Paradigma eucaristico-mariano e carenza di bellezza
Data: Venerdi 11 Giugno 2021, alle ore 18:28:47
Argomento: Società


Da Michele Giulio Masciarelli (†11 giugno 2021), Maria e l'Eucaristia dinnanzi alle carenze umane, in AA. VV., Maria e l'Eucaristia, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2000, pp.107-117.

 

 



In Memoriam

L'11 giugno 2021, è deceduto, all'età di 77 anni, Mons. Michele Giulio Masciarelli. Si era laureato in Teologia presso la Pontificia università Gregoriana di Roma, in Filosofia alla d’Annunzio di Chieti nel 1976, in Diritto Canonico alla Pontifica università Lateranense. Aveva insegnato anche all’Istituto Teologico Abruzzese–Molisano al seminario regionale di Chieti. Nell’arcidiocesi di Chieti-Vasto è stato viceparroco e parroco, assistente della Fuci e dei laureati cattolici, vicario episcopale per la cultura e l’ecumenismo e, in seguito, per il sinodo diocesano. Autore di svariati volumi, aveva approfondito il pensiero teologico di Joseph Ratzinger.
Ecco alcune sue pubblicazioni dedicate alla Vergine:
- Pio IX e l'Immacolata, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000;
- L' innocente. Maria, l'Immacolata, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000;
- La maestra. Lezioni mariane a Cana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002;
- Il segno della donna. Maria nella teologia di Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007;
- Col cuore della madre, Rogate, Roma 2009;
- La Bellissima. Maria sulla «via pulchritudinis», Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012;
- La discepola Maria di Nazaret beata perché ha creduto, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018;
- Riforma sinodale. In compagnia della discepola, Tau Editrice, Todi 2018

È venuto il momento di confrontarci sul nostro stato di bellezza, perché la verifica della nostra autenticità passa anche per tale controllo, se è vero che la bellezza è essenziale alla decifrazione e alla realizzazione della verità dell’uomo. Anzi, tutte le cose, nel senso più ampio del termine, fanno naturalmente riferimento alla bellezza: «La bellezza sta alle cose come la santità sta all’anima».127 La bellezza è categoria fondamentale dell’essere, della natura, dell’uomo, di Dio stesso. Essa per solito la si considera come un elemento accessorio e non necessario, della realtà. Ma c’è da chiedersi se, mancando d’interrogarci sulla bellezza, sappiamo abbastanza della realtà e se, per caso, c’impediamo di conoscere un elemento essenziale di essa. Ma la bellezza cos’è? In forma abbreviata, essa può essere definita come «trasformazione della materia per mezzo dell’Incarnazione, in essa, di un principio, sopramateriale».128 Ma non è questa l’avventura costante della vita dell’uomo?

a) Siamo in un mondo senza bellezza?

Rovesciando i termini che costituiscono e fanno riconoscere la bellezza, possiamo farci un’idea anche del suo contrario, la bruttezza; questa è ciò che non allude a nulla di superiore, di trasparente, di elevante, di trascendente, ma esprime, ad un tempo, solo la naturalità della natura, l’animalità dell’animale, la temporalità del tempo. Quanta bruttezza c’è nel mondo? Quali sono le sue presenze più nocive e più urgenti da rimuovere? È difficile rispondere a queste domande, perché anche il brutto, da un certo punto di vista, è poco conosciuto. Paradossalmente, il brutto è molto praticato, ma poco conosciuto; anzi, proprio perché è poco conosciuto nel suo carattere devastante (si pensi alla sua nocività in campo educativo) è molto praticato e diffuso. Sembra si possa affermare che la bruttezza sia percepibile in tre situazioni: quando si frattura ciò che s’intuisce debba essere unito; quando la sproporzione prende il posto della misura; quando le cose, le persone e gli eventi s’addossano fra loro, scomparendo ogni distanza. Tenendo presente questo paradigma, andiamo a constatare che oggi c’è un’enfasi del brutto dalle proporzioni assai ampie, per cui esso appare, fra l’altro, oltre che infastidente e repellente, anche vistoso e ingombrante. Molte situazioni umane, spirituali e culturali sono brutte proprio perché recano i segni della lacerazione e della separazione:
la frattura tra passato, presente e futuro: (la cultura di oggi è rimasta impigliata in un bieco presentismo);
la frattura tra la strada e l’orizzonte: (l’uomo di oggi solo di rado aggiunge alla passione del «come» la preoccupazione del «perché»);
la frattura tra il «particolare» e la «totalità»: (la cultura dei nostri ultimi decenni è calamitata dal primo ed evade nevroticamente dalla seconda);
la frattura tra la natura e l’umano: (la nostra cultura «vitalistica» o oppone queste due polarità del reale o le assorbe dentro un orizzonte «biocentrico» che oscura le eccedenze di tipo personologiche);
la frattura tra l’umano e quanto sorpassa l’umano: (la cultura odierna fatica ad uscire dalla pelle del suo umanesimo unilaterale che le impedisce di tentare l’ipotesi di un’apertura metastorica e «sovrumana»);
la frattura tra etica privata ed etica pubblica: (sono vistose e doloranti le ferite procurate da questa scissione in tanti campi dell’umano);
la frattura tra esigenza etica e verità dell’etica: (quando l’esigenza etica s’affievolisce, si scivola nell’esteriorismo etico);
la frattura tra complessità e unità della vita: (si preferisce fuggire pavidamente da «Babele», piuttosto che riconciliare «Babele» con percorsi spirituali e culturali che permettano la riconquista del senso pieno e ultimo dell’esistere);
la frattura tra fare e contemplare: (non si sa più optare tra ciò che è effimero e ciò che è necessario, tra le cose che passano e le cose che restano);
la frattura tra vita e amore: (s’è imposto il convincimento culturale secondo cui ciò che conta è il piano naturale del vivere, mentre l’amore non avrebbe con la vita nessun legame oggettivo, ma solo ideologico e, magari, fideistico);
la frattura tra vita e morte: (l’idea della morte non è più nel cuore della vita e non è più il paradigma dei limiti invalicabili degli uomini o la pietra di paragone delle differenze, il criterio di giudizio rispetto a tutto ciò che è effimero e non autentico).
Anche la seconda causalità del brutto (la perdita della misura) mostra oggi la sua infelice filiazione. La disarmonia è il fondale fisso della vita quotidiana: non c’è il rispetto del tempo giusto; il tempo è come intasato, compresso di atti, parole, intraprese sgarbate, scorbutiche. Il tempo è bistrattato, strapazzato: non c’è più nessuna concessione alla lentezza, che pure ha il suo ritmo saggio e benefico. Un musicista non può eseguire tutto con moto veloce: conosce, invece, i tempi lenti, lentissimi, i movimenti brevi, i tocchi lievi. Così è per un pittore, per uno scultore, per un ginnasta. E come è possibile che appaia bella la forma della nostra vita che troppo spesso precipita da un eccesso all’altro, senza pacatezza, senza pause, senza controllo, senza contemplazione? Il parlare immoderato, più che esplicito; il dire senza ritegno più che con sincerità; lo scoprimento impudico dei sentimenti, la fine della riservatezza, la rinuncia alla discrezione, l’abbandono di regole comportamentali che servivano l’intenzione di esprimere raccordo gerarchico, tatto educativo, delicatezza d’amicizia e tant’altri approcci sfumati a persone e cose, vanno identificati come sintomi di bruttezza. La perdita della distanza, che pretende d’accorpare proprio ciò che è spirituale, compie il resto.129 È ancora il brutto che dal di dentro dello spirito passa al di fuori dei comportamenti: solo di rado si sa essere riservati nel rapporto con gli altri, sobri nell’interrogare, eleganti nel comportarsi; non c’è più posto per l’intelligente ironia, per l’allusione sfiorante il problema, per l’uso garbato del «diminutivo»: tutto è subito palese, dichiarato, gridato. Sono cadute troppe difese che proteggevano la bellezza, e il brutto ha tracimato, a ondate devastanti: si sono imposti l’anonimato, la volgarità, la pesantezza, l’impersonale.

b) L’Eucaristia, icona di bellezza

La bellezza dell’Eucaristia? Sì, l’Eucaristia è la mensa bella, il Pane bello. Il pane, modesto nella moltitudine delle cose e normale nella vita dell’uomo, è salito nella storia della salvezza e per volontà di Cristo ad altezze vertiginose, quelle del «miracolo eucaristico» che accade in ogni Messa, quando il pane diventa corpo di Cristo. «Portato a queste altezze, il pane è diventato così profondamente suggestivo, da riapparirci non soltanto come la nuova incarnazione di Cristo in ogni uomo che lo mangia, ma la stessa rivelazione di Lui. C’è un luogo nel Vangelo dove il pane ha assunto la mirabile funzione di strumento di conoscenza. Voi avete già pensato alla Cena di Emmaus, nella quale Cristo mangia il pane con i suoi discepoli, in un primo tempo dubbiosi, smarriti; ma alla fine, comprendono, riconoscono in Lui il Maestro risorto; non tanto dalle parole che dice quanto dal gesto che compie, spezzando il pane. “In fractione panis cognoverunt eum”. La nostra suggestione aumenta, si fa più inevitabile. Dopo che Dio si è incarnato nel pane, ci pare che ogni pane debba essere pieno di Dio e della sua mistica presenza. È sempre commossa la scena della famiglia raccolta intorno alla mensa sulla quale non può mancare il pane. E la mensa ne splende».130 Ma la suggestione, la bellezza della mensa di famiglia crescono per la presenza della madre: una famiglia senza madre non è bella pienamente, nemmeno quando è radunata intorno alla mensa che splende della bellezza del pane. La bellezza della mensa eucaristica è però sempre armonizzata con la bellezza di Maria che non lascia sola la Chiesa nel gesto più serio e solenne che questa compie. Della bellezza di Cristo Agnello eucaristico risplende in maniera speciale Maria, chiamata, con espressione cristologicamente allusiva, «la bella agnella» da un antichissimo testo cristiano.131

c) Maria, via di bellezza al cristianesimo

Maria si offre allo sguardo credente della Chiesa nello splendore della grazia redentiva di Cristo e ci attrae: «Maria è la creatura “tota pulchra”: è lo “speculum sine macula”; è l’ideale supremo della perfezione che in ogni tempo gli artisti hanno cercato di riprodurre nelle loro opere; è “la Donna vestita di sole” (Ap 12, 1), nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale».132 Maria appartiene all’umanità creata nell’innocenza e nella piena conformazione a Cristo. Questa condizione di creatura nuova non l’allontana dal resto dell’umanità: la sua non è grazia di separazione dagli uomini, quanto piuttosto di possesso pieno di una umanità integra e densa di mistero. La sua grazia originaria è anzitutto grazia di pienezza e non di separazione. Maria è santificata in previsione dei meriti futuri di Cristo, ma lo è in modo speciale in ragione della sua relazione immediata con suo Figlio, fonte di grazia, in vista del quale tutto è stato creato. Nella bellezza di Maria, l’immacolata e la piena di grazia, è contemplabile la bellezza dell’intera umanità: in essa l’umanità è restituita all’originaria innocenza e alla bellezza primigenia, e si compie realmente il simbolo della vergine terra. Perciò, sulla via creationis, noi troviamo in Maria l’umanità integra, pura, buona, armonica, di nulla mancante, di tutto ricca e adorna. La causa di questa pienezza d’umanità santa è data dalla sua vicinanza a Cristo: Maria è Eva più di Eva per il forte vincolo che ha Cristo, che è Adamo più di Adamo. Maria è immacolata perché Cristo è santissimo; è piena di grazia perché Cristo con la sua redenzione è la causa di ogni santità; è Tutta bella perché è la madre del Re messianico, che è «il più bello tra i figli degli uomini» (Sal 44,3): «È come la luna; se si spegnesse il sole non la vedremmo più, se invece è splendente, lo è perché i raggi del sole battono su di lei. Così, se la Madonna ha tutte le grazie, le bellezze, la santità, la virtù, le ha perché è unita a Cristo come nessun’altra creatura: Cristo è la sorgente di tutte le bellezze e le grazie di cui rifulge Maria».133 Nessuna creatura, neppure Maria, è bella da sé: è Dio «l’autore della bellezza» (Sap 13, 3) che crea la «bellezza delle creature» (Sap 13,5). Dio, il Santo e il Vivente, è la Bellezza suprema e le sue opere sono «belle-buone» (cf. Gn 1,9.12.25. 31): fra queste spicca Maria.134 È soprattutto la condizione di grazia dell’Immacolata Concezione a rendere bella Maria. La bruttura del male è del tutto esclusa da Maria ed è questo che la rende così bella. È per tale motivo che è così piacevole contemplarla: è creatura Trinitatis nel senso che è un prisma che non devia la luce, ma, completamente trasparente, non trattiene nulla della luce trinitaria che l’attraversa.

d) Ritorno alla bellezza

Maria è icona della Trinità; ciò equivale a dire che è «via pulchritudinis» al mistero trinitario: l’icona «permette di conoscere Dio attraverso la sua bellezza».135 Con la sua identità bella, Maria invita la Chiesa a percorrere la via della bellezza e divenire, così, sempre di più adorna di bellezza agli occhi di Dio,136 che è la Bellezza suprema, la stessa bellezza e, pertanto, il bello è un ideale e un nutrimento insostituibile per l’uomo, per la sua liberazione e affermazione spirituale. È per questo che san Paolo chiama il cristiano a «operare in maniera bella» (cf. 2Ts 3,13); è un invito che ha l’aria di essere stato uno dei temi ricorrenti nelle sue conversazioni per diffondere il Vangelo: «Prefiggetevi cose belle, non soltanto davanti a Dio, ma anche davanti a tutti gli uomini» (cf. Rm 12,17; 2 Cor 8,21; 13,7). E ancora: «Verificate ogni cosa, tenete ciò che è bello» (1Ts 5, 21). Si celebra così, fin dalle origini del cristianesimo, un’alleanza inseparabile tra il bene e il bello, tra la morale e l’estetica. Secondo tutti i grandi dell’umanità, da Omero ai Veda, da Platone a Buddha, da Dante a Goethe, l’uomo si realizza soltanto nello slancio verso il Vero, il Bello e il Bene. «Se non ci fosse l’ideale della Bellezza, l’uomo diventerebbe preda dell’angoscia... Ma siccome Cristo ha recato in sé e nella sua parola l’ideale della Bellezza, la decisione fu presa una volta per sempre: meglio infondere nelle anime l’ideale della Bellezza; custodendolo nell’anima, tutti diventeranno fratelli l’uno dell’altro, e allora, senza dubbio, lavorando l’uno per l’altro, essi diventeranno anche ricchi».137 Purtroppo, non si è ancora capito che la Bellezza ha in sé una forza liberatrice ed elevatrice. Abbiamo sempre più usato, nella filosofia e teologia occidentali, le categorie di Vero e di Bene per interpretare e leggere la realtà e sempre meno quella della Bellezza. Una sensibilità estetica spiccata è stata mostrata dal pensiero orientale, che ama vedere e contemplare volti e quadri di realtà. «La Bontà, la Verità, la Bellezza sono – afferma Soloviev – solo diverse espressioni, diversi aspetti, diversi lati di un medesimo essere ideale e veritiero».138 La verità è un tutto: per accostarla occorre non solo la filosofia (= amore della sapienza), ma anche la filocalia (= amore della bellezza).139 «Il vero e il bene non sono sufficienti a creare una cultura, perché non sembrano sufficienti da soli a creare una comunione, una unità di vita tra gli uomini. E poiché la cultura è espressione stessa di uno sviluppo individuale, di una certa perfezione raggiunta, ne viene che la cultura massimamente sembra esprimersi nella bellezza. La bellezza è il fine di tutte le cose».140 Oggi impera l’eticismo, ossia l’esaltazione della prospettiva etica nella separatezza, nell’angolatura unilaterale, nella pretesa di poter salvare l’uomo incamminandolo sulla via del bene, senza pensare che se quella via non è bella non vi si resta nemmeno a lungo. Si direbbe che la via del bene deve corrispondere alla via del bello, nel senso che la via del bene se non serve anche come “luogo” di contemplazione, come “oasi” spirituale, come “spazio” per danzare la vita, neppure servirà per camminare verso il Bene. «Grande male è staccare la realtà del buono dalla realtà del bello: sarebbe come esporsi da una parte alle degenerazioni di un moralismo, e quindi alla falsità; ed esporsi, dall’altra, alla tentazione di vuoti formalismi, all’incantesimo del nulla (la “fascinatio nugacitatis” delle s. Scritture!). Potremmo dire che da qui si dipartono i due crinali, l’uno opposto all’altro: del “religioso” opposto all’“ateo”».141 Tuttavia, sempre di più cresce il convincimento che la Bellezza è necessaria per la salvezza. È nella memoria di tutti la nota espressione di Dostoevskij: «La bellezza salverà il mondo». È un’affermazione che lo scrittore russo fa in un contesto problematico, nel quale ammette che «la bellezza è un enigma» e che perciò bisogna bene intendersi: quale bellezza salverà il mondo? Salverà il mondo «non la Bellezza qualunque, ma quella dello Spirito Santo e quella della Donna vestita di sole».142 È venuto il momento, perciò, di affidarci alla bellezza: alla sua innocenza, alla sua gratuità, alla sua mirabile inattualità, alla sua inefficienza, alla sua inutilità, alla sua mistericità. La philosofia perennis l’assicurava sempre in compagnia del vero e del buono: «verum, bonum et pulcrum convertuntur». Ma così, purtroppo, non è stato: della sua perdita soffriamo molto ad ogni livello e in ogni ambito: patiamo, infatti, un lungo esilio della sua presenza fra noi. Essa è pressoché scomparsa dalle chiese e dallo stesso mondo. È scomparsa, conseguentemente, anche dalla teologia, che è rimasta a modulare ieri più il vero, oggi più il buono; eppure, l’imparentamento di queste tre parole – vero, bene e bello – deve tornare a farsi intimo e stretto. Verità ed eticità, da sole, non bastano più per dire Dio, per pensare i rapporti dentro la comunità credente, per progettare la missione cristiana nel mondo: s’impone la via pulchritudinis alla salvezza. Finché la verità e il bene non sono divenuti bellezza, la verità e il bene sembrano rimanere in qualche modo estranei all’uomo, s’impongono a lui dall’esterno; egli vi aderisce, ma non li possiede. esigono da lui una obbedienza che in un qualche modo lo mortificano.143

NOTE
127 S. WEIL, Pensieri disordinati sull’amore di Dio, Vicenza 1982, p. 44.
128 Cf. V. SOLOVIEV, La bellezza della natura, in Opere complete, IV, Bruxelles 1966, p. 41.
129 Basti l’esempio della bruttezza che deteriora il clima umano di diversi ambiti del mondo contemporaneo: scuola, il lavoro, la politica, lo sport, lo spettacolo. Il desiderio di autoaffermazione e la spinta a primeggiare s’esprimono frequentemente secondo moduli improntati ai brutti modi del malgarbo, dell’indiscrezione, dell’arroganza, della prevaricazione che sembrano diventati ingredienti indispensabili nella strategia per meglio imporsi. È una malinconica degradazione dei rapporti umani e sociali che reclama il ritorno alla bellezza della mitezza e della cortesia, delle quali virtù non si tesse mai a sufficienza l’elogio (cf. N. BOBBIO, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Milano 1994; G. AXIA, Elogio della cortesia. L’attenzione per gli altri come forma d’intelligenza, Bologna 1996).
130 C. ANGELINI, Il motivo del pane, in A. PIOLANTI, L’Eucaristia, Roma 19602, p. 144.
131 MELITONE DI SARDI, Omelia pasquale, n. 71, v. 513, in Sources Chrétiennes 123, p. 98.
132 PAOLO VI, Discorso per la chiusura del VI congresso mariologico e l’inizio del XIV congresso mariano, Roma, 16. 5. 1975.
133 G. B. MONTINI, Sulla Madonna. Discorsi e scritti [1955-1963], Brescia-Roma 1988, p. 170. L’Immacolata Concezione c’invita, in un modo del tutto particolare, ad andare a Maria per la via della bellezza: Maria Immacolata si offre al nostro sguardo credente nello splendore della grazia redentiva di Cristo e ci attrae: «Maria è la creatura “tota pulchra”: è lo “speculum sine macula” ; è l’ideale supremo della perfezione che in ogni tempo gli artisti hanno cercato di riprodurre nelle loro opere; è “la Donna vestita di sole” (Ap 12, 1), nella quale i raggi purissimi della bellezza umana si incontrano con quelli sovrani, ma accessibili, della bellezza soprannaturale» (PAOLO VI, Discorso per la chiusura del VI congresso mariologico e l’inizio del XIV congresso mariano, Roma, 16.5.1975). È nella memoria di tutti la nota espressione di Dostoévskij: «La bellezza salverà il mondo». È un’affermazione che lo scrittore russo fa in un contesto problematico, nel quale ammette che «la bellezza è un enigma» e che perciò bisogna bene intendersi: quale bellezza salverà il mondo? Salverà il mondo solo la bellezza redenta: quella che sorge dallo Spirito ed è apparentata con le ultime realtà; essa opera una coincidenza tra l’esperienza estetica e quella religiosa. Così è la bellezza dell’Immacolata (cf. P. EVDOKIMOV, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, Roma 1991, p. 63).
134 A Maria il Figlio – immagina nella fede un beato medievale – si rivolge in lode: «Tu sei bella, le dice: bella nei pensieri, bella nelle parole, bella  nelle azioni; bella dalla nascita fino alla morte; bella nella concezione verginale, bella nel parto divino, bella nella porpora della mia passione, bella soprattutto nello splendore della mia risurrezione» (AMEDEO DI LOSANNA, Huit homélies mariales: Hom. VII, 234-239).
135 O. CLÉMENT, Riflessioni sull’uomo, Milano 19913, p. 126.
136 Cf. 2 Cor 11, 3; Rm 16, 20; Ap 11 e 12; Lettera a Diogneto 12, 8.
137 Dostoévskij inedito. Quaderni e taccuini 1860-1881, a cura di L. DEL SANTO, Firenze 1980, p. 56.
138 Cf. Ibid., p. 35ss.
139 Cf. T. SPIDLÍK, Bellezza, in Lessico per il Terzo Millennio, a cura di P. PISARRA, Supplemento a Nuova Responsabilità, [Rivista dell’Azione Cattolica Italiana], n. 8, novembre 1995, p. 56-60.
140 D. M. TUROLDO, Bellezza I, in Nuovo Dizionario di Mariologia, p. 223.
141 Ibid.
142 Citato da T. SPIDLÍK, L’idea russa, p. 297.
143 Cf. D. BARSOTTI, Cultura e grazia, in Ragguaglio, Milano 1960.

 

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