La Madonna della Divina Provvidenza
Data: Mercoledi 16 Febbraio 2022, alle ore 11:47:55
Argomento: Arte


Un articolo di Vincenzo Francia, in Riparazione Mariana, n. 4/2018, pp. 12-13.




 Madonna della Divina Provvidenza, Scipione Pulzone († 1597) - Chiesa dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari, Roma. Patrimonio del Fondo Edifici di Culto, amministrato dalla Direzione Centrale per l’Amministrazione del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno.

L’arte che va dal tramonto del rinascimento alla nascita del barocco, di solito, viene indicata come manierismo. Infatti, dopo i grandi maestri (soprattutto Leonardo, Raffaello e Michelangelo), gli artisti si rendono conto che sarà difficile superare la bellezza delle loro opere, ma forse si potrà guardare alla loro “maniera”, cioè allo stile da loro mirabilmente espresso. E, tuttavia, non si tratterà semplicemente di imitarli, ma bisognerà riconsiderare e reinterpretare i lavori di quei Sommi e decifrare il mistero della loro bellezza. Il manierismo dunque non è un’arte ripetitiva, ma un punto di ripartenza per nuovi orizzonti dell’estetica.
Nonostante ciò, la parola manierismo suscita non solo sentimenti di pacifica accettazione, ma anche un senso di riluttanza, di freddezza e perfino di rifiuto. Il motivo è abbastanza semplice: non di rado la produzione figurativa di questo periodo (in sostanza, la seconda metà del Cinquecento) sfocia in risultati eccessivamente intellettualistici, contorti, di difficile comprensione a livello popolare, caratterizzati da linee tormentate, colori cangianti, espressioni ambigue e perfino deformi. Si produce, in tal modo, un cambiamento del gusto e della cultura, un trionfo dell’emotività, una sfida alle leggi della natura e della tradizione, un’esuberante spettacolarizzazione dei mezzi espressivi e, di conseguenza, del messaggio proposto. Insomma, uno stile “manierato”. Nomi quali il Pontormo, Rosso Fiorentino, il Bronzino, il Primaticcio, il Parmigianino e altri sono famosissimi protagonisti e testimoni di questa stagione.
In quegli anni la Chiesa era fortemente impegnata in un grande sforzo di rinnovamento, in risposta a quella Riforma che, partita dalla Germania di Martin Lutero, si stava diffondendo in tutta la cristianità. Segno e strumento di un tale impegno fu la celebrazione e, soprattutto, l’applicazione del Concilio di Trento (1545-1563). Ebbene i rilievi critici, pur veri, che spesso si muovono agli artisti del manierismo non valgono per l’incantevole quadro della Madonna della Divina Provvidenza, venerata nella chiesa romana di San Carlo ai Catinari. Il dipinto, opera di Scipione Pulzone detto anche Scipione da Gaeta dal nome della sua città di origine, giunse nella splendida chiesa nel 1677: fu il dono di un architetto, in riparazione di un altro dipinto mariano di cui egli incautamente aveva provocato la distruzione. I Padri Barnabiti, gestori dello scenografico tempio, ben volentieri accettarono il quadro, che, anche in seguito al moltiplicarsi di varie copie, divenne molto famoso.
Manierismo, dicevamo. Ma, nel nostro caso, un manierismo benedetto da una semplicità, una grazia, una bellezza che parlano immediatamente agli occhi e al cuore. Il celebre ballerino e coreografo francese Dominique Dupuy, nel libro La saggezza del danzatore, allude a una educazione che si comunica attraverso il tatto: «Tutt’altro è il toccare, il contatto. L’insegnante si avvicina e posa la mano su questa o quella parte del corpo, cercando di indurre il movimento, di guidarlo, di aiutarlo a realizzarsi. È tutta un’altra comunicazione. Le osservazioni, le indicazioni, le correzioni sono niente in confronto a questo dialogo senza parole, a questa pedagogia intima, come un calore che si diffonde. Intimità condivisa. Momento di felicità». È proprio ciò che si realizza nel quadro di Scipione.
È evidente che lo schema corrisponde a un modello tradizionale, quello della Madonna con il Bambino, che fin dall’arte paleocristiana e bizantina è universalmente conosciuto. Qui però l’autore, mediante un tocco di poesia, compie il “miracolo” di manifestare una profonda comunione tra la Madre e il Figlio, nella quale i sentimenti umani diventano teologia e l’esperienza materna si trasforma in altissima spiritualità.
Maria volge verso il piccolo Gesù il suo capo, ricoperto da un sottilissimo velo che leggeri tocchi luminosi trasformano in svolazzanti arabeschi. Tra i due si stabilisce un dialogo di sguardi incantati e incantevoli, mentre le loro mani si intrecciano in un gioco di affetto e di fiducia; i bellissimi volti, illuminati da una luce che non è soltanto quella naturale, si inteneriscono nel reciproco sguardo; il colore rosso, con le sue gradualità, si sprigiona dalla veste di Maria, rimbalza sulle gote dei due protagonisti, si insinua tra i capelli e si diffonde nell’atmosfera, creando una dolce ed energica ‘intimità condivisa’.
Il titolo del dipinto propone di vedere in questa scena il realizzarsi della Divina Provvidenza. In che senso? «Riconoscere che Dio educa me vuol dire riconciliarmi con me stesso e con la mia vita [...] perché in essa Dio mi guida, mi sta guidando. Per me ha senso questa vita con i suoi contrasti e le sue lacerazioni, con le sue luci e con le sue oscurità»: così il cardinale Carlo Maria Martini sintetizzava la visione di un mondo condotto al suo fine da un disegno amoroso e lungimirante. La divina Provvidenza, dunque, traspare da questa «immagine senza tempo, la cui soavità è immune dal morso dei secoli», come dice Federico Zeri a proposito del nostro quadro.
Il volto di Maria, che fissa gli occhi sul Figlio, è il segno che quello sguardo sarà indirizzato verso ciascuno dei suoi figli. Le mani della Madre continueranno ad accompagnarci nella vita e a educarci, in un dialogo silenzioso e profondo, verso i valori più alti e i traguardi più nobili. «La mano è una conchiglia di gioia. [...] È un pensiero muto, una preghiera senza parole», dice ancora Dupuy. Il fiducioso e sorridente abbandono del Bambino tra le braccia di Maria, infine, ci rivela un aspetto ancora più singolare del mistero della Provvidenza: il primo ad aver avuto bisogno del soccorso divino è stato il Figlio che, diventando uomo, ha assunto la natura umana, con i suoi ritmi, i suoi linguaggi, i suoi limiti. Tranne che nell’esperienza della colpevolezza, la condizione umana del Verbo incarnato è in tutto simile alla nostra.
Come per Gesù, “momento di felicità” sarà per noi contemplare il volto di Maria e indirizzare a lei l’antica invocazione: «Rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi». Ma la Provvidenza non si esaurisce in un aiuto, un sostegno e una “compagnia” lungo il nostro cammino. Essa tende a condurci fino alla meta del cammino, cioè fino alla santità. La Vergine Maria, nella mite bellezza del suo sorriso, è segno di conforto e di speranza, simbolo vivente di una umanità pienamente realizzata, porta di ingresso e porto di approdo della nostra pellegrinante umanità.

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