Da Stefano De Fiores, L'immagine di Maria dal Concilio di Trento al Concilio
Vaticano II, in AA. VV., La Vergine Maria dal Rinascimento ad oggi,
Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 1999, pp. 10-20.
Sotto l’influsso di vari fattori (come l’esaurimento della cultura
classica rinascimentale, l’ampliamento degli orizzonti dell’universo
mediante le scoperte scientifiche, una reazione al
rigore e vivere severo richiesto dalla Riforma, ecc.) si stabilisce nel
seicento europeo la cultura barocca2. Per lungo tempo il barocco
è stato considerato come appendice degradata del rinascimento
o come «il superlativo del bizzarro e dell’eccesso del
ridicolo»3. Spetta a Wölfflin, preceduto da Nietzsche e seguito
da Croce, il merito di aver rivendicato al barocco la dignità di
stile originale4. Il barocco è oggi considerato una «fase della sensibilità generale in letteratura e in arte, in cui i valori di fantasia,
d’immaginazione si trovano liberati, talvolta fino al disordine,
ma senza rifiutare loro l’attrattiva, l’incanto, la seduzione»5.
La cultura barocca manifesta in tutte le sue espressioni l’effervescenza
dello «stato nascente», fondato sulla fantasia e
convergente nella parola-chiave: dilatazione. Come Galileo ha
spostato i confini del mondo fisico, così si dilatano nel seicento
gli orizzonti artistici e spirituali. L’immaginativa «si adopera a
potenziare, ampliare, approfondire il mondo fantastico come
specchio di ciò che si vede e di ciò che non si vede, del vero e
dell’inverosimile, del possibile già adempiuto e dell’impossibile
che può divenir possibile»6.
La cultura barocca influisce sulla figura di Maria imprimendole
alcune note caratteristiche.
1. Eminente dignità
L’acuto senso dell’onore e la ricerca
della nobiltà, trovano una loro corrispondenza nella sottolineatura
dell’eccellenza della persona della Vergine. Le parole che
ritornano più frequentemente, perfino nei titoli dei libri mariani
del seicento, sono grandezza, eminenza, privilegi, eccellenza,
maestà, prerogative, trionfo...7. Se alcuni autori insistono con Suárez sulla «dignitas» ed altri con Nigido sulla «nobilitas»
della Vergine, tocca a Bérulle non solo stabilire la festa delle
Grandezze di Maria, ma pure scorgere nella Madre di Dio l’esaltazione
della persona umana, collocata in un ordine a parte8.
Nel seicento si fa strada e finisce per trionfare l’idea della
superiorità della maternità divina su ogni altra realtà, sia pure
la grazia santificante. Soltanto i Salmanticensi ritengono tale
grazia come «suprema dignità», mentre Suárez, pur destreggiandosi
tra due opposte posizioni, finisce per affermare che la
maternità divina, in quanto include ed esige in qualche modo
la grazia e i privilegi, supera in dignità la filiazione adottiva9.
Questa somma dignità deriva dall’unicità della Madre di
Dio (una sola è tale) e dal suo strettissimo legame con il Padre,
che rende Maria in certa maniera uguale a lui. Si tratta – precisa Zamoro sulla scia di S. Bernardino – di uguaglianza non
nella natura o nella generazione, perché tra Maria e Dio si
pone «un’infinito intervallo»10, ma nel termine, in quanto le
due generazioni si riferiscono alla stessa persona del Figlio. La
maternità divina appartiene dunque alle tre realtà che non
potrebbero essere migliori neppure per potenza divina: «l’unione
ipostatica, la beatitudine eterna, la Beata Vergine in
quanto Madre di Dio»11. Di fronte a questa posizione trascendente di Maria, che non
potrebbe elevarsi di più se non divenendo Dio12, gli autori del
seicento convengono nel ritenere che ella supera in dignità e grazia
tutte le altre creature. Il principio dell’onnicontenenza si traduce
nell’affermazione di Paciuchelli: Maria è «compendio et
microcosmo di ambedue le Chiese militante e trionfante»13. Riassumendo
questi orientamenti, Carlo Van Hoorn (†1668) alla
domanda: «Che cos’è Maria?», risponde: «Maria è colei che non
solo racchiude in sé le perfezioni di tutte le creature sublunari e
celesti, ma spicca di molto al di sopra di tutti»14.
In questa riconosciuta trascendenza si nasconde il grave
rischio di estrarre la Vergine dalla condizione creaturale ed
ecclesiale. S’incorre in questo pericolo quando, come fa Bérulle,
si pone Maria in un «ordine a parte» o, come Bellarmino
sulla scia di Bernardo, in una posizione intermedia tra Cristo e
la Chiesa: «media inter Christum et Ecclesiam, Maria»15. Segni di questa superesaltazione sono le difficoltà di alcuni
autori ad ammettere due titoli di Maria: sorella e serva. Contro
l’uso carmelitano di chiamare Maria «sorella» si leva la protesta
di Lezana: «Bisogna astenersi da simile parola e soltanto
con titoli sublimi deve essere invocata dai suoi carmelitani l’eccelsa
Madre di Dio»16. Alla questione se «la santissima Vergine
può essere chiamata serva», De Convelt conclude la sua lunga
riflessione affermando che «a rigor di termini e in base alla
legge naturale e civile, la Madre di Dio, dal fatto stesso che è
Madre, non può essere serva, né essere chiamata tale»17. Più
equilibrati e realisti, Feu-ardent, Michele di S. Agostino e Nigido
ammettono senza ambagi che Maria è nostra sorella, oltre
che nostra madre e regina18. Per Nigido, Maria è da amare per
la sua somiglianza con noi nell’ordine della natura, della grazia
e della gloria19. Superando gli altri, S. Francesco di Sales vede i
doni e le perfezioni di Maria non un ostacolo alla sua creaturalità
e redenzione, ma un mezzo di maggior radicazione nella
sua condizione di creatura e di redenta20. Non resta che accettare
il paradosso costituito da Maria con la sua realtà che unisce
in sé grandezza e umiltà21. Nell’universo barocco, la figura di Maria, nonostante la sua
condizione femminile, emerge su tutte le creature per le sue
strette relazioni con Dio, per la sua eccelsa santità e per le
importanti funzioni che svolge. Elevandosi al di sopra delle
altre creature, Maria si avvicina a Dio, ma senza competitività,
poiché i suoi titoli suppongono sempre una derivazione divina:
«La magnificenza della Vergine viene maggiormente illuminata
dai raggi della divinità»22.
Adriano van Lyere († 1661), affrontando la questione se si
possano attribuire a Maria i titoli di Dio, distingue quelli incomunicabili
(eterno, infinito, principio e fine di tutto...) da quelli
comunicabili (padre, maestro, pastore, fondamento...), che a
loro volta sono tali in vario modo (praedicative, participative,
accomodative, per credibilem aestimationem). Per questo autore
rimane assodato che secondo l’uso comune la Vergine «non
può considerarsi Dea, né essere esaltata sopra il grado di pura
creatura, né venire deformata da false lodi, ma deve essere
onorata sotto Dio e il Figlio con degnissimi encomi, senza timore
di togliere al Figlio ciò che si aggiunge alla Madre»23.
Purtroppo, non tutti si attengono rigidamente a questa regola:
autori come Paciuchelli o Michele di S. Agostino chiamano
Maria «dea», sia pure spiegandone il termine in senso ortodosso
di partecipazione alla natura divina mediante la grazia24. Altri,
come il famoso Padre Mostro, esagerano evidentemente in
questa linea chiamando Maria «un Dio creato; un finito infinito;
un’onnipotente debolezza..., un Dio zoppicante, dimezzato,
un Dio fuoruscito di se stesso... Dio increaturito o creatura deificata...»25. A questi abusi di linguaggio risponde con puntigliosa
precisione T. Campanella in Censure sopra il libro del
Padre Mostro26. Non mancano altre reazioni agli eccessi di culto
a Maria27.
2. Protagonista di salvezza
L’emergere della persona di
Maria appare in duplice dimensione: mistica e salvifica. L’aspetto
mistico sottolinea la santità di Maria dovuta alla pienezza
di grazia, la quale supera fin dall’inizio – come affermano Suárez e molti dopo di lui28 – la somma di grazie concesse agli
uomini e agli angeli.
Nell’ordine della salvezza la Vergine è «la donna per la cui
cooperazione e sublime consenso Dio ha compiuto la massima
sua opera, che il Verbo si facesse carne»29. Similmente ella ha
cooperato in modo unico alla redenzione umana con la compassione
e con l’unione al sacrificio di Cristo. Come ha notato R. Laurentin, è il gesuita Fernando Quirino de Salazar (†1646)
ad affrontare nel 1618 «per la prima volta esplicitamente e nel
suo insieme il problema del contributo di Maria alla redenzione»30. In realtà con la coscienza di innovare – come già Suárez
e Nigido – Salazar intende trattare questo tema «non per excursum, sed serio». Egli scorge la partecipazione di Maria
alla redenzione nell’offrire e sacrificare per tutti il Figlio, che a
lei sola apparteneva in ragione della «patria potestà»31. Si tratta
di una volontà così determinante da bastare – in un ipotetico
non intervento del Padre – perché Gesù in obbedienza alla
Madre avesse liberamente accettato la morte. La teoria di Salazar
è promotrice di Maria, in quanto le riconosce un sacerdozio
(eccellente e sovreminente, anche se senza carattere sacramentale),
che dalla croce si prolunga in ogni celebrazione dell’eucaristia.
L’attività salvifica di Maria continua nella sua condizione
glorificata. Il seicento accetta la dottrina di s. Bernardo circa la
mediazione universale delle grazie, in quanto «Cristo consegna
a sua Madre ogni grazia da distribuire agli altri»32. Si mettono
in risalto i miracoli, la «potestà efficacissima» contro i demoni,
i compiti di madre spirituale33 e di soccorritrice misericordiosa:
«Come una pietra preziosa nell’anello si muove al movimento
dell’anello, così Maria fissa in Dio e nel cielo è tuttavia velocissima
a obbedire al cenno divino e a soccorrere le misere creature»34.
3. Maria degna del dono totale di ogni cristiano
Procedendo
oltre il dettato del Concilio di Trento, che si limitava a
dichiarare legittimo il culto dei santi, parecchi scrittori mariani
del seicento affermano la necessità del culto di Maria e l’impossibilità
di lodare la Vergine come conviene:
«Nessuno si lusinghi se celebra Dio, ma passa in silenzio le lodi
della Madre di Dio. Come, infatti, può il Figlio approvare le
proprie abbondanti lodi senza che sia lodata la Madre, se proprio
perché la esaltassimo con lodi somme egli ha decretato
che noi ricevessimo ogni bene dalle sue virginee piissime
mani? Egli ritiene sua somma gloria se ella riceve lodi in
abbondanza»35.
Quanto poi alla misura delle lodi di Maria, gli autori convengono
che esse «eccedono con la loro grandezza la stessa
intelligenza angelica», poiché la Vergine «trascende le leggi di
tutti gli encomi». Anzi – prosegue De Convelt – per pervenire
ad una sublime conoscenza di Maria bisogna usare della negazione,
che è pure «la gloriosissima annunciatrice della vera
lode»36. Il carmelitano A. Mastelloni applica invece a Maria il
proverbio ricevuto da tutti: De dilecta numquam satis37. Colpisce a questo proposito la convergenza di autori, come Suárez, Novati, Guarini, De Convelt, Lyraeus..., nel legittimare
non solo l’iperdulia per la Vergine, ma anche il termine stesso
di adorazione. Occorre tuttavia riconoscere che tutti questi
autori si premurano di spiegare l’«adorazione» di Maria nel
senso di iperdulia riservando a Dio l’adorazione detta di latria.
Essi infatti sottolineano che Maria non è dea e che «l’adorazione
dovuta a Dio e attribuita ai santi sotto il genere dell’uso non
è univoca»38.
Ancora in linea con il processo di massimizzazione barocca
sorgono e si diffondono nel seicento varie forme di «spiritualità
mariana». La novità di tale fenomeno consiste nel non ritenere
sufficiente un culto verso Maria intenso ma espresso occasionalmente;
il riferimento a lei è ora concepito con le note di
totalità, perennità, organicità. Esso è comune agli autori del
seicento e si esprime in differenti espressioni: dono perfettissimo (Fornari),
sottomissione come vassalli (Mastelloni), totale
oblazione e disappropriazione (Maria Petyt), consacrazione al
Cuore immacolato di Maria (Eudes), ecc. Le forme più diffuse
sono l’oblatio della Congregazione mariana39, la
schiavitù verso Maria che partendo dalla Spagna percorre tutta l’Europa40 e la
vita mariaforme del Carmelo41.
NOTE
2 Il termine barocco, originariamente negativo, deriverebbe dal
sillogismo barocco (simbolo di ragionamento capzioso) o dalla parola
portoghese barroco, designante una perla strana e irregolare. Sul
barocco, Cf DAUDY, Il secolo XVII, I, Milano 1968, 21; G. BRIGANTI,
Barocco, in Enciclopedia universale dell’arte, II, cc. 345-359; C.
CALCATERRA, Il problema del barocco, in AA. VV., Questioni e correnti
di storia letteraria, Milano 1949, 405-501; L. SERRA, Barocca (Arte),
in Enciclopedia italiana Treccani, VI, 207-216; B. CROCE, Critica e
trattatistica del barocco, in AA.VV., Storia della letteratura italiana,
V: Il seicento, Milano 1967, 471-518; V.-L. TAPIÉ, L’epoca di Luigi
XIV, in AA.VV., I Propilei. Grande storia universale, VII, 1968,
313-400; ID., Baroque, in Enciclopaedia universalis, II, 207-216.
3 MILIZIA, Dizionario delle belle arti, 1797.
4 Nelle sue opere Renaissance und Barok (1880) e soprattutto
Kunstgeschichtliche Grundbegriffe (1915), Wölfflin stabilisce cinque
caratteri formali del barocco: pittoricismo, visione in profondità, forma
aperta, chiarezza relativa, unità unificata. In campo artistico si fa strada
un’equa valutazione del barocco: «Noi ci proponiamo di studiare lo stile barocco
come specchio sincero del suo tempo, e di metterne in evidenza le alte finalità
e i valori non perituri» (A. SPRINGER-C. RICCI, Manuale di storia dell’arte,
IV, Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo 1928, 232).
5 V.-L. TAPIÉ, Baroque, 1090.
6 C. CALCATERRA, Il problema del barocco, 415.
7 Cf D. DE LA VEGA, Prerogativas y excellencias de la Virgen nuestra Señora,
Alcalà 1616; J.B. NOVATI, De eminentia Deiparae Virginis Mariae, Bononiae
1629; J.M. ZAMORO, De eminentissima Deiparae perfectione libri tres,
Venetiis 1629; G. GIBIEUF, La vie et les grandeurs de la très sainte Vierge
Marie Mère de Dieu, participées des grandeurs divines et fondées sur le mystère
de l’Incarnation, 2 vol., Paris 1637; DE BIVERO, De sacris privilegiis et
festis magnae Filiae et Sponsae Dei, Antverpiae 1638; D. DE PRIEZAC, Les
privilèges de la Mère de Dieu, 3 vol., Paris 1648-1652; M. PH. DE CONVELT,
Theatrum excellentiarum SS. Deiparae ex consociatione excellentiarum sui
Filii, Antverpiae 1655; F. GUERRA, Majestas gratiarum ac virtutum omnium
Deiparae Virginis Mariae, Hispalis 1659; C. LATIUS, Aquila triumphans seu
triumphus marianus..., Panormi 1663; G. F. PRIULI, Delle grandezze della
beata Vergine Madre di Dio, Padova 1666-1677 (3 vol.); L.F. D’ARGENTAN,
Conférences théologiques et spirituelles du chrestien intérieur sur les
grandeurs de la très sainte Vierge, Rouen 1680.
8 «Contemplant donc cette oeuvre, ô Trinité sainte! et y trouvant cette Vierge
en société avec vous, je la contemple et révère comme la personne la plus haute,
la plus sainte et la plus digne de votre grandeur et amour qui sera jamais» (Élévation
à Dieu, in Oeuvres complètes de Bérulle, Paris 1856, c. 524). «Ô
sainte Vierge, [...] vous êtes Mère de Dieu, et vous êtes l’unique en cet ordre
et qualité [...]» (Élévation à la très sainte Trinité, Ibidem, c. 517).
Cf C. FLACHAIRE, La dévotion à la Vierge dans la littérature catholique du
commencement du XVIIe siècle, Paris 1916, 47-48, 57-58.
9 Cf a questo proposito C. DILLENSCHNEIDER, La mariologie de saint Alphonse
de Liguori, I, Fribourg 1931, 152-157. Con più chiara determinazione Bérulle
afferma che la Madre di Dio «en l’éminence de sa qualité et en l’excès de ses
graces, porte une dignité plus grande, plus haute et plus conjointe à Dieu que
celle qui est comprise dans tout l’état et dans l’étendue de la filiation
adoptive» (Discours de l’état et des grandeurs de Jésus, in Oeuvres
complètes, 377).
10 J.M. ZAMORO, De eminentissima Deiparae perfectione, 8.
11 M.PH. DE CONVELT, Theatrum, 81.
12 «O altitudo et celsitudo Matris! an altius progredi potuit? Non potuit, nisi
Deus fieret» (ibid., 82). De Convelt aggiunge tuttavia: «Major tamen
dignitas Virgini accessit per titulum Matris spiritualis, quam per titulum
carnalis» (p. 83).
13 A. PACIUCHELLI, Dormitantis animae excitationes ad laudandam, diligendam
atque colendam SS. Deiparam Virginem Mariam..., Venezia 1659, 29. Già s.
Matilde († 1280) chiama Maria «microcosmo, per il quale Dio ha posto più cura
che nel creare l’universo» (Revelationes, l. 3, c. 32) e s. Tommaso da
Villanova († 1555) riferisce a lei il titolo di «microcosmo della Chiesa» in un
contesto di parallelismo tra creazione e redenzione: «Come nella creazione del
mondo ogni creatura è stata racchiusa nell’uomo che perciò è un microcosmo, così
nella riforma del mondo, tutta la perfezione della Chiesa e dei santi è stata
racchiusa nella Vergine e perciò la si può chiamare microcosmo della Chiesa» (In
festo Nativit. B. M. V., concio 3, n. 8).
14 C. VAN HOORN, Tractatus moralis de laudibus et praerogativis Beatae Mariae
Virginis divisis in 24 conciones, Gandavi 1660, 1-2.
15 R. BELLARMINUS, Conciones, in Opera omnia, Neapoli 1860, 282. È
chiaro che questi due autori non separano Maria dalla Chiesa, poiché – come
afferma il secondo – «membrum Ecclesiae principale, et eminentissimum est
beatissima Virgo Maria» (R. BELLARMINUS, De gemitu columbae, in Opera
omnia, VII, Neapoli 1862, 331). Ma il rischio che vi è latente diventa più
serio in autori come Mastelloni, che non vede somiglianze tra Maria e le altre
creature (Sermoni ascetici, V, Napoli 1700, 360ss), o come De Convelt che
pone «intervalli quasi infiniti» tra la santità di Maria e quella di tutti i
santi, tanto che l’amore dei Serafini «paragonato all’amore della Vergine non è
amore infiammato, ma appare cenere e fuoco spento» (M.PH. DE CONVELT,
Theatrum..., 10 e 1019), o come, infine, Lyraeus che ritiene Maria «esclusa
in certo modo dal numero delle cose create, a motivo della legge materna» (Trisagion
marianum, Antverpiae 1648, 72). 16 J. B. LEZANA, Maria Patrona, Romae
1648, 140-141.
17 Questa conclusione cozza con il vangelo dove Maria si proclama serva del
Signore; ma De Convelt, come ha spiegato in senso metaforico il titolo di servo
attribuito a Cristo, così riferisce lo stato di servizio di Maria non ad una
condizione presente, ma ad una possibilità naturale di lei qualora la Trinità
non l’avesse prevenuta con la grazia (M.PH. DE CONVELT, Theatrum,
1009-1012).
18 Cf F. FEU-ARDENTIUS, Teomachia calvinistica..., I, Parisiis 1604, 392;
MICHAEL A S. AUGUSTINO, Institutionum mysticarum libri quattuor, l. I,
31-32. Per Nigido cf la citazione nella nota seguente.
19 «Etsi Domina sit gloriosa, excelsa super sidera, super choros Angelorum, in
consortio Divinitatis, in collegam Dei, amicta omni luce, in omnem aeternitatem;
soror tamen, et caro nostra est... Similes Virginis sumus, et eo similiores, quo
gratia pleniores. Ecce ad instar illius sumus» (P. NIGIDO, Mariale seu de
devotione erga Virginem Dominam in quattuor opuscula digestum, Palermo 1623,
l. II, 29).
20 «La Vierge est plus créature de Dieu et de son Fils que le reste du monde,
pour autant que Dieu a créé en elle beaucoup plus de perfections qu’en tout le
reste des créatures, et qu’elle est plus rachetée que le reste des hommes, parce
qu’elle a été rachetée non seulement du péché, mais du pouvoir et de l’inclination
mesme du péché» (S. FRANÇOIS DE SALES, Sermon prononcé à Saint-Jean-en Grève
de Paris le jour de l’Assomption de l’année 1602, in Oeuvres complètes,
II, Paris 1839, 330).
21 «Virgo peperisti, patrem tuum genuisti, portantem te portasti, nutrientem
lactasti; vacua et plena; humilis et sublimis; pauper et dives in unum fuisti,
quod ante te in nulla muliere potuit inveniri» (PACIUCHELLI, Dormitantis
animae, 364).
22 M.PH. DE CONVELT, Theatrum, 1-3.
23 A. LYRAEUS, Trisagion marianum, 8-11.
24 «In hac significatione (superplena gratia) procul dubio Dea est nuncupanda »
(A. PACIUCHELLI, Dormitantis animae, 35); «... Mater amabilis est unum
cum Deo tota deificata, ita ut a1iquo sensu possit nominari et sit Dea, utpote
cum per gratiam esse videatur id quod Deus est per naturam» (MICHAELA S.
AUGUSTINO, De vita mariaeformi et mariana in Maria propter Mariam, in
Introductio ad vitam internam et fruitiva praxis vitae mysticae, ed. G.
Wessels, Romae 1926, 380).
25 N. RICCARDI, Dei ragionamenti sopra le litanie di nostra Signora,
Genova 1626, 56 e 323.
26 T. CAMPANELLA, Censure sopra il libro del Padre Mostro: «Ragionamenti
sopra le litanie di nostra Signora», Edizioni monfortane, Roma 1998, cf A.
TERMINELLI, La Vergine Maria, Madre di Dio, nel pensiero di T. Campanella,
Pontificia Facoltà Teologica Marianum, Roma 1982 (tesi poligrafata).
27 Nel 1618 l’Inquisizione proscrive immagini e associazioni degli schiavi di
Maria e ne ripete ogni anno la condanna fino al 1675 (lettera Pastoralis
officii di Clemente X). Per lo spirito della condanna, cf il manoscritto
Sancti Officii. De sodalitatibus, seu confraternitatibus erectis sub nomine de
Schiavi della Beata Vergine improbandis, et rejiciendis, Roma, Biblioteca
Casanatense, ms. 2386, ff. 64-83. In Francia, il vescovo N. COEFFETEAU,
Tableau de l’innocence et des grâces de la bienheureuse Vierge Marie (Paris
1621, 1018) richiama, al seguito di Bellarmino e Francesco di Sales, la
posizione media della Chiesa contro l’eccesso e il difetto nella devozione
mariana. Nel 1641 il vescovo Godeau protesta «contre l’encens des louanges
excessives, che sono «une abomination» per la Vergine: cf FLACHAIRE, La
dévotion, 142. Nel 1656 Pascal critica con fine ironia il libro di BARRY,
Le paradis ouvert à Philagie, protestando contro una salvezza troppo facile
(B. PASCAL, Les Provinciales, Paris 1966 [1ª ed. 1656], 139). Anche
Bossuet, nel discorso tenuto alla Corte il giorno dell’Immacolata del 1669,
difende la devozione mariana, ma combatte le «false devozioni», come: chiedere
vantaggi temporali e non la conversione, preoccuparsi se non si sono dette tutte
le Ave Maria del rosario e poi strappare senza pena quattro o cinque precetti
all’osservanza del Decalogo (Oeuvres complètes, II, Bar-le-Duc 1862,
670-673).
28 Cf i testi presentati da C. DILLENSCHNEIDER, La mariologie de S. Alphonse
de Liguori, I, specie 152-195.
29 M.PH. DE CONVELT, Theatrum, 1.
30 R. LAURENTIN, Maria, Ecclesia, Sacerdotium. Essai sur le développement
d’une idée religieuse, Paris 1952, 243.
31 F.CH. SALAZAR, In Proverbiis, Paris 1619 (1ª ediz. 1618), I, c. VIII,
619.
32 G.B. NOVATI, De eminentia Deiparae Virginis..., 206-207.
33 Cf P.A. SPINELLI, Maria Deipara thronus Dei..., Coloniae Agrippinae
1663 (1ª ed. 1613) specie i capitoli 20, 22, 24, 28, 231ss., 310ss., 365ss.
34 J. DAVID, Pancarpium marianum, Antverpiae 1607, 166. Più ancora, a
Maria vengono riconosciuti un dominio ed una giurisdizione senza pari, da
costituire un regno o impero da cui non sfugge in certo modo neppure Dio: «Se
Dio è re del cielo, e Maria Vergine è reina del cielo. E si come al regno
d’Iddio sono soggette tutte le cose, così tutte le cose sono soggette a Maria
Vergine... Si come al regno d’Iddio servono tutte le cose e la Vergine istessa,
così tutte le cose e Dio istesso servono alla beata Vergine» (G.B. GUARINI,
Della gierarchia overo del sacro regno di Maria Vergine…, Venezia 1600, 24).
35 A. PACIUCHELLI, Dormitantis animae, ad lectorem. Secondo questo
autore, «dal fatto che Dio ha voluto che noi avessimo tutto per mezzo di Maria»
e che «ad ogni cristiano Cristo diede per madre la sua stessa Madre», consegue
che dopo Dio «dobbiamo in modo sommo amare e venerare» Maria. Senza il culto di
Maria ci si pone fuori dall’ordine stabilito da Dio per la salvezza e anzi non
ci si può «insignire dell’egregio nome di cristiano» (p. 3).
36 M.PH. DE CONVELT, Theatrum, 1 e 10.
37 A. MASTELLONI, Le due salutazioni, II, parte I, Napoli 1688, 230. Non
si conosce l’origine dell’aforisma De Maria numquam satis. Sebbene l’idea
sia patristica e medievale, la formula proviene a noi non già da s. Bernardo, ma
da S. LUIGI MARIA DI MONTFORT, Trattato della vera devozione a Maria, n.
14 (scritto verso il 1712 ed edito nel 1843). Prima di lui si avvicina alla
formula Lutero che afferma: «Creatura Maria non potest satis laudari» (Tischreden,
25.3.1533). Cf H.M. KÖSTER, «De Maria numquam satis»: Wer fand, was bedeutet
diese Formel?, in Mater fidei et fidelium. Collected Essays to Honor
Théodore Köhler..., in Marian Library Studies 17-23 (1987-1991)
617-632. Nella ricerca dell’autore della formula, A. Rum giunge a Robert
Berthelot che, presentando il libro di J.B. POZA, Elucidarium Deiparae,
Lugduni 1627, afferma: «De beatissima Virgine numquam satis digne dixerint
Authores...»: cf A. RUM, «De Maria numquam satis»: un’aforisma in cerca di
autore e di significato, in Theotokos 2 (1994) 2, 163-173. A tutti è
sfuggito un passo di Erasmo († 1536), in cui si parla di una commemorazione
quotidiana «numquam satis laudatae Virginis Matris» (Exomologesis, in
Opera omnia, V, 159).
38 A. MASTELLONI, Le due salutazioni, 1018. In questo senso si spiega,
per esempio, G.B. GUARINI: «... adorandola et honorandola sovra tutti i santi e
sovra tutti gli angeli beati di adorazione di hiperdulia, la qual è un atto di
culto di onore e di venerazione maggiore di quello che si dà agli altri santi et
agli angeli del Paradiso detto dulia, e minore di quello che si dà a Dio detto
latria: perché non convien paragonarla a Dio: che se ben’ella è Madre d’Iddio,
non è però Dio, ma è donna e creatura semplice pura» (Della gierarchia,
33). È da notare che il linguaggio di adorazione nei confronti della Vergine è
ritenuto scandaloso dalla Sorbona nella Censure faite par la Faculté de
Théologie de Paris d’un livre qui a pour titre: La mystique Cité de Dieu,
Paris 1696, 9. Si tratta dell’opera di Maria d’Agreda († 1665).
39 Appare per la prima volta nel 1586, inserito da P. Coster nel Libellus
sodalitatis, un testo dell’oblatio a Maria che passerà nel rito
d’ammissione. Nell’interpretazione dei direttori della Congregazione l’oblatio
è un orientamento di tutta la vita del congregato: si tratta infatti di una
«scelta» di Maria come Madre e Signora (Véron), di una «donazione solenne e
irrevocabile» (Poiré), della «entrata in un nuovo stato di vita» e di un «vero
contratto» che rende figli adottivi della Vergine in modo speciale (Crasset). La
Congregazione mariana ha influito efficacemente nel suo tempo non solo con
l’intensità della vita cristiana, con l’azione caritativa e catechetica svolta
dai suoi membri, ma anche dando il via al movimento mariano postridentino,
mediante l’oblatio e la letteratura che la sosteneva.
40 Cf TH. KOEHLER, Servitude (saint esclavage), in DSAM 15 (1989)
730-745. La prima congregazione di schiavitù si registra ad Alcalà nel 1595. Se
ne fanno propagatori A. De Alvarado († 1617), S. De Rojas († 1624) e il più
famoso B. DE LOS RIOS († 1652), autore dei libri El esclavo de María
(1626) e De hierarchia mariana (1641). Con lui la schiavitù mariana passa
in Belgio alla corte di Isabella. I teatini la diffondono in Italia (cf F.
ANDREU, I teatini e la schiavitù mariana, in Regnum Dei 7 [1952]
4-20) e soprattutto tre gesuiti in Polonia: K. Druzbicki († 1662), J.
Chomentowski († 1641) con l’opera in polacco Vincolo di Maria Vergine, ossia
il modo di offrirsi alla beata Vergine Maria quale suo servo e schiavo
(1632), e F. Fenicki († 1652) con il più famoso Mariae mancipatus (1632)
che è la traduzione della citata opera di Los Rios. Il più grande contributo
teologico alla schiavitù mariana è offerto in Francia dal card. P. de Bérulle (†
1629), che la collega al voto di servitù a Cristo, voto considerato – dietro
suggerimento del Lessius – quale rinnovazione delle promesse del battessimo (cf
tra gli altri, P. COCHOIS, Bérulle et l’École française, Paris 1963,
30-43, 107-110; J. OORCIBAL, Le cardinal de Bérulle. Évolution d’une
spiritualité, Paris 1965). Il rappresentante della schiavitù mariana in
Francia resta l’arcidiacono H. BOUDON († 1702) con il libro Dieu seul ou le
saint esclavage de l’admirable Mère de Dieu (1667). Con stile popolare e in
prospettiva spirituale, Boudon presenta tale schiavitù come «una santa
transazione [...] con cui si consacra a Maria la propria libertà» e ne traccia i
vantaggi, i doveri e le pratiche, risolvendo le varie obiezioni derivanti dalla
totalità del dono a Maria. 41 Essa traduce l’esperienza mariana maturata
nell’ambito dell’Ordine carmelitano con la terziaria Maria Petyt († 1667) e
descritta da MICHELE DI S. AGOSTINO († 1684). Questi, nel trattatello De vita
mariaeformi et mariana in Maria propter Mariam (1669), presenta la
convenienza, i fondamenti e il modo di vivere «una vita mariaforme, cioè
conforme al beneplacito di Maria Madre di Dio». Cf VALENTINO DI S. MARIA, La
vita mariana nella vita e nella dottrina del padre Michele di S. Agostino,
in Rivista di vita spirituale 18 (1964) 498-518; ID., «Pati divina».
La mistica mariana nella Chiesa, presentazione dell’opera di Michele di S.
Agostino, in Vita mariaforme, Roma 1983, 7-29.
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