La profonda spiritualità mariana di Giovanni XXIII,
Paolo VI e Giovanni Paolo II . Un articolo di Antonio Maria Carfi, in
Riparazione Mariana, n. 1/2015, pp. 4-6.
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Il magistero dei pastori ha sempre mostrato nei riguardi
della Madre di Gesù una particolarissima
attenzione e non ha mai temuto di affermare che la dottrina, il culto liturgico e la pietà popolare nei confronti
della persona, del ruolo e del significato storico-salvifico di santa Maria,
Madre e Ancella del Signore e icona
escatologica della Chiesa, sono elementi che esprimono e qualificano la
genuina e feconda venerazione delle
comunità cristiane di ogni tempo.1
Questa è stata anche la convinzione dei tre Pontefici che sono stati innalzati
agli onori degli altari: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
1. Giovanni XXIII: il papa del Concilio
Giovanni XXIII è noto
per essere stato il Papa del Concilio
ed anche se il suo pontificato è durato
meno di cinque anni, è stato tutt’altro
che un “Papa di transizione”, giacché la sua opera e la sua testimonianza
rimangono indelebilmente inscritte nella memoria della Chiesa e degli uomini del
nostro tempo. La sua pietà mariana, solida e tradizionale, si riflette negli
scritti e nei discorsi. Dalla ricostruzione dell’attività magisteriale di papa Roncalli,
relativa al culto mariano, emerge
come essa sia cresciuta innanzitutto
all’interno dell’ambito familiare e
parrocchiale. Nel suo celebre Giornale dell’anima, papa Giovanni ricorda, con profonda gratitudine al
Signore, le tradizioni mariane della
sua famiglia: la recita dell’Angelus
e quella del Rosario tutte le sere davanti al focolare. Attitudini poi
consolidate durante gli anni del Seminario Romano dell’Apollinare, dove la
pietà dei chierici si concentrava nella venerazione della «Madonna della
Fiducia». Nel 1931 dichiarerà con
profonda convinzione: «La devozione
a Maria è il fiore più delicato e soave
della pietà cattolica. [...] Miei fratelli [...] amiamo Maria. [...] L’amore di
Maria non si allontani mai dalle mie
labbra, non si allontani mai dal mio
cuore. [...] La vita è piena di miserie,
ma l’amore e il culto della benedetta
Madre di Dio è motivo soavissimo di
conforto, è sorgente inesausta di grazie e benedizioni».2
Per comprendere la mariologia di
papa Roncalli è necessario sottolineare come la sua elezione al soglio di Pietro
sia avvenuta in coincidenza con il Congresso Mariologico Internazionale tenutosi a Lourdes nel 1958;
esso aveva fatto emergere la cosiddetta “questione mariana”, mettendo in
evidenza una sostanziale divisione tra gli studiosi: da una parte i conservatori, che propendevano per una
mariologia che esaltasse il ruolo di
Maria in analogia al Cristo; dall’altra
i progressisti, che chiedevano una
maggiore attenzione al rapporto tra
Maria e la Chiesa.
La storia del Capitolo VIII della
Lumen gentium non rileva, in merito al laborioso iter dei documenti, interventi significativi del Papa,
probabilmente condizionato dalla
preoccupazione che le sue eventuali
prese di posizione avrebbero potuto
incidere sul dialogo ecumenico.
La sua mariologia piuttosto è emersa dall’autorevole riconoscimento - attraverso celebrazioni, commemorazioni, pellegrinaggi, pie pratiche - di una
serie di istanze devozionali delle quali
papa Giovanni riconosce la validità
e l’opportunità. Tra queste è degna
di nota l’iniziativa di recitare pubblicamente l’Angelus nei giorni festivi,
come la reintroduzione della pia pratica del Mese di Maggio all’interno del
Vaticano; così come il ricorso all’intercessione di Maria con la preghiera del
Rosario per accompagnare il cammino
del Concilio.
Proprio alla preghiera del Rosario,
papa Roncalli dedicherà due significativi documenti: l’enciclica Grata recordatio, del 26 settembre 1959,
per le missioni e per la pace, e la lettera apostolica Il religioso convegno
che prenderà spunto dal convegno
per la pace da lui indetto a Castelgandolfo il 10 settembre del 1961.
In questa Lettera, Giovanni XXIII raccomanderà particolarmente il pio
esercizio del Rosario esaltandone la
contemplazione mistica, la riflessione intima, l’intenzione pia, probabilmente per replicare alle accuse
di ripetitività e poca originalità che
venivano talora mosse nei confronti
di questa preghiera.
Di certo, il magistero mariologico
di Giovanni XXIII non si è limitato
alla promozione e alla valorizzazione
del culto mariano presso i fedeli cattolici. Ne è prova il fatto che il Pontefice ha spesso arricchito i suoi interventi con il ricorso a ricordi personali
e all’invocazione pubblica di Maria
con i titoli a lui più cari: "Mater mea
fiducia mea", "Ave mundi spes Maria",
"Auxilium christianorum", "Auxilium
episcoporum", e tuttavia sempre in
linea di continuità col magistero dei
suoi predecessori. Possiamo concludere che «nonostante il personale
coinvolgimento nelle celebrazioni
mariane degli anni Cinquanta che
caratterizzarono il pontificato pacelliano, non è possibile riscontrare
valorizzazioni assolute del culto mariano al di fuori degli elementi della
Tradizione da lui accolti».3
Paolo VI:
il Papa
del titolo
"Maria Madre
della Chiesa"
È il Pontefice che ha dedicato la
parte preminente del suo servizio petrino alla prosecuzione del Concilio Vaticano II, dimostrandosi intelligente e fermo esecutore delle sue
decisioni e dei suoi orientamenti, durante il difficile, ma anche fecondo
tempo della sua laboriosa e sofferta
ricezione. Spinto da motivi personali, teologici e pastorali, anche papa
Montini, come il suo predecessore,
si è confrontato con la cosiddetta
questione mariana. Sarà all’interno del laborioso iter che condurrà i
Padri conciliari ad elaborare il Capitolo VIII della Lumen gentium,
che il Pontefice svolgerà una grande
opera per ottenere l’inclusione del
capitolo sulla Beata Vergine all’interno del documento sulla Chiesa. E
contestualmente alla promulgazione
della costituzione dogmatica Lumen gentium, il 21 dicembre 1964, Paolo
VI proclamerà solennemente Maria
Madre della Chiesa, tema persistente nel magistero montiniano. L’interesse di
papa Montini per la figura della Vergine si era manifestata già agli inizi del pontificato,
come dimostra la pubblicazione in
date ravvicinate di tre documenti su
santa Maria, di cui due sul Rosario:
l’enciclica Christi Matri, del 15 settembre 1966, con la quale esortava il
mondo cattolico a recitare il Rosario
per chiedere, con l’intercessione della santa Vergine, il dono inestimabile
della pace, in un momento storico di grande tensione internazionale a causa
della guerra fredda tra gli USA e l’URSS; l’esortazione apostolica Signum magnum, del 13 maggio
1967, sul culto da riservare alla beata
Vergine Maria Madre della Chiesa, in
occasione del 50° anniversario delle
apparizioni di Fatima; infine, l’esortazione apostolica Recurrens mensis
october, del 7 ottobre 1969, ancora
sulla recita del Rosario.
Certamente Paolo VI ha avuto il
compito arduo di guidare la Chiesa nel tempestoso cammino postconciliare che, per quanto riguarda
l’aspetto mariologico-mariano, presentava una sorta di malessere definito dallo
stesso Pontefice una «pericolosa esitazione». Padre Ignazio M. Calabuig,
l’indimenticabile teologo e liturgista servita, annotava come «in quell’epoca
le Chiese d’Occidente furono attraversate da una vasta crisi
nella pietà mariana: divenne più rara
la predicazione sulla Vergine, più
scarsi i pii esercizi in onore di lei, più
tenue l’invito ad imitare i suoi esempi, più contenute le manifestazioni
della gioiosa coscienza di essere suoi
figli. Fu crisi che investì soprattutto i chierici, gruppi ecclesiali impegnati, élites intellettuali».4
In questo contesto ricco di importanti cambiamenti, ma anche problematico, papa
Montini pronunziò un discorso memorabile presso il santuario di Bonaria (Cagliari) il 2 aprile 1970, durante il quale, con parole
accorate, disse: «Se vogliamo essere
cristiani, dobbiamo essere mariani;
dobbiamo cioè riscoprire il rapporto
vitale, essenziale e provvidenziale
che lega la Madonna a Gesù e che
apre a noi la via che a lui conduce».
Tale è il rapporto tra la Madre e il
Figlio - «vitale, essenziale e provvidenziale» - e non solo per lei, ma
per tutta l’umanità. Sarà proprio la maternità messianica di Maria il fondamento
della sua maternità spirituale.
È molto significativa la conclusione del n. 56 dell’esortazione apostolica Marialis cultus,
dove papa Montini indica i fondamenti teologico-dogmatici del culto alla
Vergine: «Aggiungiamo che il culto alla Beata Vergine ha la sua ragione ultima
nell’insondabile e libera volontà di
Dio, il quale, essendo eterna e divina
carità (cf. 1Gv 4,7-8.16), tutto compie secondo un disegno di amore: egli
l’amò ed in lei operò grandi cose (cf.
Lc 1,49); l’amò per se stesso e l’amò
anche per noi; la donò a se stesso e la
donò anche a noi».
Ecco chi è Maria per Paolo VI: una
persona amata da Dio fino al punto
da renderla Madre del suo Figlio e
un dono che Dio ha fatto a se stesso
e all’umanità intera. Questa consapevolezza «spinge il Popolo di Dio a
rivolgersi con filiale fiducia a colei,
che è sempre pronta ad esaudirlo con
affetto di madre e con efficace soccorso di ausiliatrice. Esso, pertanto,
è solito invocarla come Consolatrice
degli afflitti, Salute degli infermi,
Rifugio dei peccatori, per aver nella
tribolazione conforto, nella malattia
sollievo, nella colpa forza liberatrice;
perché ella, che è libera dal peccato,
a questo conduce i suoi figli: a debellare con energica risoluzione il peccato. E tale liberazione dal peccato
e dal male (cf. Mt 6,13) è - occorre
riaffermarlo - la premessa necessaria
per ogni rinnovamento del costume
cristiano» (Marialis cultus, n. 57).
Giovanni
Paolo II:
il Papa
del
"Totus tuus"
È stato il Pontefice dalla spiccata
devozione mariana, vissuta, alla scuola del Montfort, come una “schiavitù”
d’amore che è principio di profonda libertà: il dono di se stesso alla Madre di Dio come principio di una più
piena consacrazione a Cristo e all’opera della Redenzione.
Questa devozione alla Vergine - intesa come conoscenza, amore, tenerezza, fiducia, affidamento totale di
sé: Totus tuus - ha avuto incidenze
determinanti non solo nella sua personale esperienza umana, spirituale e religiosa, ma ha segnato anche
il pensiero e il ministero petrino di papa Giovanni Paolo II. A suo avviso, nella mariologia s’incontrano tutti i grandi
temi della fede ed è da notare che
tutte le sue encicliche si concludono
con un cenno alla Madre del Signore.
Nessun Papa, come lui, è intervenuto sul mistero, sul significato e
sulla prassi mariana della Chiesa. A
lui dobbiamo l’importante enciclica Redemptoris Mater (25 marzo 1987): la
Madre del Redentore è l’immagine che possiamo senz’altro definire conduttrice del suo pontificato.
In questa enciclica il Papa sviluppa una profonda riflessione sul senso
che la Madre del Redentore ha avuto
nella storia della salvezza per la sua
cooperazione all’incarnazione del Figlio di Dio e sulla sua presenza attiva
ed esemplare nella vita della Chiesa
e di ogni singolo credente. Il documento offre una meditazione sulla
rivelazione del mistero mariano, in
cui non si tratta solo “della dottrina
della fede”, ma anche “della vita di
fede”, lasciando intravedere lo slancio di papa Giovanni Paolo II verso l’appuntamento con il Terzo millennio, evento
che egli considera una sorta di svolta
storico-salvifica. E proprio per questo invita la Chiesa a volgere il suo
sguardo alla Madre del Redentore. Per comprendere il mistero della Madre di Dio
- non solo la sua maternità, ma anche il suo discepolato - il
Pontefice indica una chiave di lettura imprescindibile: la fede. Giovanni
Paolo II scrive che le parole della benedizione di Elisabetta «si possono
affiancare all’appellativo “Piena di grazia” del saluto dell’Angelo. In entrambi i testi si rivela un essenziale
contenuto mariologico, cioè la verità
su Maria, che è diventata realmente
presente nel mistero di Cristo proprio
perché ha “creduto”» (Redemptoris
Mater, n. 12). Per questo il Papa poteva concludere che «nell’espressione “Beata colei che ha creduto” possiamo trovare quasi una chiave che
ci schiude l’intima realtà di Maria»
(Redemptoris Mater, n. 19).
Partendo da questa prospettiva, Giovanni Paolo II ha offerto un
contributo importante al tema della
spiritualità mariana, ri-motivando
e ri-proponendo due vie mariane
privilegiate per vivere il mistero di
Cristo. Da una parte, quella devozionale del Rosario (Rosarium Virginis
Mariae, 2002), come strumento di
contemplazione e di assimilazione a
Cristo con e come Maria. Dall’altra,
la via sacramentale dell’Eucaristia,
la via per eccellenza grazie alla quale Maria guida i fedeli al suo Figlio
presente nell’Eucaristia (Ecclesia de Eucharistia, 2003).
Osserva con puntualità il prof. Salvatore M. Perrella: «Nell’intenso e
cospicuo magistero di Giovanni Paolo II Maria
di Nazareth emerge, sostanzialmente, quale memoria, icona e madre di
Cristo Redentore dell’uomo e della
storia; quale presenza carismatica
e trasversale nell’evento cristiano
e nella difficile ma esaltante evangelizzazione dell’uomo/donna e del
tempo contemporaneo».5
NOTE
1 Cf. S. M. PERRELLA, La Madre del Signore: un
dato irrinunciabile della fede tra culto, storia e
teologia, in AA. VV., Maria nella pietà ecclesiale, Camaldoli, Villa Verrucchio 1999, pp. 9-51.
2 Omelia del 6.12.1931.
3
E. GALAVOTTI, Interventi mariologici di Giovanni XXIII nel Vaticano II, in
Marianum 63
(2001), p. 269; tutto l’articolo alle pp. 245-272.
4
I. M. CALABUIG, In memoriam Pauli Pp. VI eiusque Deiparam pietatis. La
riflessione mariologica al tempo di Paolo VI. Travaglio e grazia, in Marianum
40 (1987), pp. 7*-8*.
5
S. M. PERRELLA, Ecco tua Madre (Gv 19,27). La
Madre di Gesù nel magistero di Giovanni Paolo II
e nell’oggi della Chiesa e del mondo, San Paolo,
Cinisello Balsamo 2007, p. 530.
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