La Mariologia di Alberto Magno
Data: Martedi 5 Gennaio 2010, alle ore 8:42:33
Argomento: Autori


Uno studio di Guglielmo Di Agresti O.P. su Amici Domenicani dell'8 dicembre 2008

I. Sintesi cronologica della vita

Nacque Alberto in una cittadina sul Danubio, in diocesi di Augusta. Dei primi anni conosciamo di lui solo ciò che egli dice di se stesso, dedicandosi agli studi, probabilmente, contro il volere dei suoi. Entrò fra i domenicani mentre era studente a Padova, superando difficoltà da parte dei parenti. L’anno più probabile è il 1223; fu studente fino al 1228. In tale anno incominciò la sua vita di lettore in diversi conventi dell’Ordine (Hildesheim, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo, Colonia). Nel 1245 è già “celebre professore all’università di Parigi”. Secondo Pietro di Prussia iniziò allora la Summa de creaturis e il Commentarium ad Sent. Conseguito il dottorato a Parigi, vien designato primo reggente del nuovo studio domenicano a Colonia (1248-1254), commentando il “De divinis Nominibus” e annoverando fra gli uditori il giovane Tommaso d’Aquino. Eletto provinciale visita sempre a piedi l’immenso territorio a lui soggetto, dall’Austria all’Olanda e partecipa ai due capitoli generali di Milano (1255) e Parigi (1256). Su invito di Alessandro IV nel 1256 è ad Anagni per la disputa sugli ordini religiosi suscitata da Guglielmo di Sant’Amore. Nel 1257, seguendo la corte papale a Roma e poi a Viterbo, commenta il Vangelo di S. Giovanni e le lettere paoline. Nel 1257 assolto dall’ufficio di provinciale, viene incaricato con Tommaso d’Aquino, Pietro di Tarantasia, il futuro Innocenzo V, ed altri due padri, di preparare la “ratio studiorum” per l’Ordine. Dal 1251 al 1280 Alberto è chiamato in innumerevoli questioni tra città, principi, vescovi e religiosi a far da arbitro. Il 5 giugno del 1260 Alessandro IV lo nomina vescovo di Ratisbona. Dalle sue fatiche apostoliche e con intenti più prettamente pastorali scrisse il commento a S. Luca, “che è forse l’opera esegetica più importante della scolastica del secolo XIII” (Grabmann). Nel 1261 riuscì a rinunziare all’episcopato, ma nel 1263 Urbano IV lo designava predicatore della Crociata in diverse regioni di lingua tedesca. Dal 1264 in poi lo troviamo a Wurburg e a Strasburgo, finché non ritorna a Colonia, sua città prediletta. Se ne allontanò solo per partecipare al concilio di Lione del 1274 e per difendere la dottrina del suo discepolo Tommaso, già morto, arrivando fino a Parigi (1277). Moriva il 15 novembre del 1280 nel convento domenicano di Colonia, nella cui chiesa veniva seppellito. Riposa ora nella chiesa di S. Andrea, in una tomba di pietra. Veniva canonizzato da Pio XI il 16 dic. 1931 e dieci anni dopo Pio XII lo dichiarava patrono dei cultori delle scienze naturali.

II. devozione di Alberto alla Madonna

Maria “fu la stella che lo guidava a Gesù, la quale con Gesù era uno dei più infiammati e potenti amori che commovessero il suo cuore e facessero scorrere dal suo labbro e dalla sua penna le più magnifiche e ferventi lodi” (card. Pacelli). Alberto visse in un eccezionale periodo di fervore mariano nella vita primitiva del suo ordine, ed anche i primi anni della sua vita sono avvolti da un alone di leggenda mariana. Secondo i primi biografi (Pietro di Prussia, Rodolfo Valladolid, ed altri), pur non convenendo sul luogo, concordemente affermano che Alberto fu chiamato, in modo eccezionale, tra i Predicatori, per un intervento esplicito di Maria. Né meno materna fu la protezione di Maria durante il periodo di formazione, per non poche e piccole difficoltà che ebbe a sostenere, ma vinte con la promessa fattagli dalla Vergine di fermezza nella fede contro i pericoli dello studio, e col se-gno che, poco prima di morire, sarebbe stato improvvisamente privato di tutta la scienza. Alcuni critici tuttavia o identificano i due interventi di Marìa o li nega-no. Nel breviario dell’Ordine dei Predicatori, nel nuovo ufficio del Santo, è sta-ta conservata la prima visione. Tuttavia i due episodi “hanno ancora una base storica molto salda e si possono ritenere autentici, nonostante i dubbi e le negazioni di una parte dei critici”. Forse più che con la tradizione è meglio far parlare Alberto di se stesso se-condo le diverse circostanze, di studioso, di mistico, di vescovo, in cui dovrà at-tuare la sua vocazione. “Amava tanto Maria, che non poteva stare dal lodarla. Molto più, egli ag-giungeva a tutti i suoi libri qualcosa sopra la Signora del suo cuore e termina-va i suoi studi con un inno alla sua gloria” scrive Pietro di Prussia. Pur riducendo il numero degli scritti autentici, tale giudizio appare confer-mato, in quanto non c’è sua opera di teologia in cui, più o meno a lungo, non abbia parlato di Maria, sfruttando “ogni occasione per esprimere la sua venera-zione alla Vergine”, tanto da esser chiamato “secretarium et scriba Deiparae” (segretario e scrivano della Madre di Dio). Alberto non è solo lo studioso, ma anche un mistico, che ama effondere, a differenza di S. Tommaso, la piena della sua anima negli scritti; anzi, secondo il Grabmann, è l’unico mistico fra i grandi scolastici e l’unico che abbia commentato tutti i libri dello Pseudo-Areopagita. La mariologia di Alberto è quindi inscindibile dalla sua pietà, perché da essa attinge vigore e ad essa si appoggia. Ciò è dovuto al fine stesso della teologia (“ad exortationes”) e al carattere che assume in Alberto, ossia di scienza affettiva (“secundum pietatem”). Ciò gli permette, attraverso parafrasi, di trasformare l’arida materia scolastica in preghiera. Il cuore di Maria, il suo nome, la sua umiltà, le stelle che le cingono la fronte con tutto quel che si può pensare di bello e dì buono per la Madre di Dio, si trasforma in calde considerazioni teologiche. Dovendo commentare il Magnificat, il cantico che egli ripete quotidianamente nell’ufficio, scrive che anche Maria ha pronunziato quel cantico, ha detto, o meglio cantato, quelle stesse parole. Maria che ha ricevuto tutto ciò che una pura creatura può esser capace di ricevere da Dio, diventa il grande canale di grazia, attraverso cui ci vien comunicato “la grazia di sollievo con cui è soccorso il misero nella sua necessità, la grazia di consolazione che conforta i desolati, la grazia di riconciliazione con cui i miseri e i disperati spesso sono riconciliati col Figlio”. Maria diventa così il centro verso cui si affisano i movimenti di tutti gli esseri: “Tutti gli estremi guardano a lei come alla riparatrice”. Al suo clero, a cui particolarmente rivolge il commento a S. Luca, volle presentare Maria come modello. Sono ben 258 pag. dei due volumi solo su di lei. In realtà la vita di Alberto, in tutto ciò che di misteriosamente grande assunse negli occhi dei contemporanei e dei posteri, ha un legame strettissimo con Maria. Né egli si vergognava di “protestare di dover tutta la sua scienza alla protezione della S. Vergine, che chiamava affettuosamente “Maria auxiliatrix nostra”. Indizio di tale sua ardente pietà è dato dal fatto che non scrive mai solo il nome di Maria, ma sempre con l’aggiunta di qualche titolo: beata, gloriosa, purissima, benedicta, ecc. Già curvo sotto il peso degli anni, Alberto, con la semplicità di un fanciullo, sarà quasi sempre fisso col suo pensiero sulla Madre celeste, intenerendosi fino alle lacrime. “Nell’orto o in qualche altro luogo secreto, quasi studentello, soleva cantare tra le lagrime delle canzoni alla Vergine beata, frammischiandovi frequentissimi sospiri e singhiozzi”. La vocazione e la missione di Alberto in relazione alla sua pietà e al suo pensiero mariano può essere sintetizzata in questa sua preghiera, che Pietro di Prussia, il primo storiografo del santo, ci riporta al c. 22: “O santa Maria, o luce del cielo e della terra, come indica anche il vostro nome, di questa terra che voi avete rischiarato coi misteri del vostro Figlio, il Verbo divino; voi, che avete dato luce all’illuminato splendore degli angeli, datemi una intelligenza splendente, concetti giusti, scienza sicura, fede solida insieme ad una parola che vi corrisponda e procuri la grazia ai miei uditori; una parola che serva di conferma alla fede, alla edificazione della santa chiesa e all’onore del nostro santo Gesù Cristo, vostro Figlio. Che questa parola dica e ridica, o divina Maria, che voi non cessate di ricolmare dei tesori della vostra misericordia un peccatore come sono io, e di manifestare per la mia bocca i prodigi della vostra onnipotenza”.

III. Scritti autentici e spuri

Alberto non fu solo un enciclopedico, un raccoglitore mnemonico, ma ebbe il dominio della scienza, preferendo gli originali, gli studi comparati; né appartiene ad un determinato indirizzo filosofico o teologico né ad una scuola, ma è un caposcuola, che apre alla scolastica il mondo aristotelico, arabico-giudaico e il campo delle scienze naturali. Tutto questo spiega le affermazioni dei contemporanei a suo riguardo, “stupor et miraculum” (Ulrico di Strasburgo), dotato “in vita auctoritatem quam nunquam homo habuit in terram” (“ebbe in vita un’autorità che nessun altro ebbe sulla terra”, Bacone) e il perché gli furono attribuiti tanti scritti non suoi. a - Dopo gli studi critici di questi ultimi tempi dovuti a B. Koroysak, e ad A. Fries, sono da ritenersi spuri i seguenti scritti attribuiti al dottore universale:
1 - Mariale, o commento a S. Luca, I, 26-38;
2 - Compendium super Ave Maria;
3 - De Laudibus B. M. Virginis;
4 - Biblia mariana;
5 - Speculum B. Mariae Virginis;
6 - Commentum super salutatione angelica;
7 le sequenze: Salve Mater Salvatori,s e Ave praeclara mans stella.
b - Fra gli scritti autentici di importanza per la mariologia di Alberto, sono da segnalarsi i seguenti lavori:
1 - De natura boni;
2 - Summa Theologica, o Summa de creaturis: costituisce il primo tentativo di introdurre negli schemi delle vecchie somme teologiche le principali questioni mariane;
3 - De incarnatione, inedito;
4 - De bono;
6 - Commentari allo Pseudo-Dionigi;
7 -De sacrificio Missae e De Euchanistiae sacramento;
8 - Questiones disputatae;
9 - Seconda Summa Theologica;
10 - Commentari scritturistici: In Isaiam; In Ieremiam; ed infine i commenti ai quattro evangeli.

IV. Le idee fondamentali della mariologia albertina

La trattazione mariologica di Alberto, evidente, non è monografica, tuttavia la sua dottrina può essere raggruppata intorno a tre schermi principali di idee, che sono le linee direttive del suo pensiero e “formano il tema perpetuamente presente sotto mille immagini diverse” ossia:
- la Maternità meravigliosa di Maria, nel suo concetto integrale, coi privilegi relativi;
- la Pienezza di grazia;
- la Potenza benefica nella nostra vita.

Secondo questi tre punti esporremo sinteticamente il pensiero di Alberto.

a) Maternità di Maria

Per la prima volta il problema della maternità di Maria, sotto l’influsso delle dottrine aristoteliche, viene affrontato nella sua concretezza fisiologica e nella sua integrale complessità teologica.
“La vergine gloriosa fu veramente madre del Cristo?
E deve esser chiamata madre di Dio (Theotokos) o madre del Cristo (Christotokos)?”.

a - La maternità in concreto di Maria.
Questa fu vera madre del Cristo, in quanto “verissimamente generò il Cristo come madre”. Alberto esprime così sinteticamente il suo pensiero: “La vergine dunque concepirà, ossia, riceverà in sé la virtù divina dell’Altissimo e dello Spirito Santo che opera ed agisce; ella racchiude nelle sue viscere la sostanza del Figlio e gli ministra il suo sangue, perché l’uomo da lei nato venga formato nella natura dell’uomo e con grazia di virtù e con la gloria della divinità”. Maria ha dunque concepito il Figlio senza concorso d’uomo, non per mezzo dell’angelo né per influsso astrale, ma solo per opera di Dio. Tutta la Trinità è presente in questa opera: il Verbo Figlio, la Maestà dello Spirito Santo, la Virtù del Padre. Ma essa va appropriata allo Spirito Santo, dovendosi considerare l’unione della natura divina con l’umana come una grazia. Né la Trinità né lo Spirito Santo possono dirsi per questo padre del Cristo, ma la Terza Persona separò il sangue nel seno della Vergine e “poi lo trasformò e lo formò e lo modellò e ne distinse le membra e l’anima”. Maria che aveva ministrato il sangue e non la carne, come affermavano invece alcuni autori suoi contemporanei, operò con la sua potenza generativa tutto ciò che opera ogni altra donna in simili circostanze. Per la infinita virtù dello Spirito Santo tutto si compì in un istante. E la Vergine concepì, in un sol momento, un uomo perfetto nella figura dei lineamenti, e nell’anima e nella grazia e nelle virtù e nella sapienza, per cui Cristo nacque già perfetto, crescendo solo nel seno con la quantità delle membra. Tutta la concezione fu pervasa da un mistero di grazia, che, come la mirra preserva il corpo dalla corruzione, così questa grazia “nella maternità conservò la verginità, nella gravidanza la leggerezza, nel puerperio la massima delizia senza alcun dolore”, sottraendo tale maternità da ogni maledizione che grava sulle altre donne. Il grande privilegio che accompagna la maternità in Maria è quello della verginità. Questa ha un duplice aspetto, la verginità intesa nella integrità corporale (virginitas rei) e la verginità come virtù vera e propria (virginitas dignitatis). Nella verginità intesa nella integrità corporale Maria è il prototipo, sottraendo inoltre le altre vergini dalla maledizione che colpiva la loro sterilità. Ebbe anche la verginità come virtù vera e propria in modo eccellente, in quanto mentre le altre donne concepiscono ricevendo dall’esterno, lei sola concepì “in utero”, dall’interno. Non bastava però a conservare la verginità l’aver concepito verginalmente. Perché potesse esercitare tutte le sue funzioni materne, “rimanendo sempre vergine”, era necessario un altro intervento miracoloso continuo, così come per un cieco, rimanendo cieco, poter vedere. Tale nuovo miracolo non deroga alla maternità divina di Maria, e Dio continuerà il miracolo di questa concezione allorché conservando le qualità proprie di un corpo umano non glorificato, attraverserà il corpo di Maria “non dividendolo”. Maria resterà vergine anche dopo, richiedendolo l’onore stesso del Figlio. Ai diversi testi che comunemente si adducono dalla scrittura contro la verginità della Madonna, Alberto risponde con questa nota: “Questa ed altre simili viltà adducono ad argomento della propria dannazione volendo che la Vergine non sia rimasta tale”.

b - Maria vera madre di Dio.

Tre erano i modi di unione che la scolastica contemporanea presentava, dell’uomo assunto, della sussistenza e dell’unione accidentale. Alberto radica le due nature (umana e divina) di Cristo nell’unità della persona. La conclusione del pensiero di Alberto può essere sintetizzata in queste sue parole: “Dalla beata Vergine non fu generata una natura, ma piuttosto un uomo perfetto composto di corpo e di anima razionale. Ma tanto l’umanità di Cristo quanto la sua natura divina appartengono alla medesima persona. Dunque generando questo uomo lei generò Dio ed è madre di colui che generò: dunque lei è verissima madre di Dio”.

c - Aspetto morale della maternità.
L’opera di maternità di Maria sul Figlio esige una vicinanza ed una unione singolarissima con Dio, in quanto non si può immaginare nulla di più vicino a Dio che il ministrargli la propria materia: “Il sangue, che lo nutre nel seno, dall’anima unita alla divinità viene incorporato al Figlio di Dio”. Questa unione fisica è ben minima cosa rispetto all’unione di grazia che tale mistero comporta. Ora se da una parte l’elezione di Maria a Madre di Dio richiedeva per convenienza che la grazia santificante ne avvolgesse la anima fin dal seno materno (gratia praeveniens), e ne santificasse anche il corpo contro gli effetti del peccato originale e per inclinarla al bene, dall’altra, dopo la generazione del Figlio, il petto, il grembo, le braccia, il corpo tutto di Maria avranno un riflesso incancellabile e continueranno a risplendere come il tabernacolo più bello della divinità. Particolari vincoli legano evidentemente Maria anche alle altre due Persone divine, per cui ella diventa il “triclinium” (abitazione) ove la Trinità compie le sue ineffabili opere. Il Padre la ricopre della sua ombra per riprodurre in lei la sua immagine e assimilarla alla sua incorrotta generazione, così come la stella emana il suo raggio, o la gemma il suo splendore o il ramo il suo fiore. Di più, il Padre dividerà quasi il suo dominio con Maria sull’unico Figlio, che è vero Dio e vero uomo. La sapienza increata del Figlio crea in lei il suo capolavoro, edificandovi la sua casa e celebrando in lei le nozze con la natura umana. L’amore santificatore dello Spirito completa in lei ogni manifestazione di santità e di bontà. Da tutto ciò appare ben chiaro perché Maria “sia più degna di ogni altra pu-ra creatura ed esaltata sui cori degli angeli ai regni celesti”. Tutto però fu in lei dono gratuito: nulla lei poteva fare per meritare tale ec-celsa dignità e tanti privilegi, ed è da affermare sempre, che “sebbene più alta degli angeli, tuttavia dista senza misura di proporzione, dalla dignità divina”.

b) Pienezza di grazia

a - Pienezza relativa di Maria.
Gesù gode di una pienezza di grazia in assoluto, poiché la sua natura umana è unità alla natura divina mediante la persona (unione ipostatica): è la causa, la fonte di ogni grazia riversata da Dio sull’umanità. I santi hanno una pienezza di grazia in quanto le loro opere sono capaci di meritare per la vita eterna. Maria ha una pienezza di grazia intermedia, con pienezza di sovrabbondanza, capace di produrre la santità in sé e negli altri. La pienezza di Maria dista infinitamente da quella di Cristo, ma si differenzia pure da quella di tutti i santi, ché, anzi, “effonde in loro, che chiedono il suo aiuto, la grazia”. La ragione di tale pienezza va trovata nella sua elezione alla maternità, ufficio questo, a riguardo del Verbo, ben più alto e stretto di quello dei profeti, che, per il solo fatto di dover annunziare il Cristo furono santificati già nel seno materno, come Geremia ed il Battista. Ed è in relazione alla sua maternità che Maria, pur avendo in sé una grazia finita che “crescere poteva”, raggiunse gli estremi limiti di capacità recettiva, e, sempre in ordine alla concezione e al parto, “non le mancò nulla né qualcosa poteva aggiungersi”.

b – La pienezza di grazia in Maria e il peccato originale.
La dottrina del peccato originale in Alberto è una sintesi della scuola agostiniana e anselmiana con la seguente definizione: “Il peccato originale è l’inclinazione ad ogni male con la privazione della dovuta giustizia”. La santificazione di Maria avviene soltanto dopo l’animazione, cioè presuppone l’unione dell’anima col corpo. Tale unione rispetto alla santificazione ha priorità di tempo o solo di natura? Alberto ignora tale distinzione e risponde che la grazia le fu infusa “probabilmente subito dopo l’animazione”. Quel “subito dopo”, come appare dal contesto ha valore reale di istante. Alberto quindi è contro l’Immacolata, anche se usa tale termine.
Nota: Anche San Tommaso, san Bonaventura e prima di loro San Bernardo erano contro la dottrina dell’Immacolata concezione di Maria, non ancora definita come dogma di fede. Un motivo era anche il seguente: a quei tempi, alcuni che affermavano l’immacolata concezione di Maria, negavano che fosse stata redenta da Cristo. E questo è contrario al principio della redenzione universale operata dal Signore.

c) La pienezza di grazia e la santificazione.
Pur avendo contratto il peccato originale, Maria ne venne santificata fin dal seno materno, con un risanamento delle potenze in grado proporzionato al futuro stato di Madre di Dio. Maria in questa prima santificazione superò Geremia ed il Battista, essendo annullato in lei anche la possibilità al peccato veniale. Con la discesa dello Spirito Santo nella Incarnazione fu distrutto in lei il fomite anche in quanto all’abito. La disposizione all’abito venne infine tolta nella terza santificazione, ossia nell’assunzione in gloria. Questo è l’aspetto negativo soltanto; il positivo fu costituito in una graduale ascensione verso la luce increata, il cui ultimo gradino fu raggiunto con la inabitazione del Verbo.

d) “Piena di grazia”, equivale a piena di virtù.
“Ebbe, per esempio, la fede nel modo più eccelso, lei che servò fede ad un mistero immensamente grande promessole, che dubitando gli apostoli mai dubitò, che fu certissima che ogni cosa è possibile a chi crede”. Tale fede è proporzionata al suo grado eccelso di carità. Guidata da tale spirito di fede vegliava nell’attesa del Messia, aspettava il compimento delle profezie che lo riguardavano e glielo faceva rinchiudere finalmente nel seno, ottenendo il miracolo dell’Annunciazione. Dell’onnipotenza del Figlio mai dubitò, anche quando lo contemplò umiliato sulla croce e, sola, fiduciosa, aspettò il giorno della risurrezione. Pur essendo Dio con la grazia più vicino a lei che agli angeli, ella però continuò a vederlo “in speculo et in enigmate”; ma la sua fede, arricchita dai doni dell’intelletto e della sapienza, avrà spesso trasportata Maria in ratto estatico, che è “la parte migliore della contemplazione”, dandole una conoscenza quasi sperimentale del divino. Né minore fu la speranza. “Ella con una speranza viva sempre tese all’oggetto sperato; con una speranza certa senza posa stava fissa in cielo; con una speranza che l’affliggeva continuamente bramava che fosse posto fine al suo peregrinare”. “Somma fu in lei la carità, carità che nel suo fervore fa languire e ferisce e uccide. Fa languire dal desiderio dell’amato, ferisce allorché l’amante è nell’amato, uccide tutti all’infuori dell’amato perché solo viva nel cuore dell’amante. E tale fu l’amore della Vergine: privata dell’amore dell’amato asceso al cielo ne languisce dal desiderio; ferita allorché l’amato penetrò in lei ne porta lo strale; da quando l’amato l’uccise col suo amore, non più per se ma tutta per lui vive”. Tutta la vita di Maria fu permeata da questo fuoco, anzi lei sola poteva dire di amare Dio “toto corde”, con tutto il cuore. Altrettanto potrebbe dirsi delle singole virtù cardinali, anche esse presenti in grado eccelso nell’anima di Maria.

Sotto l’azione dei doni dello Spirito Santo Maria assumeva un aspetto sempre più deiforme, come albero che rigogliosamente cresce accanto alle acque. Due sono le immagini bibliche che Alberto applica nel caso, quella delle sette colonne che la Sapienza usa per costruire la sua casa e i sette gradini che portano al trono di Salomone. Sempre in una linea ascensionale, al disopra delle virtù e dei doni, l’anima perviene allo stato delle beatitudini “infuse”, che non è per Alberto stato di acquiescenza, ma risultato di altissimo lavorio interiore. Dai diversi passi sparsi qua e là negli scritti di Alberto, si può fare un commento delle diverse beatitudini (povertà, mitezza, pianto, fame e sete di giustizia, misericordia, purezza, pace) in Maria. Né mancarono nella Vergine i frutti che S. Paolo elenca, i quali danno il gusto della dolcezza dei beati e acuiscono in noi il desiderio del cielo. Nella gloria, oltre al premio essenziale, ve n’è uno accidentale, che il nostro chiama “aureola”, derivante da una speciale conformità all’umanità di Cristo nei tratti più caratteristici, ossia di verginità, martirio, predicazione. In Maria troviamo tutte e tre queste aureole.

Ebbe inoltre Maria tutte le grazie gratuite concesse agli altri Santi. Alberto afferma il principio, ma non lo sviluppa, mentre maggior risalto dà ai privilegi simboleggiati in genere nelle dodici stelle circondanti il capo della donna nell’Apocalisse (12,1). Tale numero e tali privilegi non sono fissi, perché a volte cambia di numero e a volte nella natura dei privilegi stessi. Tra i privilegi particolare risalto ne hanno due: l’impeccabilità e l’assunzione. Mentre Geremia e il Battista peccarono almeno venialmente, questo va escluso in Maria, e ciò dipendeva non da confermazione in grazia, che avrebbe legato necessariamente il libero arbitrio al bene, ma dalla sua libera volontà. L’altro privilegio è quello dell’Assunzione. Maria anzitutto morì ma il suo corpo non poteva incenerirsi per ragioni di convenienza, e di fatto, per miracolo di Dio, risorse dal sepolcro e non già dalle ceneri. L’assunzione di Maria alla gloria Alberto la crede “come cosa verissima”. E se ciascuno, secondo il merito, viene accomunato ad una gerarchia angelica, Maria trascende gli Angeli, in una posizione unica.

c) Potenza benefica di Maria nella nostra vita

Il fondamento dell’influsso che Maria esercita nella nostra vita va ricercato in queste due verità, che Maria è madre e mediatrice. Dopo la determinazione da parte di Dio di redimerci mediante l’incarnazione ed il sacrificio del Figlio, egli avrà fissato i suoi occhi su Maria scegliendola a cooperatrice dell’incarnazione. Col suo consenso liberissimo ella permise il compiersi del mistero divino in lei, portandovi il contributo dispositivo delle sue virtù. Maria veniva inserita allora, con la sua cooperazione, alla nascita del Cristo intero. Il suo seno fu il talamo “in cui si celebrarono degnissimamente le nozze della nostra natura con la divina”, “del Cristo e della chiesa”. L’immagine diventa concreta: “ella fiorì allora con la gravidanza del cuore, con cui concepì noi, e del corpo, con cui accolse il Figlio verbo incarnato”, il quale figlio “ inviscerò sé con noi nelle viscere della Vergine”, dando così inizio a quel mistico corpo che è la chiesa di cui egli è capo e Maria madre. Alla luce di questa duplice maternità, ciò che si compie nell’incarnazione, assume un significato soteriologico. Il sangue che Maria dona al Cristo è una “porpora arrossata” di cui lo riveste quale nostro Re e Sacerdote, e pure a Maria deve risalire quel sangue che il Cristo ci donerà nel sacramento eucaristico. Su questa linea si stabilisce così una analogia tra Maria e la chiesa, approfondita dall’unità di fine di queste due Madri nella generazione delle membra del Cristo. Maria però non è solo modello della Chiesa. Tra Maria e la Chiesa c’è una reale subordinazione di questa a quella, una partecipazione di maternità che in Maria soltanto ha la sua piena realtà. E come la fratellanza del Cristo riceverà il suggello del dolore, così per la nuova maternità Maria soffrirà i dolori da cui fu esente nel parto. La partecipazione alla passione era proporzionata e correlativa all’unione avuta nell’incarnazione. Il mediatore essenziale era il Cristo, uomo-Dio, ma Maria, strumento dell’unione fra le due nature, poté essere corredentrice, subordinata a Cristo e a lui unita in posizione di medio e fu anche l’unica che in quei momenti dolorosi è stata capace di meritare, perché in lei sola era rimasta la fede.

Da quanto fin qui detto scaturisce l’altra grande verità, di Maria mediatrice. Ed Alberto può essere considerato indubbiamente uno dei più grandi dottori della mediazione universale di Maria. Ecco alcune delle immagini applicate a Maria per esprimere tale mediazione: pozzo, coppa, granaio, vaso, fonte, fiume, canale, acquedotto, porta, collo.
Ella effonde le grazie nella immensa schiera dei santi, e non c’è alcuno che non abbia sperimentato qualche suo beneficio, sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento. Ella inoltre, come porta, non solo fa passare attraverso di sé le grazie, ma ci permette di arrivare a Dio. Se lei “è così piena, che la grazia di redenzione da lei nata pervenga a tutti e copiosamente si effonda” e se ci fu data correlativamente alla pienezza del Cristo anche quella di Maria, Ella può giustamente essere chiamata “madre di tutti i giusti a cui merita la grazia”. Tutta la lotta del bene contro il male, dentro o fuori di noi, fa leva sulla intercessione di Maria, la cui potenza eccelle su tutti a cui il Figlio nulla può negare, sia perché lei tutto riduce a gloria di Dio.

La chiesa è la casa dove ella regna. Prima della sua assunzione già era consigliera, illuminatrice degli angeli, degli apostoli e degli evangelisti, ma la sua opera continuerà più estesa dopo, quale invincibile nostra avvocata. Ella ci allatta con le sue dolcezze, perché il Cristo in noi piccolini non perisca, e tutta la nostra vita interiore si svolge sotto il suo occhio materno, dissipando ogni difficoltà lungo il nostro cammino. Le schiere degli angeli sono ai suoi ordini, “per correre in aiuto dei poveri” e conoscere il modo “come debbono aiutare”. Maria, che sa addolcire i cuori più duri, non cesserà di effondere rivoli di grazia soprattutto su chi a lei si affida. Alla sua effusione di grazia c’è un solo limite: la nostra incorrispondenza. Universale come la sua mediazione è la funzione regale di Maria, con un regno di misericordia, a cui nessuno è sottratto: ella fa piovere “sulla terra grazia e perdono, in cielo la gloria delle illuminazioni, nell’inferno indulgenza” e insieme al Figlio sarà legislatrice e misura del giudizio nell’ultimo giorno.


 







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