Un articolo di Gian Matteo Roggio, in Riparazione Mariana, n. 2/2021,
pp. 4-6.


Una lettura dell'Enciclica Fratelli tutti
Una delle costanti preoccupazioni del pontificato di papa
Francesco e della sua azione
di pastore e maestro della Chiesa è
costituita dalla “vigilanza” nei confronti di quel che egli chiama “colonizzazione culturale”: un fenomeno
complesso, che oggi può contare
sulla globalizzazione e sui suoi strumenti, in primis il grande mondo
di internet e della comunicazione
digitale. Fenomeno il cui obiettivo è
indurre tutti a pensare ed agire nello
stesso modo, annullando così le differenze tra le culture, gli ideali morali
e le esperienze religiose.
Papa Francesco è convinto che a
questa “colonizzazione culturale”
si possa e si debba rispondere principalmente attraverso l’educazione
diffusa e permanente, rivolta non
solo ai giovani, ma anche agli adulti.
Grazie ad essa, sarà possibile percorrere e proporre cammini di autentica
pace. La pace non viene dalla “colonizzazione culturale”, ma dalla convivenza fraterna, dialogale, aperta e
collaborativa, tra chi non accetta di
essere una “fotocopia”.
Tale educazione alla pace intende
“generare” la “persona sociale”, fondamento della “amicizia sociale” cui
papa Francesco ha dedicato il sesto
capitolo della sua enciclica Fratelli tutti (= FT): in essa si ritrovano sia i
fondamenti della “migliore politica”
(il capitolo quinto dell’enciclica), sia
delle “religioni al servizio della fraternità” nel mondo (il capitolo ottavo
dell’enciclica). Papa Francesco non
dà una definizione della “persona sociale”, ma ne descrive i tratti essenziali, che qui di seguito cerchiamo di
riassumere.
- La “persona sociale” sa dire no
alla manipolazione della verità,
poiché «occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici
e privati. Ciò che chiamiamo “verità”
non è solo la comunicazione di fatti
operata dal giornalismo. È anzitutto
la ricerca dei fondamenti più solidi
che stanno alla base delle nostre
scelte e delle nostre leggi. Questo
implica accettare che l’intelligenza
umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano
verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana,
la ragione scopre valori che sono
universali, perché da essa derivano»
(FT 208).
- La “persona sociale” è uno spirito libero, che accetta di camminare
mai senza l’altro concreto, senza cedere alle varie forme di “anonimato”
individuale e di “virtualizzazione” del
prossimo e della vita; infatti, «una via
di fraternità, locale e universale, la
possono percorrere soltanto spiriti
liberi e disposti a incontri reali [...].
La persona umana, coi suoi diritti
inalienabili, è naturalmente aperta
ai legami. Nella sua stessa radice
abita la chiamata a trascendere se
stessa nell’incontro con gli altri» (FT
50 e 111).
- La “persona sociale” non volta le
spalle al dolore, perché «diciamolo,
siamo cresciuti in tanti aspetti ma
siamo analfabeti nell’accompagnare,
curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate.
Ci siamo abituati a girare lo sguardo,
a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente [...]. Inoltre, poiché
tutti siamo molto concentrati sulle
nostre necessità, vedere qualcuno
che soffre ci dà fastidio, ci disturba,
perché non vogliamo perdere tempo
per colpa dei problemi altrui. Questi
sono sintomi di una società malata,
perché mira a costruirsi voltando
le spalle al dolore [...]. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una
scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini
della vita”» (FT 64, 65 e 68).
- La “persona sociale” vive nella
gentilezza, mentre «l’individualismo
consumista provoca molti soprusi. Gli altri diventano meri ostacoli
alla propria piacevole tranquillità.
Dunque si finisce per trattarli come
fastidi e l’aggressività aumenta. Ciò
si accentua e arriva a livelli esasperanti nei periodi di crisi, in situazioni
catastrofiche, in momenti difficili,
quando emerge lo spirito del “si salvi
chi può” [...]. La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte
penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli
altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a
essere felici» (FT 222 e 224).
- La “persona sociale” non si fa
complice della “cultura dell’abbandono”, ma si dedica alla “cultura
dell’incontro”; infatti «la solitudine,
le paure e l’insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate
dal sistema, fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie.
Queste infatti si impongono presentandosi come “protettrici” dei dimenticati, spesso mediante vari tipi
di aiuto, mentre perseguono i loro
interessi criminali. C’è una pedagogia tipicamente mafiosa che, con
un falso spirito comunitario, crea
legami di dipendenza e di subordinazione dai quali è molto difficile
liberarsi» (FT 28).
- La “persona sociale” sa coniugare la giustizia con il perdono; ora,
«“nessuna famiglia, nessun gruppo
di vicini, nessuna etnia e tanto meno
un Paese ha futuro, se il motore che
li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio. Non possiamo metterci d’accordo e unirci
per vendicarci, per fare a chi è stato violento la stessa cosa che lui ha
fatto a noi, per pianificare occasioni
di ritorsione sotto forme apparentemente legali”. Così non si guadagna
nulla e alla lunga si perde tutto [...].
La giustizia la si ricerca in modo adeguato solo per amore della giustizia
stessa, per rispetto delle vittime, prevenire nuovi crimini e in ordine a
tutelare il bene comune, non come
un presunto sfogo della propria ira.
Il perdono è proprio quello che permette
di cercare la giustizia senza
cadere nel circolo vizioso della vendetta
né nell’ingiustizia di dimenticare
» (FT 242 e 252).
- La “persona sociale” si apre al
mistero di Dio; davanti ad una cultura che imputa soprattutto all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam una
matrice essenzialmente violenta,
riconosce piuttosto che «le diverse
religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana
come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della
fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa
solamente per diplomazia, cortesia o
tolleranza [...]. Tra le religioni è possibile un cammino di pace. Il punto
di partenza dev’essere lo sguardo di
Dio. Perché “Dio non guarda con gli
occhi, Dio guarda con il cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se
è ateo, è lo stesso amore” [...]. Come
credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di
Dio e l’amore del prossimo, in modo
tale che alcuni aspetti della nostra
dottrina, fuori dal loro contesto, non
finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la
violenza non trova base alcuna nelle
convinzioni religiose fondamentali,
bensì nelle loro deformazioni» (FT
271, 281 e 282).
Maria, persona sociale
- Certamente, questa descrizione
della “persona sociale” non è completa; può e deve essere ulteriormente arricchita, ma ci permette di intravedere, nelle sue caratteristiche,
la persona di Maria, Madre di Gesù,
il Signore. Non per una per una ingiustificata “invasione di campo”, ma grazie
al racconto biblico. È la conoscenza
delle Scritture che ci fa ritrovare nella storia umana e di fede della Donna di Nazaret la “persona sociale”
descritta da papa Francesco. Stessa
cosa fa la Tradizione ecclesiale.
Addirittura, nel delicato campo
delle apparizioni mariane, i caratteri della “persona sociale” possono
valere come “criteri” per discernere
se gli eventi sono credibili, autentici,
oppure no.
- Come donna e credente, infatti,
Maria ha sempre detto no alla manipolazione di lei stessa, del Messia e
del messianismo; ha voluto cercare la
verità e rimanere in essa. Il racconto
dell’annunciazione (Lc 1,26-38) è, a
questo proposito, emblematico, facendo trasparire un io inseparabile
dal noi non nel senso di un rapporto
fusionale, ma nella logica della verità
e della giustizia.
- Maria è uno spirito libero, che
mai ha accettato di camminare senza l’altro. Quando Gesù ha detto
«Chi è mia madre e chi sono i miei
fratelli?» (Mt 12,48; Mc 3,33), ella
non si è scandalizzata di questa “famiglia nuova” in cui prendono forma
la preparazione e l’anticipazione del
Regno di Dio; ha piuttosto deciso di
farne attivamente parte, con gioia e
senza alcuna richiesta di posizioni
privilegiate. E così continua oggi ad
accompagnare, per beneplacito di
Dio, il cammino dei credenti lungo i
sentieri del tempo.
- Maria non ha mai voltato (e non
volta ora) le spalle al dolore: la tradizione cristiana non teme di vedere
la Madre di Gesù come la “donna dei
dolori”; non la donna che invita a sottomettersi alla dimensione tragica e
fatalista della vita, ma la donna che
permette a Dio di abitare il dolore
umano e di renderlo appello alla giustizia, alla solidarietà, alla vicinanza,
alla compassione.
- Maria ha vissuto e vive ora, glorificata in Dio con tutta la comunione dei santi,
nella gentilezza. Il suo rifiuto della crudeltà come “legge”
delle interazioni umane appare in
tutta chiarezza nel racconto della
crocifissione di Gesù tramandato
dal vangelo di Giovanni; la sua stessa presenza accanto al crocifisso
(cf. Gv 19,25), conquistata sfidando
e vincendo in maniera mite la consuetudine che voleva l’assoluta solitudine del condannato affinché la
sua morte fosse ancora più dolorosa
e orribile, è segno eloquente di un
modo altro di vivere, preoccupato di
portare umanità lì dove questa viene
negata, umiliata, annientata. Nello stesso tempo, ella non ha mai
dato spazio all’ansietà che non ci
lascia pensare agli altri, né all’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere
felici.
- Maria non si è fatta (non si fa)
complice della “cultura dell’abbandono”, ma si è dedicata (si dedica)
alla “cultura dell’incontro”. Come
profuga in Egitto (cf. Mt 2,13-15),
ha colto l’opportunità di vivere e
pensare i confini tra le nazioni come
confini aperti, capaci di accogliere il perseguitato e il “condannato a morte” dalle logiche della prevaricazione
e dagli interessi criminali di Erode e
di quelli simili a lui.
Come madre e discepola del Messia, grazie alla presenza, alle parole
e alle azioni del Figlio, ella si è inoltre confrontata con l’apertura alle
genti e con il superamento di una
logica “nazionalista”, partecipando
all’opera della Chiesa per dar vita
a una comunione, a un incontro, a
un dialogo realmente universali,
dove la salvezza è effettivamente
per tutti.
-
Maria ha saputo e sa tuttora coniugare la giustizia con il perdono:
è per questo che il popolo cristiano
ha fatto sempre ricorso alla sua intercessione, accogliendola come
«segno di consolazione e di sicura
speranza» (Lumen gentium, n. 68),
madre che indica la sorgente - Cristo
- della vita giustificata e perciò resa
capace di compiere le opere della
giustizia che nascono dalla fratellanza con il Re-Messia.
- Maria si è aperta al mistero di
Dio e non ha mai ritenuto il Dio unico quale responsabile della violenza
e del dolore, sia degli altri come del
proprio; ma lo ha piuttosto percepito, accolto e vissuto come colui che
apre cammini alternativi alla violenza sostenendo la voce delle vittime,
rendendo imperativo il loro ricordo,
proponendo una giustizia che non sa
di vendetta.
In Maria possono specchiarsi, anche se da angolature diverse, i credenti delle varie religioni per lasciarsi educare da lei a divenire “persone
sociali”, che sanno guardare la cultura contemporanea alla luce della
fede nel Padre di tutti e che si impegnano a costruire un mondo aperto,
nella fraternità e nella pace.
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