A cura di
Antonella Anghinoni e Silvia Franceschini, Diocesi di Treviso, 2011.
Incontro di Maria ed ElisabettaQuesto brano posto al centro del capitolo 1 di Luca, ne costituisce il
cuore, il punto chiave. Esso è racchiuso tra due annunciazioni, e i loro
canti di lode e di fede (Magnificat e Benedictus) e diventa rivelazione
del mistero che si sta realizzando. «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse
in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò
Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino
le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò
a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo
grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco,
appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha
esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto
nell'adempimento delle parole del Signore"» (Lc 1,39-45).
Mettersi in cammino
Questo passo del Vangelo è un viaggio verso la montagna, verso la terra di Giuda,
che è terra di lode, di canto (questo significa il suo nome). Dunque è una salita,
un’ascesa, ma anche un ingresso: dalla città alla casa, dalla folla all’intimità. Luca
intreccia abilmente il racconto con la simbolica del viaggio. La fede è sempre un
mettersi in cammino, come già Abramo. C’è un grande movimento che anima questa scena: Maria si mette in viaggio,
raggiunge in fretta, entra, saluta; Giovanni sussulta esultando, cioè danza pieno di
gioia nel grembo di sua madre; Elisabetta è riempita di Spirito Santo che soffia
dentro di lei e la fa esclamare a gran voce. La Scrittura così ci coinvolge in questo
movimento e ci invita alla danza, ad entrare nei passi di danza di tutti coloro che già
prima di noi seguono il Signore. Maria si alza in una risurrezione d’amore, di cura per l’altro che la spinge in una
corsa affrettata verso Elisabetta. Il testo di Luca ci offre proprio il verbo della
risurrezione, che indica un alzarsi pieno, deciso, solido. Maria ben dritta, mossa
dallo Spirito del Signore, lascia dietro a sé ogni cosa e decide di partire. Si mette in
cammino e sale verso la montagna, poi entra e saluta. Un avvicinamento progressivo
che non teme le distanze, le differenze, le fatiche, le incognite. Per questo è così
gioiosa, traboccante fino al canto, alla lode.
Grembi che danzano
Due donne che si cercano e si incontrano, per dare vita alla vita. Due grembi abitati,
parlanti, esultanti, già partecipi dell’esistenza:
- Salutò Elisabetta: il saluto scambiato
tra Maria ed Elisabetta non è vuoto, formale, ma porta in sé tutta la carica, tutta la
preparazione che vediamo nelle decisioni, nei gesti, nei movimenti di Maria. È un
saluto pregnante come sono Maria ed Elisabetta, un avvicinarsi di grembi, di vite,
di respiri, che diventa benedizione.
- Il bambino sussultò: il saluto è tale da provocare una gioia incontenibile, l’esultanza
di una vera e propria danza. Il verbo che troviamo in queste parole di Elisabetta
significa saltare, balzare, saltellare, ma anche danzare. Questo particolare ricorda
la danza del re Davide davanti all’arca (2Sam 6,14); Giovanni vuole esprimere
danzando tutta la gioia traboccante per l’arrivo del Messia. Maria ci appare allora
come la nuova arca, colei che porta in sé la salvezza d’Israele e di tutte le genti.
- Nel grembo: ci troviamo davanti alla parola chiave del brano che ricorre 3 volte. È
questo il centro dell’incontro con Dio, luogo della gioia e della trasformazione. Il
termine greco richiama i significati di cavità, vuoto. Ma il grembo non è un luogo
vuoto, anzi è la vita stessa abitata, fatta accoglienza, accettazione. Il primo contatto
fra queste due donne avviene a livello del grembo, in quei loro spazi segreti, intimi,
vitali, che custodiscono il tesoro più prezioso che è stato dato loro: un figlio. Siamo
così condotti anche noi presso il santuario della vita che è il grembo della donna.
In principio era la relazione
Elisabetta fu piena di Spirito Santo: il greco usa il verbo all’aoristo passivo che
indica un evento ben preciso, con un inizio rintracciabile. Elisabetta fu riempita,
visitata, abitata da una presenza sempre più consistente.
- Esclamò a gran voce: Elisabetta a questo punto non può che esplodere in un canto
di gioia traboccante. Il testo ci offre un verbo abbastanza raro che appare solo qui
nel NT e 5 volte nell’AT e che significa alzare la voce, esclamare, acclamare,
lodare. Esso compare sempre in un contesto liturgico particolare, nel momento in
cui Israele trasporta l’arca dell’alleanza (1Cr 15,28; 16,4-5.42; 2Cr 5,13)
.
- A che debbo?: il canto e la danza di Elisabetta si erano aperti con la
proclamazione estasiata di due benedizioni consecutive rivolte a Maria: Benedetta
tu… e benedetto il frutto del tuo grembo! E ora proseguono con un’esclamazione
piena di stupore, di meraviglia e di gratitudine. Questo a che debbo? Può essere
tradotto: E da dove a me questo? Con un’espressione molto particolare che non si
trova in bocca a nessuno nella Bibbia. Solo Mosè una volta parlando con Dio
dice: da dove a me la carne da dare a tutto questo popolo? (Nm 11,13). Questa è
una domanda che rivela una chiara consapevolezza di sé. Elisabetta sa di aver
ricevuto una visita, un dono grande e non si sente degna. Riconosce la bontà di
Dio versa di lei e non sa come ricambiare. Il dono di Dio viene solo dall’alto, da
quel cielo ormai aperto, spalancato per noi.
Parola di benedizione
Quelle tra Maria ed Elisabetta sono le prime parole che nel Vangelo di Luca si scambiano
due esseri umani. In questo primo dialogo la prima parola di Elisabetta è una benedizione
che si estende su tutte le donne. Benedetta tu perché Dio benedica con la vita. Le madri
sono quindi benedette per prime e profetizzano per prime. E se una nascita è gioia, viene a
noi il Dio della gioia. Imparare anche noi a benedire, a cercare le parole più buone; ma è
più che dire, è una forza di vita che viene dall’alto, che discende dalla prima benedizione:
Dio li benedisse: crescete e moltiplicatevi (Gen 1,28). Il primo passo per l’incontro con il
mistero e con il cuore dell’altro è benedire, è poter dire: tu sei una benedizione di Dio per
me, tu sei un dono di Dio. E una casa dove non ci si benedice l’un l’altro, dove non ci si
loda reciprocamente, è destinata alla tristezza.
- Casa come santuario: Elisabetta invece sta in casa; da cinque mesi è nascosta così dopo
aver scoperto il dono di Dio nel suo grembo, una meraviglia sconvolgente che l’ha
paralizzata. All’arrivo di Maria, Elisabetta apre la sua casa, la sua vita, la sua persona, non
si sottrae alla gioia contagiosa di questo incontro. Non si nasconde più perché sa di essere
conosciuta fino in fondo, per questo non pone barriere, ostacoli. Per due volte il brano
sottolinea che lei ascolta (vv 41 e 44): parte da qui la sua apertura agli eventi della vita che
la raggiungono in maniera così inaspettata. Prima di tutto apre l’orecchio, il cuore, il
grembo e accoglie. La casa così diventa il luogo dove la vita celebra la sua festa, della
liturgia più vera.
- E lodano Dio, ringraziano, benedicono: due madri costruiscono un
santuario di preghiera nella casa. Elisabetta benedice, Maria loda. Come accolse il figlio
Giovanni nel suo grembo, così accoglie Maria nella sua casa e lo Spirito nel cuore.
Elisabetta non è passiva, anzi opera insieme alla grazia e si lascia coinvolgere nella danza
della salvezza. Due donne che si salutano in modo festoso, che si scambiano in modo
reciproco la benedizione. Una visita d’amore, di salvezza, di illuminazione.
Il Magnificat (Lc 1,45-55)
46. E Maria disse:
l’anima mia magnifica il Signore
47. ed esultò il mio spirito in Dio, il mio salvatore,
48. perché ha guardato sulla bassezza della sua serva.
Ecco infatti da ora in poi mi diranno beata tutte le generazioni,
49. perché ha fatto per me grandi cose il Potente
e Santo è il suo nome
50. e la sua misericordia di generazione in generazione
su coloro che lo temono
51. Ha fatto forza con il suo braccio,
Ha disperso i superbi nel pensiero del loro cuore
52. Ha rovesciato i potenti dai troni
e ha innalzato gli umili
53. gli affamati, ha riempito di beni
e i ricchi ha rimandato vuoti
54. È venuto in soccorso di Israele suo servo,
ricordandosi della sua misericordia
55. come aveva detto ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza per l’eternità.
Canto di tutte le grandezze
Maria rispondendo con queste parole ad Elisabetta tesse insieme frammenti
della Scrittura presi dai Libri di Samuele, dall’Esodo, dai Salmi, da
Isaia, e Michea. Questa donna è una Bibbia aperta, ella la sottrae al silenzio della
pergamena e le presta la sua voce innocente e chiara. Come reagisce Maria? Lei risponde con il
Magnificat, ma il canto
trascende la situazione immediata, Maria si rivolge direttamente a Dio. Un
duplice movimento caratterizza il suo canto, ascendente e orizzontale. Si
potrebbe parlare di due strofe, ma collegate in modo tale che la seconda è
quasi il prolungamento della prima. Non si da infatti alcuna congiunzione nel passaggio dalla prima alla
seconda strofa, evidenziando in tal modo lo stretto legame tra l’evento
posto in primo piano (vv 46-49) e l’ampio orizzonte entro cui si dispiega la
misericordia divina (vv 50-55).
Maria l’eletta
Maria è al centro della scena, ma totalmente decentrata, lei ha la piena
consapevolezza di essere l’eletta, tuttavia persiste nell’atteggiamento della più
completa umiltà. Ed ecco che la scena si allarga all’interno di una moltitudine
che la proclama beata. Sono gli anawim, i poveri e i timorati del Signore sui
quali si dispiega la divina misericordia. La scena si popola ulteriormente, sul palcoscenico della storia da un lato stanno
i superbi, i ricchi e i potenti e sull’opposto stanno gli umili, gli indigenti, gli
affamati che sperimentano un sorprendente capovolgimento di situazione. Il canto di Maria è ormai il loro canto, si loda e si danza insieme come sulle
rive del Mar Rosso
… Allora Miryam, la profetessa, sorella di Aronne, prese nella sua mano il
timpano: dietro a lei uscirono tutte le donne con timpani e con balli. Miryam
intonava il ritornello: «Cantate a YHWH perché ha
mirabilmente trionfato: ha gettato nel mare cavallo e cavaliere!» …
(Es 15, 20-21).
Dolore di Anna di fronte a Dio
Ma è soprattutto la figura di Anna che viene richiamata dal canto della Vergine.
Anna, moglie di Elkana, è una donna umiliata perché sterile, ma sostenuta e
glorificata da Dio. Ci troviamo in apertura del primo libro di Samuele, uno dei cosiddetti Storici della
Bibbia. Qui il popolo sta vivendo la preparazione del passaggio alla monarchia:
Samuele che nascerà dalla sterile Anna, sarà l’ultimo dei Giudici e introdurrà sulla
scena il re Saul. In questo periodo della storia d’Israele il centro della vita religiosa
non è a Gerusalemme, ma a Silo, dove era stato costruito un santuario, in cui era
l’arca di Dio, la Presenza di Dio. Qui il popolo veniva per compiere i santi
pellegrinaggi in occasione delle grandi feste; qui erano i sacerdoti che offrivano i
sacrifici e celebravano il culto. Elkana con la sua famiglia si inserisce in questo contesto, viene a Silo per la festa
delle capanne, per gioire davanti al Signore e per offrire i suoi doni. Il testo (1Sam 1,4-18) dice per due volte che Dio aveva rinserrato il grembo ad
Anna, usando un verbo piuttosto forte, che richiama quasi il rumore del chiavistello
che gira e rigira fino a chiudere completamente la porta. Davvero è come se una
porta chiusa si ergesse contro questa donna, indifesa e sofferente. Come se non bastasse al dolore di questa condizione si aggiungono l’afflizione
l’amarezza provocate da una rivale, l’altra moglie di Elkana: Peninna. Una donna
capace di dare figli, ma non amata, proprio per questo forse è velenosa.
Preghiera di Anna
Il testo registra lacrime abbondanti sul viso di Anna. Lacrime dure che diventano
cibo e preghiera. Amarezza che si scioglie in parole di supplica, versate in
silenzio sul volto di Dio. Nel suo dolore questa donna diventa maestra di
preghiera. Il sacerdote-capo, Eli, controlla che tutto si svolga con compostezza.
All’improvviso nota una donna che, in disparte, prega muovendo le labbra ma
senza emettere voce, come è prescritto per la preghiera pubblica. La sua reazione
è dura: egli sospetta che la festa dell’uva abbia avuto qualche conseguenza e
apostrofa la donna con asprezza. Era Anna che pregava in silenzio e risponde al sacerdote con semplicità: …
Sto
sfogandomi davanti al Signore / ho versato la mia anima davanti al Signore ...
L’unica cosa che desidera è un figlio, un seme di vita e Dio si ricordò di lei e la
visitò. Termina così la sua storia, con questo verbo carico di amore: Dio ha visto,
ha guardato Anna, non di sfuggita, ma con attenzione e sollecitudine, con
desiderio, favore e nostalgia. La porta è stata riaperta, il Signore è ritornato nella
sua dimora, donando molto di più di quanto gli era stato chiesto, infatti nasce
Samuele e dopo di lui ancora figli e figlie.
Cantico di Anna
Allora Anna pregò: Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza
grazie al mio Dio. Si apre la mia bocca contro i miei nemici, perché io godo
del beneficio che mi hai concesso. Non
c’è santo come il Signore, non c’è rocca come il nostro Dio. Non moltiplicate i
discorsi superbi, dalla vostra bocca non esca arroganza; perché il Signore è il
Dio che sa tutto e le sue opere sono
rette. Gli archi dei forti si spezzano, ma i deboli sono rivestiti di vigore. I sazi
sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati sono ingrassati di
cibo. La sterile partorisce sette volte e la numerosa di figli sfiorisce. Il Signore
fa morire e fa vivere, fa scendere agli inferi e fa risalire. Il Signore spossessa e
arricchisce, abbassa ed esalta. Solleva dalla polvere il misero,
innalza il povero dalle immondizie, per farli sedere insieme con i capi del
popolo e assegnar loro un seggio di gloria. Perché al
Signore appartengono i cardini della terra e su di essi fa poggiare il mondo.
Sui passi dei giusti Egli veglia, ma gli empi svaniscono nelle tenebre. Certo
non prevarrà l’uomo malgrado la sua forza.... Saranno abbattuti i suoi avversari! L’Altissimo tuonerà
dal cielo. Il Signore giudicherà i confini
della terra; darà forza al suo re ed eleverà la potenza del suo
Messia ... (1Sam 2,1-10).
La Vergine ci insegna a pregare
Le due madri “impossibili”, una sterile: Elisabetta e l’altra vergine: Maria, si
incontrano ed è un incontrarsi anche dei due figli che portano nel grembo. In risposta alla proclamazione di Elisabetta e al suo atto di fede, è davanti al
mistero del figlio che porta in grembo, riconosciuto come Signore, che Maria
prorompe nel canto di lode del Magnificat. La fede fa sorgere il rendimento di grazie e la lode. L’umile serva del Signore
che con il suo fiat si era resa disponibile per il misterioso progetto di Dio,
continua il suo cammino di obbedienza celebrando la grandezza del Dio
d’Israele e del suo piano di salvezza. Il Dio grande ha fatto cose grandi. Egli è
definito il Potente, capace di prodigi, il Signore della storia, dal braccio forte
che dispiega contro i superbi. Egli è il Santo, portatore di una giustizia che
abbatte i malvagi arroganti e innalza gli innocenti piegati sotto l’oppressione.
Egli è il Salvatore, misericordioso e fedele, che non dimentica le sue promesse
e la cui memoria salvifica attraversa i secoli, di generazione in generazione. La grandezza di tale operare apre alla gioia esultante e Maria non può che
magnificarlo. Egli ha guardato alla piccolezza della sua serva, e ha dato risposta
all’attesa di tutti coloro che confidano in lui e lo temono. Come aveva guardato
all’oppressione del suo popolo in Egitto facendolo uscire dalla prigionia per
portarlo alla libertà del suo servizio e come ha sempre continuato a guardare
all’afflizione di tutti i suoi poveri che a lui si rivolgevano per averne salvezza.
Un misterioso silenzio di Maria
Maria nel Magnificat, non nomina mai il figlio Gesù; forse perché ogni
maternità si compie in una meraviglia di silenzio. Maria come ogni madre scopre il miracolo dentro di sè solo attraverso lievi
fremiti; sogna il proprio bambino, gli parla, si preoccupa, si diverte. Ma
tutto è gelosamente custodito nella propria dimensione interiore più intima
e profonda. Questo santuario segreto tuttavia non spiega ogni cosa. Il
Magnificat possiede un’ulteriore dimensione di significato; questo canto
dispiega la giustizia, la misericordia, la liberazione degli oppressi, la
grandezza dei poveri. Rivela tutto il senso dell’opera di Gesù Cristo. Questo silenzio sul proprio figlio quindi è il modo che ha la madre di dirci:
Vi è offerto fino ad annientarsi.
Anch’io annuncio molto dolcemente questa novella che mi lacera il cuore
ma è buona: voi sarete un popolo libero.
ASCOLTA L'AUDIO DELL'ARTICOLO