Don Bosco e la Basilica dell'Ausiliatrice di Torino
Data: Lunedi 31 Gennaio 2022, alle ore 10:34:43
Argomento: Santi


Da Don Pierluigi Cameroni, Maria Ausiliatrice nella vita e nella storia di Don Bosco, in Strenna del Rettor Maggiore per l’anno 2012, pp. 3-9.

1. La Basilica dell'Ausiliatrice

1.1. Storia della costruzione
Agli inizi del 1860 Don Bosco vagheggiava la costruzione di una chiesa di dimensioni più ragguardevoli di quella di San Francesco di Sales. I motivi erano dei più diversi, non ultimo l’angustia di quest’ultima chiesa. Così si esprimeva con don Paolo Albera una sera del dicembre del 1862: “Io ho confessato tanto e, per verità, quasi non so che cosa abbia detto o fatto, tanto mi preoccupa un’idea, che distraendomi mi traeva irresistibilmente fuori di me. Io pensavo: la nostra chiesa è troppo piccola: non contiene tutti i giovani oppure vi stanno addossati l’uno all’altro. Quindi ne fabbricheremo un’altra più bella, più grande, che sia magnifica. Le daremo il titolo: ‘Chiesa di Maria Ausiliatrice’. Io non ho un soldo, non so dove prenderò il danaro, ma ciò non importa. Se Dio la vuole si farà” (MB VII, 333-334). Con quel plurale «fabbricheremo», detto a uno che sarà il suo secondo successore, egli parve andare oltre all'opera propria, impegnandovi anche coloro che sarebbero venuti dopo di lui. Se infatti i due primi aggettivi stavano bene applicati alla forma primitiva del sacro edificio, il terzo doveva avere la sua piena attuazione più tardi. Qualche tempo dopo, toccando lo stesso argomento con il chierico Anfossi, uscì nelle seguenti espressioni: “La chiesa sarà molto ampia. Qui verranno molti a invocare la potenza di Maria Vergine”. Parole che sanno di profezia. Vedeva inoltre la convenienza di dare un luogo di culto alla gente dei dintorni perché Valdocco, da periferia quasi rurale, era diventata un quartiere urbano. I cinque progetti per la nuova chiesa, firmati da don Bosco e dall’ingegnere Spezia, furono presentati all’ufficio comunale competente datati 14 maggio 1864: si trattava della “Pianta di una Chiesa dedicata a Maria Auxilium Christianorum da erigersi in Valdocco di Torino con obblazioni di divoti”. Il prospetto della chiesa di Maria Ausiliatrice fa riferimento alla basilica veneziana di San Giorgio Maggiore (1506) dell’architetto veneto Andrea Palladio (1508-1580). Gli obiettivi di don Bosco nell’affrontare l’impresa dell’edificazione erano chiari: voleva una chiesa grandiosa che fosse un monumento alla Vergine Maria, il segno chiaro della sua presenza a sostegno della Chiesa, come al tempo di Lepanto o durante la prigionia di Pio VII. Incaricando lo Spezia del progetto don Bosco voleva che “fosse in tali proporzioni che potesse accogliere un gran numero di devoti, e render l’onore dovuto all’Augusta Regina del Cielo” (G. B. LEMOYNE, Torino 1909, p. 466). La fabbrica, dopo la posa della pietra angolare (27 aprile 1865), tra alterne vicende, fu portata finalmente a termine nel 1868 e fu consacrata il 9 giugno di quello stesso anno.

1.2. Decorazione
Don Bosco aveva in mente un preciso piano iconografico: voleva, attraverso i dipinti posti sugli altari, comunicare dei contenuti, presentare al fedele non solo dei santi cui indirizzare le proprie preghiere, ma degli esempi da seguire. Nel giugno del 1868 era già al suo posto il quadro maggiore del pittore Tommaso Lorenzone; mancavano all’appello gli altri quattro dipinti che dovevano decorare altrettanti altari minori, ma nel giro di sette anni, entro il 1875, l’impresa era portata a compimento. L’altare nel transetto sinistro era (ed è tuttora) dedicato a San Giuseppe, “Sposo della Madre di Dio”. Il transetto destro aveva un altare dedicato a San Pietro (oggi l’altare è dedicato allo stesso don Bosco); il soggetto era la consegna delle chiavi simboliche al santo da parte di Gesù. Successivamente, procedendo verso il fondo, si incontrava l’altare dedicato a Sant’Anna. Il soggetto raffigurava Sant’Anna che insegna alla piccola Maria a leggere. A sinistra della porta principale vi era un altare dedicato ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Gli affreschi che decoravano la volta e le pareti erano stati approntati dal pittore Giuseppe Rollini con scene allegoriche. Ultimo lavoro, compiuto dopo la morte di don Bosco, fu la decorazione della cupola con la Gloria dell’Ausiliatrice.

1.3. Cuore dell’oratorio
A don Bosco premeva che “la chiesa di Maria Ausiliatrice divenisse veramente il cuore dell'Oratorio. Vagheggiava già con la mente svariate forme di attività che all'ombra della sua cupola avrebbero preso svolgimento fra un mondo di persone; pregustava la gioia che avrebbe provato vedendo tutti riuniti sotto le sue volte fare un sol coro, cantando le lodi del Signore e della Madonna, e dissetare le loro anime alle fonti della grazia; si rappresentava la gara generale per celebrarvi con solennità le feste maggiori, nelle magnificenze del culto. Il concerto delle sue campane avrebbe ricreato e sollevato gli spiriti come armonie scese dal cielo. Per le sue porte sempre aperte sarebbero passati grandi e piccoli durante il giorno per andar a pregare dinanzi al tabernacolo di Gesù Sacramentato e al quadro della Beata Vergine. Magnifici pontificali; funzioni quotidiane fatte non solo con gravità sacerdotale, ma anche con divota partecipazione di folte schiere giovanili; abbondanza della divina parola. Insomma, eretta che fosse la bella casa di Dio, egli scorgeva nel suo interno pietà, all'esterno festevole ammirazione, in ogni dove serenità di pensieri e giocondità di vita, e sul vertice la Madonna benedicente e dicente: «Io sono quassù per vedere e ascoltare tutti i miei figli dell’oratorio»” (Eugenio Ceria, Annali della società salesiana, I pp. 88-89).

1.4. Chiesa-Madre dei Salesiani
Una chiesa di tali dimensioni veniva a operare un'evoluzione nel luogo dove sorgeva. I giovani salesiani che ne vedevano crescere i muri, non poterono fare a meno di pensare che l'Oratorio si avviava a diventare qualche cosa di più e di meglio che un semplice ospizio per ragazzi poveri. Don Bosco di tanto in tanto sollevava un lembo del velo che ricopriva il futuro e i suoi salesiani nutrivano un vago presentimento di essere i pionieri chiamati ad aver parte agli inizi di un'opera straordinaria. Egli mirava ad accendere un mistico focolare a cui si sarebbero accese e tornate a ritemprarsi generazioni di operai evangelici, mandati a lavorare nella vigna del Signore. “«Sai un’altra ragione per fare una nuova chiesa?». Domanda a un altro dei suoi chierici, Don Cagliero. «Penso, rispose il Cagliero, che sarà la chiesa madre della nostra futura congregazione, ed il centro dal quale emaneranno tutte le opere nostre a favore della gioventù». «Hai indovinato, confermò don Bosco: Maria SS. è la fondatrice e sarà la sostenitrice delle nostre opere»” (MB VII, 334).

1.5. Centro carismatico e taumaturgico
“La costruzione del tempio è più che un lavoro tecnico, che una preoccupazione per i piani, i materiali e i finanziamenti. Rappresenta per Don Bosco un’esperienza spirituale e una maturazione della sua mentalità pastorale. Don Bosco si trova attorno ai 45-50 anni, gli anni della sua maturità sacerdotale e della sua assodata proiezione sociale, con alcune opere già organizzate e altre appena iniziate. Alla fine della costruzione qualche cosa si è trasformato in Lui. Per quali ragioni? In primo luogo perché la realizzazione supera l’idea iniziale: da una chiesa per la sua casa, il suo quartiere e la sua congregazione, si sta profilando l’idea di un santuario, meta di pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale. La realtà gli è cresciuta tra le mani. I problemi economici poi si sono risolti con grazie e miracoli che stimolarono una generosità non calcolata del popolo. Tutto ciò radicò in Don Bosco la convinzione che “Maria si era edificata la sua casa”, “che ogni mattone corrispondesse a una grazia”. La costruzione viene portata a termine in soli tre anni e le spese si accumulano su quelle necessarie a mantenere tanti ragazzi. All’origine del santuario di Valdocco non c’è, come in altri luoghi mariani, un’apparizione o un miracolo. Ma il tempio stesso finisce per essere un luogo e un complesso “taumaturgico”. Affermò un sacerdote di quel tempo, un certo teologo Margotti: «Dicono che Don Bosco fa miracoli. Io non ci credo. Ma qui ne ebbe luogo uno che non posso negare: è questo sontuoso tempio che costa un milione ed è stato costruito in soli tre anni con le offerte dei fedeli!»”. Durante la costruzione nasce e cresce la fama di Don Bosco operatore di miracoli e il suo nome comincia a diffondersi oltre il Piemonte: da un sacerdote conosciuto soltanto nella sua terra, passa ad essere un personaggio simbolo della novità pastorale nella Chiesa. Egli sente la responsabilità di questa fama di “operatore di miracoli” e consulta un teologo, Mons. Bertagna, se deve continuare a dare la benedizione di Maria Ausiliatrice! La risposta è affermativa. La costruzione coincide ed è seguita dalla fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Esse rappresentano l’allargamento del carisma al mondo femminile, col conseguente arricchimento; così come un’altra fondazione, l’arciconfraternita di Maria Ausiliatrice è, insieme ai Cooperatori, l’estensione verso il mondo laico. Comincia allora l’espansione delle congregazioni. Avrà la sua manifestazione vistosa nelle spedizioni missionarie, che partirono tutte dal santuario. Ne venne come conseguenza l’apertura apostolica: dall’istituto educativo ad una pastorale popolare con elementi tipici: la predicazione, i sacramenti, la pratica della carità attraverso offerte materiali e partecipazione alle attività caritative. Seguì anche lo sforzo sistematico per le vocazioni adulte chiamato “Opera di Maria Ausiliatrice”. Senza assolutizzare l’affermazione, si può dire che Don Bosco incominciò la costruzione come direttore di un’opera e la finì come capo carismatico di un grande movimento ancora in germe, ma già definito nelle finalità e tratti distintivi; la cominciò come sacerdote originale di Torino e la finì come apostolo della Chiesa, passò dalla città al mondo. Se l’esperienza dell’oratorio aveva dato come risultato positivo la prassi pedagogica, l’opera del santuario fece emergere nel lavoro salesiano una visione di Chiesa, come popolo di Dio sparso su tutta la terra, in lotta con le potenze del male: una prospettiva che presenterà in un’altra forma nel sogno delle due colonne (1862), rappresentato oggi in una pittura sulla parete di fondo del santuario. Forgiò uno stile pastorale fatto di audacia e fiducia: saper cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al Signore. Scolpì una convinzione nel cuore della congregazione: «Propagate la devozione a Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli»... in tutti i campi, economici, sociali, pastorali, educativi” (Juan Vecchi, Spiritualità Salesiana. Temi fondamentali, Elledici, Torino 2001, pp. 228-230).

2. La pala di Maria Ausiliatrice

2.1. L’Ausiliatrice a Palazzo Madama
Quando Don Bosco tenne la prima seduta col pittore Lorenzone, a cui commissionò la pala per la nuova chiesa di Maria Ausiliatrice, fece meravigliare coloro che erano presenti per la grandiosità delle sue idee. Espresse il suo pensiero così: «In alto, Maria Santissima tra i Cori degli Angeli; intorno a lei, più vicini gli Apostoli, poi i cori dei Martiri, dei Profeti, delle Vergini, dei Confessori. In terra, gli emblemi delle grandi vittorie di Maria e i popoli delle varie parti del mondo in atto di alzar le mani verso di lei chiedendo aiuto». Parlava come d’uno spettacolo che avesse già visto. Lorenzone lo ascoltava senza trar fiato e come Don Bosco ebbe finito: «E questo quadro dove metterlo?». «Nella nuova chiesa!». «E crede lei che ci starà?». «E perché no?». «E dove troverà la sala per dipingerlo?». «Ciò sarà pensiero del pittore!». «E dove vuole che io trovi uno spazio adatto a questo suo quadro? Ci vorrebbe piazza Castello. A meno che non voglia una miniatura da guardarsi col microscopio». Tutti risero. Il pittore colle misure della mano, colle regole della proporzione, dimostrò il suo assunto. Don Bosco fu un po’ spiacente, ma dovette convenire che il pittore aveva ragione. Quindi fu deciso che il dipinto avrebbe compreso solo la Madonna, gli Apostoli, gli Evangelisti e qualche angelo. A piedi del quadro, sotto la gloria della Madonna, si porrebbe la casa dell’Oratorio. Preso in affitto un altissimo salone del Palazzo Madama, il pittore si mise all’opera: il lavoro doveva durare circa tre anni. «Un giorno, racconta un prete dell’Oratorio, io entravo nel suo studio per vedere il quadro. Era la prima volta che m’incontravo con Lorenzone. Egli stava sulla scaletta dando le ultime pennellate al volto della sacra immagine. Non si volse al rumore che io feci entrando, continuò il suo lavoro, di lì a poco scese e si mise ad osservare come fossero riusciti quei suoi ultimi tocchi. Ad un tratto si accorse della mia presenza, mi afferrò per un braccio e mi condusse in un punto della luce del quadro e: – Osservi, mi disse, com’è bella! Non è opera mia, no; non sono io che dipingo; c’è un’altra mano che guida la mia. Ella a quel che mi pare appartiene all’Oratorio. Dica dunque a Don Bosco che il quadro riuscirà come desidera. Era entusiasmato oltre ogni dire. Quindi si rimise al lavoro». Quando il quadro fu portato in chiesa e sollevato al suo posto, Lorenzone cadde in ginocchio, prorompendo in un dirotto pianto (Memorie Biografiche, IV, 4-5).

2.2.Descrizione fatta da don Bosco
Ma il più glorioso monumento di questa chiesa è l'ancona ossia il gran dipinto che sovrasta all'altare maggiore in coro. Esso è parimenti lavoro del Lorenzone. La sua altezza è di oltre a sette metri per quattro. Si presenta allo sguardo come una comparsa di Maria Ausiliatrice nel modo seguente: La Vergine campeggia in un mare di luce e di maestà, assisa sopra di un trono di nubi. La copre un manto che è sostenuto da una schiera di Angeli, i quali facendole corona le porgono ossequio come loro Regina. Colla destra tiene lo scettro che è simbolo della sua potenza, quasi alludendo alle parole da Lei proferite nel santo Vangelo: Fecit mihi magna qui potens est. Colui, Dio, che è potente, fece a me cose grandi. Colla sinistra tiene il Bambino che ha le braccia aperte offerendo così le sue grazie e la sua misericordia a chi fa ricorso all'Augusta sua Genitrice. In capo ha il diadema ossia corona con cui è proclamata Regina del cielo e della terra. Da una parte superiore discende un raggio di luce celeste che dall'occhio di Dio va a posarsi sul capo di Maria. In esso sono scritte le parole: virtus altissimi obumbrabit tibi: la virtù dell'Altissimo Iddio ti adombrerà cioè ti coprirà e ti fortificherà. Dall'opposta parte superiore calano altri raggi dalla colomba, Spirito Santo, che vanno eziandio a posarsi sul capo di Maria con in mezzo le parole: Ave, gratia plena: Dio ti salvi, o Maria, tu sei plena di grazia. Questo fu il saluto fatto a Maria dall'Arcangelo Gabriele quando a nome di Dio le annunziò che doveva diventar Madre del Salvatore. Più in basso sono i santi Apostoli e gli Evangelisti s. Luca, s. Marco in figura alquanto maggiore del naturale. Essi trasportati da dolce estasi quasi esclamando: Regina Apostolorum, ora pro nobis, rimirano attoniti la Santa Vergine che loro appare maestosa sopra le nubi. Finalmente in fondo del dipinto avvi la città di Torino con altri divoti che ringraziano la S. Vergine dei benefizi ricevuti e la supplicano a continuare a mostrarsi madre di misericordia nei gravi pericoli della presente vita. In generale il lavoro è ben espresso, proporzionato, naturale; ma il pregio che non mai perderà è l'idea religiosa che genera una divota impressione nel cuore di chiunque la rimiri” (G. BOSCO, Maraviglie della Madre di Dio, invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice, Torino 1868, pp. 127-128).

2.3. Lettura della pala
La fama di Tommaso Andrea Lorenzone (1824-1902) è legata soprattutto al quadro dell'Ausiliatrice, dominato dalla figura della Madonna che tiene in braccio il bambino. Maria è mostrata in piedi e non seduta, come sovente la si vede rappresentata nei quadri quale Madre-Regina che porge il Bambino all'adorazione. Il Lorenzone, infatti, fa un'altra scelta: Maria è in piedi, in posizione verticale. Questa «dominante della verticalità», è un simbolo mariano relativo agli elementi messianici e celesti, riferibili all'Immacolata e alla Madre di Dio: luna, stella, aurora, trono, luogo alto e santo, torre di Davide. La verticalità esprime così l'ascensione verso la sfera divina, in cui la creatura è consacrata a Dio. Non per nulla, il capo di Maria viene esaltato con la corona. Solo che nel nostro quadro abbiamo una doppia incoronazione: la corona di stelle e il diadema regale.
a) Le stelle indicano la vicinanza alla divinità, ed erano già usate nelle civiltà antiche, in Egitto e in Mesopotamia, proprio per il fascino misterioso che scaturisce da esse e per la grandiosa testimonianza che danno al loro Creatore, per la bellezza e per l'insondabile armonia dell'universo, inoltre, stanno anche ad indicare la saggezza e la perfezione (Dn 12,3). Ma il riferimento più celebre alle stelle poste sopra il capo di una donna, lo troviamo nel libro dell'Apocalisse. «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle» (Ap 12,1). Queste dodici stelle hanno alcune possibili interpretazioni. Possono indicare le dodici tribù d'Israele o anche i dodici Apostoli, col significato della totalità dei redenti che fanno corona alla donna; oppure i dodici segni dello zodiaco, simbolo della perfezione del cosmo che ruota attorno alla donna. Nel nostro quadro le stelle hanno sei punte. Questo è un attributo mariano, tratto dai sarcofagi dei primi secoli cristiani. La stella a sei punte, già simbolo della casa di Davide da cui discende il Messia, ci riporta al mistero dell'Incarnazione anche perché costruita con due triangoli intersecati l'uno nell'altro: nell'antichità fu attribuita come simbolo a Maria, luogo d'incontro tra il Cielo e la Terra. Anche se poco visibili, nell'immagine voluta da Don Bosco, le dodici stelle sono un particolare da non dimenticare, perché è quanto vi rimane dell'iconografia dell'Immacolata; in questo simbolo, il santo volle raccogliere probabilmente la spiritualità legata al dogma appena emanato che, oltre ad essere tipica del tempo, gli apparteneva profondamente. Egli propose sempre sia la spiritualità dell'Ausiliatrice che quella dell'Immacolata, anche sovrapponendole.
b) Altri segni presenti nel quadro sono la corona d'oro e lo scettro che indicano la sovranità. La corona ha acquisito nei secoli un potenziale simbolico intenso, diventando, come attributo del sovrano, immagine del popolo intero e quindi tesoro per eccellenza. C'erano diversi tipi di corone, tutte segno di dignità e prestigio. Per quanto riguarda il gesto di incoronare Maria, pur trovando un suo archetipo biblico nell'incoronazione della regina Ester (Est 2,16-18), è soprattutto una tradizione cristiana dei primi secoli, legata al dogma di Maria Madre di Dio, dichiarato dal Concilio di Efeso del 431. Corona e scettro appartenevano al tipo mariano della «Basilissa», l'imperatrice d'Oriente, che fu rappresentata, però, dagli occidentali. Maria è indicata come una regina adorna dei simboli del potere: è vestita sontuosamente, incoronata, scettrata, del tutto simile nell'abbigliamento e nei gioielli ad una sovrana del mondo. A Roma, in Santa Maria Antiqua, nel 550, troviamo già un affresco dove gli arcangeli Michele e Gabriele porgono scettro e corona alla Madonna. Non fu quindi nuova l'idea espressa dalle statue dei pinnacoli della Basilica di Valdocco, dove Gabriele, dalla guglia destra, porge alla Madonna della cupola una corona di alloro, mentre Michele, a sinistra, innalza verso di lei l'asta di cui sventola la bandiera della vittoria. Sia la corona di Maria che quella del Bambino sono sormontate al centro da una stella. Maria è la Stella Maris, la stella del mare che orienta i naviganti, in tal senso Maria è colei che guida al porto sicuro. Riferita a Cristo, la stella significa divinità e compimento della salvezza perché Gesù è la «stella del mattino», l'astro che sorge da oriente portando la speranza di un giorno nuovo (Ap 22,16; 2 Pt 1,19).
c) Anche il bastone prezioso, lo scettro, è insegna regale di potere e di governo. La simbologia del bastone legata al giudizio e all'investitura dei sovrani è vastissima e trasversale a diverse epoche e culture, ma si riferisce sempre ad un agire effettivo. È lo strumento attraverso il quale ciò che viene deciso diventa operativo (Es 4,17-20). Questo senso attivo del segno, simbolo di chi compie un'opera, ha particolare significato nell'iconografia dell'Ausiliatrice, la quale si manifesta regina che opera concretamente per il suo popolo. Nel quadro, dunque, non compare una Madonna estatica e fissa, ma piena di potenza, come Colei che sta per agire, e questo rientra perfettamente nella spiritualità di Don Bosco e nella sua percezione della Vergine come di madre che guida, protegge, addirittura combatte per i figli, accanto ai quali è presente in modo costante (Paola Farioli, dalla rivista "Maria Ausiliatrice", maggio 2003). La collocazione di un riferimento topografico, in basso nella composizione, (in questo caso dell’edificio dell’oratorio) è un espediente caro al Lorenzone che lo userà pure nella pala di San Giuseppe. Don Bosco circa la sua opera a Valdocco era “convinto di una investitura particolare di Dio a favore della redenzione della gioventù” (P. BRAIDO, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, Roma 2003, p. 13). Non più dunque gli “emblemi delle grandi vittorie di Maria e i popoli (…) in atto di alzar le mani”, ma l’Oratorio e con essa la moltitudine dei giovani assistiti, quasi a porre l’accento sul fatto che l’opera da lui iniziata era una vittoria di Maria e i giovani assistiti surrogavano “i popoli delle varie parti del mondo”.

2.4.Lettura attualizzante
La tela dell'abside, con la bellissima immagine della Vergine, rappresenta tanto l'ecclesiologia come la mariologia di don Bosco: Maria è figura delle chiesa, madre e modello di essa, dove il volto della madre è uguale al volto del Figlio, e dove appare sostenuta da Pietro e Paolo, e circondata dagli apostoli ed evangelisti. In una parola: una Chiesa apostolica e missionaria. La Vergine di don Bosco è una Regina, sì, coronata di dodici stelle e vestita di sole, come la Donna-segno dell'Apocalisse, benché non schierata per abbattere i suoi nemici, bensì amorosa, provvidente, con le braccia aperte per donare e offrire suo Figlio. Il Figlio, da parte sua, secondo le parole di don Bosco: "tiene le braccia aperte, offrendo così le sue grazie e la sua misericordia a chi ricorre alla sua Augusta Madre". La Vergine di don Bosco "è vestita di sole", piena di potere, perché immersa in quel mare di luce che è Dio, immersa nel mistero della Trinità, che illumina la sua persona e la sua missione. Così è come la voleva don Bosco e così riuscì a rappresentarla nella tela del Lorenzone, che colmo di emozione esclamò: "Non sono io che dipingo. E' un'altra mano che guida la mia". La Vergine di don Bosco è immagine della Chiesa, quella celeste che già celebra le nozze dell'Agnello, e quella terrestre che cammina in questo mondo, immersa pertanto nel mistero di Dio e avvolta nella sua luce, però presente nelle nostre vicissitudini storiche, attenta alle nostre necessità, presente e viva nelle nostre famiglie, come in tutte le case salesiane, idealmente rappresentate nella Chiesa di Valdocco, che appare nella parte inferiore del quadro. E' qui la grande intuizione di don Bosco, che ha unito il titolo di Maria Ausiliatrice e Madre della Chiesa, collocando il ruolo proprio della Vergine nel cuore della missione della Chiesa, che protegge sotto il suo manto tutti i suoi fedeli, li nutre e li fa maturare fino alla pienezza della vita in Cristo. Questo era ciò che don Bosco voleva offrire ai suoi ragazzi in un momento di profondi cambiamenti d'epoca, caratterizzati dalla nuova situazione sociale e politica, per il passaggio da una società agricola di tipo patriarcale a una nuova società, lanciata in un processo di industrializzazione, che trasformò gradualmente l'ordine sociale: la struttura familiare, il modo di procurarsi i mezzi per la vita, e nella quale, come sempre, i giovani erano quelli che maggiormente ne pagavano le conseguenze, rimanendo nella povertà ed esposti alla perdizione. Oggi come ieri, oggi come ai tempi di don Bosco, i profondi cambiamenti sociali e culturali in corso stanno avendo un enorme impatto sulla struttura famigliare, sul tessuto sociale, sulla concezione della vita. La Chiesa, e la Famiglia Salesiana in essa, è chiamata a proporre e ad offrire Gesù e il suo vangelo, come lo fa Maria. Come don Bosco, noi membri della Famiglia Salesiana, rinnoviamo la nostra vocazione nella chiesa di "pastori dei giovani" con la missione di condurli a Cristo, l'unico che non delude le loro aspirazioni più profonde e appaga la loro fame e sete di vita, di felicità e di amore. Nella realizzazione di questa missione non siamo soli. Maria ci è stata data come Aiuto potente contro il male nella lotta per la salvezza dei giovani. Ausiliatrice che cura con amore di madre tutti quelli che si incontrano attraversando questo mondo oscuro rappresentato ai suoi piedi (Pascual Chávez V., Città del Messico, 17 agosto 2007, V Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice).







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