Dal libro di Alessandro Sacchi, "Un bambino è nato per noi". La nascita di Gesù secondo Matteo e Luca, Milano 2018, pp. 146-154.
La fede in Gesù Figlio di Dio non è sorta improvvisamente ma si è sviluppata progressivamente in sintonia con il contesto culturale in cui il cristianesimo si è diffuso. I racconti riguardanti la sua nascita rappresentano uno stadio ben preciso all'interno di un processo che è ancora possibile descrivere a partire dai testi del Nuovo Testamento.
a) Gli sviluppi della cristologia
La tradizione sinottica non ricorda che in qualche occasione Gesù stesso si sia attribuito il titolo di «Figlio di Dio»; tutt'al più si trovano in essa alcune allusioni alla sua qualità di «figlio» (cfr. Mt 11,25-27; Mc 12,6; 13,32) la cui vera portata è però discussa. È invece sorprendente il fatto che nella preghiera Gesù si rivolge a Dio attribuendogli il titolo di «Padre» con una intensità inusuale nell'ebraismo: infatti egli usa nei suoi confronti la parola «abba» (cfr. Mc 14,36), la stessa che i bambini ebrei usavano e usano tuttora nei confronti del loro padre. Questo rapporto filiale traspare inoltre dalla sua sottomissione alla volontà di Dio (Mc 14,32-40), dall'esigenza di una costante imitazione del modo di agire di Dio (cfr. Mt 5,48; Lc 6,36), dal suo intimo e personale coinvolgimento nel regno che viene (Mc 1,14-15), dalla sua misericordia verso gli ultimi e gli esclusi. Ma è soprattutto nella sua morte in croce che appare la sua radicale fedeltà a Dio e all'umanità sofferente della quale si era fatto partecipe fino in fondo.
Dopo l'annunzio della sua risurrezione, questi diversi aspetti dell'esperienza umana di Gesù sono stati letti dai primi cristiani sullo sfondo della fede biblica, nella quale la filiazione divina viene riconosciuta al popolo, al re, ai giusti e al Messia. Di conseguenza molto presto gli è stato attribuito il titolo di "Figlio di Dio", che equivale a quello di Messia, del quale però sottolinea in modo particolare il rapporto che egli ha con Dio come suo rappresentante.
Negli strati più antichi della fede cristiana la filiazione divina di Gesù è stata proclamata in stretto rapporto con la sua risurrezione dai morti. È significativa in proposito la conclusione della predicazione fatta da Pietro nel giorno di Pentecoste: «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36). Inoltre Paolo riporta nella lettera ai Romani una professione di fede molto antica, nella quale si afferma che Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti...» (Rm 1,4). Risuscitando da morte Gesù, il crocifisso, Dio gli ha conferito a un tempo la dignità di Signore, Messia e Figlio di Dio.
La concezione secondo cui Gesù ha ricevuto la filiazione divina nel momento della sua risurrezione divenne poco per volta inadeguata per i cristiani che, in base alla loro fede nel ruolo salvifico di Gesù, erano portati a vedere in lui il Messia Figlio di Dio già nel periodo che precede la sua crocifissione, cioè nel corso del suo ministero pubblico. A questo sviluppo della fede cristiana dà una risposta il vangelo di Marco che introduce nel contesto del battesimo di Gesù una visione, di cui è destinatario Gesù stesso, il quale viene proclamato dal Padre come suo «Figlio prediletto» (cfr. Mc 1,9-11). Questa proclamazione viene ripetuta dal Padre di fronte ai tre discepoli prediletti in occasione della trasfigurazione (9,7) e ad essa si fa allusione nella parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,6). Infine Gesù stesso risponde poi positivamente alla domanda del sommo sacerdote: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?»(14,61-62); infine egli viene riconosciuto come Figlio di Dio dal centurione romano proprio nel momento della sua morte (15,39). Nei vangeli di Matteo e di Luca il segreto messianico viene attenuato, e Gesù accetta senza difficoltà di essere riconosciuto come Messia e Figlio di Dio già durante il suo ministero pubblico (cfr. per es. Mt 16,16 con Mc 8,29).
Una fede più matura non poteva più accontentarsi neppure della proclamazione di Gesù come Figlio di Dio nel contesto del battesimo. Se egli è il Figlio di Dio, ciò significa che lo era fin dal momento della sua concezione. È questa l'intuizione che Matteo e Luca sviluppano nei vangeli dell'infanzia, stabilendo uno stretto collegamento tra la sua nascita da Maria e la profezia della «vergine» che essi leggevano nella Bibbia greca. In tal modo essi hanno voluto sottolineare che fin dal suo primo ingresso in questo mondo Gesù è stato proclamato come Figlio di Dio per mezzo di un angelo. Anzi egli ha ricevuto la sua stessa esistenza da questa parola divina accompagnata dalla potenza creatrice di Dio, attuando così un preciso piano divino rivelato dalle Scritture. Si noti che in questi racconti non si parla di una esistenza del Figlio di Dio prima della sua concezione nel seno di Maria: è da quel momento infatti che egli comincia ad esistere con la pienezza delle sue prerogative di Messia e di salvatore di Israele e di tutta l'umanità.
L'ultimo passo nella comprensione della persona di Gesù è stato fatto da Paolo quando afferma che Dio ha inviato nel mondo il suo Figlio nato da donna, nato sotto la Legge (Gal 4,4; cfr. Rm 1,3: 8,3); egli è colui per mezzo del quale tutte le cose sono state create e per mezzo del quale noi andiamo al Padre (cfr. 1Cor 8,6). Questa affermazione viene approfondita nelle lettere deuteropaoline, dove si afferma che «egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra» (Col 1,15-16: cfr. Eb 1,1-4).Secondo il quarto vangelo egli è il «Verbo» di Dio, mediante il quale tutte le cose sono state create, l'Unigenito che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,1-18). All'origine di questo sviluppo si intravede l'identificazione di Gesù con la Sapienza increata, di cui Dio si è servito per creare il mondo e per condurre a sé l'umanità (cfr. Pr 8,22-31; Sir 24,1-23; Bar 3,9–4,4; Sap 7,22-30).
Questi diversi passaggi non si possono comprendere se non in chiave metaforica. Essi sono l'esplicitazione di quanto Marco afferma nel titolo del suo vangelo: «Inizio dell'evangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». Con i loro racconti dell'infanzia, Matteo e Luca fanno un'esposizione più lunga del contenuto di questo versetto inaugurale. Ma proprio in questo modo mostrano il carattere secondario della loro riflessione. È chiaro infatti che solo dopo la sua risurrezione le prime comunità cristiane hanno approfondito il mistero della persona di Gesù e hanno condensato nei racconti della sua nascita, con lo stile colorito delle storie pie dell'epoca, le conclusioni a cui esse erano giunte.
I racconti dell'infanzia hanno dunque una finalità chiaramente cristologica. In essi si esprime la fede della comunità primitiva, che ha visto in Gesù l'inviato escatologico di Dio, il centro di tutta la salvezza, il Figlio capace di riaggregare una nuova umanità e di coinvolgerla nel suo stesso rapporto filiale con Dio. In questi racconti ingenui e popolari gli evangelisti hanno condensato l'esperienza dei primi cristiani, i quali hanno visto riflessa nell'umanità di Gesù la divinità stessa del Padre. I racconti dell'infanzia non contengono dunque dogmi astratti o affermazioni dottrinali, ma trasmettono il frutto più maturo di un cammino di fede, espresso con il linguaggio, i simboli e le formule che il popolo di Israele aveva elaborato nella sua secolare esperienza di Dio.
b. La devozione mariana
Nel contesto della fede in Gesù ha origine l'esaltazione di Maria come madre vergine del Figlio di Dio. Nel corso dei tre vangeli sinottici, a parte i racconti dell'infanzia di Gesù riportati da Matteo e da Luca, manca una riflessione esplicita sulla figura di Maria e sul suo ruolo nel piano di Dio. Nel vangelo di Marco la madre di Gesù è nominata solo due volte. Nella prima l'evangelista riferisce il caso in cui, quando alcuni avvertono Gesù che sua madre con i suoi fratelli vorrebbero vederlo ma ne sono impediti dalla folla, egli risponde: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?»; poi, girando lo sguardo su coloro che stavano attorno a lui soggiunge: «Ecco mia madre e i miei fratelli. Perché chi fa la volontà di Dio è per me fratello, sorella e madre» (Mc 3,32-35). In questa frase si nota una rottura con sua madre, che è confermata da Gesù quando propone ai suoi discepoli, come condizione per avere il centuplo quaggiù e la vita eterna, anche l'abbandono della propria madre (Mc 10,30; cfr. Lc 14,26). La seconda volta Marco ricorda che Maria è chiamata per nome dagli abitanti di Nazaret i quali, stupiti per la saggezza di Gesù, dicono:«Non è costui il falegname, il figlio di Maria?» (Mc 6,3).
Anche Matteo, pur ricordando Maria nel suo racconto della nascita di Gesù, non le dà un rilievo specifico: in primo piano c'è sempre Giuseppe nel suo ruolo paterno mentre Maria è partecipe silenziosa delle decisioni del suo sposo. Nel corso del suo vangelo si limita a seguire Marco riportando, senza eccessivi ritocchi, la risposta di Gesù a chi gli aveva segnalato la venuta di sua madre e dei suoi fratelli (Mt 12,48) e le parole dei compaesani di Nazaret (Mt 13,55).
Luca invece narra tutta la vicenda della nascita e dell'infanzia di Gesù nella prospettiva di Maria. Nel suo racconto egli la presenta come la prima alla quale è stato dato di conoscere il piano di Dio che troverà il suo compimento nella venuta del Figlio. Nel suo saluto l'angelo si rivolge a lei come a una persona scelta da Dio e ricolma della sua grazia, alla quale Dio stesso fa una proposta e chiede il suo assenso, rendendola così partecipe della sua realizzazione. La sua verginità viene vista, alla luce delle concezioni dell'epoca, come l'espressione di una particolare purezza. Da qui trarrà origine, in base alla dottrina agostiniana del peccato originale, l'idea che ella, in previsione dei meriti del Figlio, sia stata concepita senza la macchia che questo ha lasciato in ogni essere umano.
L'adesione di Maria alla richiesta dell'angelo mette in luce la sua fede profonda mentre nella visita a Elisabetta si esprime la sua generosità e la sua disponibilità. La sua spiritualità si esprime nel Magnificat, che rappresenta una sintesi del vangelo che sarà annunziato da Gesù. Come lui Maria si pone dalla parte degli ultimi annunziando la loro piena riabilitazione nel regno di Dio. Infine, nella descrizione di Luca, Maria appare come una persona che non si limita a osservare quanto le accade ma medita e cerca di capire i segni che Dio ha seminato nella sua vita. Ella viene pienamente coinvolta nella vicenda di Gesù al punto che una spada le trapassa il cuore. A lei per prima, nel tempio di Gerusalemme, Gesù confida il mistero della sua relazione con il Padre.
Nel corso del vangelo invece Luca non aggiunge alle sue fonti nulla di particolarmente significativo. Egli omette il nome di Maria nel suo resoconto della visita di Gesù a Nazaret (cfr. Lc 4,22). Nel riportare l'episodio in cui Maria si reca da Gesù con i suoi fratelli, Luca elimina la prima parte della sua risposta («Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?»; cfr. Lc 8,19-21): ciò significa che Gesù non contesta il suo rapporto con Maria ma lo situa in una prospettiva diversa, quella del rapporto con Dio. Inoltre Luca riporta un detto assente negli altri due sinottici: all'esclamazione di donna che dichiara beata colei che lo ha allattato, Gesù dichiara che piuttosto è beato chi ascolta la parola di Dio e la osserva (Lc 11,27-28): secondo Luca Maria per prima ha ascoltato la parola di Dio e l'ha osservata.
Infine nessuno dei tre sinottici ricorda la presenza di Maria fra le donne che hanno assistito alla crocifissione di Gesù. Questa notizia si trova invece nel vangelo di Giovanni dove si dice che Maria è presente non solo ai piedi della croce (Gv 19,25-27) ma anche alle nozze di Cana quando Gesù compie il primo dei suoi segni (Gv 2,7-11). Per il quarto evangelista dunque Maria partecipa dall'inizio alla fine al ministero di Gesù ed è da lui affidata come madre al discepolo prediletto, cioè a tutta la comunità cristiana.
Luca, dunque, seguito da Giovanni, è colui che dà origine alla devozione mariana, che tanta parte avrà negli sviluppi futuri del cristianesimo. In una società patriarcale, nella quale alla donna venivano riconosciuti solo compiti di secondaria importanza, la figura di Maria ha contribuito a far percepire l'aspetto materno del rapporto di Dio con l'umanità. L'apprezzamento per la verginità, che deriva dal racconto di Matteo e di Luca, ha dato la possibilità a tante donne di liberarsi da una condizione di inferiorità per esprimere in modo autonomo una spiritualità alternativa e complementare a quella maschile.
Purtroppo la credenza nella verginità di Maria ha avuto anche ripercussioni negative nel mondo cristiano. Essa ha contribuito a mantenere e a rinforzare una mentalità in forza della quale la sessualità viene considerata come qualcosa di negativo mentre l'ideale di una vita virtuosa viene fatto consistere nell'astensione dal sesso. In pratica l'esaltazione della verginità di Maria ha avuto, come effetto collaterale, l'idealizzazione della vita celibataria e la svalutazione della situazione umana normale, che è quella di una vita sessuale ispirata ai valori evangelici. Di conseguenza, la devozione a Maria vergine ha comportato come contraccolpo la svalutazione della donna che, in una società patriarcale, viene vista spesso come oggetto e strumento di peccato. Oggi una visione nuova della parità dei sessi e del ruolo assegnato alla donna nella società rende possibile e auspicabile una revisione della devozione mariana che metta in luce non tanto la verginità di Maria quanto piuttosto la sua fede che ha fatto di lei il modello a pari titolo sia del discepolo che della discepola di Gesù. È questa la strada da seguire perché veramente sia riconosciuta anche nella Chiesa la parità tra uomo e donna.