La vera devozione alla Vergine ha le sue radici nella profondità della fede
Data: Mercoledi 14 Ottobre 2009, alle ore 13:10:35
Argomento: Devozione


Un articolo di Stefano De Fiores sulla rivista MADRE DI DIO - n. 3 - marzo 2002

Nella nostra riflessione teologica il passaggio da Maria alla Trinità non è frutto di ragionamento ma dell’intuizione contemplativa, in un contesto di disponibilità e di dialogo orante. - Tutto si risolve nella dossologia trinitaria. Seguendo la lettera Sollecitudini nostrae di Benedetto XIV (1.10.1745), occorre scartare alcune immagini della Trinità disapprovate, come il tricefalo e la raffigurazione dello Spirito Santo in forma umana, e scegliere quelle che si ispirano agli eventi storico-salvifici e introducono realmente nel mistero. Sappiamo l’importanza delle immagini, non solo per la definizione del concilio di Nicea II (787) circa la loro legittimità ed essenziale relazionalità al prototipo che rappresentano, ma anche perché esse introducono in un universo spirituale contrassegnato dall’amore e dalla compassione.
Questo avviene al contatto con l’icona della Trinità di Andrei Rublëv, la cui contemplazione doveva – secondo la spiritualità di San Sergio di Radonez - superare «la paura davanti al mondo lacerato dall’odio» e imparare a non stare uno accanto o contro l’altro, ma con lui e a favore di lui. Lo stesso messaggio di comunione proviene dalle icone della Theotokos. L’unità ecumenica è rappresentata simbolicamente nell’immagine della Nascita di Cristo dove Maria personifica «l’amoroso cuore materno che attraverso l’intimo ardore in Dio diventa il cuore dell’universo»; o nell’icona di Pentecoste dove la creatura «si stringe attorno a Cristo e alla Deipara, diventando così dimora dello Spirito», oppure nell’icona dell’Annunciazione dove Dio Trinità si rivela alla Vergine di Nazaret. Anche in altre icone mariane «tutto l’universo si raccoglie attorno alla Madre di Dio». Il passaggio da Maria alla Trinità non è frutto di ragionamento ma dell’intuizione contemplativa in contesto di disponibilità e di orante dialogo. Tutto si risolve nella dossologia trinitaria. Si può seguire San Nicola de Flüe (+1487) leggendo «il suo libro», cioè la «ruota della Trinità», che attraverso la simbologia dei sei raggi rimanda al mistero trinitario. Nell’immagine figurativa più elaborata si meditano altri misteri della vita di Cristo, in alcuni dei quali è esplicita la presenza di Maria. Si ha allora l’unione del simbolo trinitario con quello mariano.

La via della preghiera mariana

Sia nel popolo che tra i monaci fiorisce la preghiera mariana, che si rivela un ambiente vitale, adatto per un incontro non solo con la Vergine ma anche con le Persone della Trinità. Innanzitutto il luogo più appropriato per un’esperienza della Trinità e di Maria è la liturgia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Nella liturgia della Chiesa copta, per esempio, la Salmodia annuale all’invito «Venite, adoriamo la Trinità: Padre, figlio e Spirito Santo» fa seguire il saluto: «Ave, o Maria, bella colomba, che ci generò Dio, il Verbo». Dopo il Trisaghion e il Padre nostro è collocata una «dossologia mariana» che a sua volta termina con una dossologia trinitaria: «Proclamiamo alla SS. Trinità, unico Dio, che adoriamo e glorifichiamo». Come è risaputo, l’anafora bizantina di San Giovanni Crisostomo contempla una dossologia rivolta direttamente a Maria dopo le parole del Signore nella Cena. «Non sorprende, quindi, che Maria sia invocata e glorificata accanto alle dossologie trinitarie. Il theotokion (tropario, breve canto alla Madre di Dio) viene, quindi, associato negli Uffici bizantini alle dossologie trinitarie». Nella liturgia romana sono rare le preghiere a Maria, perché in essa vige l’antica taxis di rivolgere la preghiera al Padre mediante Cristo nello Spirito. È importante la menzione della Madre di Dio nel Communicantes della prima anafora. Di solito le orazioni delle Messe in onore della Beata Vergine sono rivolte al Padre ma con motivazione mariana (per es. l’antica colletta «Gratiam tuam» che conclude l’Angelus). Spesso l’invocazione alla Trinità e quelle a Maria sono giustapposte, come nelle Litanie lauretane. Il riferimento alle tre Persone divine è abituale nei 46 formulari della Collectio Missarum de beata Maria Virgine (1987), in particolare nei Prefazi dove convergono le acquisizioni della mariologia conciliare e post-conciliare. Nella preghiera non strettamente liturgica si distinguono in Oriente e in Occidente le formule ripetitive, il cui scopo è di assimilare vitalmente il mistero oggetto di contemplazione o motivo di supplica. Maria è menzionata nella preghiera di Gesù nella sua forma monastica greca: «Signore Gesù, Figlio e Verbo di Dio vivo, per le preghiere della tua purissima Madre e di tutti i Santi, abbi pietà di noi e salvaci». Similmente San Serafino di Sarov (+ 1833) invita a dire sottovoce nel pomeriggio: «Santa Madre di Dio, salva me peccatore», oppure: «Signore Gesù Cristo, per intercessione della tua santa Madre, abbi pietà di me peccatore». In Occidente una funzione mistagogica è riconosciuta al Rosario, che con la meditazione dei Misteri e con le clausole cristologiche corrispondenti all’infanzia, vita pubblica e passione di Gesù costituisce un vero metodo di vita spirituale. Il riferimento mariano è evidente nella ripetizione delle Ave, ma è costante pure il riferimento alle Persone della Trinità che agiscono nei misteri evangelici e alla fine vengono celebrate nel Gloria al Padre.

Modello consacratorio

Sebbene si siano talvolta verificate nel corso della storia impostazioni mariocentriche, che lasciavano nell’implicito la relazione trinitaria, normalmente da Sant'Ildefonso fino a San Luigi da Montfort ed a Giovanni Paolo II, si ha avuto cura a inserire il rapporto con Maria nel contesto globale della storia della salvezza e nella vita in relazione con la Trinità. Questa impostazione si trova in alcuni autori le cui testimonianza aiutano a immettersi nelle vie da loro indicate per raggiungere con Maria una più profonda assimilazione del mistero trinitario. Già nell’epoca patristica Ildefonso di Toledo (+ 667) nel Libretto sulla virginità di Santa Maria contro tre infedeli propone di divenire servi della Vergine Maria; ma si tratta di un atteggiamento spirituale orientato a Cristo e alla Trinità. Nella preghiera finale Ildefonso si augura di dare «gloria a Dio, lode a Dio, onore a Dio» e di ricevere «onore da Dio e il perdono da Dio, la salvezza da Dio, la vita da Dio e l’esultanza da Dio». Erede della tradizione spirituale e missionaria della Francia post-tridentina, San luigi Maria da Montfort rappresenta un apice della devozione a Maria: «Si può dire che con lui l’idea di consacrazione ha raggiunto la sua perfetta espressione». Maturata in un periodo di piena crisi mariana, tale consacrazione riceve da Montfort una svolta cristocentrica, che la distingue da quella proposta dai suoi predecessori. Essa rispetta l’unica mediazione di Cristo e costituisce una via semplice e impegnativa per giungere alla maturità spirituale. Sebbene Montfort ricorra a vari termini per spiegarne il contenuto (schiavitù d’amore, contratto di alleanza...), quando deve definirla fa perno sul concetto di consacrazione, collegandola direttamente con il Battesimo. Nel Trattato della vera devozione a Maria il Montfort intitola questa parte: «La perfetta consacrazione a Gesù Cristo» e la presenta con le celebri parole (che saranno valorizzate da Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Mater, n 48): «La perfetta consacrazione a Gesù Cristo, quindi, non è altro che una consacrazione perfetta e totale di se stessi a Maria; o, in altre parole, una perfetta rinnovazione dei voti e delle promesse del santo Battesimo. È questa la devozione che io insegno» (VD 120). Pur avendo attinto da tanti predecessori, come Boudon, Bérulle, Eudes, Montfort raggiunge in questa identificazione tra la consacrazione a Cristo per le mani di Maria e i voti battesimali un traguardo prima ignoto, che preserva il rapporto con Maria da ogni devozionalismo e lo mette al servizio della vita in Cristo. Egli intende introdurre nel cattolicesimo popolare del suo tempo, dimentico degli impegni battesimali, una devozione a Maria che superi il criterio delle pratiche per essere un atteggiamento interiore e un modo per vivere responsabilmente la fedeltà al Battesimo. Per il Montfort non si può restare cristiani per procura, ma occorre darsi a Cristo volontariamente e con cognizione di causa (n. 126); il dono di sé a Maria si inserisce in questo progetto, quale elemento che «ci conforma, unisce e consacra perfettamente a Gesù Cristo» (n. 120). Nel Trattato San Luigi da Montfort traduce la sua esperienza di Maria in numerosi simboli, che la mostrano «stampo» o grembo generatore di Cristo-Dio e dei santi (n. 164, 218, 260) ed insieme «strada» (n. 50, 158, 218) e «cammino» (n. 152-155), cioè tramite dinamico verso l’incontro con Cristo. La consacrazione a Gesù per le mani di Maria è scuola di disponibilità mistica, in quanto esige totale abbandono e docilità: «Bisogna perdersi e abbandonarsi in lei, come una pietra si getta nel mare. Si ricordi che Maria è il grande ed unico stampo di Dio, atto a modellare immagini viventi di Dio, con poca spesa e in poco tempo» (VD 259).

Completamente relativa a Dio

Maria, rivolta essenzialmente verso gli uomini con la sua maternità spirituale (n. 30-36), non cessa di rivelarsi «completamente relativa a Dio» (n. 225): introduce nella santa libertà dei figli di Dio (n. 164, 169, 215), è «la via facile e sicura per trovare Gesù Cristo» ed essere trasformati in lui (n. 62, 152-l67, 218-221) e costituisce il modello per lasciarsi condurre dallo Spirito Santo (n. 20, 34-36, 258-259). Anche la consacrazione all’Immacolata vissuta da San Massimiliano Kolbe (+ 1941) è fin dall’inizio orientata ad «estendere, in tal modo, quanto più è possibile il benedetto Regno del sacratissimo Cuore di Gesù». Egli percorre una triplice fase, vivendo innanzitutto la consacrazione all’Immacolata (1919) come una realtà costante, dinamica e unificante. Segue una fase d’immedesimazione con l’Immacolata (1932-1935), quando mediante un annientamento mistico di sé, iniziato da molti anni di esercizio a «non ostacolare» l’Immacolata, P. Kolbe intende scomparire per «diventare lei» (SK 579). A partire da una lettera indirizzata da Nagasaki nel 1935 a Fr. Matteo, che trovava difficoltà nell’armonizzare l’amore di Gesù con quello di Maria, p. Kolbe allarga il raggio di riflessione inserendo il discorso sull’Immacolata nell’ambito trinitario: «Mio caro, sicuramente la sorgente di ogni bene, in qualsiasi ordine, sia naturale che soprannaturale (cioè della grazia) è Dio Padre il quale opera sempre attraverso il Figlio e lo Spirito Santo, cioè la Trinità santissima» (SK 643). L’Immacolata è presente in questo circuito d’amore come «il vertice dell’amore della creazione che torna a Dio» proprio perché «in lei avviene il miracolo dell’unione di Dio con la creazione» (SK 1310). A sua volta Giovanni Paolo II racconta la sua esperienza che muove dalla tradizione mariana polacca e matura teologicamente quando da seminarista clandestino si imbatte nel Trattato della vera devozione a Maria di Montfort. Esso - - scrive il Papa - ha segnato nella sua vita «una svolta decisiva» facendogli sostituire alla devozione della sua infanzia «un nuovo atteggiamento, una devozione venuta dal più profondo della mia fede, come dal cuore stesso della realtà trinitaria e cristologica»: «Grazie a San luigi Grignion de Montfort compresi che la vera devozione alla Madre di Dio è invece proprio cristocentrica, anzi è profondissimamente radicata nel Mistero trinitario di Dio, e nei misteri dell’Incarnazione e della Redenzione».







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