Di Suor Marinella, in La mia Bibbia, n. 11 2010, Scheda 12, pp. 97-105.
Introduzione
Ci vogliamo soffermare sulla Madre di Dio, come
Madre della Chiesa e dell'intera umanità, come dono che il Signore ci ha fatto.
Per far questo il riferimento saranno:
- alcuni testi lucani, tratti dal vangelo e dagli Atti degli Apostoli
- e soprattutto un breve, ma importantissimo brano del quarto vangelo: Maria con
Giovanni ai piedi della croce.
Scopriremo, in modo più chiaro, perché Maria è onorata con il titolo di Madre della
Chiesa e di Sposa dello Spirito Santo.
1. Maria madre chiamata alla sofferenza (Lc 2,35)
Dopo la nascita di Gesù, l'evangelista Luca ci presenta Maria con Giuseppe e il Bambino
in due episodi a Gerusalemme.
- Il primo di questi è la presentazione al tempio, in obbedienza alla Legge.
Di questo episodio, molto denso e la cui spiegazione richiederebbe più spazio, scegliamo solo i versetti che riguardano direttamente Maria:
«33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
34 Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: "Ecco, egli è qui per la
caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione
35
- e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i
pensieri di molti cuori"».
Siamo qui al centro del primo episodio della vita di Gesù ambientato a Gerusalemme.
Questo particolare non è di secondaria importanza. Infatti, soprattutto nella letteratura
profetica, Gerusalemme è identificata simbolicamente come la madre di tutti i popoli, il
luogo della redenzione futura di ogni uomo, non solo degli ebrei. Troviamo queste
affermazioni, per esempio, in Is 56,6-7; 66,18-21: la città santa accoglierà le moltitudini
dei suoi figli nel grembo delle sue mura, manifestando la propria maternità universale e
radunando tutte le genti nel tempio che sorge in mezzo ad essa, nel suo seno (cfr
Is
49,18-23; 54,1-3; 50,1-22; 66,7-13; Bar 4,36-37; 5,5-6; Sal 87; …).
Nella rilettura cristiana, la maternità di Gerusalemme viene attribuita a Maria:
guardando alla sua povertà, in lei Dio riconfermò la sua predilezione per gli ultimi;
prendendo in lei dimora, ne ha fatto il nuovo tempio, la nuova arca dell’alleanza;
nascendo da lei, ha posto definitivamente la sua tenda nella nostra umanità, aprendo a
tutti la via della salvezza. Queste sono le radici bibliche della maternità di Maria.
Ma in questo episodio del vangelo di Luca, Maria è madre sottomessa alla Legge, con
Giuseppe porta Gesù, il primogenito, al tempio, per offrirlo a Dio. Questo atto è
accompagnato dall’offerta di una coppia di giovani colombi, come la stessa Legge
prescrive per le famiglie povere. Ciò risulta anche un’indicazione sulla condizione socioeconomica della Santa Famiglia. Ma non è questo che più ci interessa ora.
Rilevano piuttosto per noi le parole che il vecchio Simeone, uomo pieno di Spirito Santo,
rivolge alla giovane sposa: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Vi sono
interpretazioni diverse di questa profezia: sicuramente si può pensare alla vita non facile
di questa madre, che secondo la tradizione rimane presto vedova ed è chiamata
accompagnare la crescita di un figlio decisamente particolare. Come vedremo
nell’episodio che analizzeremo tra poco, le difficoltà connesse a questo compito devono
essere state notevoli. Ma il riferimento più ovvio di Simeone pare essere la croce, quella
morte crudele, violenta, ingiusta, che Maria accompagna fino all’ultimo respiro di Gesù e
che certamente per lei avrà significato un dolore particolarmente profondo, una
lacerazione interiore che si può paragonare a quella provocata da una spada.
A me però piace anche un’altra interpretazione, legata ad un passo della Lettera agli
Ebrei, in cui la Parola di Dio è descritta come una spada a doppio taglio, che penetra
nelle giunture e nelle midolla (Eb 4,12)… Maria si apre al dono della maternità divina,
accoglie in sé quella Parola che si fa carne attraverso la sua stessa carne. La Parola di
Dio è in lei dal momento del suo sì all’angelo e vi rimane anche dopo, vi rimane per
sempre, perché ha trovato in lei una casa sicura. Anche davanti alle difficoltà che è
chiamata ad affrontare, alle incomprensioni a cui quella maternità la espone, ai tormenti
del suo cuore nel non essere in grado di capire fino in fondo chi è quel figlio e che cosa
significa davvero l’esserne madre, Maria ci mostra il suo restare nella volontà di Dio, che
la Parola manifesta, attraverso l’atteggiamento che più volte Luca sottolinea: “Maria
custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Quella Parola di cui lei è madre
dimora in lei, è una spada che non l’abbandona, ma è anche la sorgente della sua fede e
del suo sapersi abbandonare con fiducia al Mistero.
2. Maria madre di un figlio “difficile” (Lc 2,41-51)
Il secondo episodio che vede la famiglia di Gesù a Gerusalemme è quello del
cosiddetto smarrimento e ritrovamento nel tempio, tra i dottori della Legge.
Anche questo brano richiederebbe ben più di qualche riga di spiegazione. Possiamo
comunque inquadrarlo come un episodio “pasquale”, perché si svolge a Gerusalemme,
dove avviene una angosciata ricerca di Gesù, che trova soddisfazione e pacificazione il
terzo giorno.
Ma a noi, anche qui, interessa soprattutto ciò che emerge di Maria, alle prese con le
difficoltà che l'essere madre di un figlio come Gesù comporta:
«41 I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di
Pasqua. 42 Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine
della festa. 43 Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il
fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne
accorgessero. 44 Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata
di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 non
avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46 Dopo tre
giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li
ascoltava e li interrogava. 47 E tutti quelli che l'udivano erano pieni di
stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48 Al vederlo restarono
stupiti, e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo
padre e io, angosciati, ti cercavamo". 49 Ed egli rispose loro: "Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".
50 Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
51 Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua
madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore».
Siamo di nuovo a Gerusalemme, restano validi, sullo sfondo, quei riferimenti profetici a
cui abbiamo fatto riferimento nell’episodio precedente.
Qui però Gesù è giunto all’età di dodici anni, quella dell’ingresso rituale nella comunità
sinagogale, nella vita di fede adulta e consapevole. E in effetti Gesù manifesta qui, per
la prima volta, la consapevolezza della suo condizione di Figlio obbediente al Padre,
condizione che avrà il suo apice nuovamente a Gerusalemme, nel momento della sua
consegna alla passione e morte. Il contesto di questo episodio di Luca, che a noi spesso
sfugge perché si tratta di un episodio relativo all’infanzia di Gesù, che siamo soliti
leggere nel tempo di Natale, è piuttosto un contesto pasquale: siamo nella città santa,
Gesù viene smarrito e ritrovato dopo tre giorni e tutto ciò avviene in occasione della
pasqua ebraica. Certamente tutti questi riferimenti non possono essere stati posti
insieme casualmente, ma vogliono offrirci un rimando ulteriore, quello della croce.
Il fatto narrato è molto noto: nel ritornare a Nàzaret da Gerusalemme, Maria e Giuseppe
si accorgono che Gesù non è nella carovana, tornano indietro e lo ritrovano nel tempio
dopo tre giorni di ricerche e di angoscia. È molto interessante il fatto che a parlare a
Gesù, nel momento del ritrovamento, non sia Giuseppe, ma Maria! E le sue parole sono
di rimprovero, manifestano quasi un risentimento, certamente un’incomprensione. La
risposta di Gesù chiaramente resta misteriosa per i suoi, non possono certo capire cosa
voglia dire per quel figlio “occuparsi delle cose” di suo Padre!
Non ci stupisce dunque il commento di Luca (v.50) che sembra porre fine alla
discussione. Ma, benché l’atteggiamento di Gesù, il suo sottrarsi indebitamente al
controllo dei genitori e la sua risposta, manifestino un’indipendenza ormai raggiunta e
rivendicata dalla sua famiglia, in realtà il ragazzo torna a Nàzaret con i suoi e lì resta
loro sottomesso per molti anni ancora. Ciò significa che l’episodio non è tanto indicativo
di un cambiamento consolidato, quanto di un’anticipazione di ciò che sarà la sua vita nel
momento in cui Egli comincerà ad annunciare il regno di Dio presente e operante.
È importante soffermarci un momento anche sull’affannosa ricerca cui sono “costretti” i
genitori di Gesù. È la ricerca di un figlio amato e perduto, ma simbolicamente è la
ricerca del Cristo, che a volte si nasconde, anche nella nostra vita. Sono quelli i momenti
più duri nella vita di fede, ma sono anche le crisi che possono portare ad una
rivitalizzazione del nostro spirito; è il tempo del ritorno a Gerusalemme, come qui ci
ricorda Luca: un ritorno che significa conversione, accoglienza della propria debolezza,
per far spazio al mistero della sua Presenza. In qualche modo, qui, anche Maria e
Giuseppe fanno un cammino di conversione, perché sono chiamati a cercare il figlio e a
riconoscere che non lo capiscono, addirittura che non lo conoscono, perché è più grande
di loro. Il richiamo alla conversione non è una forzatura, c’è qui il vocabolario tipico di
ciò: il ritorno, il cercare, il trovare, ma soprattutto la domanda di Gesù (“perché mi
cercate?”), che mette a nudo il desiderio di Lui, il senso della ricerca di fede.
Rimane da sottolineare la forza della figura di sua madre, che prende la parola per
richiamarlo e poi, pur non potendo comprendere né il fatto avvenuto, né le parole che
Gesù le rivolge, si mostra ancora una volta donna capace di lasciare che la spada della
Parola penetri in lei, laceri anche il suo limite, per abitare in modo sempre più pieno il
suo cuore.
3. Maria, madre accolta (Gv 19,25-27)
Anche se, come detto, il brano precedente aveva un chiaro riferimento pasquale, il
passaggio a questo episodio è piuttosto brusco, perché ci troviamo ora ai piedi della
croce, nel momento più doloroso dell'esperienza di Maria come madre. L'evangelista
Giovanni pone questo episodio della passione al centro del racconto, dandogli un rilievo
che supera anche la descrizione della morte di Cristo in croce.
Ci sono in questo testo molti riferimenti all'unico altro brano in cui è presente Maria nel
quarto vangelo, l'episodio delle nozze a Cana. I rimandi tra un brano e l'altro sono a
livello tematico e nell'uso di vocaboli. Ma prima di tutto rileggiamo il testo, certamente
molto conosciuto: «25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria
madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e
accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco
tuo figlio!". 27
Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il
discepolo l'accolse con sé».
Sono solo tre versetti, ma sono veramente ricchissimi! Non soffermiamoci a contare
quante siano le donne sotto la croce: così come scrive l’evangelista, potrebbero essere
tre, ma anche quattro. Quello che conta è che lì ci sia Maria, la madre (v.25).
Nello snodarsi della narrazione, avviene una cosa che solitamente non si nota:
- inizialmente Maria è detta “sua madre”, di Gesù;
- nel versetto successivo è “la madre”, senza ulteriori specificazioni (v.26);
- ma in bocca a Gesù, che si rivolge a Giovanni, diventa “tua madre”, madre del
discepolo amato (v.27)!
In modo mirabile, anche solo con questo passaggio segnato dalla presenza (o assenza)
di diversi aggettivi possessivi, il quarto vangelo ci dice che il passaggio dalla maternità
divina di Maria al suo essere nostra madre avviene sotto la croce ed avviene per
volontà del Figlio, quasi come ultima volontà, un vero e proprio testamento. Infatti la
traduzione più corretta dell’atteggiamento di Giovanni non è “l’accolse con sé”, ma “la
prese tra le sue cose”: non leggiamo questa parole come la descrizione di un prendere
possesso, quasi un’oggettivazione di quella madre. Leggiamole invece come
l’accoglienza di quella preziosa eredità che esprime la volontà estrema, la più alta e
significativa, del Signore Gesù, in punto di morte.
Accennavamo sopra ai tanti punti di contatto tra questo episodio e quello delle
nozze a Cana di Galilea.
- Una prima parola che collega i due momenti, apparentemente così diversi, della vita
di Gesù (e di Maria!) è il modo in cui lo stesso Gesù si rivolge alla madre: “Donna”.
A Cana, ma forse anche qui, questa espressione suona quasi stonata, visto che è
rivolta dal figlio alla madre. Ma in realtà la dobbiamo cogliere nel suo senso pieno,
come espressione della pienezza dell’essere femminile che si manifesta in Maria,
donna vera, donna per eccellenza. È la donna, che a Cana come sotto la croce,
rappresenta la Sposa di Dio, l’umanità intera. Gesù, lo Sposo, è Colui che per quella
sposa dà la vita, perché la ama “fino alla fine” (cfr Gv 13,1). Non potrebbe esserci
disprezzo nelle parole di chi sta donando fino all’ultima goccia il suo sangue per
salvare anche coloro che su quella croce l’hanno inchiodato.
- Maria a Cana chiede il vino; l’iniziale resistenza di Gesù è dovuta ad un fatto:
non è
ancora giunta l’ora (Gv 2,4). Ma sulla croce l’ora è giunta: è l’ora del mistero della
gloria, il mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Ecco che il dono del
vino buono, prefigurato dal segno di Cana, si compie nel dono del sangue sulla croce
(il vino è, in senso chiaramente eucaristico, il sangue versato di cui lo stesso Gesù
parla nell’ultima cena). Poiché l’ora è giunta, non c’è esitazione, Gesù compie il
segno vero, quello definitivo della morte di croce, per donare un vino che non si
esaurisce più, un’acqua che disseta per la vita eterna (Gv 19,34; 4,14);
- Dalla croce dunque Maria è data come madre a Giovanni, discepolo amato.
Ma tutti noi siamo discepoli amati, siamo i “suoi” di cui parla l’incipit del cap. 13:
“Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”. Allora in quel
discepolo, tutti noi siamo chiamati a prendere Maria tra le nostre cose, ad accoglierla
come la nostra madre. Potremmo dire che nell’accogliere la maternità di Maria
riconosciamo che siamo discepoli amati!
- In effetti, i vv. 26-27 seguono uno “schema di rivelazione” che è tipico del quarto
vangelo e che è scandito da una precisa sequenza: il vedere in profondità, il dire e la
constatazione di un risultato, di un fatto che viene rivelato. Qui avviene così: Gesù
vede Maria e il discepolo amato, rivolge loro la parola e afferma ciò che la sua parola
compie: “Ecco”! Stesso schema lo troviamo ad esempio in 1,29, dove colui che parla
è Giovanni Battista e l’oggetto della sua rivelazione è Gesù stesso. Queste
affermazioni, che costituiscono quindi “rivelazione”, “svelamento”, sono definizioni di
tipo dogmatico, nel senso che dicono una verità assoluta. La verità che Gesù qui
rivela, è il fatto della maternità di Maria nei confronti del discepolo amato e dunque
della Chiesa.
- Ma c’è di più: poiché abbiamo già rilevato l’evidente rimando al segno di Cana, che
trova nel dono di Gesù sulla Croce il suo pieno compimento, possiamo dire che
proprio dalla croce il Figlio dà alla madre il compito di introdurre il discepolo nel
mistero dell’amore crocifisso! È su questo mistero che si fonda la nostra fede, la fede
della Chiesa. Allora Maria ci è madre soprattutto perché è colei che per prima ha
creduto nell’adempimento delle promesse, di cui la croce è il segno più misterioso e
più alto.
- Per il discepolo, accettare il dono della maternità di Maria significa accoglierne la
custodia materna, riconoscere che, come madre del Verbo fatto carne, lei ci
appartiene, è nel nostro DNA di credenti (tra le nostre cose, appunto, ciò che ci è più
caro, che è più nostro).
Per il quarto Vangelo, la profezia di Isaia riguardo alla nuova Gerusalemme, madre
che consola i figli (Is 66,13), si compie nella maternità di Maria, che è immagine
della maternità della Chiesa: nella Chiesa, infatti, come nella profezia, sono radunati
in Cristo i figli dispersi, tutti coloro che si aprono alla fede attraverso la maternità
della vergine di Nàzaret, che è madre, figlia e sposa.
- La maternità di Maria deve essere per i suoi figli invito all’unità. Questo afferma lo
stesso evangelista Giovanni attraverso il rimando, che precede immediatamente la
nostra scena, alla tunica che non viene divisa, mentre le vesti sono strappate (Gv
19,23-24). Lo strappare le vesti ha infatti il significato simbolico della divisione nel
popolo, causata dall’infedeltà, dalla corruzione; nel suo ultimo gesto, dalla croce,
affidando l’umanità alla maternità di Maria, il Signore ci richiama all’importanza
dell’unità, quell’unità che deve scaturire dal suo sacrificio e per la quale egli prega il
Padre prima di affrontare la passione (Gv 17,22-23). Tutte le divisioni che sono il
segno della lotta tra gli uomini, delle reciproca ricerca di affermazione ai danni
dell’altro, rendono in qualche modo vano il dono d’amore di Cristo; in Maria, che è il
segno di un’unica maternità che avvolge ogni umana creatura, troviamo colei che ci
guida sulla via dell’unità, non come abbattimento delle differenze, ma come spazio di
riconciliazione nelle fraternità.
4. Maria madre donata alla Chiesa (At 1,14)
Giovanni ci ha detto che Gesù ci ha donato sua madre.
Luca infatti ce la presenta dentro la prima comunità, come donna “anziana” (non lo
dice Luca, ma è chiaro che la presenza di Maria è quella di una madre, più matura degli
apostoli), che c'è e prega: con la comunità e per la comunità. Leggiamo il breve testo
degli Atti:
«12 Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino
a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. 13 Entrati
in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi
erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo
e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di
Giacomo. 14 Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera,
insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui».
- At 1,14 è l’unico versetto in cui si parla di Maria nel libro degli Atti; è molto importante,
ma va letto nel suo contesto immediato e più in generale nell’ambito dei primi due
capitoli di At, che sono tutti incentrati sull’attesa e sul dono dello Spirito nella
Pentecoste. Al centro del primo capitolo c’è proprio la pericope che comprende il nostro
versetto, At 1,12-14.
- Nel v.12 abbiamo la collocazione del racconto a Gerusalemme, in obbedienza al comando di Gesù prima di tornare
al Padre (v.4). Inoltre il tornare a Gerusalemme dal monte degli Ulivi è un collegamento
evidente con la scena dell’ascensione (vv. 9-11).
- Il v. 13 poi elenca gli undici, facendo da necessaria premessa alla ricostituzione del
gruppo dei Dodici, che segue (vv. 15-26).
- Il capitolo 2 si apre invece con un richiamo allo stesso gruppo (i Dodici con Maria),
sempre riuniti in preghiera, nel giorno di Pentecoste, in attesa del dono dello Spirito,
promesso “tra non molti giorni” in 1,5. Vi è un gruppo saldo, unito dalla comune fede
nelle promesse di Cristo e dallo stare insieme in attesa orante. Tra le donne, spicca
proprio Maria, la madre di Gesù.
- Il legame tra 1,12-14 e 2,1-4 è particolarmente forte e ci rende bene la dinamica
essenziale della vita cristiana, quella tra attesa e compimento. L’attesa è figlia di un
comando e di una promessa, che si realizza nel dono. Ma il senso di tutto questo si
realizza nella testimonianza che lo Spirito donato ispira ai discepoli,
immediatamente. Dunque la forza del Dono promesso porta con sé il coraggio
dell’annuncio, per i Dodici. Ma qual è l’annuncio, la testimonianza di Maria?
- Lei, che Giovanni ci ha anticipatamente presentato come la madre dei viventi, la
madre del corpo di Cristo che è la Chiesa, è qui al centro della prima comunità
cristiana, ravvivata dal dono dello Spirito. Con la sua discesa nel giorno di
Pentecoste, la terza persona della Trinità inaugura l’alba degli ultimi tempi, quando la
Chiesa, proprio in quel dono, si rende manifesta agli occhi del mondo.
- E la testimonianza di Maria, il suo modo di rendere manifesta la presenza dello Spirito
in lei, è la preghiera! La preghiera della Vergine, nell’annunciazione, come nel canto
del Magnificat e poi in ogni momento della sua vita di madre, è caratterizzata dalla
generosa offerta di tutto il suo essere nella fede. La preghiera di Maria ci è rivelata
esplicitamente con questo versetto degli Atti (1,14) in quello che è ormai il tempo
della Chiesa, della comunità unita in nome di Cristo e per la potenza dello Spirito,
una comunità che si identifica in colei che ha portato in sé il Figlio proprio per opera
dello Spirito santo. Ma potremmo dire che Maria non aveva bisogno della Pentecoste,
quel Dono (il “Dono dei doni”, come lo chiama la tradizione) era già operante in lei
dal momento del suo sì all’annuncio dell’angelo. Prima dell'Incarnazione del Figlio di
Dio e quindi prima di divenire ella stessa tempio dello Spirito, la sua preghiera
coopera in una maniera unica al disegno di redenzione del Padre: possiamo
affermare questo perché sappiamo tutti per esperienza che non si improvvisa la
capacità di fidarsi di Dio e di rimettersi alla sua volontà. Nella fede della sua “umile
serva” il Dono di Dio trova l'accoglienza che fin dall'inizio dei tempi aspettava. Colei
che l'Onnipotente ha fatto “piena di grazia” (Lc 1,28), risponde con l'offerta di tutto il
proprio essere: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai
detto” (Lc 1,38). È questo affidarsi con fiducia nelle mani di Dio l’essenza, il senso
della preghiera cristiana: essere interamente per lui, dal momento che egli è
interamente per noi. Il giorno di Pentecoste lo Spirito della Promessa è stato effuso
sui discepoli, che “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo” (At
2,1) ad
attenderlo, “assidui e concordi nella preghiera” (At 1,14). Lo Spirito, che istruisce la
Chiesa e le ricorda tutto ciò che Gesù ha detto (Gv 14,26), la forma anche alla vita di
preghiera. Nella preghiera, lo Spirito Santo ci unisce alla Persona del Figlio unigenito,
nella sua Umanità glorificata. Per essa ed in essa la nostra preghiera filiale entra in
comunione, nella Chiesa, con la Madre di Gesù.
Conclusione
In riferimento alla presenza di Maria tra le pagine dell’Antico Testamento, così si
esprime il documento che sintetizza l’opera del Concilio Vaticano II, la Lumen Gentium,
al n. 55:
«I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda tradizione mostrano in modo
sempre più chiaro la funzione della madre del Salvatore nella economia della salvezza e
la propongono per così dire alla nostra contemplazione. I libri del Vecchio Testamento
descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta
di Cristo nel mondo. Questi documenti primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono
capiti alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più
chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto questa luce
essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti in
peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15). Parimenti, è lei, la Vergine, che
concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cfr. Is 7, 14; Mt 1,22-23).
Essa primeggia tra quegli umili e quei poveri del Signore che con fiducia attendono e
ricevono da lui la salvezza. E infine con lei, la figlia di Sion per eccellenza, dopo la lunga
attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova " economia ", quando
il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana per liberare l'uomo dal peccato coi misteri
della sua carne»... Nella Madre di Dio ritroviamo la sintesi di tutto ciò che
una donna è: figlia, sposa, madre, vergine.
- Maria è figlia di Dio,
- ma anche figlia di Sion, cioè donna ebrea che raccoglie l’eredità di fede delle
generazioni che l’hanno preceduta e la porta a compimento nel suo saper accogliere
la volontà di Dio nell’obbedienza dell’ascolto e della fede.
- Ma insieme essa è sposa, non solo la sposa di Giuseppe; infatti nelle nozze a Cana,
come sotto la croce abbiamo ritrovato in lei i segni della sposa che si affida a Cristo
sposo, il quale per amore dona la vita.
- Nel suo essere sposa Maria è figura della Chiesa,
- ma anche di ogni uomo e donna che si apre a quell’unione spirituale con Cristo che è
il punto d’arrivo di ogni cammino di fede cristiano.
Ecco allora che tutte le figlie d’Israele e tutte le spose che abbiamo incontrato ci aiutano
a ricostruire la bellezza del volto della sposa, che idealmente è nella bellezza della
donna del Cantico dei Cantici, ma più concretamente è sintetizzato nella bellezza della
vergine di Nàzaret. E infatti, Maria è insieme, in modo paradossale, sposa e
vergine. Non per una sua
umanità superiore (Maria è e resta donna, non è divina), ma per l’abbondanza della
Grazia riversata in lei e da lei accolta con fede e portata alla pienezza dei suoi frutti... Infine Maria, soprattutto, è
Madre. Abbiamo provato a definirla
Madre del dono, che è certamente Gesù, ma è anche lo Spirito, la Chiesa, è ogni
persona che sa e desidera attingere al suo cuore materno, per imparare a fare di tutta la
propria vita un dono.
La Parola ascoltata diventa preghiera
- Maria riceve la profezia di Simeone: sa che la sua vita di giovane mamma sarà
segnata dalla sofferenza, una sofferenza profonda, come ferita aperta: «O
Signore, la tua Parola è una ferita aperta, anche nella nostra vita, se lasciamo
che penetri in noi con tutta la sua forza. Donaci il coraggio di dirti sì, di
metterci costantemente in ascolto, di lasciarci ferire da Te e guarire dal sole
caldo del tuo Amore».
- Non deve essere stato facile avere un figlio adolescente come Gesù… Certamente non
dobbiamo pensare alla condizione adolescenziale che caratterizza la nostra epoca,
ma l’episodio di Gesù che resta a Gerusalemme ci da il quadro di una situazione
complessa, nella quale Maria, ma anche Giuseppe, sembrano non trovare la chiave di
lettura giusta: «I genitori di Gesù devono mettersi in ricerca, devono affrontare l’angoscia di
averlo perduto; così anche noi siamo chiamati a metterci in ricerca di Lui, ogni
volta che ci accorgiamo che cresce in noi la paura, l’ansia, la fatica di
affrontare le incognite che la vita ci pone davanti. Ma sappiamo che ci sei,
Signore, sappiamo che se ti cerchiamo tu ti lascerai trovare e ci ridonerai
pace».
- Sotto la croce, bagnata dal suo sangue, Maria contempla quel Figlio unico, amato e
ora umanamente perduto, in quella morte violenta, insensata e inspiegabile. Ma
resta lì e continua ad essere dono, resta lì perché crede e spera: «Nelle nostre croci, Signore, fa’ che sentiamo Maria accanto, come Madre che
non ci dimentica, che ci capisce perché ha saputo capire te. Fa’ che anche noi
impariamo dalla croce la bellezza del dono di noi stessi, il valore dell’umiltà di
chi sa farsi piccola. Fa’ che prendiamo Maria come nostra madre, come parte
di noi, sempre».
- L’ascensione di Gesù è preceduta dalla promessa dello Spirito. Con la prima
comunità, Maria crede alla promessa e attende in preghiera, benché lei fosse già
tempio dello Spirito. E rende sempre piena e significativa la sua presenza proprio
perché è la madre, che custodisce nel suo cuore orante quei figli che il Figlio le ha
affidato: «Noi abbiamo ricevuto il Dono dei doni e ancora lo riceviamo con i sacramenti:
fa’, o Signore, che il tuo Spirito preghi in noi, come in Maria, che faccia di noi
persone che vivono di te, con te e per te, nella gioia di una vita donata per
amore».
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