Fede e devozione mariana nell'impero bizantino
Data: Giovedi 3 Giugno 2021, alle ore 12:22:46
Argomento: Storia


Introduzione, dal libro di Luigi Gambero, Fede e devozione mariana nell'impero bizantino. Dal periodo post-patristico alla caduta dell'impero (1453), San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, pp. 5-18.



Convenzionalmente si considera conclusa l'età patristica nell'Oriente cristiano con san Giovanni Damasceno, morto intorno al 750, il quale ha fortemente marcato la tradizione teologica orientale con l'ampiezza, la profondità e il vigore del suo pensiero, quantunque da alcuni studiosi venga considerato di scarsa originalità. Nelle sue numerose opere ha saputo sintetizzare in modo magistrale l'insegnamento dei Padri della Chiesa che l'hanno preceduto; ha elaborato un sistema filosofico e teologico solido ed imponente; ha influito con efficacia sugli sviluppi culturali dei secoli successivi sia in Oriente che in Occidente. In tema di teologia mariana ha lasciato scritti ricchi di dottrina e di devozione, e tra i suoi molti meriti c'è anche quello di aver difeso strenuamente e con coraggio la legittimità del culto delle sacre icone e di aver chiarito il significato relativo di detto culto. Accanto al Damasceno andrebbero menzionati altri due Padri, suoi contemporanei: Germano, patriarca di Costantinopoli († c. 733) e Andrea, vescovo di Creta († c. 740), pastori di elevata statura spirituale e teologica, che hanno offerto un notevole contributo alla crescita della riflessione mariologica con delle magistrali omelie ricche di dottrina dogmatica e di sviluppi eucologici e parenetici. Pertanto, tenendo presenti questi punti di vista, si può affermare che gli otto secoli dell'età patristica in Oriente si sono conclusi in bellezza, apportando risultati positivi alla Chiesa nei tempi in cui gli stessi Padri sono vissuti e provocando influssi insistenti e duraturi sui secoli successivi.

La crisi iconoclasta

Tuttavia non si può dimenticare quella funesta tragedia che è stata la crisi iconoclasta, scoppiata in Oriente proprio negli ultimi anni dell'era patristica e che ha gettato un'ombra sinistra non solo sulla storia della Chiesa di allora, ma anche sulla vita dell'Impero costantinopolitano e dell'intera società bizantina. A causa dell'impostazione cesaropapista nei rapporti tra Stato e Chiesa in Oriente, era inevitabile che gli effetti della crisi religiosa agissero anche sulla società civile, duramente provata nelle sue convinzioni e in certe pratiche religiose, antiche e solidamente radicate, come la venerazione delle sacre immagini. L'iconoclastia non poteva non coinvolgere la persona della Madre del Signore, le cui icone erano diffuse dappertutto nel mondo bizantino. La persecuzione iconoclasta - perché di persecuzione si tratta! - si è prolungata, sia pure con alterne vicende, per oltre un secolo (730-843) ed ha provocato lotte fratricide, devastazioni, confusione dottrinale e non pochi martiri, soprattutto in ambiente monastico, dove vivace e talvolta eroica si manifestava l'opposizione alla politica iconoclasta e persecutoria della corte imperiale. Nella prima fase di questa vera e propria guerra religiosa (730-787) troviamo impegnati in prima persona anche i tre grandi Padri della Chiesa sopra menzionati, che non esitarono a prendere una decisa posizione in favore delle icone sacre e a difenderne il culto con i loro scritti. Germano di Costantinopoli fu deposto dalla sede patriarcale perché si oppose alla politica iconoclasta dell'imperatore Leone III Isaurico, dopo aver subito violenze psicologiche e fisiche, fino a rischiare la sua stessa vita. Andrea di Creta e Giovanni Damasceno non poterono essere personalmente perseguitati, perché vivevano in territori non soggetti all'autorità imperiale1. Nella seconda fase della persecuzione (815-843), che coincide con gli inizi in Oriente dell'era post-patristica, l'opposizione all'iconoclastia è stata pilotata da due personaggi di notevole statura ecclesiale, il patriarca di Costantinopoli Niceforo I († 815) e il monaco Teodoro Studita († 826). Quantunque i due personaggi non condividessero le medesime valutazioni a proposito di varie questioni relative al governo della Chiesa, si trovarono invece d'accordo nel contestare la politica cesaropapista ed iconoclasta della corte bizantina, assicurando il loro importante sostegno alla ripresa del culto delle immagini sacre e della pietà mariana, messe in grave crisi dalla persistente propaganda iconoclasta e dalla prassi persecutoria degli imperatori. Tra l'altro non si può dimenticare che le icone della Madre di Dio erano particolarmente numerose in Oriente e molto amate dai pastori e dai fedeli, perché hanno sempre funzionato come strumenti efficaci per la diffusione della devozione mariana; ma soprattutto costituivano un modo facilmente comprensibile per professare la fede nel mistero dell'Incarnazione, come ne dà testimonianza la tradizione unanime dei santi Padri. Giovanni Damasceno, accusando di empietà l'imperatore iconoclasta Leone Isaurico, scriveva a buon diritto: «Non è contro le icone che tu lotti, ma contro i santi»2. Inoltre le icone erano comunemente considerate il libro di quelli che non sapevano leggere le Sacre Scritture e quindi uno strumento prezioso per la catechesi battesimale e la formazione religiosa dei credenti. Esempi facili per comprendere l'importanza catechetica delle icone si possono osservare ancora oggi in antiche chiese del Medio Oriente, vedi ad esempio l'ex chiesa di San Salvatore in Chora a Istanbul, oggi trasformata in museo, o alcune chiese rupestri della Cappadocia, dove mosaici e affreschi venivano realizzati nei narteci, accessibili ai catecumeni, i quali non potevano accedere all'interno della chiesa non essendo ancora battezzati. Niceforo, laico erudito nelle discipline profane ed esperto nelle cose della politica per essere stato funzionario nell'amministrazione imperiale, fu anche autore di una sintesi storica che abbraccia gli anni tra il 602 e il 769 e che pertanto costituisce una fonte di ovvia importanza per la storia della prima fase della crisi iconoclasta. Quando divenne patriarca di Costantinopoli nell'806, la sua nomina suscitò fiere contestazioni negli ambienti monastici, dove si sopportava malvolentieri che l'incarico ecclesiale più elevato e prestigioso della Chiesa bizantina fosse affidato ad un laico, anche se si trattava di un buon teologo. Egli non ha sviluppato una dottrina vera e propria sulla Madre di Dio; però nei suoi scritti polemici contro gli iconoclasti si incontrano dichiarazioni perentorie circa i contenuti della fede intorno alla persona di lei e al suo ruolo nell'opera della salvezza. Polemizzando con il defunto imperatore iconoclasta Costantino V Copronimo che nello pseudo concilio di Hieria (754) aveva preteso di elaborare una teologia che fornisse una legittimazione dogmatica all'iconoclastia, Niceforo cosi riassume il suo pensiero circa la dottrina del Verbo Incarnato: «Si è incarnato nella tutta santa, immacolata Signora nostra, la Madre di Dio e sempre vergine Maria»3. Contro Costantino V pronuncia un'accusa perentoria, dicendo che egli finge di onorare la Vergine Madre di Dio e tutta santa, mentre in realtà nega il potere di intercessione che ella ha ricevuto da Dio; verità che tutti i cristiani credono e nella quale sperano per la loro salvezza. Il vero cristiano confessa che la purissima Madre di Dio discende dalla radice di Jesse e dal seme di Davide; la riconosce come vera e propria Madre di Dio. Questa verità è stata confermata dal parto prodigioso di lei. Infatti Cristo lasciò integra la verginità della Madre anche dopo il parto4. Quando l'imperatore Leone V l'Armeno diede inizio alla seconda fase della persecuzione iconoclasta, Niceforo assunse senza esitare la difesa del culto verso le sacre immagini, in sintonia con Teodoro Studita; e questa sua presa di posizione gli costò la deposizione dalla sede patriarcale e la condanna all'esilio nell'815. Il successore di Leone V, Michele II il Balbuziente, offerse a Niceforo di riaprirgli le porte della capitale in cambio del suo silenzio sul contenzioso dell'iconoclastia, ma Niceforo rifiutò e rimase in esilio fino alla morte avvenuta nell'829. Il patriarca Metodio nell'847 ottenne che le sue spoglie fossero riportate a Costantinopoli, dove ebbero sepoltura nella chiesa degli Apostoli. Il secondo periodo della persecuzione iconoclasta si concludeva con la morte dell'imperatore Teofio (842) e la deposizione del patriarca Giovanni Grammatico che lo aveva assecondato. Data la giovanissima età del nuovo imperatore Michele III, nato nell'840, l'Impero passava sotto la reggenza di Teodora, moglie di Teofilo, mentre alla sede patriarcale veniva chiamato nell'843 il monaco Metodio, che aveva sofferto l'esilio per il suo atteggiamento favorevole al culto delle sacre immagini. L'11 marzo dell'843 una solenne processione dal santuario mariano delle Blacherne alla cattedrale di Santa Sofia sigillava ufficialmente e definitivamente il ripristino del culto delle icone. La festa commemorativa di questo evento è entrata nel calendario della Chiesa bizantina e viene celebrata ogni anno la prima domenica di Quaresima, sotto la denominazione di trionfo dell'Ortodossia o Domenica delle Sacre Icone.

L'età bizantina post-patristica

In Oriente il passaggio dall'età patristica a quella propriamente bizantina, che alcuni storici datano da Nicea II (787) allo scisma del 1054, non manifesta sintomi di rotture rispetto al periodo dei Padri, per quanto concerne la trasmissione della tradizione dottrinale e quindi anche della teologia mariana. Al contrario questo passaggio si verifica in un clima di tranquilla continuità nei vari settori della vita dell'Impero e della Chiesa. L'unico cambiamento di un certo rilievo si è verificato nell'ambito delle relazioni con la Chiesa latina. Roma incominciava a manifestare una certa apertura verso le popolazioni barbariche che si erano installate nei territori dell'Occidente latino. Con esse stava iniziando ad intrecciare relazioni anche sul piano politico; relazioni che ebbero come conseguenza un distacco progressivo da Costantinopoli. In questo processo di occulta ma progressiva separazione dei latini dal centro ufficiale dell'impero, si sentiva toccata anche la Chiesa bizantina, che rivendicava un certo diritto di autorità pastorale su alcune popolazioni barbariche cristianizzate da Cirillo e Metodio e da successivi missionari inviati dal patriarcato di Costantinopoli, con il supporto dell'autorità imperiale. Quantunque una tale situazione comportasse dei problemi nelle relazioni tra orientali e latini, la nuova era che si stava aprendo per Bisanzio fu subito contrassegnata da una sorprendente ripresa della cultura, delle scienze, dell'arte, della politica, dell'economia, nonché delle discipline religiose. Grandi figure di uomini di Chiesa hanno dato un contributo essenziale all'affermarsi e al consolidarsi della nuova era solitamente denominata età bizantina vera e propria, a continuazione dell'età dei Padri della Chiesa. Tra le nuove figure che hanno dato lustro alla Chiesa di Bisanzio si possono ricordare Cesare Bardas (†866), fratello dell'imperatrice Teodora, divenuto ministro e consigliere dell'imperatore Michele III; Fozio, patriarca di Costantinopoli (858-867 e 877-886), e i menzionati fratelli missionari Costantino Cirillo (†869) e Metodio († 885), insigni apostoli ed evangelizzatori degli slavi. Questa fioritura va inquadrata in una situazione politica interna ed esterna particolarmente favorevole, che tocca il suo apice sotto la dinastia macedone e che continuerà a produrre risultati positivi anche quando la potenza imperiale incomincerà a declinare5.

La Theotokos nel nuovo periodo storico

La vittoria della fede ortodossa sulle deviazioni dottrinali e sugli atteggiamenti esistenziali eterodossi dell'iconoclastia segnavano un punto importante a favore della devozione mariana, dato che le icone della Madre di Dio, oltre che molto diffuse, godevano di speciali privilegi nella vita e nel culto liturgico della Chiesa e dei singoli fedeli. Sul piano dogmatico l'importanza crescente che la figura di Maria andava acquistando nella consapevolezza del popolo cristiano sembra trovare conferma nella celebre affermazione del Damasceno che vedeva nel mistero dell'Incarnazione del Verbo in Maria il cardine della fede cristologica: «Giustamente e veramente chiamiamo la Santa Maria Theotokos. In questo nome infatti si compendia tutto il mistero della SaIvezza»6. Due erano le verità concernenti la Madre di Dio che incominciavano ad emergere con crescente chiarezza dalla coscienza dei credenti e che andavano collezionando riconoscimenti validi e sempre più espliciti negli scritti degli autori che si succedettero ai Padri della Chiesa: la straordinaria santità della Vergine fin dai primordi della sua vita terrena e la sua celeste glorificazione dopo la morte. Le due verità si richiamavano l'un l'altra, perché la santità eccelsa di Maria fin dai primordi della sua esistenza viene intesa come una ragione esplicativa della sua eccezionale esaltazione al cielo in anima e corpo al termine della sua vita terrena. Crescono anche l'interesse e la curiosità per i dati biografici della Vergine santa, di cui gli scritti del Nuovo Testamento sono alquanto avari. Si compongono e diffondono scritti che sono bensì strutturati nella forma di generi letterari tradizionali, soprattutto nel genere omiletico, ma che in realtà sono delle biografie a volte molto ampie della Madre di Dio. In queste composizioni le testimonianze evangeliche vengono completate con il ricorso a del materiale apocrifo che, nei secoli precedenti, si era acquistato qualche diritto di credibilità nella tradizione della Chiesa. In particolare si rileva una sintomatica insistenza su alcune circostanze e funzioni che hanno caratterizzato la vita e la condotta della Vergine Madre accanto al Figlio. E non si pensa soltanto al mistero dell'Incarnazione, già al centro della dottrina mariana antecedente, bensì anche al suo coinvolgimento nei drammatici avvenimenti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Alcuni autori ritengono che ella non solo fu presente al Calvario sotto la croce, ma che non lasciò neppure per un istante il sepolcro, per cui sarebbe stata l'unica testimone oculare dell'uscita gloriosa del Figlio dalla tomba. Altri autori si limitano ad affermare che il Risorto avrebbe riservato alla Madre il privilegio e la gioia della sua prima apparizione. In queste vite di Maria non si può non riconoscere una devota e marcata attenzione verso la sua figura eccelsa di Madre del Signore. Esse accomunano i loro autori e i lettori nell'unico desiderio di meglio conoscerla per farla entrare sempre più dettagliatamente nella pratica della loro esistenza cristiana, nonché nella vita della Chiesa e della società civile, come è dimostrato da alcune vicende della storia bizantina, quali la difesa dell'Impero da invasioni nemiche o della medesima città di Costantinopoli dall'assedio di eserciti stranieri. Alcune di queste biografie rimangono testi validi e preziosi nella storia della letteratura bizantina e manifestano tendenze nuove nell'interesse per il dato mariologico. Si pensi alla vita di Maria che porta come autore il nome di Massimo il Confessore, o a quelle di Giovanni Geometra, del monaco Epifanio, di Simeone Metafraste.

Reliquie e santuari mariani

Un altro fattore di incremento della pietà mariana era indubbiamente la presenza a Costantinopoli di due celebri reliquie che, secondo la tradizione, la Vergine ha lasciato sulla terra prima della sua salita al cielo: il manto o velo (maphorion) e la cintura (zone)7. Il manto veniva conservato nel famoso santuario delle Blacherne che si pensa fosse stato edificato nel V secolo dall'imperatrice Puicheria, moglie di Teodosio II, proprio allo scopo di custodire la preziosa reliquia. Questo grandioso santuario fu costruito al limite della seconda cerchia muraria innalzata da Teodosio II, esattamente nel punto dove le mura toccavano il Corno d'Oro, accanto al palazzo imperiale delle Blacherne, da cui prese nome. Dell'edificio, distrutto da un incendio nel 1434, non rimangono attualmente ruderi visibili. Se si eseguissero degli scavi, certamente emergerebbero dei resti della basilica. Tuttavia la sua localizzazione è sicura perché esiste a tutt'oggi, nel quartiere Ayvansaray di Istanbul, il cosiddetto aghiasma, ossia la fontana sacra nella quale si purificavano i pellegrini prima del loro ingresso nella chiesa e che oggi si trova incorporata in una sorta di cappella. Nel santuario delle Blacherne era stata dipinta anche una celeberrima icona detta appunto Blachernitissa, che ha dato origine al tipo iconografico che porta questo no-me e che raffigura la Vergine Madre con una sorta di medaglione sul petto, nel quale è dipinta l'immagine del Cristo fanciullo8. L'icona oggi è chiamata anche la Theotokos del Segno, di cui la storia dell'iconografia è in grado di esibire numerosi esemplari9. L'altra famosa reliquia, ossia la cintura della Vergine, si venerava nel santuario di Chalkoprateia, situato nelle immediate vicinanze di Santa Sofia e della Basilica-Cisterna. Il termine Chalkoprateia deriva dal quartiere in cui si trovava la chiesa, quello dei fabbricanti di oggetti in bronzo e altri metalli. Neppure questo edificio ha superato la prova del tempo, dei terremoti e delle devastazioni umane. Le ricerche archeologiche hanno accertato che sulle sue fondamenta e stata costruita una moschea nota sotto il nome della sultana Zeyneb10. Oltre a questi due celeberrimi santuari, dove le celebrazioni potevano assumere un carattere pubblico e ufficiale per la partecipazione delle massime autorità sia religiose che statali, altre chiese mariane sorgevano un po' dappertutto per diventare luoghi di preghiera e di pellegrinaggio da parte dei fedeli, i quali nella Vergine santa ponevano le loro speranze e le loro attese di protezione e di aiuto. A titolo di esempio, possiamo ricordare alcune di queste chiese: la Theotokos del monastero dei Pascoli (Boukolion), che è stata localizzata nei pressi del foro di Costantino; il monastero di Charsianites, dedicato alla Theotokos detta Nea Peribleptos (Novella Insigne); il monastero della Theotokos dalla Volta Aurea; la chiesa dell'Aurea Theotokos, nel quartiere costantinopolitano di Psamatia; la chiesa della Theotokos Aurea Sorgente che sembra sorgesse a Pera-Galata, il quartiere genovese di Costantinopoli, probabilmente distrutta da un incendio nel XVII secolo. Le insigni reliquie custodite alle Blacherne e a Chalkoprateia erano considerate un segno visibile della presenza della Madre di Dio e una potente garanzia della sua particolare predilezione e protezione verso la città di Costantinopoli, la seconda Roma. La storia di allora aveva registrato vari suoi interventi in difesa della capitale dell'Impero contro gravi pericoli esterni, particolarmente durante le guerre e gli assedi a cui la città veniva sovente sottoposta da parte di eserciti nemici. In tali tragiche circostanze gli abitanti usavano portare le reliquie in solenne processione lungo il perimetro delle mura, invocando la sua misericordia e la sua intercessione. Nell'anno liturgico bizantino sono indicati i due giorni nei quali si commemora la deposizione solenne delle due reliquie nei rispettivi santuari: il 2 luglio alle Blacherne, il 31 agosto a Chalkoprateia. I due santuari attiravano folle di pellegrini ed erano luoghi di celebrazioni liturgiche e di processioni veramente sentite ed amate dalla popolazione. Il contesto bizantino di quel tempo, particolarmente felice dal punto di vista sia religioso che politico e culturale, ha indubbiamente favorito la riflessione teologica sulla Madre di Dio e ne ha incrementato la devozione, nella scia dei secoli precedenti, durante i quali i Padri della Chiesa avevano gettato basi sicure per la fede e la pietà mariana, specialmente chiarendo il rapporto tra la Vergine Madre e il Figlio divino. Le celebrazioni liturgiche e la predicazione dei pastori e dei teologi favorivano una più matura comprensione del mistero mariano. In esso i fedeli contemplavano ed onoravano una Donna straordinaria, eletta da Dio fin dalla sua nascita, meravigliosa nella sua vita santa, gloriosa nel suo destino finale, amante delle creature umane che Cristo ha salvato con la sua morte e risurrezione e che ha affidato alla sua materna mediazione. La terminologia della mediazione mariana ha avuto origine in Oriente, dalle opere degli ultimi Padri. Sono loro che hanno parlato di mediatrice (mesitis), mediazione (mesiteia), mediare (mesiteuo). Ai cristiani d'Oriente che riconoscevano queste verità si apriva la strada più indicata per accogliere ed amare la pietà mariana in tutta la sua ricchezza. In effetti la devozione alla Theotokos è da sempre una nota dominante della loro ortodossia.

NOTE
1 Tuttavia, a proposito del Damasceno, è stata coniata una leggenda nella quale lo si rende vittima di una violenza fisica provocata da un intervento di Leone III. Siccome questi non poteva vendicarsi delle accuse formulate contro di lui dal Damasceno nei suoi tre celebri discorsi in difesa delle immagini sacre, lo fece accusare di tradimento e di complotto contro il Califfo di Damasco, il quale, prestando fede a queste accuse calunniose, lo condannò al taglio della mano destra. Dopo l'esecuzione della condanna, Giovanni si lamentò amabilmente con la Vergine per la violenza subita proprio in quella mano che aveva molto scritto in difesa delle sue icone. Maria gli apparve in sogno per confortarlo e rassicurarlo; e infatti al suo risveglio, Giovanni si vide la mano destra al suo posto. Come ringraziamento, fece collocate una mano d'argento sotto l'icona della Madre di Dio, e questo dettaglio spiegherebbe l'origine di un tipo iconografico che va sotto il nome di Madre di Dio dalle tre mani (tricherousa) , detta anche la Theotokos di Giovanni Damasceno.
2 De imaginibus, oratio I, PG 94, 1249.
3 Antirrheticus I adversus Constantinum V Copronimum 9, PG 100, 216 B.
4 Ibid., 216 D -217 A. Ribadisce le stesse affermazioni in una lettera al papa Leone III (dr. PG 100, 189).
5 Cfr. S. Impellizzeri, La letteratura bizantina, Sansoni, Firenze 1975, p. 35.
6 De fide orthodoxa 3, 12, PG 94, 1029.
7 Le circostanze nelle quali furono scoperte a Gerusalemme le due reliquie, e il loro trasferimento a Costantinopoli, sono narrate nell'apocrifa Storia Eutimiaca. Cfr. M. Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, vol. 1/2, Marietti, Casale Monferrato 1981, pp. 526-527.
8 La si potrebbe considerare una variante dell'Odigitria, la Vergine che indica con una mano la via che è Cristo.
9 Cfr. R. Janin, La geographie ecclesiastique de l'empire byzantin, t. III, Institnt francais d'études byzantines, Paris 19692, pp. 161-171.
10 Ibid., pp. 237-242.

 

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