e testificare de la santa memoria de madonna Chiara, già loro abbadessa e madre santissima».51 Sora Benvenuta de madonna Diambra de Assisi ci offre inoltre, circa le ore penultime di Chiara, una curiosa testimonianza. Narra infatti di una visione che ha come attori figure celesti e tra queste la «Vergine delle Vergini». Sedendo accanto al letto di Chiara morente, la sente pregare secondo il modulo del raccomandare l'anima a Dio. E poiché un'altra sorella presente interroga la morente sul destinatario delle sue parole, la santa risponde che sta parlando alla sua anima. É a questo punto che sora Benvenuta percepisce una sorta di concitazione attorno a lei. Si tratta della corte celeste che si appresta ad onorarla. «E specialmente la nostra gloriosa madonna beata Vergine Maria apparecchiava de li suoi vestimenti, per vestire questa novella santa». Con «gli occhi del suo capo», ossia ad occhi aperti, sora Benvenuta vede una gran moltitudine di vergini biancovestite che entrano nella stanza dove giace Chiara. «Intra quelle vergini era una maggiore e sopra più che non se poteria, sopra le altre, bellissima, la quale aveva sul suo capo maggiore corona che le altre». E accostate le vergini al letto di Chiara, «quella Vergine che pareva maggiore in prima la coperse nel letto con panno sottilissimo [ ... ] Da poi essa Vergine delle vergini [...] inchinava la faccia sopra la faccia della preditta vergine santa Chiara, ovvero sopra il petto suo».52 Di nuovo, dunque, viene sottolineata la singolare santità di Chiara - la testimone poche righe appresso ricorrerà alla formula già vista53 - ma soprattutto sembra doversi riscontrare la conferma del vincolo amoroso che lega Chiara a Maria e viceversa. Questo il senso del portarsi della Madre del Signore al letto della morente, del ricoprirla lei stessa di un sottilissimo sudario (?), di chinarsi su di lei, sul volto di lei o sul suo petto (la testimone non è in grado di precisarlo) in gesto affettuoso e solidale.
3. Il rapporto di Chiara a Maria secondo la Leggenda
La redazione della Leggenda di Santa Chiara,54 attribuita a Tommaso da Celano, è contigua alla canonizzazione della Santa e dunque da datarsi nel 1255. Chiara Frugoni con condivisibile spirito critico mostra quanto diverso sia il linguaggio delle testimonianze e dunque del Processo, rispetto a quello della Leggenda.55 Probabilmente dovuto a un personaggio di curia, prossimo al papa, lo scritto offre un ritratto di Chiara quale conviene alla politica papale nel frangente tempestoso della santità femminile e delle sue forme del secolo in questione. Sappiamo come la santità "eroica" non sempre equivale alla santità "canonica". Una canonizzazione risponde sempre a precisa politica ecclesiastica e manipola sempre la santa o il santo secondo una esemplarità funzionale - processo che soprattutto penalizza le donne.56 In particolare - e credo purtroppo che le clarisse siano poi cadute in questa trappola - la politica ecclesiastica aveva assoluto bisogno di ricondurre 1'«inquieta spiritualità femminile»57 alla gabbia della clausura. Occorreva farne monache prima e più che sorelle. E se la fedeltà al proprio carisma aveva impegnato Chiara sino alla fine, mettendo in forse l'approvazione della sua regola, alla sua morte riprendeva immediatamente il disegno di ricondurre la regola stessa e l'esperienza clariana al più tranquillizzante e controllabile modulo monastico. Dobbiamo dunque tener presente questo quadro per valutare quanto testimoniato dalla Leggenda sin, dalle battute iniziali: «Imitino le donne Chiara, impronta della Madre di Dio, nuova guida alle donne».58 Chiara Augusta Lainati, cui sono dovute le note della prima edizione delle Fonti francescane, registra come l'accostamento sia giustificato dalle testimonianze rese al Processo e come l'espressione Matris Christi vestigium passi alla Liturgia, all'Inno di Alessandro IV e ai Primi Vespri dell'antico ufficio liturgico. Sottolinea ancora come Chiara venga cantata nei secoli seguenti come altera Maria accanto a Francesco alter Christus.59 In verità ci pare che le parole della Leggenda orientino in una triplice direzione. Innanzitutto quella dell'imitazione di Chiara. Chiara è proposta come modello alle donne. E con ciò saremmo all'interno della ricezione della santità "canonica". Il santo/la santa sono "canone", regola, modello da seguire a ragione della loro adeguazione singolare a Cristo. In secondo luogo Chiara è proposta come adeguazione piena alla Madre di Dio, al suo stile e modello di vita. La traduzione "impronta" non rende appieno "vestigium". Il problema che nasce però, a questo punto, è relativo al modello originario che per il cristiano è Cristo stesso. A viziarlo è poi la linea femminile, la proposizione di Chiara come "nuova guida alle donne". Insomma una linea parallela, cristica al maschile, mariale-clariana al femminile. Se poi, entrando nel concreto della Leggenda si approfondisce criticamente Chiara come "modello", a maggior ragione si costaterà come quella compiuta su Chiara sia un'operazione che sovrappone a ciò che veramente essa è stata ciò che si vuole sia stata; ed è a ciò che si vuole sia stata che debbono conformarsi le donne. Il discorso è complesso, ma basta riandare alle metodiche in atto volte a recuperare la memoria femminile e a mostrarne altra vitalità e percorso rispetto alle stereotipie di comodo. Non è pertinente alla nostra indagine la lettura critica del modulo agiografico che la Leggenda propone. Di nuovo ci limitiamo a riscontrare la presenza di Maria. La troviamo, appellata come «Madre di misericordia», nel racconto del passaggio di Chiara alla vita religiosa. Con riferimento a Santa Maria della Porziuncola, luogo originario del raccogliersi di Francesco e dei suoi primi seguaci e luogo nel quale lo stesso avrebbe tagliato i capelli a Chiara, l'autore afferma che la vergine Maria «ha partorito l'una e l'altra famiglia religiosa nella sua casa». E prosegue:60 «Quando dunque l'umile ancella ebbe assunto davanti all'altare della beata Maria le insegne della santa penitenza e quasi davanti al letto nuziale della Vergine si fu sposata con Cristo, santo Francesco la condusse alla chiesa di San Paolo».61 Indubbiamente l'autore sottolinea la valenza del luogo dedicate a Maria e dunque di Maria stessa nel percorso che conduce Chiara ad abbandonare casa e ricchezze per consacrarsi a Cristo in povertà secondo la forma di vita fatta propria da Francesco. E modulo agiografico non raro, poi, quello di vedere Maria come testimone delle mistiche nozze della vergine con Cristo: ricorre, ad es., in Caterina da Siena e Brigida di Svezia. La Leggenda propone il tema della povertà, della «santa e vera povertà», di cui ha dato prova Chiara. A dirci l'addomesticamento del tema è l'incipit: «La povertà di spirito, che è la vera umiltà, concordava con la povertà di tutte le cose».62 Notiamo che si è già parlato della sua bontà e della fama che essa andava acquisendo e, appunto, della sua umiltà. La povertà, vero centro innovativo della scelta di Chiara, appare solo a questo punto, ma è difficile dire se il legame stabilito con l'umiltà abbia le valenze kenotiche e perciò cristiche che abbiamo riscontrato o se non proponga piuttosto un'attitudine di maniera, per le donne obbligata, tutt'uno con il riserbo, la modestia, il silenzio, la passività, insomma con tutto ciò che le penalizza e le esclude da una soggettualità attiva. Non c'è tuttavia un rifarsi a Maria come modello di umiltà. L'autore registra piuttosto l'esortazione di Chiara alle sorelle «a conformarsi, nel loro piccolo nido di povertà, a Cristo povero che la Madre poverella depose piccolino in un angusto presepe».63 Dunque un ritorno di maniera a tema che ben più esplicitamente abbiamo riscontrato nel corpo della Regola. Da ultimo ritroviamo fuse le testimonianze rese al Processo circa l'apparizione di Maria a Chiara morente. Tra le vergini in bianche vesti, sul cui capo stanno ghirlande d'oro, «avanza tra loro una più luminosa delle altre [ ... ] si avvicinò al lettuccio ove giaceva la sposa del Figlio e con grande affetto si piegò su di lei, siringendola in un abbraccio dolcissimo».64 Stante la Leggenda sono le vergini a distendere su Chiara un «pallio» (mantello?) di meravigliosa bellezza e a rivestire il corpo di Chiara e adornarne il «talamo». L'autore fa proprio il linguaggio nuziale e perciò chiama Chiara «sposa del Figlio» e usa il termine talamo per indicarne il letto non nella sua funzionalità ordinaria ma nella significazione propria delle nozze. Cosa per altro già avvenuta a proposito di Maria nella transitività stabilita tra l'altare a lei dedicato e il talamo nuziale del suo corpo. Ciò non stupisce perché in verità la metafora sponsale è forse l'unica a mai venir meno nell'autocomprendersi della Chiesa, sia che venga applicata alla comunità nella sua interezza, sia che riguardi il/la singolo/a credente rispetto al suo Signore. Senza però dimenticare che la metafora nuziale si iscrive nella sudditanza maritale e dunque è funzionale alla iscrizione della donna in un contesto di inegualità e minorità socio-culturale.65
4. Notazioni conclusive
Non crediamo davvero d'avere esaurito in questo veloce riscontro l'approccio di Chiara a Maria. Mi sono posta altrove la domanda, sciogliendola positivamente, sulla legittimità di annoverare Chiara tra le "teologhe".66 E di "teologia" di Chiara parlano anche gli storici, pur avvertendo che è «sostanzialmente impossibile».67 In effetti, a mio parere, a far difficoltà non è la natura occasionale ed esigua degli scritti. Se mai, a monte, sta la questione di principio circa i contesti "accademici" del far teologia, da tempo però messi in discussione nel convincimento che la riflessione sulla fede e tutt'uno con l'esperienza della fede; le donne, dunque, sono soggetto anch'esse di teologia, anche quando i loro scritti non hanno ne la tecnicità né la destinazione della teologia di mestiere. Chiara si colloca certamente nell'alveo della mistica sponsale. Così come troviamo in lei un'attenzione cospicua alla umanità di Cristo tutt'uno con il tema della povertà che egli assume quale tratto proprio della sua regalità. Per quel che mi riguarda, riesce un po' più difficile, ma non impossibile, modulare una ecclesiologia clariana. Sicuramente, ancor più arduo e parlare di una "mariologia". Essa è tuttavia coerente all'immagine prediletta di Cristo povero e nudo e a un progetto di Chiesa che lo testimoni, seguendone l'esempio. Quanto a Maria, se mettiamo una dietro l'altra le poche espressioni incontrate e dunque poniamo in evidenza sostantivi e aggettivi, vedremo che Maria viene negli scritti indicata come "madre" e "vergine". ll primo termine è accompagnato dagli aggettivi: "santissima", "sua santissima", "sua", "dolcissima", "gloriosa"; il secondo, si accompagna a "madre" "sua madre" e una sola volta sta all'interno dell'espressione "gloriosa santa Vergine Maria, sua Madre". E, sempre una sola volta, il nome Maria è associato a "santissima madre". I due epiteti, nella diversa aggettivazione, soprattutto esprimono la devozione verso la totale santità di Maria. Non manca tuttavia, benché una sola volta, un termine, "dolcissima", che fa spazio a un rapporto affettivo, tenero verso la Madre del Signore. Negli scritti di Chiara, Maria è innanzitutto madre di Cristo, madre vergine, madre santa. Chiara accosta Maria nella prospettiva cristologica. Mai la separa da Cristo e dal suo mistero. E se le riconosce, come abbiamo avvertito, una esemplarità, è nel legame che ella ha con il Figlio, nella sequela totale della povertà di lui. Certo non manca l'evocazione di Maria nella communio sanctorum. L'intercessione di lei, in un contesto che possiamo indicare come ecclesiologico, non ha però, mi pare, la rilevanza della chiave cristologica. Non mi sento però di condividere la facile transitività tra la maternità di Maria e la maternità di Chiara. Lo stesso modulo del portare/accogliere/contenere il Verbo non mi pare abbia suggestioni materne, quanto piuttosto suggestioni sponsali.68 Per contro nell'immaginario testimoniale del Processo, ad essere sottolineata è la santità di Chiara, la più grande dopo quella della Madre del Signore. Non si può dire con ciò che Chiara l'abbia imitata. La testimonianza non è nella direzione della adeguatezza di Chiara a Maria, quanto dello stupore circa una santità, la pin grande acquisibile e pensabile dopo quella della Madre del Signore. Le fonti testimoniali, sia pure attingendo all'immaginario del tempo, indulgono sulla prossimità di Chiara a Maria sul piano relazionale. Maria si compiace di così degna sposa del suo Figlio. Le è prossima, l'accompagna. E di ciò è segno evidente la sua presenza affettuosa accanto a Chiara morente, anticipando, quasi, la corona e il gaudio paradisiaco che la attende. Infine, nella prospettiva dell'autorità ecclesiastica, si esprima in prima persona (introduzione alla Regola) o per il tramite di un uomo di lettere (introduzione alla Leggenda), il tentativo è quello di propone per un verso Maria come esempio di vita fatto proprio da Chiara, per un altro la stessa Chiara come esempio. La Santa avrebbe scelto di seguire le orme di Cristo e della sua santissima Madre e dunque avrebbe fatto di Maria il modello perfetto da incarnare al femminile. Per contro Chiara stessa è proposta come modello: «Imitino le donne Chiara, impronta della Madre di Dio, nuova guida alle donne». Ovviamente tra Chiara e le donne sta pur sempre Maria di cui Chiara, appunto, è riconosciuta impronta, vestigio. La questione è però di sapere fino a che punto in questo gioco di specchi emerga veramente ciò che Chiara è stata. Am pensarla coraggiosa, tenace e indomita, veramente capace d'aprire una stagione nuova nella Chiesa.69 E pur se è impossibile ignorare il suo guardare a Maria nella totale sua prossimità alla povertà kenotica del Figlio, mi pare resti pur sempre il rischio di addomesticare una intelligenza della Madre del Signore scomoda e controcorrente. Il privilegium paupertatis - lo abbiamo visto - ha per Chiara un valore assoluto, non negoziabile. Ma proprio per ciò dobbiamo affermare che ella persegue una immagine altra di Maria (e della Chiesa); una immagine nella quale il Figlio è inseparabile dalla Madre e la Madre dal Figlio, ed entrambi da quel Corpo allargato che è la communio sanctorum. Questa inseparabilità passa dalla povertà, dalla rinuncia alla ricchezza e al potere. E, nel caso di Chiara, alter Franciscus,70 non si tratta di una scelta di comodo - le donne, si sa, non possono aver "potere" nella Chiesa. Si tratta invece di "specchiarsi"71 sino in fondo nella povertà di colui che regna dal talamo della croce.
NOTE
1 C. MILITELLO, «Chiara e il femminile», in Laurentianum 31(1990), nn. 1-2, 62-105; ripubblicato nel volume D. COVI-D. DOZZI, Chiara, Francescanesimo al femminile, Roma 1992, 67-104. Cf. pure C. MILITELLO, «Chiara donna nuova», in L'utopia di Francesco si è fatta ... Chiara, Assisi 1994, 175-203.
2 Ampia bibliografia in C. FRUGONI, Una solitudine abitata. Chiara d'Assisi, Roma-Bari 2006, 253-265; M. BARTOLI, Chiara d'Assisi, Roma 1989, 251-265.
3 Fonti francescane. Nuova edizione. Scritti e biografie di san Francesco d'Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d'Assisi. Testi normativi dell'Ordine Francescano Secolare, a cura di E. CAROLI, Padova 2004 (d'ora in poi: FF).
4 É la ragione per cui l'ho inclusa ne il mio Il volto femminile della storia, Casale M. 1995, 158-165.
5 Un ringraziamento particolare a Felice ACCROCCA con il quale mi sono confrontata nella stesura di questo articolo. Studioso di Francesco d'Assisi, egli ha editato una Vita di santa Chiara in volgare umbro secondo il ms. Roma, Biblioteca Angelica, 2211, Roma 1993 e si è fatto promotore di convegni dei quali ha curato gli atti. Cf. Chiara d'Assisi. Con Francesco sulla via di Cristo, Assisi 1993; Chiara d'Assisi Donna Nuova, Assisi 1994.
6 Quest'ordine, ovviamente, non è quello cronologico. Infatti gli scritti più antichi sono costituiti dalle Lettere ad Agnese di Praga; seguono il Testamento e la Benedizione; ultima, in ordine di tempo, la Regola. Notizie relative alla cronologia e all'autenticità degli scritti in CHIARA D'ASSISI, La Regola, le lettere e il testamento spirituale. Tutti gli scritti della Santa di Assisi, a cura di F. ACCROCCA, Casale Monferrato (AL) 2004.
7 Cf. BARTOLI, Chiara d'Assisi, 167-170. Cf. ancora: G. BOCCALI, «Santa Chiara volto e immagine della vergine Maria», in Dialoghi con Chiara di Assisi. Atti delle Giornate di studio e riflessione per 1'VIII Centenario di Santa Chiara, celebrate a San Damiano di Assisi ottobre 1993-luglio 1994, a cura di L. GIACOMETTI, Santa Maria degli Angeli-Assisi 1995, 151-188.
8 Cf. FRUGONI, Una solitudine abitata, 48ss.; BARTOLI, Chiara d'Assisi, 125ss. e note. Cf. anche T. MATURA, «Il contenuto degli scritti», in Chiara d'Assisi, Scritti. Edizione critica. Traduzione italiana, a cura di M. F. BECKER-J.-F. GODET-T. MATURA, Vicenza 1986, 36.
9 Uno dei casi emblematici e quello relativo alla regola del Monastero del SS. Salvatore che Brigida di Svezia avrebbe ricevuto, appunto, per "rivelazione". Cf. L. DE CANDIDO, «Monasteri doppi. Un'idea, un'esperienza, un'interpretazione», in Santa Brigida profeta dei tempi nuovi, Roma 1991, 574-606.
10 Cf. P. ABELARDO, L'origine del monachesimo femminile e la Regola. Introduzione di S. Di Meglio, Padova 1988.
11 Cf. FFRUGONI, Una solitudine abitata, 44-50.
12 Cf. INNOCENZO III, Bolla, 12: FF 2748.
13 Come sappiamo lo inaugura Atanasio a cui si ispira Ambrogio nei suoi scritti sulla verginità. Cf., ad es., AMBROGIO DA MILANO, De virginibus 11,2.
14 CHIARA D'ASSISI, Regola cap. 11, 25: FF 2765.
15 Personalmente non condivido la lettura di BARTOLI, Chiara d'Assisi, 129ss., che riconduce Chiara a un modello "penitente"; penso invece che, al riguardo, colga nel vero FRUGONI, Una solitudine abitata, 56s.
16 FRANCESCO D'ASSISI, Lettera ai fedeli (seconda recensione), 5: FF 182. La lettera si colloca negli ultimi anni di vita di Francesco (1224-1225?), come rivela anche l'accenno all'«infermità e debolezza» del corpo, che non consentiva allo scrivente di «visitare personalmente i singoli»: 180.
17 CHIARA D'ASSISI, Regola, cap. VI, 7-8: FF 2790. La Forma di vita e l'Ultima volontà, entrambi recepiti nella Regola, sono gli unici scritti che ci sono pervenuti di Francesco a Chiara come tali sono anche inseriti nella sezione prima delle Fonti francescane 139 e 140.
18 Sul contesto socio-politico ed ecclesiale del francescanesimo delle origini, cf. BARTOLI, Chiara d'Assisi, 29ss.; cf. anche FRUGONI, Una solitudine abitata, 20-57.
19 Così le nomina anche TOMMASO DA CELANO, Vita I, cap. VIII: FF 351.
20 Cf. l'indice tematico di FF 2268s. (sezione dedicata alla povertà di Chiara e delle sue sorelle).
21 CHIARA D'ASSISI, Regola, cap. VIII, 6: FF 2795.
22 Ibid., cap. XII, 13: FF 2820.
24 EAD. Regola, VIII, 4: FF 2795.
25 EAD. Testamento, 74s.: FF 2851.
26 Ibid., 77: FF 2852.
27 Cf. MILITELLO, «Chiara e il femminile», 82ss.
28 CHIARA D'ASSISI, Benedizione, 7: FF 2855.
29 L'ultima edizione, che traduce le ultine edizioni latine, dice, rafforzando, «santissima madre santa Maria».
30 CHIARA D'ASSISI, Benedizione, 8-10.
31 Cf. Leggenda, 14: FF 3187-3188.
32 Precise notazioni su Agnese di Boemia e la sua corrispondenza con Chiara in FR. RAURELL, «La lettura del Cantico dei Cantici al tempo di Chiara e la la lettera ad Agnese di Boemia», in COVI-DOZZI, Chiara, Francescanesimo al femminile, 192-194 e note.
33 CHIARA D'ASSISI, Lettera I, 19: FF2865.
34 Ibid., 24: FF2866.
35 EAD., Lettera III, 16-19: FF 2890.
36 Il simbolismo sponsale caratterizza soprattutto la IV lettera. Cf. RAURELL, «La lettura del Cantico dei Cantici», 188-289.
37 CHIARA D'ASSISI, Lettera IV, 31: FF 2906. In una nota dell'ultima edizione, FF 1812, nota 27, Agnese Acquadro afferma che Chiara unisce qui due testi liturgici: il Responsorio Sancta et immaculata virginitas, «presente nell'ufficio di Natale, Annunciazione, Tutti i Santi e votivo della Vergine Maria», e l'inno Quem terra pontus, «delle feste mariane e dell'ufficio della B.V. Maria a mattutino».
38 Anche al riguardo faccio fatica a seguire le argomentazioni di Bartoli nel volume citato, 122ss.
39 Cf. AMBROGIO, Exp. in Lc 2,7: PL 15,1635-1636.
40 A. CLARENO, Libro delle cronache o delle tribolazioni, Prologo: FF2151.
41 CHIARA D'ASSISI, Lettera III, 24-26: FF2893.
42 Cf. C. MILITELLO, La Chiesa "il Corpo Crismato" , Bologna 2003, 203-259.
43 Scrive infatti FRANCESCO nel Saluto alla beata Vergine Maria, 1: «Ave Signora, Santa regina, / Santa genitrice di Dio, Maria, / che sei vergine fatta Chiesa»: FF 259.
44 Una formulazione della triplice interpretazione della "sposa" in ISACCO DELLA STELLA, De assumptione 51 e in DIONIGI IL CERTOSINO, Exp. in Ev. Iohan. 3,10. Cf. H. DE LUBAC, Meditazione sulla Chiesa, Milano 1979, 245ss.
45 Cf. C. MILITELLO, «L'incarnazione come evento nuziale. Alcune riflessioni a margine del mistero di Maria nel suo rapporto al mistero della Chiesa», in Concepito di Spirito Santo. Nato dalla Vergine Maria, a cura di C. MILITELLO - C. DOTOLO, Bologna 2006,71-93.
46 Cf., almeno per quanto attiene l'insegnamento di Francesco, R. BARTOLINI, Lo Spirito del Signore. Francesco di Assisi guide all'esperienza dello Spirito Santo, Assisi 1982.
47 Il giudizio d'inautenticità è unanime. Lo scritto sarebbe da spostare addirittura al secolo XVI.
48 Lettera a Ermentrude di Bruges, 12: FF 2915.
49 Il processo si svolge nei giorni 24,28 e 29 novembre del 1253, a pochi mesi di distanza dalla morte di Chiara. A depone venti testimoni: cf. FF 2919-3148.
50 Processo, Settima testimonia, 11: FF3051.
51 Processo, Testimonianza ultima 1: FF 3115.
52 Processo, Decima prima testimonia, 3-4: FF 3083.
53 Processo, Decima prima testimone, 5: FF 3984.
54 Leggenda di Santa Chiara: FF 3149-3278.
55 É affermazione presente più volte nel saggio Una solitudine abitata.
56 Cf. MILITELLO, La Chiesa, 339ss.
57 Cf. A. VALERIO, «La questione femminile al tempo di Chiara», in COVI-DOZZI, Chiara. Francescanesimo al femminile, 60. Cf., altresì, E. PASZTOR, Donna e donne. Studi sulla religiosità femminile nel Medio Evo, Roma 2000; A. BENVENUTI PAPI, "In Castro penitentiae". Santità e società femminile nell'Italia medievale, Roma 1990; Il movimento religioso femminile in Umbria nei secoli XIII-XIV, a cura di R. RUSCONI, Firenze 1984. Sul francescanesimo femminile, cf. H. GRUNDMANN, Movimenti religiosi nel Medioevo. Ricerche sui nessi storici tra 1'eresia, gli ordini mendicanti e il movimento religioso femminile nel XII e XIII secolo e sulle origini storiche della mistica tedesca, Bologna 1974; R. MANSELLI, «La Chiesa e il francescanesimo femminile», in Movimento religioso femminile e francescanesimo nel secolo XIII, 239-261; R. RUSCONI, «L'espansione del francescanesimo femminile nel secolo XIII», ibid., 263-313; C. GENNARO, «Il francescanesimo femminile nel XIII secolo», in Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 25 (1989) 259-280 (in Appendice «Le "mulieres vagantés" e il francescanesimo femminile», 281-284); M. BARTOLI, «La povertà e il movimento francescano femminile», in Dalla "sequela Christi" di Francesco d'Assisi all'apologia della povertà, Spoleto 1992, 223-248.
58 Leggenda di Santa Chiara, Lettera introduttiva: FF 3153. In questo caso, ho preferito adottare la traduzione della prima edizione delle Fonti francescane, Assisi 1978, perché più fedele - rispetto all'originale latino - della nuova edizione, che qui traduce: «Le donne imitino Chiara, nuova guida a capo delle donne, sulle orme della madre di Dio». Avverto, comunque, che per quanto attiene al testo della Leggenda, utilizzerò quello della prima edizione, nel complesso.
59 FF, edizione del 1978, 2393, note 4.
60 Leggenda di santa Chiara, 8: FF 3171.
61 Ibid., 8: FF 3172.
62 ibid., 13: FF 3183.
63 Ibid., 13: FF 3185.
64 Ibid., 46: FF 3253.
65 Cf. MILITELLO, La Chiesa, 241ss.
66 Cf. EAD., «Chiara donna nuova», 192ss.
67 Ad es., BARTOLI, Chiara d'Assisi, 154.
68 Dissento dunque da Bartoli che parla di «spiritualità mariana-maternità spirituale» (167-170).
69 Cf. MILITELL0, «Chiara donna nuova», 181ss.
70 Cf. F. ACCROCCA, «Chiara alter Franciscus», in Chiara d'Assisi con Francesco sulla via di Cristo, 69-87.
71 Cf. D. DOZZI, «Chiara e lo specchio», in COVI-DOZZI, Chiara. Francescanesimo al femminile, 290-318.